Mario Di Gallo. Sulle sistemazioni idraulico forestali.
«Mi permetto solo un breve commento relativo alle sistemazioni idraulico forestali. Il testo citato del prof. Cancelliere riprende nozioni di idraulica applicata classiche e ben note fino agli anni ’80. Per fortuna con l’introduzione dell’ingegneria naturalistica siamo andati ben oltre e in modo virtuoso almeno per quanto riguarda questa Regione fino agli anni 2000 (la buona ingegneria naturalistica scompare e si integra perfettamente nel paesaggio dopo un paio di anni, le opere d’arte in cemento invece no, ergo: quello che appare di più paga in termini economici e di voti …). Le sistemazioni classiche, che mantengono comunque la loro validità, si sono fatte prendere la mano dai “cementieri” che pian piano hanno fatto riempire di cemento anche opere di difesa longitudinale, come le scogliere a secco, che garantivano la “filtrabilità” e la flessibilità adattandosi ai naturali movimenti delle sponde fluviali. Ma questi sono dettagli tecnici. Ciò che ancora non si vuole capire è che da decenni abbiamo rubato (e continueremo a rubare: vedi sistemazioni in Valcanale e Canal del Ferro dopo l’alluvione 2003)) lo spazio agli alvei canalizzandoli, costringendo le portate di piena a correre sempre più veloci, con più trasporto solido, con pelo d’acqua sempre più alto. La conseguenza è un impatto tremendo di masse fluide (acqua e detriti) su spalle e pile di ponti mal progettati o mal mantenuti (che riducono la sezione di portata), su argini deboli e bassi e presso strettoie (erosioni e allagamenti). E allora non resta che restituire agli alvei la loro più ampia sezione, eliminando opere idrauliche inutili, ri-naturando il fondo dei torrenti montani eliminando le briglie e soglie (risultate in certi casi superflue) con il riposizionamento delle grandi pietre (spesso asportate a fini commerciali), aumentando quindi la scabrosità del fondo, allungando il percorso delle acque e ricostituendo le naturali “casse di espansione” di fiumi e torrenti. Lo scopo è quello di rallentare più possibile il flusso delle acque verso le aste principali, diluendo così le portate in tempi più lunghi ed evitando le esondazioni in pianura (Leonardo da Vinci aveva realizzato un simile modello di riduzione delle portate già alla sua epoca). Non è fanta-idraulica questa, in Svizzera la ri-naturazione degli alvei è una realtà da decine di anni. Ma purtroppo i nostri amministratori dimostrano di non avere le idee molto chiare in questo senso: pare infatti che “la pulizia degli alvei dei fiumi dalla folta vegetazione che fa da barriera al deflusso delle acque verso valle” (Assessore Roberti al Ministro Costa, su “notizie dalla giunta” in sito FVG del 9/11/2018). Ma su questo, sono sicuro, anche il prof. Cancelliere avrebbe molto da ridire.
Mario Di Gallo, dottore forestale».
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L’immagine che correda l’articolo è quella che illustra il testo “Ingegneria naturalistica”, che si trova sul sito dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, Ispra. (http://www.isprambiente.gov.it/it/temi/suolo-e-territorio/ingegneria-naturalistica). Laura Matelda Puppini
Osservazioni e studi sugli eventi estremi verificatisi nei bacini montani friulani hanno evidenziato che con precipitazioni con altezza di pioggia cumulata nelle 24 ore dell’ordine di 200-250 mm, oppure superiore a 250 mm, si ha una probabilità del 65%, o, rispettivamente, la certezza che si verifichino calamità idrogeologiche (PARONUZZI, 1993).
Generalmente i bacini di piccola e media dimensione sono messi in crisi da perturbazioni caratterizzate da nuclei in cui avvengono precipitazioni con intensità oraria che supera i 50 mm/h per durate di 1-6 ore. L’analisi statistica dei dati pluviometrici dimostra che il ripetersi di eventi di tale entità per ogni singola località ha generalmente lunghi tempi di ritorno (spesso anche molto superiori ai 100 anni). Tuttavia la casistica dimostra che nel bacino del Tagliamento la loro frequenza è molto elevata, tanto che calamità idrogeologiche si sono manifestate in aree diverse del bacino anche più volte nello stesso anno (ARATTANO et alii, 1991; PARONUZZI, 1993; AA.VV., 2005).
tratto da NOTE ILLUSTRATIVE della CARTA GEOLOGICA D’ITALIA alla scala 1:50.000 – foglio 049 GEMONA DEL FRIULI
Nell’alta Val Degano è piovuto 280mm il 28 ottobre e 200mm il 29 ottobre, con picchi superiori ai 50mm/ora. In quota di più, anche 300mm. Nel resto della Carnia è piovuto 150mm in entrambi i giorni.
Tutto quanto è accaduto dal punto di vista idrogeologico era quindi molto probabile, su statistiche fatte in base ai dati disponibili al 1993. Non credo che con opere di regimazione migliori si potessero evitare del tutto i danni, che sono sì ingenti ma tutto sommato neanche tanto: non è morto nessuno, non ho visto zone residenziali allagate e, per cause idrauliche, sono state interrotte solo un paio di strade principali. Probabilmente saranno invece da rifare molte piste forestali, anche quelle realizzate secondo i dettami dell’ingegneria naturalistica.
Il vero problema mi sembra sia stato il vento, che ha interrotto la viabilità, abbattuto le linee elettriche, scoperchiato tetti e rovinato automobili. Anche in questo caso, un vento definito eccezionale solo perché né noi né la vegetazione ci siamo abituati: i valori registrati sono molto elevati, ma nel fondovalle paragonabili a quelli misurati sul Carso negli stessi giorni. In quota, raffiche a 180km/h non saranno la norma ma credo sia il caso di aspettarcele.
Poi per carità concordo con i princìpi generali enunciati: occorre lasciare al corso d’acqua la capacità di sfogarsi, evitando di restringere ulteriormente la sezione con nuove arginature. Si deve rallentare il più possibile le velocità dell’acqua, anche se pensare di farlo con la vegetazione in alveo mi sembra quantomeno azzardato. Forse si è esagerato con troppe briglie in posizioni spesso inutili e spesso costruite male, ma delle migliaia che ci sono in Carnia e Valcanale credo che la maggior parte serva eccome.
Trovare i capri espiatori in un’intera generazione di tecnici e politici sobillati dalla lobby del cemento mi sembra francamente una sciocchezza: inizio ad essere stufo di teorie del complotto che spiegano ogni cosa brutta che ci accade e che, se enunciate da esperti del settore, vengono presentate come La Verità.
Non credo Paolo Martinis, che fu tecnico di Carniacque se non erro, che si tratti di questione di trovare capri espiatori, ma è anche vero che in democrazia chi ha commesso errori dovrebbe correggerli, e lo scrivo in generale. Credo che nessuno poi abbia negato la furia del vento o la pioggia caduta, ma che certe situazioni stradali e di ponti in Carnia, nel pordenonese, nel Veneto potessero essere prevedibili, in presenza di una montana, credo non sia pensare del tutto scorretto. Non da ultimo dato che l’acqua si è mangiata ponti e strade in Carnia, questi devono esser messi in sicurezza secondo le moderne tecniche, non aggiustati fino alla prossima, sperando in Dio. Perchè a me pare proprio che manchi una visione di insieme, dei reali problemi, e che la viabilità della Val Degano, tanto per fare un esempio, sia stata trascurata, pensando solo alla variante di Rigolato per far passare camion. Ed anche in Svizzera ed in Austria hanno fiumi, ponti , montagne. Ma chissà perchè non si guarda all’estero, nè alle università. E a memoria, ma potrei sbagliarmi, non mi pare che in Carnia certi ponti e certe strade fossero stati sottoposti ad opere ingegneristiche di salvaguardia e prevenzione, come non so, e quando scrivo non so scrivo non so, a che opere di regimazione siano stati sottoposti i fiumi, la cui portata varia, da che mi è dato sapere, sulla base delle captazioni forzate e dell’abbassare od alzare il livello dei laghi artificiali da parte dei gestore privato dell’idroelettrico, che può persino denunciare chi vuole almeno il minimo deflusso vitale. E se erro correggetemi. Se poi si aggiungono centraline private in ogni dove … sarà il caos. Perché rii e torrentelli confluiscono poi nei fiumi, da che mondo è mondo. Non da ultimo se manca la corrente che alimenta i computer delle centrali, ove non vi sia un addetto, esse potrebbero non essere più sotto controllo, e questo non lo dico io, ma Giampaolo Bidoli. (Cfr. Messaggero Veneto 9/11/2018). Almeno io ho capito così da quanto sinora udito e letto. Se poi si debba utilizzare ingegneria idraulica o naturalistica non lo so, non sono ingegnere, e prima di scegliere i tecnici dovrebbero ben valutare, ma da carnica dico che se i carnici, come penso sia anche lei Martinis, che ringrazio per essere intervenuto sul mio blog, avessero pensato maggiormente alla tutela del territorio invece che solo alle piste da sci ed agli impianti sportivi, ecc. ecc. cioè al suo sfruttamento, forse certi problemi si sarebbero evitati ed anche le relative spese. E si sa che con i mutamenti climatici andrà sempre peggio. Questo solo per esprimere il mio pensiero, tenendo presente che non sono laureata in ingegneria. Insomma condivido il pensiero di Riccardo Riccardi, non perchè lo dice lui ma perchè è condivisibile, “bisogna mettere in sicurezza la Carnia,” e dico io altrimenti, tra l’altro, non rimarrà qui più nessuno.