Ho ascoltato con interesse l’intervento di Paolo Berizzi per il 2 giugno su “Libertà di espressione del pensiero”, promosso da Festival Costituzione, che in realtà ha però trattato molti temi che andavano dalle nuove generazioni al non sapersi più indignare, al sogno italico dell’uomo forte al comando, alla libertà di stampa, ed altri ancora. Ma io voglio solo soffermarmi su quelli più pertinenti alla festa della Repubblica Italiana nata dalla Resistenza come del resto la Costituzione Repubblicana del 1948, anche riportando aspetti storici, sociali e di pensiero.

Θ

Spesso, quando parliamo degli italiani seguiamo un modo di vedere che tutti accomuna, ma non siamo tutti uguali come non lo eravamo in quel lontano 1946.
L’ Italia usciva da una guerra in cui l’aveva precipitata il fascismo, che tanto andava d’accordo con il nazismo da essersi inventato il ‘patto d’acciaio’. Ed il fascismo non era morto nelle idealità di molti, non solo tra quelli nati e cresciuti sotto il regime, ma anche e particolarmente tra quelli che ne avevano preso attivamente parte, e che, già nel dicembre 1944, vista la mala parata, cercavano di salvare il salvabile magari buttandosi a fare i partigiani dell’ultima ora o in altro modo; ma si sa che i voltagabbana per tornaconto personale sono sempre esistiti.

E, sia come sia, fra interventi degli alleati e terrori dell’avanzata comunista, inconsulti ma per alcuni provvidenziali per riemergere, quando i grandi avevano già ampiamente deciso, fra amnistia Togliatti e tatticismi vari finalizzati a modificare il meno possibile l’assetto sociale italiano, (grazie anche al massiccio intervento della Chiesa cattolica, da sempre paternalista e amante del potere)  andò a finire che in Italia con il fascismo non si fecero mai davvero i conti, permettendo, per esempio, che Giorgio Almirante, noto esponente dell’R.SI., sedesse nel parlamento repubblicano, e non reagendo in modo adeguato ai tentativi di ripristino del potere assoluto in mano ad una possibile oligarchia, iniziati con la cosiddetta legge truffa. E e si andò avanti così, fra sostegni a golpisti nostrani, fango gettato su chi lottò allora per la Patria, fra salvezza morale o quasi elogio per alcuni soggetti indifendibili, e ipotesi di guerra civile italiana, che è un falso bello e buono, nel contesto storico della resistenza, nata quando il sud era già liberato e i nazisti occupavano gran parte delle penisola.

In tal senso ritengo importante l’accenno fatto da Paolo Berizzi, oggi, al mantenimento della memoria collettiva, che però va anche costruita, perché la si è spesso falsata in chiave partitica o personalistica, quasi essa nascesse dalla somma di varie memorie individuali, basate sul ricordo e sulla ricostruzione in chiave personale dei fatti storici.

Θ

E non a caso Piero Calamandrei, che sotto il regime mussoliniano era vissuto, così si espresse: «Il ventennio fascista non fu, come oggi qualche sciagurato immemore figura di credere, un ventennio di ordine e di grandezza nazionale: fu un ventennio di sconcio illegalismo, di umiliazione, di corrosione morale, di soffocazione quotidiana, di sorda e sotterranea disgregazione civile. Non si combatteva più sulle piazze, dove gli squadristi avevano ormai bruciato ogni simbolo di libertà, ma si resisteva in segreto, nelle tipografie clandestine dalle quali fino dal 1925 cominciarono ad uscire i primi foglietti alla macchia, nelle guardine della polizia, nell’aula del Tribunale speciale, nelle prigioni, tra i confinati, tra i reclusi, tra i fuorusciti. (…). Quindi «l’antifascismo significò la Resistenza della persona umana che si rifiutava di diventare cosa e voleva restare persona: e voleva che tutti gli uomini restassero persone: e sentiva che bastava offendere in un uomo questa dignità della persona, perché nello stesso tempo in tutti gli altri uomini questa stessa dignità rimanesse umiliata e ferita».». (Piero Calamandrei, Contro l’oppressione fascista che voleva ridurre l’uomo a cosa, in: http://www.minimaetmoralia.it/wp/contro-loppressione-fascista-che-voleva-ridurre-luomo-a-cosa/).

Ed ancora: «Non bisogna credere, come qualche pietoso oggi vorrebbe per carità di patria, che gli orrori degli ultimi due anni siano stati così spaventosi solo perché il nemico era mutato: perché gli oppressori non erano più soltanto i fascisti nostrani, ma erano gli invasori tedeschi, gli Unni calati dai paesi della barbarie.
È vero sì, che gli ultimi due anni portano il nome di Kesselring; ma Kesselring fu l’ultimo dono che Mussolini fece all’Italia; fu l’ultimo volto di una follia che da venti anni preparava l’Italia a quell’epilogo spaventoso». (Ivi).

E la Resistenza alla fine spazzò via l’invasore, «ma non bisogna oggi considerare quell’epilogo soltanto come la cacciata dello straniero. Quella vittoria non fu soltanto vittoria contro gli invasori di fuori: fu vittoria contro gli oppressori, contro gli invasori di dentro. Perché, sì, veramente, il fascismo fu un’invasione che veniva dal di dentro, un prevalere temporaneo di qualche cosa di bestiale che si era annidato o si era ridestato dentro di noi: e la Liberazione fu veramente come la crisi acuta di un morbo che finalmente si spezzava dentro il nostro petto, come lo strappo risoluto con cui il popolo italiano riuscì con le sue stesse mani a svellere dal suo cuore un groviglio di serpi, che per venti anni l’aveva soffocato». (Ivi). Ma nella realtà forse nel cuore di molti quel “groviglio di serpi” non fu mai divelto, e solo si nascose.

Θ

La risposta alla fine del fascismo non poteva che essere quella già rappresentata allora dai Cln, cioè la Repubblica, ma non vinse in Italia con una maggioranza schiacciante.
E se leggiamo il primo volume di Antonio Gambino. “Storia del dopoguerra. Dalla Liberazione al potere Dc”, Universale Laterza 1978, veniamo a sapere degli incontri che precedettero quel referendum e di quelli che ne seguirono, ove i problemi principali erano quello di congedare la famiglia reale, refrattaria ad andarsene, e che aveva cercato di salvare il salvabile con l’abdicazione del troppo compromesso Vittorio Emanuele III, avvenuta il 9 maggio 1946, a favore di Umberto II, e quello di non guastare il rapporto con gli alleati, sotto la cui sfera di influenza eravamo stati posti, da perdenti. E certamente Umberto II cercò di portare a sé il popolo, compiendo viaggi elettorali dal sud al nord d’Italia, distribuendo, prima del referendum «decine di migliaia di croci di cavaliere ed altre onorificenze», (Antonio Gambino, op. cit., p. 222) e lanciando, nella sua duplice veste di capo dello schieramento monarchico e di capo dello Stato, un proclama al paese, in cui prometteva, in caso di vittoria della monarchia, un secondo referendum alla fine dei lavori della Costituente. Ma nonostante ciò, la gran parte degli italiani credeva allora che la Repubblica avrebbe vinto in modo schiacciante, ma non fu così. (Ibid.).

La scelta fra Monarchia o Repubblica avvenne il 2 giugno 1946, i risultati definitivi giunsero il 5 giugno, la proclamazione ufficiale degli stessi da parte della Corte di Cassazione avvenne il 9 giugno. La Repubblica vinceva ma non con un margine così alto. Infatti la ‘repubblica’ otteneva 12.182.000 voti, la ‘monarchia’ 10.362.000,  generando una serie di strascichi ed un vero e proprio braccio di ferro tra governo e corona. (Ivi, pp. 224- 241). Infine Umberto II partiva, ma lasciando dietro di sé una specie di proclama al popolo, e cioè un testo di accusa al governo, che fu pubblicato dal ‘Giornale della Sera’ in edizione straordinaria. A questo punto Alcide De Gasperi decise di rispondere pubblicamente punto per punto alle accuse. Ma allora era noto a tutti che il Sud Italia aveva votato prevalentemente la monarchia, e pare proprio che Umberto II avesse cercato di tenersi aperto qualche spiraglio. (Ivi, pp. 246- 247). Ma poi, come spesso accade, chi poteva di fatto sostenere il Re si adeguò velocemente alla nuova realtà repubblicana, che dava «alla borghesia e alle classi possidenti garanzie sufficienti». (Ivi, p. 248).

Non solo, i fascisti da quella Repubblica pare non siano mai usciti, perché, come ci ricorda “Lavoro” di Bruno Lepre «Bisogna impedire un nuovo squadrismo. (…). Ma lo strano è questo: che coloro che hanno avuto il posto perché squadristi sono ancora là, duri come macigni nei loro uffici; che coloro che hanno combattuto idealmente e materialmente i patrioti ed il loro grande movimento insurrezionale ridono dalle finestre dei loro uffici a quei poveri diavoli di partigiani che passano straccioni e affamati per la strada. (…). Così tanti giovani generosi di Tolmezzo, che l’anno scorso hanno lasciato a repentaglio la famiglia per recarsi sulla montagna, sono sul lastrico (…) in barba al loro titolo di studio, alla loro capacità tecnica». (Commento a: “La coscienza giuridica degli ex- partigiani” trasmesso dall’A.N.P.I. di Tolmezzo per la pubblicazione, riportato da “La voce della giustizia” di Torino”, in: Lavoro, 1°settembre 1945, in: Bruno Lepre, Romano Marchetti, CARNIA LAVORO, ed. Centro Studi Carnia, copie anastatiche, Tolmezzo, 1994). E questo non avvenne solo a Tolmezzo. In sintesi la classe burocratico amministrativa non fu cambiata.

Ed a questo punto come si fa a non convenire con Norberto Bobbio, quando dice che la Resistenza non è fallita, ma non è stata pienamente realizzata? (http://www.gruppolaico.it/2019/12/16/ecco-perche-la-resistenza-non-finisce-mai/#more-8691).

Θ

Ora il mondo da cui è nata la resistenza non esiste più, non esistono più alcuni valori fondanti la società di allora e pregressa: l’onore, la moralità, l’adesione al vero, e tutto si vanifica in una nebbia, ove imperano i dettami del consumismo e della globalizzazione, ove le intelligenze si sprecano nella ricerca di soluzione di problemi insulsi e calati dall’alto, e come quello che mi trovo a dover affrontare io, che devo sprecar tempo prezioso per dirvi che libero ha improvvisamente bloccato il mio invio delle news, senza preavviso, mettendomi in seria difficoltà e imponendomi di cercare una formula alternativa e possibilmente non a pagamento, perché ormai nessuno pensa che tu possa coinvolgere altri senza avere un utile, e tutto si paga; perché generosità e servizi al cittadino sono usciti dalla porta e dalla finestra. E approfitto per chiedervi aiuto. Non solo: mentre i furbi che vendono qualcosa trovano un modo di riempirti di reali spam giorno e notte, chi acquista ogni anno uno spazio, come me, e lo riempie gratis per i lettori, utilizzando tempo, forze, conoscenze ed anche diletto, non può più usare la posta elettronica di libero improvvisamente, e lo stesso accade se ne inventi una nuova.

E quanto tempo e vista, servendosi del cellulare, sprecano le nuove generazioni inseguendo falsi miti come gli influencer, e sperando di diventare tutti Chiara Ferragni o qualche suo emulo maschile, quanto fisico bruciano per cercare di diventare campioncini, quante forze impiegano gli adulti a paragonare prezzi, offerte, e via dicendo, dovendo pendere solo dalla pubblicità, pur di risparmiare qualche spicciolo?

Inoltre viene inviato ai giovani un messaggio costante di riuscire senza troppo faticare nello studio, in una scuola che sempre più coltiva il pressapochismo, e mi scuso subito per averlo pensato, ma basta vedere alcuni testi scolastici per capirlo, basata sulla espressione di opinioni personali senza fatti a riprova e senza ricerca, senza fatica, senza impegno, perchè lo studio non serve per emergere ed in esso non si prova più piacere.

E nella società dei cip cip e del ridurre tutto in poche parole, come faceva il fascismo, ove tutto è in mano a pochi come allora, la tendenza autoritaria prende sempre più piede a livello sociale, sposata da destra e sinistra. E come distinguere le fake news da messaggi realistici?  Basta credere che alcuni siano veri e altri no, sulla base di chi li ha pronunciati, questa pare la vulgata comune, tanto da confondere gli uni con gli altri. Ma tranquilli, la fede nel capo e l’odio per i gufi è anche di renziana memoria, e se erro correggetemi. Mi creda Berizzi, in Italia la svolta del Pd e la fine della sinistra hanno fatto catastrofi. E siamo ancora a salvare la Costituzione senza che nessuno di fatto compiutamente la applichi.

E chiudo ancora con Norberto Bobbio: «Non c’è che un modo per realizzare la Resistenza: ed è quello di continuare a resistere. Di continuare a resistere, ogni giorno, agli allettamenti che ci vengono dagli sbandieratori di facili miti o dagli amanti della confusione mentale; alle passioni incontrollate che ci spingono ora a destra ora a sinistra a seconda degli umori e degli eventi; alla seduzione della pigrizia che ci getta in braccio allo sconforto e ci rende inattivi e indifferenti.

Un regime di libertà non si crea coi miti, ma con la chiarezza mentale applicata ai problemi socialmente utili; non si crea neppure con le passioni scatenate, anche se sublimi, ma con la moderazione del giudizio, con il controllo di sé, con la disciplina mentale; e neppure con la indifferenza ma con la partecipazione attiva ai problemi del nostro tempo». (http://www.gruppolaico.it/2019/12/16/ecco-perche-la-resistenza-non-finisce-mai/#more-8691).

Senza voler arrecare offesa ad alcuno, ma amareggiata per non potervi inviare per ora le mie news, questo ho scritto.

Laura Matelda Puppini

L’immagine che accompagna l’articolo è tratta da: http://www.comune.villastellone.to.it/Home/DettaglioNews?IDNews=150114. LMP.

 

 

https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2020/06/unnamed.png?fit=500%2C333&ssl=1https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2020/06/unnamed.png?resize=150%2C150&ssl=1Laura Matelda PuppiniETICA, RELIGIONI, SOCIETÀSTORIAHo ascoltato con interesse l’intervento di Paolo Berizzi per il 2 giugno su “Libertà di espressione del pensiero”, promosso da Festival Costituzione, che in realtà ha però trattato molti temi che andavano dalle nuove generazioni al non sapersi più indignare, al sogno italico dell’uomo forte al comando, alla libertà...INFO DALLA CARNIA E DINTORNI