8 marzo 2022. Qualche riflessione da un volume scritto da una donna Tuareg, poi medico in Francia.
Ed ecco ricomparire l’8 marzo, questa volta 2022, senza che nulla sia cambiato dal precedente. Infatti le donne che, spesso sposando miti maschilisti, riescono a diventare donne in carriera, non fanno altro che trasformarsi, più di quanto sembri, in arroganti del potere, in carrieriste da ‘mors tua vita mea’; altre, invece, come sempre, cercano di convivere con situazioni assurde di fatica, fame povertà. Nel mezzo una fascia che cerca di aiutare, che cerca di capire, che cerca di arrabattarsi sempre con meno mezzi e forze. E sostanzialmente, nell’immaginario di molti maschi, la donna è sempre rimasta la preda, l’oggetto personale, che deve essere bello, che si deve mostrare, che non può essere di altri.
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Ieri ho incontrato Beatrice, una donna, una laureata, una dirigente scolastica che conosco da anni e non vedevo da un bel po’. Mi ha parlato di un gruppo di cui fa parte, che propone letture di autrici presso la Biblioteca Civica di Tolmezzo. Così, pensando e ripensando, mi sono ricordata di un bellissimo libretto che avevo letto anch’io e che vorrei proporvi per l’8 marzo, presentandovi qualche piccola parte, oggetto di riflessione. Si intitola “Storia di sogni e di assassini”, è scritto da Malika Mokeddem, ed è stato edito, in Italia, dalla Giunti nel 1997. La prima edizione è però in francese. Ma chi é l’autrice? Discendente da una famiglia di nomadi Tuareg, Malika è vissuta, da bambina, in un villaggio ai limiti del deserto del Sahara. Quindi ha studiato medicina ad Orano, in Algeria, città che ritorna più volte in questo suo libro, che però ha dovuto abbandonare a causa dell’integralismo islamico per rifugiarsi in Francia. Ma anche la protagonista di “Storia di sogni ed assassini” si sposta dallo stato maghrebino alla Francia, vivendo tutta una serie di contraddizioni, di sentimenti, di voci e di silenzi.
Nel volume aspetti più o meno angoscianti della vita della giovane algerina Kenza, che significa tesoro, si intrecciano con contesti socio- politici e culturali diversi, in un’Algeria che diventa indipendente e guarda all’Occidente per poi ripiegarsi su di sé. Ed i protagonisti del romanzo sono persone con le loro esistenze – affetti – amori – odi – sentimenti – delusioni – violenze – sogni – abitudini – usi e costumi, unite in un testo ben calibrato e ricco di spunti di riflessione.
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L’Algeria ha appena acquistato la sua libertà. «In quel periodo la città (Orano ndr) era pulita e tranquilla. Le strade erano piene di ragazze in jeans, minigonne e capelli al vento; le più sfrontate o coraggiose osavano sedersi a un tavolo nelle terrazze dei caffé e gridare allo scandalo se si rifiutavano di servirle. A quei tempi eravamo divisi solo in Algé-Rois e Algè-Riens (Algerini re ed Algerini nulla ndr). E la maggioranza dei ‘Niente’ e dei ‘Meno che niente’ – le donne – di adattavano abbastanza bene alle pretese di qualche ‘Re’». (p. 29).
«La maggior parte delle ragazze che, come me, erano nate nei giorni dell’Indipendenza, vennero chiamate Hurriyya ‘Libertà’; Nāsira ‘Vittoria’; Jamĭla ‘Bella’, in riferimento alle varie ‘Jamĭle’ eroine di guerra…. Quanto a me mi chiamarono Kenza: ‘Tesoro’. Che ironia! Dei tesori della vita, non ne possedevo alcuno: nemmeno l’affetto che si deve all’infanzia. Questo nome mi si addice tanto poco quanto quelli affibiati alle varie ‘Libertà’ oppresse, alle ‘Vittorie’ asservite e alle eroine sbeffeggiate. Mi sono resa conto molto presto di questo paradosso – e molto presto, anche, ho saputo che non era né per sadismo né per cinismo che ci davano quei nomi: l’ignoranza non conosce le proprie perversioni. Forse avremmo saputo subito cosa aspettarci con nomi più realisti, come ‘Disprezzata’, ‘Indesiderabile’, ‘Non Amata’ … e ‘Rovina’ invece di ‘Tesoro’.
La scuola, unica via di scampo. Imparare la lingua dell’altro, primi passi verso l’individualità e verso una solitudine sempre più profonda. Ogni volta che, dopo le vacanze, ritrovavo la mia classe, scoprivo che qualche padre aveva ritirato dalla scuola una Hurriyya, una Nāsira, una Jamĭla e l’aveva sposata a viva forza. Dovevo diffidare! Non dovevo mai credere che quell’enorme sogno collettivo di libertà avrebbe contribuito a forgiare uomini diversi da quelli che vedevo». (Ivi, p. 19).
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Raggiunta l’indipendenza, una ventata di modernità invase il paese, ed in quel periodo «anche i veli erano sexi: bianchi, avevano quel tanto di trasparenza che ci vuole per lasciar vedere la minigonna, i pantaloni o lunghe gonne con lo spacco; opachi, centellinavano il turbamento e infiammavano l’immaginazione. E quelle che li portavano si dondolavano sui loro tacchi a spillo, quando un bellimbusto su di giri le chiamava ‘colombella mia’. (…). A quei tempi eravamo fieri dei fratelli pied-noir rimasti nel paese e dell’ospitalità che offrivano a tutti gli stranieri. Era prima della folle lama dell’odio. Prima dell’isteria dei kalashnikov e della funerea rabbia dei coltelli. Prima dei fatwa, delle sentenze che incitano allo stupro.
Adesso i divieti e il terrore inceneriscono ogni cosa. I famosi leoni del municipio hanno perso le loro zanne: con criniere e corpi da lebbrosi, sembrano rosi dallo stesso male che divora la città e la vita. (…). Adesso le leggi vanno oltre la tradizione e non lasciano alle donne alcun diritto. Perchè l’intelligenza non è più soltanto uno spauracchio che mette in agitazione portinaie e piantoni, ma un vero e proprio crimine. E sotto questo regno dei furfanti, l’Algeria diventa il teatro di tutte le ignominie: ragazze stuprate sotto gli occhi dei genitori, rapite e portate nel ‘maquis’ da mostri sanguinari che, sfogata la loro fregola, le mutilano e le gettano via, povere briciole della loro barbarie. (…). Per quale effetto perverso la generazione dell’ Indipendenza si è trasformata in orda dell’alienazione e della morte?» (Ivi, pp. 29-31).
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Così finì pure di colpo «la facilità degli affetti nel girone della città universitaria. Tornati ai divieti e alle intolleranze della città, Yusef e io eravamo costretti a nascondere il nostro amore. Lo difendevamo da tutti e contro tutti: contro la mia famiglia e contro la sua, contro i vicini sputasentenze, contro quelli che si scandalizzavano per ogni cosa. (…). Ben presto il nostro amore trovò rifugio nelle case e negli alloggi dei nostri amici sposati. La legittimità della loro unione ci proteggeva». (Ivi, p. 37 e p.39). Poi l’impossibilità di continuare così con l’arrivo di figli in quelle dimore, ed infine Yusef che lascia Kenza perché i suoi genitori non approvano che la sposi, perché lei ha una posizione sociale più alta di lui ed egli dovrebbe dipendere da lei, il che è inammissibile in quella società. Ed anche in Algeria non mancavano i drammi femminili dalle mille sfaccettature «nessuna ne viene risparmiata: neanche le più fortunate, cioè le studentesse! Quante sono quelle abbandonate dai loro innamorati che si sposano una verginella sottomessa alla tradizione? Quanti tentativi di suicidio, quanti melodrammi si consumano nelle città universitarie? (…). Da quelle crisi le studentesse escono annientate: con una laurea in tasca e l’avvenire davanti, si sentoni “finite” perché un uomo ha preso la loro verginità e le ha tradite.
Osservandole non potevo impedirmi di pensare al destino delle donne analfabete e senza mezzi: ripudiate, buttate fuori casa insieme ai figli da mariti senza scrupoli che, loro, si tengono averi e alloggi. Battute, schiave … (…). Per sfamare i propri figli, molte di quelle che la tradizione chiudeva in casa sono oggi costrette ad affrontare il mondo del lavoro. Un mondo al quale non sono mai state preparate, un mondo che era loro vietato e nel quale ancora una volta, si trovano chine su uno strofinaccio; con la dignità esposta alla fatuità di una pleiade di capi, dal guardiano al padrone dei padroni. E le più sfortunate sono ridotte sul lastrico, a mendicare.
Capi di Stato e intellettuali occidentali, a volte, si mobilitano per le minoranze oppresse ai quattro angoli della terra. Ma non certo per le donne!!! Non per quella maggiornaza che esse rappresentano! Non contro le leggi che le avviliscono. La donna non è “l’avvenire dell’uomo” ma un silenzio vergognoso in un mondo che si dice progressista». (Ivi, pp. 47-48).
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Quindi Kenza andrà in Francia, a Montpellier, da donna maghrebina che fa fatica ad inserirsi, ed infine la sua fuga verso il Canada …. Per vincere la solitudine, per vincere la disperazione, dopo aver conosciuto la storia di sua madre, una delle tante fuggite da un marito volgare e violento ed approdate a fare la serva per mantenersi in Francia, dove però possono giungere anche minacce dall’Algeria.
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Il volume è molto bello e si legge tutto di un fiato, ed è ancora acquistabile su internet. Ho scelto questo libro perchè è di una sahariana algerina, perchè parla di donne, perché è ben tradotto, perchè è molto bello. Auguri di pace e serenità, così messe ora in pericolo, alle donne di tutto il mondo, alle femmine di tutto il globo, bimbe, ragazzine, donne, nonne, italiane, europee, russe e ucraine, americane africane, dell’est, dell’ovest, del Sol Levante e di quello a Ponente, che vivono ai limiti del circolo polare artico o ai confini del grande deserto del Sahara. E vorrei ricordare qui Saman, la povera Saman, uccisa dallo zio in 13 minuti perchè non voleva aderire al matrimonio combinato dalla famiglia e voleva sposare il suo amore, e la piccola Samantha di tre anni, uccisa dal patrigno, le giovani struprate magari all’uscita di una discoteca od uccise, o mille altre senza più un futuro. Vi pare quella in cui accadono certe cose, una società civile?
Laura Matelda Puppini
Ripropongo pure mie precedenti riflessioni sulla donna, pubblicate su www.nonsolocarnia.info.
Tolmezzo, ultimo consiglio comunale. Su quell’ordine del giorno sul femminicidio. Una riflessione.
Gender, sesso, diritti e dintorni. Parliamone
8 marzo 2016. Festa della donna. Contro il cosiddetto “utero in affitto”.
Donne fra sogni maschili e realtà femminili.
In un mondo di ‘rutti e puzze’, ove madre e padre sono perduti, e Hide ha vinto su Jekyll.
Francesco Cecchini. Ritratti di donne.
8 marzo 2019. Voglio una donna con la gonna, e perché no, magari con il burqa.
Per il 25 novembre 2020. Bastarda, mi fai male …. Contro il femminicidio.
Per il 25 novembre 2020. No alla sterilizzazione forzata.
Per la festa della donna 2021. Storie di donne partigiane.
Matteo Ermacora. Donne e bambini, vittime sacrificali nelle guerre orientali di conquista naziste.
Violenza contro le donne ed il centro Marie Anne Erize di Roma.
L’immagine che accompagna l’articolo è la scannerizzazione della copertina del volume di Malika Mokeddem. L.m.p.
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