Alido Candido, Laura Matelda Puppini. Intervista a gnà Emma. In che volto, a Rigulât … Seconda parte.
RAGAZZI: SCUOLA ED EMIGRAZIONE.
Emma: «La vita dei ragazzi e delle ragazze era molto diversa. I ragazzi andavano all’estero con i padri quando avevano dodici o tredici anni, ma mio marito è partito a quattordici. Ed andavano nei paesi dove si parlava Tedesco, ed anche in Sud Tirolo. E dovevano portare la malta ai muratori, preparare ciò che serviva loro ed andare a bagnare il cemento. E la domenica, prima dovevano lucidare le scarpe degli adulti per la festa, e quindi erano obbligati ad andare a Messa. E dopo la Messa riprendevano a lavorare, andando a bagnare il cemento, perché doveva venir inumidito … E poveri ragazzi, facevano una vita grama, e gliene toccavano di belle e di brutte, insomma di tutti i colori, e questo te lo garantisco io».
Laura chiede a Emma come funzionava scuola quando era bambina.
Emma: «Io ho frequentato sino alla quarta elementare, ma non ho fatto la quinta né l’esame finale perché ho dovuto stare a casa ad aiutare mia madre, Virginia, che si era ammalata. Ma ci sono ancora donne che non sanno né leggere né scrivere, per esempio la madre di Daniele di Gracco che è venuta da me, tempo fa, perché le scrivessi un biglietto. “Non sono abituata a scrivere io – mi ha detto – Io ho solo lavorato in vita mia, e ora devo scrivere gli auguri a due sposi e non so come si fa”.
E qualcuno mandava le bambine a scuola, qualcuno no, anche se c’era l’obbligo scolastico. E mi ricordo che c’era un bravo maestro che si chiamava Fiore (1), che ha dato una buona istruzione ai bimbi di Rigolato nati dal 1898 e poi, e fra questi vi erano Noè D’Agaro, Ettore Candido e mio fratello Guido ed altri, bravi come loro. E aveva insegnato ai suoi alunni anche a scrivere proprio bene, altro che le scritture da gallina che ha qualcuno adesso! Ed è stato, credo, il primo e l’ultimo che ha applicato un metodo che ha permesso questi risultati, ed era un maestro romagnolo.
E si andava a scuola dal lunedì al sabato, mattina e pomeriggio, ma il giovedì era festa. Ed ogni giovedì potevi vedere la campagna di Rigolato foderata di bambini, di ‘fruts’!».
Giuseppe Di Sopra detto Beppo di Marc. Il maestro Giacomo Fiori con la scolaresca. 1921 circa. Da archivio Giuseppe di Sopra. (https://www.nonsolocarnia.info/le-95-immagini-di-giuseppe-di-sopra-schedate-per-il-gruppo-gli-ultimi-e-la-fototeca-della-carnia-nel-1990-e-non-schedate-pervenute-da-m-e-j-gussetti-e-da-m-lepre/).
UOMINI ALL’OSTERIA.
E c’erano anche ‘cjochaz’ (2) una volta, perché bevevano gli uomini, un tempo. E ce ne sono che bevono anche oggi, certamente. Ma gli uomini allora, quando rientravano dall’ emigrazione con quattro soldini, si ficcavano in quelle due o tre osterie che c’erano in paese, a bere e giocare a carte.
E mi ricordo che un giorno mio padre, Giacomo, era andato in osteria con ai piedi gli ‘scarpez’ ed ha passato lì tutta la notte. E mia madre, l’indomani, ha dovuto andare a portargli gli zoccoli di legno, (las galogjas) perché era nevicato e voleva che ritornasse a casa.
Sapete, un tempo tenevano aperte le osterie tutta la notte, non chiudevano mai, mai! E le donne dovevano andare a cercare gli uomini che non tornavano, dovevano andare a chiamarli, e loro le ricambiavano con ‘Porcos Dios’ uno dietro l’altro, perché si presentavano per accompagnarli a casa.
Ma prima che si muovesse la donna, questa mandava un bambino a chiamare il padre. Infatti si usava mandare i bimbi a svolgere questo compito, in prima battuta. E qualche bimbo andava, qualcuno aveva paura. Io per esempio andavo a cercare mio padre, a dirgli che tornasse a casa, ma mio fratello Guido non aveva il coraggio di farlo. E poi i padri potevano dirti che non volevano rientrare, e quando ti dicevano di no era no. E qualche bimbo non osava ritornare all’osteria la seconda volta. Perché questi bimbi si sgolavano a chiamare, e si sentivano dire invece di tutto dai padri, anche ‘bastardi’. Jesus, che vita, non voglio neppure pensarci».
VITA IN FAMIGLIA.
«Un tempo i genitori erano severi. E c’erano famiglie che avevano buoni principi, dove gli uomini erano seri ed autoritari ma perché desideravano allevare bene i bambini, e si prendevano cura di loro, ma c’erano anche famiglie ove gli uomini erano troppo prepotenti, troppo … In queste la donna doveva dipendere dall’uomo. E lui comandava ed imponeva alla donna cosa doveva fare anche con i bambini, e poi lei doveva trasmettere gli ordini ai bambini, che, in questo modo, non avevano mai un colloquio diretto con il padre, avendo la madre come intermediario, ma solo distacco.
Giuseppe Di Sopra detto Beppo di Marc. Palmira Pellegrina in Candido con i figli Rita, Giannina e Celestino. 1925 circa. Da archivio Giuseppe di Sopra. (https://www.nonsolocarnia.info/le-95-immagini-di-giuseppe-di-sopra-schedate-per-il-gruppo-gli-ultimi-e-la-fototeca-della-carnia-nel-1990-e -non-schedate-pervenute-da-m-e-j-gussetti-e-da-m-lepre/).
Ed in quelle famiglie, le madri, dicevano ai bambini di studiare, e i bimbi prendevano il libro in mano e lo tenevano davanti a loro, ma avevano talmente paura, terrore, dell’intervento del genitore, che guardavano tremando il libro, ma non studiavano. E i bambini erano proprio terrorizzati dal padre, e non avevano il coraggio di reagire ad alcuna imposizione. Invece il parlare in famiglia serve molto, e nella mia famiglia si parlava tra di noi di tutto, proprio di tutto, di qualsiasi cosa.
E i bambini, quando ero piccola, a padre e madre davano del voi. E anch’ io a mia madre, che è morta a sessant’anni, ho sempre dato del voi, ed ugualmente a mio padre. Ed anche il rapporto fra marito e moglie ai tempi dei miei genitori era diverso. E mia madre dava del ‘voi’ a mio padre, e le donne davano del ‘voi’ al marito, ma non viceversa.
Ma poi cosa è accaduto? Una volta mio padre era andato a lavorare in Baviera. E mia madre gli voleva scrivere, ma non sapeva scrivere bene, e si faceva talvolta scrivere le lettere da qualcuno, e se le faceva leggere da altri. Povere donne, che dovevano solo lavorare, e mia madre avrà forse fatto la seconda elementare. Ed è accaduto che, una volta, il padrone di mio padre avesse letto una lettera di mia madre, in cui lei gli dava del ‘voi’. E così il padrone ha detto a mio padre: “La cosa peggiore che avete voi in Italia è quello che le donne devono dare del ‘voi’ al proprio uomo, perché una confidenza così grande come quella che ci dovrebbe essere tra uomo e donna non esiste”. E da quel momento mio padre non ha più voluto che mia madre gli desse del voi. Insomma perfino i padroni trovavano il “dare del voi” delle mogli ai mariti fuori posto. Ed avevano ragione. Ma vi sono state famiglie che hanno mantenuto questa abitudine per lungo tempo.
Comunque era abitudine credo scomparsa quando mi sono sposata io, ed io non ho mai dato del voi a mio marito».
Laura Matelda Puppini. Casa padronale forse Durigon a Magnanins di Rigolato (3). Sulla facciata una scritta ricorda che il luogo è Magnanins, Comune di Rigolato, Distretto di Tolmezzo, Provincia di Udine.
VIVERE ALIMENTANDOSI DI MISERIA.
«Quando ero piccola capitava che mia madre, finché aveva la vacca nella stalla, quei quattro o cinque mesi, ci dava un poco di latte, ma quando la mandava in montagna, da maggio a settembre, non vedevamo neanche una goccia di latte. E mia mamma ci faceva bollire un ‘cjalderuç’ (4) di patate, lo appoggiava su ‘larìn’ (5) e ci diceva: “Mangiate!”. E ci avrà dato anche un po’ di companatico, ma ben poco. E quindi andavamo a scuola. Al rientro a casa trovavamo ben poco da mangiare, ed era sempre così. E la sera mangiavamo la minestra, e non c’era neppure una goccia di vino, non c’era niente di niente, né un frutto né un giocattolo: in questo paese non c’era niente, non c’era niente di niente. Che forse si assaggiava una mela, che non fosse “di chei lopats”, di quelle mele brutte e piccole, che si trovavano qui?
Invece da me, poi, a casa mia, non sono mai mancati il formaggio ed i fagioli.
IL RITO DELLA PURIFICAZIONE DELLA PUERPERA.
Il prete era contento, perché più bambini nascevano, più ce n’erano da battezzare. E le donne prendevano ciò che Dio mandava loro.
E quando una donna aveva appena partorito, non poteva entrare in chiesa, e doveva restare all’ altezza della porta grande. E lì arrivava poi il prete con la stola, la prendeva per mano, e ti accompagnava dentro la chiesa. E lì si doveva ricevere la benedizione. E chiamavano questo rito ‘lâ a glisio’, (andare in chiesa n.d.r.), ed era il rito della ‘purificazione’ (6). Ed ogni donna doveva sottoporsi a detta pratica, la prima volta che, dopo partorito, usciva di casa, prima di andare persino a fare la spesa. E quelle che erano vecchie quando io ero giovane, quelle che non avevano nessuno che le poteva aiutare, si riparavano con l’ombrello anche se faceva caldo, e giravano così per il paese, che adesso non si sa se ridere o piangere a sentire certe cose. E questa pratica, che permetteva alla donna di nascondersi con l’ombrello, significava agli altri che ella aveva dovuto uscire prima di andare in chiesa.
E io, dopo il primo parto, mi sono presentata per il rito della purificazione, che non avevo ancora fatto battezzare il bambino, perché come padrino doveva essere un maestro che non poteva presenziare al battesimo perché era periodo scolastico. E mia figlia Mirca è stata 21 giorni senza essere battezzata. E io non avevo nessuno che mi aiutasse, e ho dovuto raggiungere la chiesa. Il pievano, che all’inizio non mi aveva conosciuto, mi ha raggiunto, ma, quando ha alzato la stola bianca per baciarla, mi ha riconosciuto, e mi ha detto “Ah, sei tu? E dove hai il bambino, che non è ancora stato battezzato?” – E allora io gli ho raccontato la verità, la storia com’era, e in risposta il pievano me ne ha dette tante, ma tante, che mi ha fatto piangere. E per fortuna ero da sola, perché mi ha accompagnato all’ interno della chiesa dopo la Messa. E sono andata a casa piangendo, e così ho detto a mio marito: “Io non torno più in chiesa, per esser trattata come mi ha trattata”. E è stato così cattivo con me, ma se fosse stata un’altra al posto mio, non si sarebbe comportato così. E prima di ‘dirmene quattro’ ha anche precisato che lo faceva perché si era trovato davanti a me, “perché tu sei proprio tu, che conosci bene le norme della Chiesa. E se mi fossi accorto prima che eri tu, non ti avrei condotto in chiesa.”».
Giuseppe Di Sopra detto Beppo di Marc. Angela Pascutti Della Martina nata nel 1895, con in braccio la figlia Michelina Della Martina nata nel 1925 e deceduta nel 1981, di Gracco di Rigolato. Sullo sfondo Anna Pascutti, detta Anna di Pontaria, madre di Angela e nonna di Michelina. 1925. Da archivio Giuseppe di Sopra. (https://www.nonsolocarnia.info/le-95-immagini-di-giuseppe-di-sopra-schedate-per-il-gruppo-gli-ultimi-e-la-fototeca-della-carnia-nel-1990-e -non-schedate-pervenute-da-m-e-j-gussetti-e-da-m-lepre/).
Laura chiede se vi fossero anche a Rigolato mariti che si trovavano nei luoghi di emigrazione un’altra moglie, o che, dopo essersi dati alla bella vita, ritornavano a casa ormai vecchi.
Mirca dice che vi erano stati degli uomini che erano andati in America in cerca di lavoro e che non erano più ritornati a casa (7), ma anche uomini che erano morti nei paesi di emigrazione.
Emma dice che c’erano uomini che si trovavano un’altra donna, ma non rientravano più. «Andavano, si dimenticavano la famiglia, e si comportavano come non l’avessero mai avuta, e lasciavano sole queste povere donne, che dovevano allevare i bambini da sole. (8). Poi cosa facessero gli uomini all’ estero non lo so, so solo che non tutti saranno ritornati come erano andati. (9).
E se un uomo sposato non ritornava, sua moglie non poteva risposarsi, questo va da sé, e in genere neppure le vedove si risposavano, a meno che proprio non si trattasse di qualche giovane o di qualche donna che avesse avuto pochi figli. Invece c’erano maschi che, se gli moriva la moglie, cercavano di risposarsi per dare una nuova madre ai figli, e c’era qualcuna che sposava un vedovo con prole che lo faceva anche per carità, come opera di bene, così da poter allevare dei bimbi orfani di madre. Perché ha sempre fatto meno fatica la donna ad allevare i figli senza marito che l’uomo senza donna. E c’erano uomini che restavano vedovi con tre o quattro bimbi piccoli. E ci sono stati anche casi dove una donna rimasta sola con due o tre bambini e l’uomo anche, si sono sposati tra loro allevando i bimbi assieme. E questo avveniva non per amore, ma per una specie di accordo tra le parti, ed i bambini crescevano insieme come fossero fratelli, a meno che la matrigna non fosse stata proprio una donna tanto cattiva da badare solo ai suoi figli.
Ma un tempo in casa comandava il vecchio. E tutti dovevano dare i soldi al vecchio, al padre, anche i figli sposati e le nuore facevano anche loro parte della famiglia. Ed il vecchio misurava cosa dare all’uno ed all’altro. E le donne facevano la spesa. E c’era chi mandava alla moglie qualcosa al di fuori del controllo familiare patriarcale, chi no. Ed in casa, con il vecchio, potevano vivere anche cinque o sei nuore: mica ognuno ha il suo appartamento come oggi! E dovevano stare lì, piene di bimbi, mangiando quello che veniva loro dato, spesso una scodella di minestra, perché un tempo si mangiava non nel piatto ma in una ciotola di terracotta. E dovevano pure dar da mangiare ai loro bimbi, e spesso tutti pativano la fame. Povere donne, che erano ridotte che non potevano neppure tirarsi dietro le gambe! Insomma dovevano vivere alla buona. E allattavano a lungo i bimbi, fino forse a quindici mesi, sperando di evitare un’altra gravidanza il più a lungo possibile e forse perché così non avevano bisogno di cercare altro da dar loro da mangiare. Ed in questo modo, speravano di partorire ogni due anni, invece che ogni anno.
Noi donne passavamo le giornate festive facendo qualche lavoro di riparazione ai vestiti e biancheria (a comedâ) e lavando, e ci alzavamo più presto degli altri giorni della settimana per lavare e per pulire la casa, e poi si andava anche a Messa. E intanto il lavato si asciugava, e poi si aggiustava qualche vestito, perché con i bimbi c’ è sempre qualcosa da aggiustare, e poi si doveva stirare, e certe volte si andava anche a vespero. E si doveva andare alla stalla anche di domenica, perché le bestie mangiano sia “di fieste che di disdivuoro”, sia nei giorni festivi che lavorativi. Credetemi, la vita è stata davvero dura, fantaz!
E gli stavoli erano lontani, e si doveva raggiugerli per governare le mucche, ma per quanto mi riguarda, questo è accaduto non tanto prima di sposarmi ma poi… Eh, dopo sposata, cari miei … Il primo anno che mi sono sposata ho dovuto andare fino in Miòl ogni giorno, e io non ero abituata a fare quella vita. E sono andata su fino a Natale. Ed era caduta la neve, e toglievo dalla neve un piede e tornavo ad affondare con l’altro, e tiravo il mio povero sedere “di lunc in su” nella neve …. “Ai tu la resentavas ben”, e lì te la lavavi bene (la passera, la parusule, per usare un modo di dire italiano ed uno friulano, ndr) senza bidè!» – E ride zia Emma nel raccontare – «E poi finalmente giungevo alla stalla, senza stivali, senza nulla perché non si aveva niente, si aveva solo le darbidas sempre ai piedi, bagnata a non finire. Quindi, nutrite le vacche, ritornavo a casa che ero ghiacciata, ghiacciata dal freddo, ve lo dico io!!!
Giuseppe Di Sopra detto Beppo di Marc. Adelina Lepre in Collinassi, nata nel 1908, deceduta nel 1975, nonna di Alfio Buccolo. 1922-1924 circa. Da archivio Giuseppe di Sopra. (https://www.nonsolocarnia.info/le-95-immagini-di-giuseppe-di-sopra-schedate-per-il-gruppo-gli-ultimi-e-la-fototeca-della-carnia-nel-1990-e -non-schedate-pervenute-da-m-e-j-gussetti-e-da-m-lepre/).
E si dovevano fare calzini e calzettoni, si doveva fare tutto, non c’era niente da comperare. C’era miseria, allora, e vi dovrei raccontare la miseria di un tempo.
Chi lavorava, allora, non guadagnava molto, e vi era chi teneva da conto ciò che aveva, e chi non era capace di farlo. E quello che risparmiava, riusciva comunque a comperare il necessario, ma chi non risparmiava … E una volta non si andava, come si usa fare ora, a far la spesa ogni giorno, e si acquistava uno o due quintali di alimenti alla volta, a seconda della grandezza della famiglia. E si comperavano 25 chili di riso e di farina alla volta, quando riuscivano, perché le donne la pensavano anche giusta, e pensavano che, se i soldi fossero calati, almeno avevano qualcosa da mangiare per sé ed i figli. E così si aveva tutti qualcosa in casa, anche per il futuro, ma non tanto quanto i ricchi … Non vi erano molti ricchi, a Rigolato, ce ne saranno stati tre o quattro in paese, e tutti gli altri avevano miseria a non finire. (10).
VITA AL FEMMINILE.
Non si passava male l’inverno. D’inverno venivano in fila i ragazzetti, “i puemuts”, e si rideva per le “file” e nelle “file”, (si chiamava così il recarsi dei ragazzi la sera in casa delle ragazze da marito) ed allora si rideva più di ora, ed era più bello di ora. E la gente, nonostante la miseria, era più contenta allora che ora. Adesso la gente ha tutto quello che vuole, ma il cuore non è contento. Nessuno pare contento, sono tutti “a muso duro”.
Ed allora le donne, anche se lavoravano tutto il giorno, erano contente ugualmente. E allora si segava sino al limitare della montagna, e da ogni prato si alzava un canto, ogni prato aveva il suo canto. Ed erano stanche le donne, ma ugualmente alzavano un canto che rimbombava giù, verso il basso, verso Vas. E poi quelle che stavano sopra dicevano a quelle che erano sotto: “Povere mai voi che state giù nel piano”. E quelle che si trovavano nel pianoro invidiavano quelle che si trovavano nei prati alti perché cantavano davvero bene.
Comunque quando imperversava la miseria, le donne e le ragazze vendevano anche i capelli. E venivano ad acquistarli degli uomini da furi, che avevano una tracolla dove mettevano i capelli consegnati distesi. E vi erano donne che si tagliavano i capelli per venderli ogni due anni, per comperare le lenzuola o qualcosa che serviva. E le vedevi ogni due anni tutte tosate, e non ce n’ era mica solo una di donna che faceva così. Io no, non ho mai venduto i miei capelli. E erano ragazze a privarsi dei capelli, della loro bellezza, anche quando non c’era estrema necessità. I capelli sono l’ornamento, sono la bellezza, e li tagliavano per interesse, per guadagnare qualcosa.
Casa con gabinetto in legno, verosimilmente, appeso alla parete a Rigolato in località ‘sega’ o nei pressi. Foto di Laura Matelda Puppini.
Poi c’erano ragazze, anche prima che io nascessi, che andavano a servire fuori prima di sposarsi. Ma ce ne sono state anche poi. Alcune magari, prima di andare a servizio, andavano qui a lavorare la campagna per altri. Era anche questo un “andare a servizio”. E c’erano anche donne di famiglia agiata, che avevano molti bimbi che, non riuscendo a fare tutto da sole, prendevano qualcuno a servizio. E queste serve dovevano svolgere lavori sia in casa che fuori, ed aiutare la signora a crescere i bimbi.
Ed anche prima della mia generazione, nei primi del Novecento, ragazze andavano a servire fuori dal paese, e queste povere giovanette venivano spesso ingravidate dal padrone, e poi venivano rimandate a casa. Così erano i padroni! E queste povere ragazze giungevano a casa e non osavano dire nulla, né dicevano che il bimbo che aspettavano era del padrone, per paura del padrone stesso, non dicevano la verità, solo che chi le aveva gravide e non sposate in casa doveva tenersele e crescere poi il bimbo. Qualcuna di loro poteva anche trovare qualcuno disposto a sposarla, ma altrimenti queste ragazze dovevano tenersi il bambino.
Venivano forestieri in paese, a chiedere se vi fosse qualche ragazza disposta ad andare a servizio da loro. E tante ragazze in particolare di Valpicetto e di quella zona accettavano l’offerta, e poi potevano magari rientrare, come vi ho detto, incinte. E vi erano donne, tra quelle che erano andate fuori a servizio, che avevano avuto anche due o tre figli fuori dal matrimonio. Mi ricorderò fin che vivo di queste povere servette, di cui i padroni abusavano … Andavano a servizio da ragazzette, che avevano dieci, dodici anni, ed erano ingenue e non conoscevano la vita perché venivano tenute “all’oscuro di tutto”. E le figlie non osavano parlare con le madri, né le madri con le figlie. Noi sapevamo meno di quanto sappiano i bimbi oggi, almeno a sentire una di qui, che sostiene che i suoi nipoti sono ben informati, perché i genitori ora spiegano tutto ai figli». E così termina l’intervista a zia Emma, che non ha più tempo da perdere, perché deve dedicarsi alla cena.
Laura Matelda Puppini
Note.
- Trattasi del maestro Giacomo Fiori, ed era uno dei maestri socialisti romagnoli mandati forse per punizione ad insegnare in Carnia, ed era considerato un ottimo maestro elementare. Da quanto ci ha narrato Dino D’Agaro, detto Dino da Vuezzis, insegnava pure presso la scuola di disegno privata, con Luca Pascutti, padre di Luca, Arno, ecc. e Romano Lepre padre di Bruno. (https://www.nonsolocarnia.info/il-racconto-di-dino-da-vuezzis-fedar-socialista-figlio-e-nipote-di-socialisti/). Non sono riuscita a trovare altre informazioni su detto maestro, pertanto vi prego di fornirmele o scriverle se ne avete.
- Ubriaconi, detti in friulano anche “cjochelas”.
- Un tempo sulla facciata di detto palazzo era apposta una targa od una scritta che definiva questa casa come “casa Durigon”. Del resto, da Adelchi Puschiasis si ha notizia di un Giovanni Giuseppe Durigon, «ostiere, originario di Gracco ma abitante a Magnanins», che era morto a 40 anni dopo breve malattia (Adelchi Puschiasis, Rigolato tra XVII e XIX secolo. Anime, fuochi, migrazioni, Forum ed., 2009, nota 29 a p. 432), il che comprova che un ceppo di Durigon si era trasferito a Magnanins. Anche il genero del fotografo Giuseppe Di Sopra detto Beppo di Marc, Arcangelo Durigon, risultava essere di Gracco, frazione di Rigolato, ma pare che detto cognome fosse originario di Vuezzis. Ma il problema è che prima del 1800, gli abitanti di Vuezzis e Gracco erano fusi in un unico elenco, senza differenziazione, (Adelchi Puschiasis, op. cit., p. 89) e quindi è difficile evidenziare dove detto cognome ebbe origine. Ma il maestro Guido Durigon riteneva che il cognome fosse di Vuezzis.
- Il cjalderuç è un termine che indica, in Carnia un contenitore di alluminio tondo con un coperchio, con cui si andava a prendere il latte in latteria e che fungeva anche da pentola da mettere sul fuoco.
- Il termine ‘Larìn’ indica il piano rialzato del focolare.
- ll rito della purificazione della puerpera era diffuso nel mondo cattolico. Esso ha origine da quanto riportato in Levitico, 12. «Il Signore aggiunse a Mosè: «Riferisci agli Israeliti: Quando una donna sarà rimasta incinta e darà alla luce un maschio, sarà immonda per sette giorni; sarà immonda come nel tempo delle sue regole.L’ottavo giorno si circonciderà il bambino. Poi essa resterà ancora trentatrè giorni a purificarsi dal suo sangue; non toccherà alcuna cosa santa e non entrerà nel santuario, finché non siano compiuti i giorni della sua purificazione. Ma, se partorisce una femmina sarà immonda due settimane come al tempo delle sue regole; resterà sessantasei giorni a purificarsi del suo sangue. Quando i giorni della sua purificazione per un figlio o per una figlia saranno compiuti, porterà al sacerdote all’ingresso della tenda del convegno un agnello di un anno come olocausto e un colombo o una tortora in sacrificio di espiazione. Il sacerdote li offrirà davanti al Signore e farà il rito espiatorio per lei; essa sarà purificata dal flusso del suo sangue. Questa è la legge relativa alla donna, che partorisce un maschio o una femmina. Se non ha mezzi da offrire un agnello, prenderà due tortore o due colombi: uno per l’olocausto e l’altro per il sacrificio espiatorio. Il sacerdote farà il rito espiatorio per lei ed essa sarà monda». (https://www.biblegateway.com/passage/?search=Levitico+12&version=CEI. Il testo è stato da me riportato senza il numero dei versetti).
- In questo caso però, dato che il viaggio di ritorno costava parecchio, può darsi anche che gli uomini non fossero rientrati per mancanza di denaro, o si fossero ridotti sul lastrico, o fossero morti chissà come, senza documenti o senza che la polizia fosse riuscita ad identificarli.
- Cfr. nel merito: https://www.nonsolocarnia.info/storia-di-una-donna-carnica-fra-violenza-poverta-aiuto-reciproco-intervista-a-a-maritata-prima-parte/.
- Qui gna’ Emma potrebbe riferirsi al fatto che qualcuno poteva aver avuto anche rapporti sessuali all’estero al di fuori del matrimonio.
- Anche a Rigolato, come in altri paesi della Carnia, in particolare in momenti di carestia, si moriva pure di inedia, di fame, di miseria. E relativamente al primo ventennio del XIX secolo, Adelchi Puschiasis ci ricorda che un bimbo di 8 anni, Giovanni Treu, di Moggio Udinese, mendicante, era stato ritrovato in una stalla morto, e che ben 9 persone erano morte di inedia e fame a Rigolato, tra cui due sorelline in teenra età. (Adelchi Puschiasis, op. cit., p. 432 e p. 435). E per sopperire almeno parzialmente a situazioni di questo genere, il governo austriaco. si presume, aveva creato, anche per il Lombardo Veneto, una Commissione di Pubblica Beneficenza, con il compito di distribuire “zuppa alla Rumford, composta da cereali e carne di maiale, alle famiglie bisognose, di cui a Rigolato fruirono ben in 27, ma appartenenti, verosimilmente, alle stesse famiglie in miseria nera. Dalla descrizione che ne fa Giovanni Battista Lupieri non sembrava una zuppa appetitosa, ma comunque essa era sempre un aiuto, un sollievo alla totale miseria. (Ivi, p. 437 e nota 34 a p. 437).
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La prima parte dell’intervista è stata pubblicata sempre su www.nonsolocarnia.info il 19 aprile 2019 con titolo: “Alido Candido, Laura Matelda Puppini. Intervista a gnà Emma. In che volto, a Rigulât …Prima parte”. L’immagine che correda l’articolo ritrae gnà Emma ed è stata da me scattata. Laura Matelda Puppini.
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