Il dott. Gian Luigi Bettoli mi aveva invitato a leggere, relativamente a Cip ed al suo strano accordo con il nemico, il volume di Maria Pia Valerio: Un prete scomodo, Edizioni L’Omino Rosso, 2015 (Cfr. Commento del 26 novembre 2016, di Gian Luigi Bettoli al mio: Laura Matelda Puppini “Porzûs” – Topli Uorch. E se fosse stato un atto solitario, frutto di tensioni, senza mandante alcuno? Confutazione documentata di alcune tesi, in: www.nonsolocarnia.info), che ritenevo fosse la pubblicazione del diario del prelato, o almeno testo corredato da puntuali citazioni dallo stesso, ma non è così, è una libera interpretazione anche dei contesti, da parte della scrittrice.

Maria Pia Valerio, pordenonese ha frequentato l’Accademia delle Arti applicate a Milano ed ha lavorato nel campo dell’intern design negli Stati Uniti. Rientrata a Pordenone, ove è stata pure consigliere comunale, è diventata giornalista “free lance”, collaborando ad alcune testate locali, ed interessandosi, pure, a temi legati all’ambiente ed alla tutela dei beni architettonici. Ha pubblicato: “Farina rubata” nel 2009, e “Sul greto del fiume fra i campi” nel 2011. (Presentazione dell’autrice in sovraccoperta di Maria Pia Valerio, op. cit.). Pertanto non è una storica, e lo si vede in questo volume.

Il volume è una visione romanzata, un racconto come afferma la stessa autrice, (Ivi, p. 7) della vita del sacerdote don Rino Perlin, scritto da una persona che poco conosce la Resistenza (afferma, per esempio, a p. 35 che «Sorsero altre formazioni che invasero il territorio, a difesa della terra italiana: furono: il Corpo Volontari Della Libertà e il Comitato di Liberazione Nazionale» che non erano formazioni), che è nipote di un carissimo amico del prelato, Andrea, che tende a idealizzare il sacerdote, che utilizza un diario, ritrovato ma dall’attribuzione a suo dire incerta, anche se la scrittura pare sia del sacerdote, (Ivi,p.7) non pubblicandolo, ma facendone oggetto di una interpretazione della vita del parroco di Andreis e Villanova di Prata di Pordenone, in cui pare, talvolta, immedesimarsi, ipotizzandone i pensieri o facendoli propri.   Comunque dal suo libro ho tratto queste informazioni.

Rino Perlin nasce a Pordenone il 26 ottobre 1911.
Il padre, Giuseppe, muore nel corso della prima guerra mondiale, il 16 ottobre 1917, sul Carso, lasciando vedova, a 34 anni, la moglie Angela, con più bocche da sfamare. Oltre Rino, primogenito, dal matrimonio sono infatti nati: Ida (1912), Panfilio (1914) Eleonora (1915).
Angela si arrabatta, per sopravvivere, a fare sapone per gli austriaci al tempo dell’invasione, par di capire, ed infine sfolla con i figli a Torino. E si rifugia in Piemonte anche la famiglia della nonna di Maria Pia Valerio, di cui fa parte pure lo zio Andrea, che sarà il migliore amico di don Rino Perlin. (Ivi, p. 14).
Angela quindi rientra a Pordenone, ma muore uccisa dal cancro il 20 settembre 1931. (Ivi, p. 16).

A 19 anni Rino Perlin, dopo aver frequentato una scuola post elementare assieme all’amico Andrea, entra in seminario a Portogruaro e lì frequenta il ginnasio, mentre Andrea si porterà a Milano ove si laureerà in economia e chimica. (Ibidem).
Morta la madre, Rino Perlin, il maggiore della famiglia, si trova a dover sostentare le sorelle ed il fratello ed a pensare al loro futuro, mentre gli manca pure il denaro per mantenersi in seminario e proseguire la scuola superiore, dato che non sono gratuiti. Così il Vescovo di Concordia gli concede la frequenza esterna. (Ivi, pp. 16-17). Infine, pare su sollecitazione di Andrea, Rino Perlin scrive alla regina Elena montenegrina, chiedendo un aiuto economico. La risposta è positiva, e la nobildonna provvederà a mantenerlo agli studi sino all’ordinazione sacerdotale. Egli è invitato a celebrare la prima messa nella cappella reale, ma, sempre secondo la Valerio, non accetta non reputandosi degno di tale onore. (Ivi, p. 17).

Nel frattempo il fratello di Rino, Panfilio, si arruola come volontario in Marina, raggiungendo il grado di maresciallo maggiore, si sposa nel 1943, aderisce all’R.S.I., e nel 1948 se ne va in Argentina, a Buenos Aires, emigrando con la qualifica di carpentiere, seguito, un anno dopo, dalla famiglia, composta dalla moglie e da due figli. (Ivi, p. 18 e p. 38).

La sorella Ida, terminata la frequenza delle elementari, parte, a 22 anni, per Roma ove si impiega come domestica in casa del generale Jovine, di cui non è noto il nome di battesimo. Rientrerà, poi, in Friuli, forse nel 1940, (non nel 1950 come scrive la Valerio a p.18, perché altrimenti non si sarebbe trovata, durante la guerra, ad Andreis, come scritto a p. 27-28) andando a vivere con il fratello sacerdote.

Eleonora, invece, impara a fare la sarta, e si sposa, nel 1935, con Umberto Alsido di Fiume d’Istria, da cui ha un figlio. Nel 1949, però, risulta separata e rientra a Pordenone, ma non trova alloggio che in una casa malandata, andando incontro a diversi acciacchi e restando paralizzata. Morirà a Villanova nel 1991 «dopo aver sopportato, assieme ai fratelli – secondo l’autrice – situazioni incresciose», (Ivi, p. 18), di cui nulla però si sa.

Ho riportato queste note biografiche per far capire come Rino Perlin fosse legato direttamente alla famiglia reale e forse, indirettamente ed a causa della sorella, poi perpetua, ad ambienti romani, e come suo fratello fosse un repubblichino, e tutti questi aspetti avrebbero potuto svolgere un ruolo nella sua presenza come testimone, unico, a favore di tre comandanti della Xa Mas al processo presso la corte di Assise di Vicenza nel 1947, di cui però doveva sapere anche le torture, le vessazioni, la dipendenza diretta dai tedeschi. (Cfr. nel merito: Junio Valerio Borghese, Pena capitale per il braccio Dx di Borghese, la sentenza della Corte di Assise di Vicenza, http://digilander.iol.it/ladecimamas/sent2.htm, in: http://digilander.iol.it/ladecimamas/intro.htm). Ma il videtur è d’obbligo.

Pare, però, dalla lettura del volume, che la Valerio non conosca la distinzione fra legionari repubblichini e appartenenti alla XaMas, non sappia che quest’ultima non aveva mai aderito all’R.S.I. e prendeva direttamente ordini da Karl Wolff, risultando anche una spina nel fianco per Mussolini, mentre i cosiddetti repubblichini dipendevano in OZAK sempre dai tedeschi ma in modo apparentemente ed inizialmente più mediato. (Cfr. Ricciotti Lazzero, La Decima Mas, Rizzoli ed., 1984 e Laura Matelda Puppini, No alla X Mas nelle sedi istituzionali della Repubblica italiana. Motivi storici,  in: www.nonsolocarnia.info). E non a caso la Repubblica Sociale Italiana, creata dal Duce dopo il suo volo dal Führer, venne definita uno “stato fantoccio”. (Cfr. Monica Fioravanzo, Mussolini e Hitler, La Repubblica sociale sotto il Terzo Reich, Donzelli ed. 2009, pp. 24-25).

Il 22 luglio 1937 Rino Perlin è sacerdote e viene inviato, come primo incarico, a Bagnarola, mentre dal 28 febbraio 1942, risulta ufficialmente Parroco di Andreis. (Ivi, p. 23 e p. 25).

Durante la permanenza nel piccolo borgo, che si trova vicinissimo a Barcis ed alle grotte del Varma (per l’esattezza Landron del Varma, nelle Prealpi carniche – pordenonese, vicino a Barcis, come da: http://catastogrotte.fvg.it/pdf) che non si trovano in Carnia come erroneamente scrive la Valerio a p. 78 di questo suo testo, don Rino Perlin si occupa del suo mandato sacerdotale ma, necessitando di materiale edile per la canonica e la chiesa, come da esperienza pregressa, si rivolge direttamente ai potenti: prima al podestà, poi, al diniego di questi,  al prefetto che obbliga il podestà ad intervenire in suo aiuto,  ed infine, pare, direttamente al Duce,  la cui Segreterìa gli fa pervenire, il 23 ottobre 1942, 10.000 lire per sistemare l’edificio della chiesa. (Maria Pia Valerio, op. cit., pp. 31-32). Ed avendo bisogno di lamiera temprata, nel luglio 1943 si rivolge direttamente alla contessa Edda Mussolini, che cerca di esaudire la sua richiesta. (Ivi, p. 33). Gli verrà poi domandato da qualcuno qualcosa in cambio? Non lo si saprà mai.

Quindi la Valerio continua il suo romanzo facendo muovere personaggi in un contesto non veritiero ove, per esempio, «[…] le formazioni divengono divisioni e brigate: famosa sarà la Garibaldi di ispirazione di sinistra; l’altra grande formazione fu battezzata Osoppo, di ispirazione cattolica e liberale. Le due fazioni da subito sia in Carnia che in Friuli, entrarono in aspro conflitto fra loro», (Ivi, P. 35) il che è riduttivo, semplificativo, da storia in bianco e nero, dimenticando i comandi unici e l’Ippolito Nievo, unificata.

Inoltre la Valerio scrive che i tedeschi con stanza a Pordenone vengono, il 16 gennaio 1944, a fare una perquisizione nella canonica di Perlin ad Andreis accusato di «relazione ed aiuto ai partigiani», ma più verosimilmente cercano, come del resto dichiara l’autore del diario nella pagina relativa all’accaduto, pubblicata a p.39  di “Un prete scomodo”, oggetti preziosi e due ufficiali inglesi. All’accusa di collaborazionismo con partigiani, non si sa da chi fatta né quando, don Perlin risponde ricordando che suo fratello si trova a Pola, dopo aver aderito alla R.S.I. (Ivi, pp. 38 – 39). Però l’R.S.I. non esisteva né a Udine, né nel Pordenonese né a Pola, tutte sotto l’OZAK.. Pertanto verosimilmente egli si trovava ivi al servizio di fatto dei tedeschi, o con la Legione Istria, comandata da Libero Sauro figlio di Nazario, capitano di corvetta, poi sostituito da un comandante tedesco, o con la 60a o con con il Btg. Marina, poi noto come Btg. Fucilieri di Marina, o con il gruppo che rimise in funzione la base di sommergibili della città, poi forse confluito nella Xa Mas, o con la Ettore Muti (Per le truppe collaborazioniste presenti a Pola, cfr. Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland. Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana durante l’occupazione tedesca 1943-1945, Ifsml, Ud, 2005, pp. 203-204 e pp. 231-232).

Comunque, sempre per la Valerio, il rapporto fra la popolazione di Andreis e don Perlin fu tale che «Per tutto il tempo in cui fu lì, lui fu Andreis ed Andreis fu lui!» (Ivi, p. 34), il che, invero, suona come una esaltazione poco storica del personaggio, anche alla luce di quanto accadde poi. E per continuare, l’autrice sostiene che solo dopo l’8 settembre 1943 «la guerra sta diventando pericolosa in questi piccoli borghi, solitamente tranquilli; guerra ora di imboscata, di tristi barbarie» (Maria Pia Valerio, op. cit., p. 35), quasi che in precedenza questi fossero stati dei luoghi bucolici, con gli uomini soldati nelle campagne volute dal regime di Mussolini e poi al fronte, la cosiddetta tessera del pane, (https://www.panenostro.com/tessera-del-pane/) gli ammassi, l’oro alla patria, e le sopraffazioni fasciste.

Strana poi appare la descrizione che fa l’autrice di “Spartaco”, forse Emilio Trangoni, (Spartaco qui pare nome di battaglia perciò più difficilmente Spartaco Serena nome di battaglia Agile, difficilmente Mario Betto, semplice anche se eroico partigiano, poi in zona con il Gramsci). Spartaco compare ad Andreis, che si prepara ad essere libero, il 17 giugno 1944, tiene un incontro in chiesa presente il sacerdote, perché improvvisamente inizia a piovere. «“A morte il fascismo”, è il saluto!» a cui alcuni (ignoti) rispondono: “Libertà ai popoli”. (Ivi, p. 40-41). La Valerio pare quasi scandalizzata, tanto da sottolineare con un punto esclamativo la prima frase, ma “Morte al fascismo” “Libertà ai popoli” era il modo usuale di sottoscrivere documenti e di presentarsi degli aderenti alla Garibaldi, mentre gli osovani utilizzavano la frase “Viva l’Italia Libera”. Esistono comunque documenti congiunti che riportano tutti e tre gli “slogans”, per dirla con un termine attuale.

Ed ancora una volta la Valerio personalizza quanto scritto sul testo ritrovato (pubblicato a p. 41), che non enfatizza queste parole, limitandosi a riferire che furono udite quel giorno ad Andreis per la prima volta e che il commissario Spartaco tenne la prima conferenza sulla porta del campanile. Nulla si trova su un suo rifugiarsi in chiesa a causa di una pioggia improvvisa, del botta e risposta con il prete, che non si sa da dove fuoriesca. Inoltre la Valerio afferma che Spartaco «è un combattente e poco tempo dopo farà brillare una mina nella sua mano!» (Ivi, p.41). Se ella riportasse la fonte di detta affermazione le saremmo anche grati, ma nulla di nulla. Infatti pare dato inedito, ma forse la Valerio scambia Emilio Trangoni con Mario Betto, nome di battaglia sempre Spartaco, semplice partigiano, che salterà in aria in zona Barcis in una azione, non potendosi più mettere in salvo. (Per la sua storia e morte, cfr. Mario Candotti, La lotta partigiana in Valcellina, in Storia Contemporanea in Friuli n.10, 1979, pp. 183-184, per altre note cfr. “Mario Betto Spartaco ed il partigiano Diana” in: http://www.storiastoriepn.it).

Inoltre, sempre secondo il testo della Valerio, Spartaco pronuncia «parole che sembravano eccitare all’odio ed ad uccidersi», (ma eccitavano o no all’odio ed ad uccidersi, dato l’uso del “videtur” ed in particolare quali erano?), a cui il prete risponde che «la pace è nelle opere di bene, e nell’esercizio delle virtù». (Maria Pia Valerio, op. cit., p. 41).  Ma siamo sicuri che lo abbia detto o rappresenta un pensiero del sacerdote, magari riportato nel diario scritto a posteriori, forse dopo la fine della guerra, servendosi di appunti?  (Cfr. Liliana Ferrari, Il clero friulano e le fonti per la sua storia, in: AA.VV., La Repubblica partigiana della Carnia e dell’Alto Friuli, IL Mulino ed., 2013, pp. 232- 236).

Scrive infatti Liliana Ferrari che i libri storici delle parrocchie, imposti dall’Arcivescovo Anastasio Rossi nel 1912, spesso riportano solo alcuni avvenimenti salienti, pare proprio “a cose risolte”, e non sembrano registrare gli avvenimenti “passo passo”. (Ivi, p. 233). Inoltre nel 1945 l’Arcivescovo Giuseppe Nogara chiedeva ai sacerdoti che non lo avessero ancora fatto, di «registrare nel libro storico i principali avvenimenti degli ultimi anni, con particolare attenzione alle opere di carità, produrne un riassunto ed inoltrarlo all’archivio vescovile», (Ivi, pp. 232-233) il che fa comprendere come libri storici parrocchiali, per quanto riguarda la seconda guerra mondiale, possano esser stati compilati a posteriori e richiedano, come ben scrive Liliana Ferrari, «un supplemento di avvertenza critica» in particolare se il racconto presentato è attraente e ricco di particolari suggestivi. (Ivi, p. 233).

E sempre la Ferrari fa notare come spesso le vicende narrate risentano di «una valutazione di tipo etico-politico», da parte del parroco scrivente. L’esempio portato, relativo alle annotazioni del sacerdote di Paularo, chiarisce il concetto. (Ivi, pp. 234-235).

Infine Liliana Ferrari cita, in nota 22 a p. 236, il “Libro storico della parrocchia di Andreis” presente in Aifsml, Diari storici parrocchiali, b.1. fasc. 1, che dovrebbe esser stato compilato, per il periodo relativo alla seconda guerra mondiale, da don Rino Perlin, e che non si sa perché Maria Pia Valerio ometta di prendere in considerazione, facendo affidamento solo sul diario ritrovato nel 2012 nella sagrestia di Andreis da don Ezio Vaccher.

Ma ritorniamo a “Un prete scomodo”.

A p. 45 del suo testo, Maria Pia Valerio scrive, senza fonte citata, che il garibaldino Cip, che ora sappiamo essere Giuseppe Roman di Barcis, nato il 30 marzo 1925, aveva sostituito un partigiano con nome non si sa se di battaglia Costa, (Maria Pia Valerio, op. cit., p. 45), forse osovano, forse garibaldino. Ma ella sostiene anche che Cip era il comandante del btg. Nino Bixio, ma ciò non risponde al vero, perché il comandante di detto battaglione era, dalla fine giugno 1944, Severino De Faveri, Marcello, impiccato dal nemico il 17 aprile 1945 in località Giais di Maniago, ed il commissario era Italo Mestre, Diego.  Cip era solo un partigiano, forse un comandante di compagnia, che guidò un piccolo gruppo di partigiani del Nino Bixio che, staccatosi dal battaglione, rimase sino al febbraio 1945 ad Andreis.  (Mario Candotti, La lotta partigiana in Valcellina, op, cit., , p. 145, n.19 p. 145 e p. 197). 

Per quanto riguarda la storia del partigiano Cip assiso alla tavola con la Xa Mas, essa non è proprio edificante, neppure come narrata dalla Valerio.

Premetto qui che era fatto divieto ai partigiani di avere contatti con il nemico, ma per esempio il comandante De Franchi, delle brigate Matteotti, appoggiò una tregua con la Xa Mas a Configliacco di Pont Canavese, in Piemonte, per portare a termine, congiuntamente, la fucilazione di un marò fuggito con soldi della Xa e passato ai partigiani. Ma pare che per vari motivi il De Franchi cercasse contatti con i nazifascisti, e per questo era stato, pure, segnalato dal comandante della 6a G.L. Bellandy presumibilmente Luigi Viano. (Ricciotti Lazzero, op. cit., 109- 110).

Pertanto anche nel caso di Cip, si tratta di sua azione personale, ammesso che il fatto narrato sia accaduto, e questa è forse la versione di don Rino Perlin, unico testimone, pare, a favore della Xa Mas, nel processo alla Corte d’Appello di Vicenza nel dopoguerra. (Cfr. Laura Matelda Puppini, Resistenza e contatti con il nemico. Una strana storia tra un processo ed un volume. Ma si può sapere cosa accadde veramente e chi era il partigiano Cip? Ora lo sappiamo, aggiornamento il 21 dicembre 2016, in: www.nonsolocarnia.info).

Maria Pia Valerio scrive che Cip visse sotto falso nome dimorando per parecchie settimane ad Andreis, ospite della canonica. (Maria Pia Valerio, op. cit., p. 48). Ma non era sceso da solo da quella grotta insalubre ove si era ritirato e nascosto: era stato seguito anche dal gruppetto di partigiani da lui guidato, forse formato da una decina, una quindicina di uomini, in condizioni precarie. (Ibidem). E non furono gli unici a scendere in piano ed a cercare rifugio in un abitato, in quell’inverno durissimo, dopo il proclama Alexander. Ma se sfiniti erano i partigiani, lo era anche la popolazione della zona Barcis- Andreis e dintorni, fra case e stalle bruciate, continui rastrellamenti e vessazioni di tedeschi e reparti collaborazionisti, e la privazione della tessera annonaria.

Sempre secondo la Valerio, il 4 dicembre Cip si accorda con un comandante della Xa Mas e con il capitano Italo Minesso dei repubblichini per evitare l’ennesimo rastrellamento, ma non ci sono altre fonti. Infatti Giovanni Angelo Colonnello riporta il fatto diversamente, unendolo a quello della tavolata comune. «Il 4 dicembre 1944 ad Andreis si ebbe sentore che il nemico aveva in animo di effettuare, il giorno successivo, un ulteriore rastrellamento in paese e subito si presentò al parroco il delegato osovano (correttamente garibaldino n.d.r.) Cip il quale “trovando opportuna e necessaria una tregua per riorganizzarsi” chiese un colloquio con la parte avversaria pregando il parroco di servire da intermediario tra i due campi. Il parroco partì immediatamente per Maniago, ove riuscì ad avere un colloquio con il comandante il presidio della X Mas Bertossi, (sic!) quindi, in bicicletta e sotto una pioggia gelata, raggiunse Conegliano. Qui conferì con il comandante degli alpini repubblichini il quale dispose l’invio di un suo rappresentante, con buona scorta, ad Andreis. Il colloquio si svolse in canonica dove alla stessa tavola repubblichini e partigiani osovani pranzarono poi insieme. Due giorni dopo seguirono, a Maniago i colloqui con gli ufficiali della Xa Mas». (Giovanni Angelo Colonnello, Friuli Venezia Giulia, zone jugoslave, guerra di Liberazione, Ud, 1965, p. 335). Ma neppure in questo caso è esplicitata la fonte.

Secondo la Valerio, invece, Cip, successivamente al 4 dicembre, chiese a don Rino Perlin di recarsi dalla Xa Mas per trattare una tregua, (Maria Pia Valerio, op. cit., p. 48) ma non si capisce quando. Infatti non può accadere, umanamente, tutto il 15 dicembre 1944: il viaggio di don Perlin, i contatti, il rientro, il pranzo. Si deve notare, fra l’altro, che Conegliano non era in OZAK, ma in Veneto, e quindi nell’R.S.I., e ivi c’era il comando della Xa Mas da quando la stessa era giunta in Veneto, e quindi antecedentemente al dicembre 1944, quando, secondo Ricciotti Lazzero,  essa ottiene, nei primi giorni del mese, il permesso di entrare ufficialmente nella Operationszone Adriatisches Küstenland. (Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 132 e p. 153). Ma si ha notizia anche antecedentemente di qualche azione della Xa in OZAK. Per esempio la compagnia operativa comandata da Umberto Bertozzi piomba il 6 novembre ad Orgnese, ad 8 chilometri da Maniago, in OZAK, sceglie a caso tre uomini, li fa denudare, li percuote, li tortura, perché è convinta che in paese si nasconda un disertore. (Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 137). Ed anche la Valerio scrive che il 19 novembre 1944 «entrano in Andreis, con diversi camion, quattrocento repubblichini e una cinquantina di appartenenti alla Xa Mas», (Maria Pia Valerio, op. cit., 45), e vi compiono un pesante rastrellamento. E confesso che, da quanto ho sinora letto, non risulta a me chiaro quando la Xa Mas ponga il suo comando operativo, con “il tristo Ufficio I” diretto dal tenente Umberto Bertozzi, a Maniago, in OZAK, ove  «rinnoverà le barbarie del Piemonte» (Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 132). Nè si può dimenticare che, al termine della provincia allora di Udine, poi di Pordenone, c’era il confine fra la Zona d’operazioni del Litorale adriatico e la Repubblica Sociale Italiana.

Ma per ritornare a Cip ed alla sua richiesta, non so invero come don Perlin avrebbe potuto andare qua e là, passando il confine fra OZAK e R.S.I. senza un salvacondotto, che forse anche per questo motivo gli venne rilasciato per recarsi a Conegliano. Quindi, portatosi ivi da Maniago, egli incontra la  Xa Mas che ascolta le sue richieste. (Ivi, p. 48).

A questo punto, sempre secondo la Valerio, che non cita però fonti, una trentina di militi armati, definiti “alpini repubblichini” (Ivi, p. 48) ma che non si sa chi siano dato che la Xa Mas non aveva aderito all’ R.S.I., salgono con alcuni superiori su una piccola corriera e raggiungono Andreis assieme al parroco Perlin, a cui pare si debba attribuire l’idea del pranzo comune (Ibidem).

Così partigiani e repubblichini o aderenti alla Xa Mas si siedono intorno ad una tavolata improvvisata e realizzata all’uopo nella locanda del paese, gestita da Titta Bernardini detto Titti, e si fanno fornire dalla popolazione stremata ogni tipo di cibo presente in loco, dalla polenta fumante portata nei fazzoletti dalle donne al formaggio, ai fagioli, (Maria Pia Valerio, op. cit., p. 49), praticamente, secondo me,  mangiano a sbafo sulle spalle di gente alla fame, creando una situazione di privazione ulteriore. Ma forse anche questa fu idea del sacerdote, che voleva far bella figura, o ingraziarsi tutti, o …. A me, lo confesso, questa azione, se accaduta realmente, pare di una cattiveria inaudita. E, da quanto narra Giovanni Angelo Colonnello, anche la popolazione di Andreis non aveva visto con favore l’operato di Cip. (Giovanni Angelo Colonnello, op. cit., pp. 176-177). Inoltre pare strano che Ricciotti Lazzero, che sembra abbia cercato dovunque documentazione sulla Xa Mas, non sia mai venuto a sapere il fatto, dato che non lo registra.

Comunque, sia come sia, un giorno del dicembre 1944, fra «un cucchiaio di minestra e un bel pezzo di polenta, si tratta la tregua d’armi tra garibaldini e repubblicani» scrive sempre la Valerio a p. 50 del suo libro, dimenticando, ancora una volta, che la Xa Mas non faceva parte dell’R.S.I. E si giunge ad una sospensione delle ostilità fra detto gruppetto partigiano ed il nemico dal 15 dicembre alla fine del mese, mentre i colloqui continuano, non si sa per quale motivo, (Maria Pia Valerio, op. cit., p.50). Si sa invece dei contatti tra la Xa Mas e la Divisione Osoppo, tramite Piave, Cino Boccazzi, che, catturato, cerca di salvarsi la pelle ubbidendo ai desideri della Xa Mas e che sono analiticamente descritti in: Ricciotti Lazzero, op. cit., 134- 152.

E, letto quanto scrive la Valerio, ammesso sia ripreso dal diario da lei citato in apertura del suo volume, un dubbio viene: siamo sicuri che il prete abbia avuto contatti con la Xa Mas, come dichiara anche poi, in difesa del Bertozzi, al processo di Vicenza, e non con repubblichini, di cui faceva parte pure il fratello del sacerdote? Comunque anche Giovanni Angelo Colonnello parla di contatti con la Xa Mas.

Ma ritornando alla tregua stipulata fra collaborazionisti con i tedeschi e Cip, don Perlin, quasi allo scadere del termine, non si sa in che veste, avanza istanza per la concessione della tessera annonaria per la popolazione di Andreis, ridotta, come quella della Carnia, alla fame da fascisti, tedeschi, repubblichini legionari, Xa Mas e cosacchi e, sempre secondo il volume della Valerio, la ottiene. (Maria Pia Valerio, op. cit., p. 50).

Chi invece aveva donato segala e soldi per le necessità vitali della popolazione più bisognosa di Andreis era stato Tribuno, Mario Modotti, da quanto raccontano sia Giovanni Angelo Colonnello che Maria Pia Valerio (Giovanni Angelo Colonnello, op. cit., p. 176-177, e Maria Pia Valerio, op. cit., p. 45), che pagherà con la vita il suo essere comandante partigiano. Ma, sempre secondo l’autrice di “Un prete scomodo”, anche Biella, Vittorio Cao, commissario garibaldino non comandante, (Giampaolo Gallo, La resistenza in Friuli 1943-1945, ed. Ifsml, p. 76 e altre) dona, tramite don Perlin, un quintale di carne per i più poveri. Ma non sappiamo se ciò sia vero o meno, finché non si troverà altra fonte. Infatti distinguere tra realtà possibile, pensiero del prete e pensiero dell’autrice è molto difficile, in questo testo.

Anche nel narrare il pranzo e la tregua, la Valerio si lascia andare a considerazioni credo personali, come la seguente: «la stretta di mano tra garibaldini e repubblicani porterà alla fine della guerra». (Maria Pia Valerio, op. cit., p. 50). Beh credo che questo non lo avrebbe potuto pensare neppure don Perlin, se le sue pagine furono scritte allora, ammesso che siano sue.

Dopo aver vissuto forse ad Andreis, il gruppetto di Cip pare ritorni a nascondersi, ai primi tepori della primavera, nella grotta fuori dal paese, dato che Maria Pia Valerio scrive che chiede al prete di recarsi ivi a confessare i partigiani, (Ivi, p. 53) e don Perlin accorre dopo essersi premurato di andare dal nonno della Valerio, che, se ho ben capito, era il gestore dello spaccio cooperativo ex- combattenti, ad acquistare calzettoni, coperte e maglie di lana, che gli vengono consegnati, secondo la nipote, gratuitamente. Comunque, sempre secondo la Valerio, suo nonno mostra a don Perlin dei buoni di quietanza per acquisti fatti dalla Brigata Garibaldi. Ed in questa occasione, il nonno comunica a don Perlin di essere stato minacciato per aver diffuso la notizia, non si sa da chi comunicata (e mai provata, tanto che il commerciante ne chiede conferma al sacerdote) di una giovane pare stuprata, ma non si capisce se sia così e da chi. Ma sembra che don Perlin non ne sappia nulla. (Ivi, p. 53).

Qui la Valerio, senza indicarlo al lettore, forse riporta un racconto sentito da una fonte orale, forse quella citata al termine del volume, perché mi pare strano che don Perlin segnasse quanto nel suo diario, e Cip men che meno. Ma bisognerebbe anche sapere a che età il sacerdote ha scritto questo testo, ammesso sia suo, ed ammesso che sia autentico. L’autrice, poi, sembra viva don Perlin ed il nonno come due vecchi saggi al di sopra delle parti, il che però è una sua visione personale. E scrivo subito che non intendo con queste parole offendere alcuno, come non intendo con questo mio scritto dare giudizi sulla persona di Maria Pia Valerio, che non conosco e che certamente ha saputo fare altro, relativo agli ambiti di sua competenza, lodevolmente, ma solo commentare questo suo volume, molto discutibile, che viene considerato, pare, un testo di valenza storica. (Cfr. Enri Lisetto, Don Perlin, il prete che riunì a tavola combattenti nemici, in: http://messaggeroveneto.gelocal.it/pordenone/cronaca/2015/07/01/news/).

Mi è sembrato interessante, invece, venir a sapere, ammesso che sia vero, che la Milizia Difesa Territoriale, nome dato dai tedeschi alle truppe della Guardia Nazionale Repubblicana in Ozak, di stanza a Montereale Valcellina, aveva requisito 14 mucche agli abitanti di Andreis perché i soci della locale latteria non avevano fornito le quote latte di dovere. Però don Rino interviene e non si sa se riesca a diminuire il numero delle vacche da requisire o se non vengano più requisite. Ma poi la Valerio parla di denaro dato in cambio delle vacche dalla M.D.T., che don Rino trattiene, con il parere di alcuni soci della latteria, per il restauro della chiesa, invece di utilizzarlo per i poveri, come convenuto. (Ivi, p. 56).

Detta operazione di restituzione di parte di quanto tolto, che come riportata appare invero poco chiara, viene condotta da don Perlin assieme al maggiore Aita della M.D.T.  (Trattasi, presumibilmente, del Maggiore del 5° Reggimento della M.D.T. Gaspare Aita, fucilato non si sa da chi a Cordenons, il 29 aprile 1945, come da: “Caduti e dispersi della Repubblica Sociale Italiana”, in: http://www.inilossum.eu/cadutiRsi) che, secondo la Valerio, entra ad Andreis con i suoi militi ma non si capisce a far che cosa, se a portare il denaro al sacerdote o altro. Anche il capitano Italo Minesso aveva fatto pervenire una cifra al sacerdote, ma solo per le famiglie dei cosiddetti alpini, cioè dei miliziani al servizio dei tedeschi. (Lettera accompagnatoria datata Tarzo, 3 gennaio 1945, e firmata dal capitano di Btg. Italo Minesso, in: Maria Pia Valerio, op. cit., p. 51).  Italo Minesso, capitano, figlio di Giacomo, era nato a Conegliano il 3 ottobre 1910, e venne fucilato, sempre secondo http://www.inilossum.eu/cadutiRsi, il 10 maggio 1945 a Tarzo di Treviso, sua sede logistica, posta a nord di Conegliano ed ad ovest di Vittorio Veneto, non si sa da chi. Ma secondo me le storie di questi due personaggi meriterebbero un approfondimento.

E Cip che fine ha fatto? Secondo Maria Pia Valerio il 14 febbraio 1945 si ripresenta da don Perlin, provenendo dal suo paese, Barcis, e per un pelo non viene catturato da tale Di Maria e dai collaborazionisti, quindi si reca con don Perlin alle grotte per far avere la comunione, previa confessione, ai suoi, ed infine promuove la Festa della Pace ad Andreis, con Messa solenne a cui partecipano – sempre secondo la Valerio – tutte le autorità partigiane del luogo, che «ascoltano con attenzione il discorso Pax est tranquillitatis ordinis». (Ivi, p. 57). Come sia sicura di questo la Valerio umanamente non lo so, anche perché, non citando fra virgolette, non si capisce cosa sia tratto direttamente dai documenti e cosa sia un suo personale pensiero.

Inoltre questo modo di interpretare la seconda guerra mondiale come regno del disordine, contro l’ordine costituito, che è la pace, nel senso della pax romana, presuppone una filosofia precisa alle spalle, che esclude nazisti, fascisti, re e Badoglio in fuga, in sintesi le cause reali degli accadimenti, ed assomiglia molto a quello del maestro Toppan, a cui pare proprio fosse tanto cara la sorte dei comandanti della Xa Mas. (Cfr. Laura e Marco Puppini. Su quel dissacrare la Resistenza che ha radici lontane: Antonio Toppan ed il suo: Fatti e misfatti …, in: www.nonsolocarnia.info, 10 luglio 2015).

Il resto del volume narra della Tbc contratta dal sacerdote e della sua ricerca di cure adeguate, del suo prodigarsi per l’asilo infantile e dei suoi problemi con il comune di Andreis che non approva la sua condotta, tanto da intervenire direttamente, il 25 settembre 1949, con propria delibera che chiede l’abbandono del mandato di Perlin come Arciprete del paese. (Ivi, pp. 90- 91).

Dal documento in calce a p. 91 del volume di Maria Pia Valerio, difficilmente leggibile se non si scannerizza ed ingrandisce, si apprende che il Consiglio Comunale aveva segnalato «molti casi in cui la condotta del Rev. è nettamente in contrasto col buon pacifico andamento della locale popolazione». E, tenuto conto di questi fatti il Consiglio comunale «Constatato che la popolazione è irritata e ha manifestato chiaramente disgusto e mancanza di fiducia non solo morale ma anche religiosa nei riguardi dell’Arciprete», «Visto l’esito dei processi del Reverendo, promossi nonostante l’appassionato intervento delle locali Autorità nell’intento di comporre in maniera pacifica ed opportuna la questione»,  «Visto che il caso della “bombetta” non era tale da dover ricorrere al Tribunale perché il fatto era in buona fede, e ciò era stato ripetutamente dimostrato dalla parte in colpa», «Visto l’esito del processo del De Zorzi Ottorino, ove sono venuti a conoscenza della popolazione altri fatti che ripugnano a tutte le persone civili ed educate a sani principi e da parte sua insospettate data la sua alta missione», «Visto che ciò può portare a rancori e a   turbamenti alla popolazione», «Ritenuto che il carattere dell’Arciprete è inconciliabile con il suo ministero e con la popolazione di Andreis e ciò lo dimostrano le ripetute denunce»,  «Visto che il Signor Sindaco ricopre anche la carica di Ufficiale di P.S.», «sentite le unanimi voci pubbliche, e a voti unanimi», deliberava:  «1- di autorizzare il Sindaco di comunica all’Arciprete Don Rino Perlin ad abbandonare con sollecita premura la nostra Arcipretale 2- di diffidare l’Arciprete a prendere immediate decisioni in caso contrario il Consiglio sarà costretto, per il bene della popolazione, a rendere edotte le Autorità Provinciali e la Curia Arcivescovile; 3- di chiedere un cenno affermativo scritto di quanto proposto dal Consiglio Comunale». (Maria Pia Valerio, op. cit. p. 91).

Il documento pubblicato, che pare sia la copia notificata al Sacerdote, riporta poi alcune righe di don Perlin a commento, in cui lo stesso scrive che il 30 settembre il Signor Sindaco gli aveva dato lettura della deliberazione, che non era abituato a firmare documenti che non «gli appartengono», e quindi, par di capire, non aveva sottoscritto la notifica, e che minimizzano l’accaduto. «Forse quando il Consiglio Comunale ha scritto codesta deliberazione aveva un brutto quarto d’ora» – scrive don Perlin, mentre la Valerio lo paragona quasi al Cristo crocefisso, non si sa perché né su che base, e parla di tonaca nera insultata. (Ibidem).

Quindi, pare per ulteriormente suffragare la decisione del consiglio comunale, viene alla luce un altro documento, di cui nulla si sa, che giaceva presso la segreteria del Muncipio, che la Valerio ritiene diffamatorio per il sacerdote, ma bisognerebbe sapere quali accuse gli sono state mosse,  mentre don Perlin ha dato tutto alla gente ed ai tedeschi, dato che i cattivi erano i fascisti.  (Ivi, p. 93).
Invero non si capisce questo commento, né se sia frutto di Perlin o dell’autrice, che pone pure un punto esclamativo dopo la parola fascisti, ed anche questo non si sa se in tono ironico o che, mentre è più comprensibile l’amarezza del sacerdote che pensa che quando cadevano bombe, tutti correvano da lui, a nascondersi in canonica.

E da una lettera a p. 95 di “Un prete scomodo”, datata “Pasqua 1950”, si viene a sapere che in detto anno don Perlin era ancora in contatto con ambienti di corte, e che la Regina Elena gli aveva inviato 50.000 lire per la chiesa.

Maria Pia Valerio non racconta, però, la difesa della Xa Mas fatta dal Perlin, utilizzando il presunto aiuto dato a Cip, al processo del 1947, e continua quasi ad immedesimarsi nel sacerdote, comunicando suoi possibili pensieri. Comunque il sacerdote è ancora ad Andreis il 12 settembre 1950 (Ivi, p. 96) contro il volere di Comune e popolazione, ed il 30 settembre dello stesso anno la Presidenza del Consiglio dei Ministri, detenuta da Alcide De Gasperi, gli fa avere un attestato di “Patriota”, forse per fugare più di qualche dubbio.

Infine il 16 ottobre 1950 don Perlin scrive di aver ricevuto l’ordine di spostarsi alla nuova Parrocchia di Villanova, ed invita i fedeli di Andreis a partecipare alla sua ultima Messa in loco senza dire nulla, senza esternare nulla, e, ricordando la sua storia familiare, aggiunge che intende terminare la vita nel dolore e nella sofferenza come l’ha iniziata, dati i tempi che corrono, a suo avviso caratterizzati da tristezza e malinconia (Ivi, documento p. 98).

Quindi inizia per don Rino Perlin il periodo come parroco a Villanova di Pordenone, che il Vicario Generale avrebbe desiderato sottoscrivesse come sede di suo gradimento, rinunciando definitivamente ad Andreis, ma il prete pare poco propenso ad accettare consigli anche dai superiori, e continua ad autocommiserarsi, cercando in Dio risposte (Ivi, p. 99). Ma anche qui il modo di scrivere della Valerio non aiuta molto a capire obiettivamente i fatti.  Quello che si comprende è, invece, che la sorella Ida, perpetua, che ben conosce i limiti del fratello, si dà da fare per creare un buon rapporto con la popolazione. (Ivi, p. 102). Inoltre il sacerdote trova conforto nel dedicarsi alla coltura di un vigneto, proprietà della chiesa. Ma ha ancora una pendenza economica con il Vicario Generale Bravin, problemi per una polizza incendi non pagata ad Andreis, qualche debito con il seminario per il periodo di malattia, per cui scrive persino al Papa. (Ivi, pp. 101- 104 e p. 107).

Nel 1955 don Perlin è al centro di due fatti che riguardano il diritto canonico, risolti da autorità superiore, quindi viene raggiunto dalla notizia della morte di Andrea, amico fraterno e zio della Valerio, autrice di questo volumetto, avvenuta a Torino nel 1955, a 49 anni, di tumore ai polmoni, la stessa malattia che porterà alla tomba don Rino Perlin. (Ivi, pp. 110- 111).

Nel 1959, comunque, don Perlin si trova in mezzo ad un altro caso difficile, o reso difficile dal puntiglio del sacerdote, in cui pare giochi il fatto che il protagonista è figlio di uno detto Stalin, almeno secondo la Valerio, che sembra talvolta ergersi pure ad avvocato difensore, sempre e comunque, del sacerdote, a meno che non riporti pensieri dello stesso. Comunque ella non nega l’amicizia che lega la sua famiglia al prete, e che le impedisce di vedere, secondo me, le cose con un certo distacco.

Nel 1966 il Meduna esonda, allagando pure Villanova, nel 1970 sorge, alla periferia del paese, un nuovo anonimo borgo formato da case popolari per veneti che lavorano a Pordenone, che si dota pure di una chiesa che crea una dualità, ma i cui abitanti fanno fatica ad amalgamarsi con quelli del nucleo storico, mentre pare che la Valerio quasi viva don Perlin come un don Camillo, visto che ritiene parli con Dio che gli “risponde”. Ma forse è solo un effetto letterario voluto. (Ivi, p. 120). Infine sappiamo che, anziano, don Perlin, per volere di Monsignor De Zanche, entra nella Casa dei Preti di San Vito, ove muore poco dopo, il 9 ottobre 1992. (Ivi, p. 138)

Ho letto questo volume e ripreso questa storia solo per approfondire il caso di Cip, che alla fine della guerra dona al sacerdote un breviario  (Ivi, p. 55), e che pare fosse un cattolico,  e per vedere, seguendo anche il consiglio di Liliana Ferrari, che tipo fosse don Rino Perlin, come narrato da Maria Pia Valerio. Non mi consta che Giuseppe Roman abbia mai rilasciato dichiarazioni sulla tregua del dicembre 1944, e ricordo che la Garibaldi aveva una composizione eterogenea, dato che quasi tutti i giovani non avevano avuto formazione politica, essendo vissuti sotto il fascismo, mentre invece avevano ricevuto un’educazione cattolica anche a scuola.  Con questo mio scritto non intendo offendere alcuno, e preciso che mi è stato difficile leggere il libro per l’esposizione dei fatti secondo me deficitaria, lacunosa, senza fonti citate fatto per fatto, che vorrebbe essere a carattere storico senza che venga utilizzato metodo storico alcuno, e configurandosi, quindi, come una somma di pensieri personali su canovaccio, e contestualizzati in modo impreciso e talvolta errato. Comunque alcuni spunti mi sono serviti per riflessione e informazione. Inoltre abbiamo un’altra versione della cosiddetta tregua di Andreis.

Laura Matelda Puppini

Aggiornamento 30 maggio 2017.

E se si fosse trattato di una tregua per Natale?

Parlando con una persona della tregua di Andreis, mi sono venute alla mente alcune immagini di uno spettacolo di Piero Purich sulla grande guerra, relative ad una tregua, decisa spontaneamente dai soldati, per Natale, fra austriaci e italiani, durata un po’ di giorni, e quindi terminata. E se fosse stato così anche ad Andreis, dove effettivamente la tregua ebbe luogo nel periodo natalizio, ma poi questa tregua fu sfruttata nel dopoguerra, anche da don Perlin, per un motivo o l’altro, dando origine a molte chiacchiere?  Ma è solo un’ipotesi.  Era lungo quell’inverno era freddo, ed era Natale… per tutti, anche per gli abitanti di Andreis, per il gruppetto di partigiani comandati da Cip, per alcuni o repubblichini o della X Mas. E se si fosse trattato di una tregua natalizia, però vietata dai comandi garibaldini, la mediazione di don Perlin avrebbe avuto maggior senso. Infine la Xa Mas talvolta faceva delle eccezioni al suo nomale procedere, anche per avere visibilità e tornaconto.  (Aggiungo queste righe anche come commento per rendere questa ipotesi più visibile ai lettori).

 

Laura Matelda Puppini

 

L’immagine che correda l’articolo, è stata scattata da Sandro De Biasio e ritae l’attuale paese di Andreis fotografato da Malga Fara, ed è tratta, solo per questo uso, dal sito: http://mapio.net. Non ho trovato veti o diritti che ne impediscono la pubblicazione, se esistenti prego avvisare. Laura Matelda Puppini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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