Cercherò qui di scrivere quanto ho capito sulla strage di Avasinis avendo come riferimento quanto riportato principalmente nelle note in: don Francesco Zossi, Avasinis 1940 – 1945 – il diario del Parroco di Avasinis e altre testimonianze della seconda guerra mondiale nel territorio di Avasinis, a cura del Comune di Trasaghis, 1996 e le testimonianze presenti nel filmato: “: “Avasinis luogo della memoria…”, postato su you tube da Roberto Solari 1°maggio 2013. Video edito dal Comune di Trasaghis e dal Centro Documentazione del Territorio”, in: https://www.youtube.com/watch?v=cnBI97tse-Q, cercando di comprendere l’accaduto.

_________________

Premessa.

La zona, prima dell’arrivo dei cosacchi, era piena di partigiani, in particolare del btg. Matteotti garibaldino che, a metà luglio 1944, era locato da Cavazzo Carnico a Avasinis, fino torrente Arzino. (1).
Ed in quel territorio, il 3 agosto 1944, iniziò ad operare anche il battaglione osovano ‘Libertà’, formatosi il 3 luglio 1944. (2). Ad un certo punto almeno nella zona di Cavazzo Carnico e Verzegnis si trovava pure il btg. osovano ‘Val Tagliamento’ comandato da Nino Pizzo, ‘Carnico’, che aveva come compito il controllo della Valle d’ Arzino, bloccando Sella Chianzutan ed il controllo della rotabile Carnia-Tolmezzo.  (3).

Nel contempo, nel luglio 1944, «sul Monte San Simeone-Cima Jôf, sovrastante Bordano, era stata sistemata una base tedesca che serviva da ponte radio e da posto di segnalazione per le rotte aeree tedesche nord-sud. La base era rifornita attraverso il paesino di Pioverno, posto sulla destra del Tagliamento di fronte a Venzone. Assieme al gruppo tedesco di una ventina di soldati della Wehrmacht, c’era anche una dozzina di civili, precettati dalla Todt a Bordano, che svolgevano i servizi inerenti alla base. Il 19 luglio 1944, un gruppetto di 4 tedeschi scese dalla base del San Simeone a Bordano per alcune spese. Lo facevano spesso. Ma quel giorno una pattuglia del “Matteotti” era ad aspettarli. In un’osteria dov’essi entrarono, furono bloccati dai partigiani. Si difesero: due vennero uccisi nel locale; un terzo, ferito, fuggì, ma fu raggiunto e finito; il quarto riuscì a dileguarsi, salì alla base e diede l’allarme. Nella sparatoria fu colpito anche un borghese, Sella Leonardo di 60 anni, che morì subito dopo. I tedeschi organizzarono immediatamente una spedizione punitiva e il giorno 21 seguente, forze tedesco- repubblichine, provenienti da Venzone, Gemona e Osoppo, precedute da un intenso fuoco di artiglieria, appostate sulla sinistra del fiume, circondarono Bordano, la occuparono senza trovare resistenza, (i partigiani infatti non erano in zona e la popolazione era fuggita terrorizzata per tema di rappresaglie) e la diedero alle fiamme.

La popolazione prima ripiegò su Interneppo, poi essendo anche questo paese bombardato dall’artiglieria nemica, cercò e trovò rifugio ad Alesso prima, in altri paesi dell’alto Friuli poi. Le poche case, risparmiate dall’ incendio, pochi giorni dopo vennero occupate dai cosacchi e dalle loro famiglie». (4).

E così si legge: «Mentre Bordano era in preda alle fiamme, Interneppo veniva preso sotto il tiro dei mortai causando la morte di Rossi Luigi fu Pietro “Vuarbe” e ferendo la di lui moglie Piazza Caterina fu Giovanni “Mardaruz” e la figlia. Lo scoppio di alcune bombe di mortaio provocò inoltre fratture di tegole nei tetti delle case e smussò un angolo del campanile. La maggior parte della popolazione si era rifugiata in Alesso ed altri sotto le rocce del lago (sot i Tofs), cercando così di sfuggire ai pericoli cui era sottoposto il Paese.
Dopo questo disastro, non vi fu più pace per questa povera gente: anche dopo ritornata la calma e ritornata alle proprie abitazioni, quasi ogni giorno e spesso di sera i Tedeschi del San Simeone lanciavano contro l’abitato raffiche di mitraglia che facevano più paura che effetto. (5).

_________________

Non solo: il 2 ottobre 1944 si scatenò, da Meduno a Bordano, l’offensiva nemica, anche in corrispondenza del ponte di Braulins, ancora interrotto perché fatto saltare dai partigiani nel mese di giugno, che portò a una nuova linea di resistenza delle forze partigiane della Garibaldi e della Osoppo lungo il torrente Melò, emissario del lago di Cavazzo, con postazioni anche al Col del Sole e Planecis, che dominano il bivio di Peonis e il cimitero sulla strada Trasaghis – Avasinis. Ma il 4 ottobre l’azione nemica riprese, con nuove forze, con artiglieria pesante, con Alpenjager di stanza ad Osoppo che «salirono verso il Col del Sole, nel punto più ripido e difficile, aiutandosi anche con cordate e, non visti, pervennero sulla sommità del colle, dove misero in postazione una pesante. L’ attacco da nord, ma specialmente il micidiale fuoco proveniente dal Col del Sole, stroncò la resistenza partigiana. Per non essere circondati ed annientati, i reparti partigiani dovettero ripiegare sui monti a ovest e Avasinis, alla fine della mattinata, fu occupata: nel pomeriggio i tedeschi ed i repubblichini raggiunsero Oncedis e Alesso». (6). Questo per sottolineare che anche gli Alpenjager di stanza ad Osoppo sapevano salire fino al Col del Sole.

A questo punto, i repubblichini, giunti al comando del generale De Lorenzi per liberare la zona per piazzarvi i cosacchi, ordinarono lo sgombero di Braulins ed Alesso, per poi passare alla razzia ed occupazione, mentre, pare grazie a don Francesco Zossi, Avasinis fu risparmiata. (7). Non sembra così, invece, Trasaghis. (8).

Militi repubblichini e soldati nazisti in perlustrazione a Bordano ed incendio del paese. (Foto da archivio Anpi).

_________________

La popolazione già martoriata, a sud del Lago.

Ho riportato quanto solo per far capire come nella zona immediatamente a sud del Lago di Cavazzo si trovasse una popolazione martoriata, spesso esule in altri comuni, e, per dirla con don Zossi, in zona negli ultimi giorni di aprile c’erano Cosacchi, Tedeschi, Partigiani, e «C’ erano troppi conti da saldare». (9).  Inoltre vi erano anche militari nazisti sbandati, da che si legge, di cui parlerò poi. (10). Ma non vi era nulla di particolare rispetto ad altre zone dell’Italia del nord in quei momenti, caratterizzati, come i successivi, da masse di persone spesso smunte e provate che si spostavano a piedi, soldati in ritirata, fuoriusciti dai campi di concentramento, gente che cercava di ritornare a casa.

Ma vediamo cosa accade, in quei giorni, verosimilmente, ad Avasinis, uno dei pochi paesi, nel circondario, rimasto abitato anche dai suoi paesani. Ed ad Avasinis ad un certo punto si era raggiunto il numero di 2000 persone presenti fra cosacchi, abitanti del luogo, sfollati e tedeschi, in quell’ inverno.  (11).

_________________

La guerra è finita, tedeschi e cosacchi l’hanno perduta, mentre i partigiani sono ritornati sulle montagne e nei paesi. Ad Avasinis vi era anche una ditta che lavorava per la Todt, ed era quella Not. «Tutte le forze locali erano state forzatamente impiegate nell’ organizzazioni paramilitari tedesche Todt ed Henzian. Vennero allestiti vari cantieri per la costruzione di fortificazioni, piazzole, linee anticarro, gallerie antiaeree». E furono impiegati anche operai provenienti dalla Carnia. La ditta Not aveva quattro austriaci che la sorvegliavano e, nei giorni concitati di fine aprile, essi si consegnarono ai partigiani e furono accompagnati fuori zona, verso Pielungo, secondo Roberto Bellina, e nulla fu fatto loro. Ed erano «bravissime persone, sui quaranta o cinquant’ anni». (12).

Non da ultimo, anche a Avasinis, secondo don Zossi, si era creata una situazione in cui «quella parte della popolazione che non si preoccupava troppo, era molto euforica» (13):  la guerra era praticamnte terminata, gli osovani, come già precisato nel mio articolo sulla strage di Ovaro, si apprestavano all’ insurrezione finale, trascinando una parte della gente con sé e, dopo 5 anni durissimi, un incubo era finito; un po’ dovunque venivano distribuiti ai giovani fazzoletti in particolare verdi, ed i cosiddetti ‘partigiani dell’ultima ora’ erano una realtà. Ma essi non erano preparati ad affrontare la fine della guerra e neppure la ritirata nemica secondo le regole internazionali che la stessa implicava. E mentre gli osovani, dopo il Proclama Alexander, avevano puntato sull’attendismo e, appunto, sull’ insurrezione finale riprendendo alla fine le armi in mano, i garibaldini erano restati sempre combattenti, anche durante il lungo inverno, e vedevano la sconfitta tedesca come la logica fine di un percorso militarmente sempre vissuto in armi.

E così, nel merito, si legge, per quanto riguarda Avasinis: «Intanto si vedevano giovani operai, uomini qua e là intendersi sul da farsi all’insurrezione. Qua e là si radunavano con la scusa del gioco e del lavoro e si trattavano argomenti di riscossa. Fosse vero che da loro si facesse una preparazione seria: i fatti dimostreranno purtroppo il contrario e diremo invece che con troppa leggerezza fu trattata una faccenda così seria e questo per mancanza di dirigenti seri e capaci». Ed anche il Bellina dice di esser stato operaio presso la ditta Not sino alla fine dell’inverno, aiutando però sul terreno i partigiani, e poi di essere passato, solo in primavera, partigiano osovano. (14).

_________________

Cosacchi. (Foto da Archivio Anpi Udine).

_________________

Ma ritorniamo un attimo indietro. La storia dell’uccisione dei cosacchi, non si sa quando avvenuta.

Gli alleati erano alle porte di Udine, e, relativamente al 29 aprile 1945, così si legge nelle note al testo di don Zossi: «Pare che alcuni gruppi partigiani avessero intenzione, in quei giorni, di sferrare un attacco al presidio di Avasinis.

Saputo di questa intenzione, alcune persone di Avasinis ne avrebbero data tempestiva notizia al comandante cosacco, al fine di evitare lutti e ritorsioni sulla popolazione civile. Il Comandante russo avrebbe però comunicato di aver già preso la decisione di arrendersi, fatto che valse ad evitare l’attacco. I partigiani arrivarono armati dalla zona di ‘Vìgnars’ e presero in consegna un primo gruppo di cosacchi e, in un secondo tempo, quelli asserragliati nei locali del Dopolavoro. I cosacchi prigionieri vennero successivamente fatti convogliare nelle scuole e poi fatti salire in montagna». (15).

Per questa parte è importante ricordare che, mentre coloro che anche in Carnia si davano da fare per ottenere nelle proprie mani la resa cosacca erano gli osovani, che talvolta trascinavano i garibaldini, qui il gruppo cosacco di stanza a Avasinis, come del resto quelli di Comeglians e Rigolato in Carnia, si arrese senza combattere, e che i cosacchi che ne facevano parte, in questo caso, furono portati in montagna.

E così ancora si legge sempre nella parte delle note al testo di don Zossi: «A partire da domenica 29 aprile, ottenuta la resa, i partigiani concentrarono i cosacchi presenti in paese, parte nei locali del Dopolavoro e parte nelle scuole; successivamente essi vennero accompagnati in montagna nelle malghe ‘Godoria’, ‘Pra di Stapa’ ‘Cuar’ e, in un momento successivo, anche in ‘Nausêt’ e ‘Bosc Cjanâl’ e ivi detenuti per qualche tempo». (16). Inoltre pare che sulle montagne sopra Avasinis fossero stati portati anche dei cosacchi catturati a Gemona. (17).

Queste specificazioni sono state riportate relativamente a quanto riferito da don Zossi, che così scrive: «Si era giunti verso gli ultimi giorni di Aprile, gli alleati erano già ad Udine. Il Comandante del Presidio cosacco mi vuole: ha bisogno di trattare la resa del presidio. Faccio allora chiamare il Podestà Rodaro Augusto Rossit e si conviene che essi si mettano a disposizione dei partigiani alla sola condizione che venga ad essi salvata la vita. Si parla con i partigiani che accattano ed un giorno si partono verso la montagna lasciando libero il paese […]. Si è saputo dopo che i patti non furono osservati e che molti di essi furono proditoriamente passati per le armi». (18).

E nella parte relativa alle note si legge poi che: «Sulle montagne sopra Avasinis e Alesso trovarono la morte, nei primi giorni di maggio, complessivamente una ottantina di cosacchi che erano stati fatti prigionieri dai partigiani. Taluni ritengono che i cosacchi prigionieri siano stati uccisi immediatamente dopo il loro trasferimento in montagna. È assai più probabile, come del resto riferito da altre testimonianze, che le esecuzioni (o quantomeno la maggior parte di esse) siano avvenute dopo il 2 maggio, e siano state quindi frutto di una reazione istintiva alle dimensioni della strage compiuta in paese dai nazifascisti. Le vittime tra i cosacchi furono complessivamente una ottantina: 9 in ‘Pra di Stepa’, 17 in Mont di Cuâr, 6 nel Meló, 13 in Narusêt’, e 33 in Bosc Cjanâl (il numero riportato si riferisce a quello delle salme recuperate nel dopoguerra)». (19).

Malga di Monte Cuâr. Ora una parte è stata trasformata in un rifugio attrezzato. (Foto da: http://www.sentierinatura.it/easyne2/LYT.aspx?Code=SentieriNatura&IDLYT=1970&ST=SQL&SQL=ID_Documento%3D28).

Ma su questo io avrei qualche considerazione da fare.  La prima è che quando un nemico si arrendeva, gli veniva chiesto se voleva unirsi alla resistenza, per prima cosa. E questo avvenne nel caso dei giorgiani di stanza a Comeglians, che attraverso la principessa che li comandava Miryam Keresselidze, decisero di passare con gli osovani. A fine guerra, gruppi di nemici potevano anche essere presi prigionieri dai partigiani, ma bisognava avere persone per controllarli e luoghi dove tenerli e si doveva provvedere loro in qualche modo. Ma i partigiani non avevano prigioni, e tali non erano le malghe montane. Pertanto potrebbe essere accaduto che un gruppo non grande di partigiani, per esempio della Osoppo, meno presente e talvolta meno calcolatrice dei Garibaldini, possa aver fatto male i suoi conti, trovandosi con decine di cosacchi che potevano rivoltarsi loro contro, mentre gli alleati erano ancora lontani. Un fatto similare, ma con altro finale, era accaduto anche nei pressi di Sappada, alla fine di settembre o inizio ottobre 1944: un gruppo abbastanza nutrito di partigiani, qui o misti o garibaldini, aveva catturato un presidio di tedeschi formato da 100 persone, che non sapeva però come gestire mentre i cosacchi prendevano piede facendo macelli in Carnia. Alla fine i partigiani riuscirono a consegnarli ad altri tedeschi, forse grazie ad una qualche mediazione, dice la storia, o comunque a lasciarli liberi nei pressi di una postazione tedesca, altrimenti avrebbero dovuto ucciderli. Ultima ipotesi: può darsi che partigiani che avevano portato in montagna i cosacchi, si spera non con l’intenzione di ucciderli, nei primi giorni di maggio avessero capito che il gruppo di cosacchi e caucasici che andavano verso l’Austria era ormai già transitato, e quindi non sapessero che farsene di ottanta cosacchi, decidendo di ucciderli, il che è pure deprecabile.

_________________

Potrebbe darsi che l’uccisione dei cosacchi, prigionieri e disarmati, sia avvenuta per ritorsione contro la strage di Avasinis, ma allora non ha giustificazione alcuna. Infatti anche l’uomo che uccide la moglie può avere una “reazione istintiva” ma è punibile per legge. E quindi questa uccisione di prigionieri, se avvenuta dopo l’eccidio di Avasinis, sarebbe in ogni caso da considerarsi una strage di inermi, contro ogni convenzione di Ginevra. E non credo proprio che gli SS che entrarono ad Avasinis, uccidendo per lo più donne vecchi e bambini e combinando ogni barbarie, lo abbiano fatto per vendicare i cosacchi, a cui tendenzialmente si sentivano superiori. Ma con il passare del tempo, si presenta sempre più la difficoltà per i testimoni ma anche per coloro che parteciparono ai fatti a dare precise testimonianze, in particolare se la conduzione dell’ intervista è troppo libera, ma anche per l’ingerenza di commenti altrui, di fatti letti, ascoltati, e pure perché vige il principio, in Friuli soprattutto, di non impicciarsi troppo, e come, mi diceva giustamente Alvise Stefani dell’Anpi di Ovaro, di non contestare, nei piccoli paesi, la versione data dal sindaco, dal prete, dal medico e dal farmacista, in sintesi dalle autorità paesane allora.

Don Francesco Zossi, pre’ Checo. (Foto da: don Francesco Zossi, Avasinis 1940 – 1945 – il diario del Parroco di Avasinis, op. cit., p. 8).

_________________

Caratteristiche del gruppo che compie la strage di Avasinis.

In questa storia di ritorno verso l’Austria di truppe tedesche da Udine e dal Friuli, era importante lasciare aperte le vie della ritirata, e tutta la storia di quanto accadde nella piana di Tarnova ci parla di questo. (20). Ma non sembra proprio questo il caso, perché il 1° maggio una grossa colonna proveniente da Peonis era già transitata lungo la via della destra Tagliamento senza fare stragi, pur avendo catturato due o tre ostaggi davanti al cimitero di Avasinis, ucciso un partigiano gemonese che si trovava, a cavallo, nei pressi; freddato una ragazza e un partigiano osovano, ferito una giovane ad Interneppo, ucciso un altro partigiano a Cavazzo Carnico. (21). Questa colonna però si aprì la via, ma perdere tempo a uccidere donne, bambini, due ottantenni abbracciati vicino allo ‘spolert’ a mio avviso non ha nulla a che fare con una azione di copertura della ritirata,  ma francamente appare più vicina alle azioni dei giannizzeri, dei giovani rapiti a famiglie cristiane, per lo più contadine, quando avevano tra i 3 ed i 9 anni, da emissari dell’Impero ottomano, ed educati all’Islam che poi andavano a formare le truppe scelte ottomane, quando venivano lasciati, dopo grandi battaglie, scorrazzare nella pianura ungherese e far tutto quello che volevano, per un periodo preciso, come pare fosse stato permesso anche ai cosacchi in Carnia.

Da dove provenivano queste truppe e chi erano: verosimilmente SS in abiti mimetici.

Vi sono due vie per raggiungere Tolmezzo da sud e sud – ovest: una lungo la riva destra del Tagliamento, una lungo la sinistra. Su questo versante si snoda la via Nazionale, che passa vicino ad Osoppo e Gemona; la via destra, invece, collega dal basso il pordenonese alla Carnia, passando per Flagogna, Cornino, Peonis, Trasaghis, Braulins, Alesso, Cavazzo Carnico. Lungo questo tragitto c’erano due ponti, risalenti alla prima guerra mondiale, che permettevano di attraversare il Tagliamento: quello di Cornino più a sud e quello di Braulins più a nord. Però, nel giugno 1944, i partigiani avevano già fatto saltare quello di Braulins, poi risistemato forse da lavoratori per la Todt o dai nazisti.

Ma esso, pare, il 1° maggio 1945, era stato fatto nuovamente saltare dai tedeschi, che non volevano essere inseguiti. Questo primo gruppo non si capisce perché faccia una cosa del genere, a meno che non sapesse che tutti i nazisti erano già passati e quindi per coprirsi la via di fuga, e, se quanto è vero, questo gruppo di SS proveniva dalla Nazionale, ed è anche quello che sequestra due o tre uomini portandoli con sé come scudo umano. Pure Roberto Bellina dice che i tedeschi fecero saltare il ponte di Braulins, nuovamente. «Verso sera sono giunti spaventati due partigiani che erano stati messi come osservatori sul ponte di Braulins. Erano veramente spaventati perché hanno visto questa colonna che, appena passata, ha fatto saltare il ponte». (22). Ed è la sera del primo maggio. Così il secondo gruppo, quello che compie la strage di Avasinis, non può più passare per il ponte di Braulins e deve deviare. Comunque potevano venire anche loro da Peonis, ed avere battuto la via Peonis Trasaghis per poi volgere verso la zona di Avasinis, non potendo più passare a Braulins. E questo è un aspetto importante, perché nessuno si attendeva che i tedeschi fossero costretti a passare per una via alternativa a quella del ponte.

Non solo: le SS ed anche cosacchi, presumibilmente, non passavano il ponte a Cornino o perché provenivano da Udine o perché era pericoloso percorrere la Nazionale provenenendo dalla Pedemontana pordenonese o forse anche dal Veneto cioè dall’ex- Repubblica Sociale.

_________________

Le testimoni della strage riconoscono coloro che massacrarono vecchi, bambini e donne ad Avasinis come SS, ma uno parlava anche italiano, uno friulano. (23). Però non basta questo per dire che fosse un gruppo della “Waffen-Gebirgs-Division der SS “Karstjäger”, nota per esser stata impiegata in azioni esclusivamente anti partigiane, come non basta che uno di loro fosse alto biondo, e parlasse correntemente tedesco. Anche mio padre era da giovane alto, biondo, e parlava bene tedesco. Pur tuttavia il fatto che una testimone si ricordi un soldato che diceva di essere croato e si preoccupava per come avrebbe ritrovato la sua famiglia (24), un’altra che rammentava un militare che diceva di essere polacco, potrebbero anche far propendere per questa ipotesi che dovrebbe, però, a mio avviso, esser maggiormente suffragata.Infatti, vista la eterogeneità dei soggetti che componevano il gruppo e gli abiti diversi, si sarebbe potuto trattare anche di un gruppo di sbandati al seguito di due capi, come accadde in Carnia con la ritirata partigiana per l’entrata dei cosacchi, quando alcuni partigiani, che avevano perso il loro battaglione, ne formarono uno nuovo.

Giacca mimetica in uso presso l’esercito tedesco. (Da: https://www.eaglemilitaria.it/scheda.php?mac=2&cat=1&id=693).

Quel gruppo, raccontano gli abitanti di Avasins tanti anni dopo, indossava abiti mimetici, che però erano in dotazione anche per la Wehrmacht. Quindi i soli abiti come descritti non sono indicativi di appartenenza ad un determinato gruppo militare nazista. Inoltre vi è chi ha avuto esperienza di uno che parlava italiano, chi di uno che parlava friulano, chi di uno che parlava in veneto- istriano.

Queste le testimonianze: «Erano vestiti in mimetica, con il telo tenda. Uno aveva un berretto con una mostrina e la morte». (Cesare Venturini).; «Sembravano garofani, mimetici» (Rita Rodaro); «Avevano le divise come le salamandre» (Oliva Cucchiaro); «Avevano addosso le divise militari, l’elmetto, e sopra l’elmetto delle frasche» (Caterina Di Gianantonio); «Indossavano una tuta a pezze ed avevano un berrettino in testa. Capivano friulano ed italiano» (Adelina Rodaro). Sentendo però le registrazioni, un paio di testimoni hanno esperienza di soldati che parlavano e capivano italiano, altri solo di uno o più soldati che parlavano tedesco, un paio di uno che si esprimeva in friulano, ma questo non è sufficiente per dire che uno era italiano, uno friulano, e via dicendo. 

Ma riprendiamo le testimonianze su come erano vestiti i soldati delle SS entrati ad Avasinis: «Avevano una divisa militare con un berretto, un cappello sul capo …ma erano vestiti in modo diverso, non erano vestiti tutti allo stesso modo. E vi era chi parlava italiano, chi tedesco, ma qualcuno parlava pure friulano come noi» (Giacomina Di Doi); «Parlavano in italiano, un misto di triestino ed istriano» (Giacomo Rodaro), ma bisogna sempre vedere di quanti egli avesse avuto esperienza, perché questi testimoni avevano sentito parlare solo uno o due e con brevi parole. «Quelli che ho visto io parlavano solo tedesco e si intendevano a gesti ma ce n’erano anche che parlavano in friulano. Quella che mi ha accompagnata era un tedesco, e mi ha fatto capire a gesti che in Germania i suoi familiari erano morti sotto i bombardamenti» (Maria Rodaro); «La Mariuta di Pilucan si era fatta accompagnare a casa (a vedere se sua madre era stata uccisa ndr), da un soldato che conosceva l’italiano. Era slavo, e diceva: «Io non sono tedesco. Io sono Croato. Chissà se a casa trovo la mia gente!» (Caterina Di Gianantonio); «Lì dove ci avevano imprigionato, a far da sentinella avevano messo un ragazzo giovane con un fucile. Era buono, e ci diceva di essere Polacco». (Norma Cecchin). (25).

Di Bundesarchiv, Bild 101I-005-0012-16 / CC-BY-SA 3.0. Soldati tedeschi impegnati in un rastrellamento sul fronte jugoslavo. (Da: https://it.wikipedia.org/wiki/Wehrmacht#/media/File:Bundesarchiv_Bild_101I-005-0012-16,_Jugoslawien,_Polizeieinsatz.jpg).

_________________

Cosa succede l’1 ed il 2 maggio 1945 nella zona di Avasinis ed ad Avasinis.

Per capire meglio ritorniamo indietro ai due partigiani che si precipitano ad Avasinis, secondo Roberto Bellina, a comunicare che il ponte di Braulins è stato fatto saltare ed a quanto raccontano alcuni testimoni. Avvisati gli uomini rimasti in paese di un possibile pericolo, essi, che non sono partigiani tranne due, fuggono sui monti (26), come sempre fatto, onde evitare guai ed anche il prete vorrebbe unirsi a loro, ma si attarda troppo.  Quindi ad Avasinis restano dei maschi che non vogliono scappare ma si contano praticamente sulle dita delle mani, anziani, donne di diverse età, giovinette, bambine e bambini.  Nessuno si aspetta quello che succederà che, dalle testimonianze e ricostruzioni, appare come azione contingente e non premeditata, funzionale alla caccia al partigiano innescata dagli spari partigiani. Nelle stragi facevano così: cercavano partigiani e se non li trovavano uccidevano civili, distruggevano paesi interi.

I Partigiani sparano sui tedeschi in ritirata.

Molte le testimonianze sui partigiani, allarmati, che sparano o dal Montisel in direzione Trasaghis o dal Col del Sole.  Così Mario Di Gianantonio: «La mattina del 2 maggio 1945 suonavano ormai le campane a festa dei campanili di Gemona, di Osoppo e degli altri paesi della sinistra del Tagliamento. (…). Ma lungo la strada pedemontana, da Pinzano a Cavazzo, a Tolmezzo transitavano ancora le truppe tedesche che avevano scelto, per la loro ritirata, quel percorso ritenuto più al sicuro dai mitragliamenti aerei e dalle molestie dei partigiani. I piccoli paesi attraverso i quali passavano le colonne ordinate, ed in pieno assetto di guerra, erano o parevano deserti. Solo dai costoni delle montagne di Avasinis, nel punto in cui la pedemontana muta versante, fra questo paese e Trasaghis, un gruppo di partigiani con la mitragliatrice pesante tentava di ostacolare e molestare il passaggio delle truppe germaniche. Non si conosce l’effetto della azione partigiana. La reazione del nemico, però, è stata immediata e violenta. Fatta tacere la mitragliatrice con alcuni colpi di mortaio, un reparto in ordine sparso prese d’ assalto il paese». (27).

Che ci fosse una mitragliatrice pesante partigiana che sparava sulle SS che avanzavano, poi inceppatasi, lo racconta Roberto Bellina ‘Due’: «[…] si è presentato dinanzi a me il comandante partigiano Ferragotto Dino, Furlan, di Trasaghis, che mi ha detto: “Roberto, (mi chiamava per nome anche se io ero ‘Due’ come nome di battaglia). E mi ha dato un nastro di cartucce da portar su, che c’era uno con la mitraglia sul costone del Col del Sole che sparava giù verso le SS che stavano avanzando sotto il ponte». (28). Dino Ferragotto, se non erro, era del btg. Prealpi, della brigata Prealpi della Osoppo.  

E così altre/i intervistati: «Tutto è iniziato quando i partigiani hanno deciso di andare a fare qualcosa ai cosacchi che si trovavano a Montisel sopra Trasaghis» (Adelina Rodaro); «Lì di Spisulota a Avasinis i partigiani avevano una mitraglia di 10 millimetri e con quella hanno iniziato a sparare contro i tedeschi». (GiovannI Turisini); «I partigiani erano andati verso il cimitero. Erano andati in tanti per sparare, ma non erano attrezzati, non avevano armi. Quando hanno visto giungere i tedeschi sparando, sono scappati sulle montagne» (Maria Rodaro).  (29).

Quindi Roberto Bellina racconta che egli si recò a portare il nastro a quello (ma potevano essere anche quelli) che si trovavano in Col del Sole a sparare con la pesante, che dovevano essere degli osovani, mentre il grosso dei partigiani non era lì ma verso il cimitero, ma una volta inserito il nastro con le nuove cartucce, la mitragliatrice si inceppò e smise di funzionare. E, secondo la stessa fonte, fu una fortuna, perché ad un certo punto si resero conto che i nazisti, coperti dalla nebbia mattutina, stavano risalendo dietro il Col del sole.  «[…] ho sentito delle voci e parlavano in tedesco. Sant’ Antonio! Non venivano su proprio da quella parte?» (30).  Non solo: il Bellina narra che questo gruppo di tedeschi che poi entrò in Avasinis, aveva un cannoncino, «E ogni volta che passavano da una pila (pilone del ponte crollato? N.d.r.) all’altra, avendo un mortaio, sparavano verso la mitragliatrice. E questo tizio che aveva la mitraglia mi ha spiegato che era difficilissimo prenderli e colpirli. E sperava che andassero verso Peonis, che non andassero su verso Avasinis». (31). Ma questa testimonianza non diretta dei fatti, farebbe propendere per un passaggio del gruppo dalla Nazionale verso Braulins.

_________________

Nel suo ultimo intervento su www.nonsolocarnia.info, intitolato: “Marco Puppini parla della strage di Avasinis”, mio fratello ricorda che i partigiani il 1° maggio avevano ucciso per alcuni “un soldato tedesco”, ma in realtà, stando a fonti della Osoppo, il comandante del reparto, Neumayer e che questa potrebbe esser stata la causa della stragead Avasinis, anche perché, nei dintorni, non vi era altro paese che non fosse stato sfollato.

Ponte di Braulins, costruito ai tempi della prima guerra mondiale. (Da: http://www.cantirs.it/it/msm?D02010013).

Ed ancora, sempre dalle testimonianze: «I tedeschi si sono fermati a Trasaghis e sono venuti sul ‘Montisel’ ed hanno iniziato a sparare colpi di mortaio». (Giacomo Rodaro); «Sul ‘Montisel’ si vedeva tutto un movimento di persone. Sono giunti qui coperti dalla foschia. I primi colpi di mortaio sono iniziati verso le 9 del mattino». (Maria Di Gianatonio). (32). Il fatto che gli S.S. provenissero da Trasaghis non dà però indicazione precisa su che percorso avessero fatto in precedenza, se avessero attraversato al ponte di Braulins o se avessero percorso la riva destra del Tagliamento, provenendo da Pinzano. E sembra che l’unica cosa che sapessero i testimoni è che i nazisti provenivano da Trasaghis e, successivamente, dalla zona del Col del Sole, null’altro.

Non ho invece riportato trascrivendole, una prima dichiarazione di Mario Di Gianantonio, in Archivio Osoppo, datata 6 giugno 1945, e una ‘Relazione operativa’ del btg. Friuli’ pubblicata su ‘La Scopa” del 4 giugno 1945, perché paiono maggiormente e nell’ immediato, più dei tentativi di capire e di segnalare la presenza partigiana in difesa dell’ abitato, che altro (33), ma leggendo le testimonianze, a me pare, pure, che il problema sia stato quello che il ponte di Braulins era inagibile, e quindi il gruppo di SS, che voleva passare a Braulins, era stato costretto a cambiare itinerario, che forse anche gli SS avevano avuto dei morti da parte dei partigiani che sparavano dal ‘Montisel’ o dal Col del Sole, ammesso che non siano sinonimi della stessa zona, che l’azione fu improvvisa e dettata dalla ricerca di partigiani ad Avasinis, come dicono le interviste, da parte di un gruppo militare formato, pare, da persone addestrate alla lotta antipartigiana ma al tempo stesso poco coordinate in quel momento.

Si sa però, dalla relazione operativa del btg. Friuli, che, dopo la nutrita sparatoria sugli SS che percorrevano la via, i partigiani rimasero senza munizioni e «Infine reparti della Ss prendevano quota sotto il Col del Sole e sul lato sinistro dello schieramento. Veniva ordinata la ritirata…» (34).

_________________

I tedeschi sparano prima di entrare in paese contro i partigiani, rispondendo ai loro colpi, e «si capiva che facevano la guerra sul serio. […]. E questo tizio che aveva la mitraglia mi ha spiegato che era difficilissimo prenderli e colpirli». (35).

«E riuscivamo a vedere anche la strada che portava ad Avasinis, ma sulla strada di Avasinis non si vedeva più nessuno. Si vedevano però i partigiani che si portavano sopra il paese. E qualcosa dovevano aver capito anche loro, dovevano aver capito che i tedeschi stavano venendo dal Col del Sole». (36).

«Loro (i tedeschi) sono entrati qui, ma i partigiani gli hanno ‘buttato giù’ un paio di colpi dall’ alto della montagna. E qui non hanno fatto interrogatori, qui hanno incominciato subito a sparare». (37).

Inoltre negli scritti e testimonianze, può capitare che quando avviene un fatto inaspettato, le persone cerchino più una giustificazione al loro operato, non avendo previsto quanto sarebbe accaduto. Comunque chi uccise furono gli SS non i partigiani, su cui invece pare essersi impantanato il discorso, sposando sia il pensiero ‘comune’ sia certo revisionismo storico.

_________________

La strage vissuta dalle persone.

Un primo dato di fatto è che in paese si trovavano solo due partigiani, perché, come testimonia pure Aldo Ridolfo nel 2005, (38), i partigiani che erano venuti ad avvisare delle SS che avanzavano in direzione del paese, avevano consigliato agli uomini di fuggire sui monti. Risultato: in paese c’erano solo anziani, donne, bambini, giovinette, rari uomini. 

Il paese già sveglio, si risveglia nuovamente, quel mattino, con uno o due colpi di mortaio, che si sentono in modo deciso in ogni angolo del paese, pur essendo esso disposto in salita con una parte più bassa ed una più alta. Ma vi è anche chi dice di aver sentito sia i colpi del cannone sia le risposte partigiane con le mitragliatrici.

«Alla mattina (del 2 maggio) abbiamo sentito un grande colpo, come un tuono, o che era di mortaio o di … E da quel momento hanno incominciato ad uccidere. Ed erano le 8 e mezzo del mattino». (39).

Nessuno se l’aspettava, ed ognuno stava facendo le sue cose: una signora aveva appena terminato di fare il formaggio e stava lavando la caldaia o le formelle sotto la fontana, altri erano in casa, ed alcuni si sono mossi a cercare rifugio solo quando hanno sentito gli spari avvicinarsi. «Io sono di Trasaghis ma ero sfollato prima a Gemona con la famiglia, ma poi siamo ritornati qui, con la nostra gente. Il 2 di maggio abbiamo sentito sparare e siamo corsi a rifugiarci in canonica, dove c’era mia zia. Ed ero con mia madre, mia sorella, mia nonna che è stata uccisa. Eravamo tutto un gruppo di parenti. E loro, i tedeschi, sono entrati. (…. ). Sentivamo ta,ta,ta, ta, sentivamo urlare,  erano tutti nel panico. Si sapeva che ormai avevano incominciato ad uccidere». (40).

«Mi pare di sentire colpi sempre più vicini…» dice Caterina Di Gianantonio alla suocera che sta lavando le vacchette del latte. (41).

Avasins. (Da: https://messaggeroveneto.gelocal.it/udine/cronaca/2016/07/07/news/avasinis-invoca-christo-arte-per-avere-piu-luce-1.13777691).

In paese sono rimanti solo de partigiani pare garibaldini, forse quelli giunti ad avvisare gli uomini di scappare: essi vanno in prima linea nel tentativo disperato di salvare il paese, ma è inutile. «Quando siamo arrivate in casa, abbiamo sentito altri colpi avvicinarsi. Nel frattempo sono andati a fare un po’ di barriera perché non entrassero nel paese Ugo Pizzato e Valentino detto’ Morcja’ ma forse c’era anche un altro uomo con loro. Ma cosa potevano fare in due, quando i partigiani non erano qui, erano tutti a festeggiare e una roba e l’altra, e non c’era nessuno?». (42).

L ‘agonia di Pizzato, giovane del paese, colpisce un po’ tutti coloro che la raccontano a posteriori: per cercare di difendere il paese, si era precipitato verso gli SS che stavano sparando con il mortaio, restando ferito da una scheggia. Egli, poi, viene portato faticosamente sotto la sua casa, che si trova in località Taus nella parte alta del paese, ben distante da dove era stato colpito, da compaesani, non si sa se dopo la strage. Ma, durante il tragitto, prega di esser ucciso con un colpo di pistola, per il grande dolore che prova. Quando è infine disteso sul marciapiedi davanti a casa, con accanto la moglie e la madre, continua ad implorare i due o tre uomini che lo avevano trasportato come un peso morto, di ucciderlo, mentre questi decidono di tagliargli i vestiti, in primo luogo la cintura dell’impermeabile, per vedere come fosse la ferita, dopo avergli tolto il mauser dalla spalla. Ed uno corre a nascondere ben bene la pistola che aveva addosso, perché se il nemico la trovava, erano guai per tutti. (43).

Il primo gruppo di nazisti, quello che compie per lo più la strage, entra in paese a piedi e quindi si divide in gruppetti che si muovono in diverse direzioni. (44). Uno formato da 4 o cinque persone, lancia una bomba a mano verso il piano alto dell’asilo, per vedere se vi fosse stato qualcuno nascosto. La loro entrata, per la stessa fonte, è nella zona dove c’è o c’era la latteria, nel ‘bearzo ‘ di fronte alla stessa. «Si sono divisi in gruppetti di due, tre, ma si sono divisi qui, nel ‘bearç’, prima di entrare in paese. E poi sono entrati in paese divisi in gruppetti di due o tre». (45).

«Sono arrivate prima le avanguardie a piedi e poi gli altri con i cavalli. (riferito ai tedeschi). Erano una sessantina ma il gruppo che ha ucciso è il primo entrato». (Giacomo Rodaro). (46).

«Sono entrati in tre gruppi: uno Sottomonte; uno lungo il Canale lì della latteria; ed uno nel mezzo. Quelli che hanno ucciso son ostati in particolare i primi due gruppi. Venivano avanti a piedi, pieni di armi. Dopo sono venuti anche quelli con i muli (ma altri si ritengono cavalli n.d.r.)». (Oliva Cucchiaro).  «I primi tedeschi sono entrati a piedi, urlando e sparando raffiche di mitra. Dopo sono giunti quelli a cavallo, ma ad uccidere sono stati soprattutto i primi». (Giacomo Rodaro). (47).

«Sono giunti dalla zona ‘Paluz’, dopo aver fatto saltare il ponte. Per prima cosa hanno buttato un paio di bombe nell’ asilo, nelle camere di sopra, per vedere che non ci fosse nessuno, e poi hanno iniziato ad andare nelle case». (Cesare Venturini).   «Non sapevamo cosa fare e sentivamo colpi sempre più vicino» (Caterina Di Gianatonio).

«Sono giunti in tre gruppi: uno dalla zona delle ‘Gadorias’; uno dalla casa della Velina, uno nella ‘Corte dei dottori’. Ed hanno iniziato a sparare su tutto quello che trovavano» (Adelina Rodaro). (48).  

Quindi la dinamica è questa: i primi S.S. giungono a piedi, forse dalla vicina località ‘Paluz’ ma sicuramente coperti dalla foschia da Col del Sole; e quando sono nei pressi del nucleo abitato si dividono in gruppetti di 3 o 4, dopo essersi sincerati che nel piano alto dell’asilo non fosse nascosto nessuno, ed iniziano a volgere verso il centro del paese, in cerca di partigiani. Infatti ci sono testimonianze in tal senso: «Ero nel letto- dice Giacomina Di Doi – perché avevo avuto da poco […] mia figlia. Sono entrati i tedeschi con il fucile spianato, a cercare partigiani. Hanno cercato dovunque, e hanno rubato tutto quello che potevano rubare». (49).

_________________

Nella strage, che inizia con l’uccisione di un uomo, vengono massacrate una donna e la sua bimba che teneva in braccio, due vecchi abbracciati vicino al ‘spolert’; una serie di persone sfollate da Alesso e rifugiatesi a Avasinis che con altre si trovavano ammassate in una stanza, una madre con le due figlie, mentre i suoi due figli si salvano nascondendosi sotto il letto; e vengono uccise Anna Rodaro, sorella di Giacomino, e Anna Di Gianantonio, invitate dai tedeschi ad andare con loro alla fabbrica della Todt. Le ragazze pensano o sperano che gli SS vogliano che loro facciano da mangiare, mentre la madre di Anna Rodaro è molto preoccupata e dice che quelli sono ragazzi con “la bocca di miele ed il coltello in tasca”. Però quando i soldati tedeschi si ripresentano, le due ragazze, di 19 e 25 anni, accettano di seguirli (50), anche perché non credo potessero fare altrimenti, ma, appena giunte in quel luogo, si incominciano a sentire le loro urla, ed il loro sangue, secondo Caterina Di Gianantonio, continuerà a ripresentarsi pur lavando i pavimenti spesso (51). «Abbiamo sentito solo urla e lamenti di queste povere ragazze, ma non le abbiamo viste neppure entrare.  E quelle ragazze avrebbero meritato di esser fatte sante, con quello che hanno fatto loro». (52).  E in quei locali c’era anche un uomo in un letto, e hanno ucciso anche quello. (53). E vien ucciso anche il muto, un poveraccio, che non aveva capito cosa stesse accadendo. (54).

_________________

Ma quei militari S.S. non si comportano allo stesso modo …

Quello che colpisce, però, ascoltando i resoconti, è che i comportamenti dei militari non erano tutti identici, e, davanti alla disperazione di Caterina Di Gianantonio e sua sorella Orestina, un militare aveva detto loro: «Coraggio, coraggio, signorine, che è tutto finito». (55). Quando poi sono giunti i soldati a cavallo, una madre era stesa, morta, a terra, ma il suo bimbo era vivo. I militari nazisti cercavano di non passare sopra il bambino, anche se la pietà popolare riferisce che erano i cavalli a non voler calpestare quei due corpi, di cui uno senza vita. Ma infine era giunto uno di loro che era sceso da cavallo, aveva raccolto il bimbo e lo aveva portato in una casa vicina.

E le testimonianze parlano anche del soldato croato che pensava, in mezzo a quell’ inferno, a cosa poteva esser accaduto alla sua famiglia, mentre faceva la guardia a un gruppo di una trentina di donne che erano state chiuse a chiave in una stanza in casa «Ci avevano chiuso in una stanza – racconta Norma Cecchin – e a sorvegliare avevano messo un giovanetto con il fucile. Era, buono, e ci ha detto che era un polacco». (56).  Infatti, ad un certo punto, «Le donne erano state chiuse, imprigionate, lì di Meot.  (…). Noi donne saremo state in 60» (57). Secondo però un’altra testimone, Maria Rodaro, potevano esser state una trentina. (58).

Ed ancora: «La Mariuta di Pilucan si era fatta accompagnare a casa da un soldato che conosceva l’italiano. Era uno slavo, e diceva: «Io non sono tedesco. Io sono Croato. Chissà se a casa trovo la mia gente!» (59).

Maria Rodaro e Giacomina Di Doi davanti al monumento in ricordo delle vittime della strage di Avasinis. (Da: http://gemonese4445.blogspot.com/2013/05/).

_________

Ma perché questi comportamenti diversi, questo aver chiuso le donne in una stanza, sorvegliate da uno buono, ed infine l’arrivo di due presumibilmente ufficiali, che fermano il tutto?

I tedeschi non erano certo nuovi a ordinare la morte di civili, ma in genere questo compito era spesso affidato ai repubblichini ed ai collaborazionisti, anche se quando andiamo a vedere stragi italiane, slave, francesi di innocenti, vediamo che pure i nazisti erano in prima linea. Però nel nostro caso la guerra era finita, il gruppo cercava partigiani, e tendeva a fare come sempre fatto: se la prende con le famiglie, ma alcuni non ci stanno più, hanno un’altra prospettiva. Inoltre Paolo Pezzino scrive che neppure nel diritto bellico vigente in materia di rappresaglie, nell’interpretazione diffusa all’interno dell’esercito tedesco, favorevole alle prerogative dei militari, non esisteva nessuna norma, per quanto liberamente potesse essere interpretata, che permettesse o giustificasse l’uccisione di donne inermi, di bambini, di anziani paralitici. (60).

Ed anche chi scrive le note al testo citato di don Zossi, che reputo sia Pieri Stefanutti, si meraviglia di questo comportamento difforme tra gli SS che entrano ad Avasins, e così riporta in nota alla frase: “nelle case, a capriccio di ciascun soldato furono uccisi diversi e ciò fino a mezzogiorno” presente alla p. 41 della pubblicazione del diario: «Dai racconti dei superstiti questo è proprio l’aspetto che colpisce maggiormente vale a dire l’assoluta casualità delle uccisioni, legate alla furia istintiva del singolo nazista che sfociò, talvolta, in crudeltà gratuita (assassinii di bambini e di anziani inermi), talvolta in arbitrio (in qualche caso venne uccisa una sola persona fra le diverse presenti, quasi a carattere dimostrativo), raramente in atti di pietà (alcune persone, nell’atto di venire uccise, vennero poi invece risparmiate)». (61).

E basta leggere le testimonianze della donna a letto che ha appena avuto un bambino che viene risparmiata (62) per rendersene conto, e non solo. Inoltre ad un certo punto, forse un’ora e mezzo dopo, forse due o verso mezzogiorno, arrivano un comandante a cavallo od in moto con fischietto, ma forse ambedue, che fermano la mattanza. «Dicevano che è giunto uno con la moto ed un fischietto in bocca, ed ha dato l’ordine di smettere di sparare»; «È passato uno con la bicicletta ed ha fermato l’uccisione»; «È passato un tedesco a cavallo ed ha urlato ai suoi di fermarsi. Si è fermato anche fuori da Meot e così quelli che erano prigionieri hanno potuto uscire.  (63). Le donne imprigionate, a cui era stato detto di prepararsi per esser caricate su di un camion e portate via, vengono liberate quindi per ordini superiori (64).  «In una casa si trovavano Menia e Isolina, insieme a mia moglie. È entrato un S.S. che voleva ucciderle, ma subito dietro è entrato anche un comandante. Mia moglie si è gettata addosso al comandante e il comandante allora ha detto «Basta sangue!». (65). “Basta uccidere”, “Fert Kaputt!” è stato l’ordine dei capo, mentre si sentiva un parlottare concitato di soldati vicino a lui.

Quindi i nazisti hanno preso una parte dei cadaveri e li hanno messi lì nella roggia. Ce n’erano 16 nella roggia, perché quando vengono tolti dall’acqua vengono contati, per vedere quanti fossero. Ma poi chi compie questo macabro compito, si accorge che i morti sono molti di più, perché i nazisti avevano lasciato due vecchi qui, due vecchi là, e un vecchio che scendeva dalla montagna con un cesto, e che si era fermato un momento a riposare, era stato raggiunto, gli avevano detto di riprendere il cesto, e poi gli avevano sparato ed avevano coperto il suo corpo di fronde. (66).

Testimoni per la strage di Avasinis. (Da: https://www.youtube.com/watch?v=lIxgv8RlIh4). Con il braccio parto, Giacomino Rodaro. Sotto di lui, Cesarino Venturini.

_________

Poi le testimonianze proseguono raccontando che il gruppo di SS si fermò in paese fino al mezzogiorno del giorno dopo, razziando e gozzovigliando. E Giacomino Rodaro racconta che ad un certo punto i nazisti si sono riuniti davanti ad un’osteria a mangiare, bere, cantare. Poi l’indomani a mezzogiorno hanno sparato un colpo in aria e se ne sono andati. Ed hanno lasciato un mitra scarico per i partigiani. (67).

«Al mattino del 3 di maggio, i tedeschi hanno sparato in aria una raffica di mitra come segnale di adunata. Si sono riuniti e sono partiti. Prima di andare, hanno lasciato il mitra guasto con tolto il caricatore sulla porta di una casa “In ricordo dei partigiani!” li ha sentiti dire qualcuno. Era circa mezzogiorno quando se ne sono andati via, ordinati, e si sono uniti a quelli che avevano i mortai sopra Trasaghis e sono andati verso Interneppo e Cavazzo». (Giacomino Rodaro). (68).

Già allora a Pieri Stefanutti questo lasciare il mitra per i partigiani pareva un segnale chiarificatore del perché avessero compiuto la strage nel paese, ma se quanto raccontato è vero, non ci sono molti dubbi sul perché gli SS erano venuti ad Avasinis, lo hanno precisato loro, andandosene. Perché da un costone vicino ad Avasinis erano stati mitragliati, avendo magari avuto qualche perdita. Una testimone si chiede perché siano passati per altri paesi, per Peonis per esempio, senza fare nulla e invece siano venuti ad Avasinis. Ma ad Avasinis, secondo Pieri Stefanutti, nessuno ha avuto mai dubbi che fu la risposta nazista alle sparatorie partigiane. (69). E poi potevano venire dal ponte di Braulins.

Appurato che i nazisti se ne erano andati, la gente del paese iniziò ad uscire, e Caterina Di Gianantonio andò in canonica, dove il prete si era rialzato, ferito ad una mano e salvatosi facendosi credere morto, mentre intorno a lui era pieno di morti e feriti. Il primo problema era quello di curare i feriti, e così il prete manda le ragazzette, che avevano ricevuto dalle suore dei rudimenti di primo intervento e su come fare iniezioni, a soccorrere i feriti con il materiale che c’è. Caterina è angosciata: lei non è una infermiera, ma si adegua perché due infermiere sono rimaste uccise. (70).

Intanto un paio di uomini, fra cui pare ci fosse anche Giacomino Rodaro, avevano recuperato una carretta e cercavano di compiere, come detto, il macabro servizio di recuperare i morti e trasportarli in cimitero, dove fu fatta una grande fossa comune e, dopo il riconoscimento e la conta definitiva, i corpi vennero sepolti alla presenza però non di don Zossi che, ferito, aveva dovuto andare a chiedere aiuto per la sua mano, fattasi gonfia e nera, ma del vicario di Peonis. (71).

_________

Poi pare che alcuni nazisti di quelli che hanno compiuto la strage siano stati catturati e uccisi dagli abitanti di Avasins come furono uccisi anche i cosacchi arresisi. 

Ascoltando la testimonianza di Roberto Bellina, pare che per gli uomini di Avasins, fuggiti la sera prima o la mattina all’alba dal paese, vi sia una questione d’ onore da risolvere: essi devono vendicare l’accaduto, non essendo stati lì ed avendo lasciato donne vecchi e bambini in mano alla furia nazista. E così scrive don Zossi: «La formazione militare che aveva consumato l’eccidio immediatamente dopo si è sciolta. L’ufficiale si è suicidato nel Leale, e ciascuno fuggiva per conto suo con gli alleati alle calcagna. Alcuni di quei soldati, travestiti con abiti civili rubati ad Avasinis, avevano avuto l’infelice pensiero di ripresentarsi in paese chi sa mai per quale scopo, non con cattive intenzioni ormai, perché erano tutti letteralmente disarmati. Alcuni di questi furono riconosciuti e presi, assassini o no, e malamente trucidati» (72) con bastoni, pale, altro, nella pubblica piazza dai parenti maschi degli uccisi e delle uccise. (73). Però Marchetti mi ha detto che l’ufficiale che aveva comandato la strage era stato poi visto a Tolmezzo con alcuni soldati.

_________

Anche nelle integrazioni al testo di don Zossi a p. 80 compare un capitoletto intitolato: “La caccia ai responsabili”, ma però non è chiaro se i catturati realmente lo fossero stati.

Qui vi è a mio avviso un po’ di confusione. Per Maria Del Bianco vennero alcuni non ben precisati da Forgaria e, chiesta dove fosse la via per i Leale (che fa pensare che non fossero pratici della zona), si mossero in quella direzione e tornarono con alcuni ‘sbandati nazisti’ par di capire, fra i quali venne riconosciuto quello con la cicatrice sul viso, intimarono a tutti il silenzio e se ne andarono. (74). Quindi quando nel filmato, in fondo, qualcuno dice che quei civili che avevano preso alcuni della banda che aveva compiuto l’eccidio potevano essere degli ex- repubblichini venuti però per salvarli, in un certo senso, forse non ha torto, ma non è al tempo stesso così chiaro.  (75).

Giacomina Di Doi racconta che l’indomani della strage gente di Avasinis, uomini e donne, sono andati in montagna ed hanno visto, in abiti borghesi, 7 od 8, che pare fossero quelli che avevano fatto la strage, fra cui è stato riconosciuto quello con la cicatrice, ritenuto il più feroce. Erano accompagnati da gente di Forgaria, che aveva loro fornito abiti civili, ma i nostri uomini sono andati loro dietro e li hanno catturati. (76).

Lida Rodaro narra una storia similare: sono andate in montagna, ed hanno incontrato, lungo la valle di Forgaria, uno in borghese sui 50 anni, di cui dà anche sommaria descrizione, con altri 13 o 14, chi vestito militarmente, chi in borghese, ed erano quelli che avevano ucciso ma l’uomo ha detto che non avessero  più paura. (77).

Modesto Di Gianantonio racconta invece che 2 giorni dopo è giunto uno che ha detto di aver visto passare un gruppo di tedeschi che salivano dal greto del Leale, e che qualcuno era andato a vedere e aveva trovato delle divise abbandonate. Qualche giorno dopo si è saputo che il gruppo era stato portato a Forgaria dai partigiani che li avevano catturati. Allora una squadra dei nostri è andata a prenderli e li ha portati dalle parti di Peonis. (78).

Per Caterina Ridolfo, si è venuto a sapere che c’era uno di Forgaria che stava accompagnando un gruppo di prigionieri che tentava di ritornare a casa, ed erano quelli che avevano ucciso, che avevano ancora le bombe addosso. Si sono dispersi dalle parti di Forgaria ma dopo devono averli catturati. (79). Secondo Ridolfo Caterina, i tedeschi che erano scappati li hanno presi nella zona di Forgaria, li hanno portati in paese ed uccisi. (80). Giacomino Rodaro narra che i nazisti che avevano causato la strage furono catturati da uomini forse partigiani che erano di sentinella sulle montagne, qualche giorno dopo, nei pressi del Leale. (81). Ma poi le testimonianze si moltiplicano ed arricchiscono di particolari.

Per Giovanni Stefanutti i partigiani si sono riuniti per cercare di bloccare i tedeschi e ne hanno catturati molti ad Alesso e lì ‘dai Paladìz’ facendo un posto di blocco. E hanno fermato anche quelli che avevano rubato ad Avasinis. E li hanno inviati giù. (82).

_________

Indipendentemente dalle caratteristiche fisiche attribuite da Giovanni Turisini agli SS che avevano compiuto la strage di Avasinis, “grassi e pasciuti”, egli narra una storia similare a quella di Giovanni Stefanutti. Al posto di blocco di Alesso e ‘dai Paladìz’, coperto anche da due mitragliatrici poste sul colle, erano stati fermati dai partigiani coloro che venivano poi riconosciuti come autori della strage, quindi venivano gettati in un orto e condotti successivamente ad Avasinis. (83). Un’ altra testimone, Norma Cecchini, dice che ad Avasinis furono riempiti di botte, ma poi consegnati agli Inglesi (84), ma lo vedo improbabile. Ammesso che qualche donna abbia riconosciuto gli autori della strage, che quindi sono stati portati ad Avasinis e massacrati di botte dai parenti delle vittime, non si sa come siano stati consegnati agli inglesi.

Ma a posteriori, affermando che questi erano stati massacrati, in particolare se poi nessuno fosse riuscito a dimostrare che erano veramente quelli che avevano ucciso ad Avasinis, si poteva avere dei guai … Ed ecco comparire più versioni … O nessuno degli intervistati sapeva molto di più.

Eppure che abbiano massacrato di botte un gruppo di prigionieri è testimoniato da più fonti: Li hanno portati in paese con il cartello “Siamo gli assassini di Avasinis” e li hanno fatti morire in maniera bestiale, racconta Modesto D Gianantonio. «Li hanno cercati e ne hanno presi 22 che sono stati uccisi con pala e piccone» – narra Dino Ferragotto. Per Giacomina Di Doi ne hanno catturati solo 8 o 10 e li hanno portati in piazza, dove li hanno uccisi con pale e picconi. E così narra anche Giovanni Turisini.

_________

Come già scritto, Maria Rodaro dà una versione similare dei fatti, ma poi dice di esser stata trascinata via dal padre, che quindi non ha partecipato alla mattanza dei tedeschi avvenuta però nella piazzetta dell’osteria. E pare, secondo Rosa Cossio, che uno, a cui avevano ucciso la moglie, non abbia voluto partecipare alla uccisione dei tedeschi. Caterina Di Gianantonio non è però sicura che i 5 o 6 catturati fossero SS, ma «uomini che erano stati in paese con i tedeschi, e pensavano di tornare a casa vestiti con quello che avevano rubato nelle case».

Poi questi trucidati dall’ira popolare vennero portati con una barella verso il Leale e sepolti, non credo proprio dopo essersi scavata la fossa, perché erano già morti o quasi, e pare che ce ne fosse solo uno vivo, secondo Pietro Franzil. (85).

Insomma a me pare che si possa dire che un gruppetto di nazisti sia stato fermato ad un posto di blocco, che le donne abbiano riconosciuto fra loro, forse, qualcuno che aveva partecipato alla strage, e che i partigiani abbiano consegnato costoro agli uomini di Avasinis. Quello che non si capisce, però è come mai fossero, per alcuni, dei prigionieri, a meno che non fossero stati fatti prigionieri al posto di blocco, ma allora non dovevano esser consegnati sapendo come sarebbe finita. Inoltre le donne e i pochi rimasti in paese avevano visto solo uno o due di loro, e come abbiano fatto, in quel momento di grande fragilità e dolore, a riconoscerli con certezza non si sa.

Quindi alcuni testimoni, Giovanni Cucchiaro, Giacomo Rodaro, Dino Ferragotto e Giovanni Turisini testimoniano che anche l’uccisione dei cosacchi prigionieri negli stavoli avvenne dopo la strage (86), ma se così è avvenuto, è una strage di inermi e prigionieri disarmati, e come tale avrebbe dovuto essere presa in considerazione. Comunque pare che, in questo modo, per alcuni, giustizia sia stata fatta, ma io ho qualche dubbio etico e morale su questi comportamenti, e su queste testimonianze che non definiscono mai chi ha veramente compiuto le azioni di pestaggio e le uccisioni di prigionieri cosacchi disarmati, sempre riferite come compiute da terzi o da uomini in generale, o parenti delle vittime, ma non tutti ma … E questo fa pensare che all’interno della comunità di Avasinis qualcuno avesse poi capito che massacrare in quel modo magari tedeschi di cui non si era poi così sicuri fossero quelli della strage e presi prigionieri, non era stata davvero una buona azione, e magari fosse preferibile dire che erano stati solo ed unicamente partigiani a fermarli e consegnarli. Ma neppure uccidere i cosacchi arresisi non era stato poi un granché eticamente, anche se l’onore paesano maschile era stato salvato e l’onta lavata. Ma è proprio così? Ora, come scrive il prete, «c’è l’attenuante dell’esasperazione per tanto sangue, lutti, rovine e quindi di un animo terribilmente scosso che non vedeva più ragione o virtù, ma come rimproverare gli altri se poi ci si è comportati così male?»  (87). Non lo so ditemi voi che pensate, e se erro correggetemi.

Inoltre il fatto che il ponte di Braulins fosse stato fatto saltare dal gruppo passato il 1° maggio, pensando quindi di non avere altri gruppi organizzati di SS dietro, e la descrizione del gruppo che raggiunse Avasinis potrebbe far pensare, che fosse, forse, come già scritto, un gruppo di militari addestrati per la guerra antipartigiana raccogliticcio intorno a due capi, slegato dalla regolare ritirata nazista. Ma è solo una ipotesi.

_________

Ho tentato di capire qualcosa, e ringrazio Pieri Stefanutti per il lavoro fatto, ma se gli uomini del paese praticarono già la loro vendetta, cosa interessa ad Avasinis, Pieri, sapere chi furono gli autori della strage, ora come ora? Certamente sarebbe un dato importantissimo per gli storici, ma credo sia un compito molto difficile con le informazioni che oggi si hanno, tanto che non è riuscita a giungere a questo scopo neppure la giustizia militare che io sappia. Quello che si può forse notare,  è come il modus operandi del gruppo sia simile a quello di alcuni che fecero stragi in Jugoslavia ma anche in Veneto ed in altre regioni d’ Italia. Ed erano anche italiani, vedi Lipa, vedi le stragi della Decima Mas, vedi …. l’elenco è lungo. Non da ultimo, vistosi perdenti, molti nazisti bruciarono i documenti in loro possesso e piano piano, fascisti, picchiatori, veri criminali, acquistarono una nuova verginità. Infine molte cose si sanno, Pieri, tranne forse chi furono realmente i criminali nazisti ed i comprensibili ma non giustificabili, anche se non paragonabili certamente ai nazisti, uomini di Avasinis o partigiani osovani, come qualcuno sussurrava, ma non è dato sapere, che uccisero prigionieri cosacchi disarmati. Ma se giustifichiamo del tutto questi, allora perché invece gridiamo agli assassini, quando a colpire chi aveva distrutto la loro terra, militari, collaborazionisti, questurini , ex- fascisti, torturatori efferrati, furono militari od appartenenti alla polizia jugoslava, giunti presumibilmente con elenchi già pronti, che utilizzarono per lo più l’internamento, lasciando poi rientrare alcuni? Senza voler offendere alcuno questo ho scritto, ed è un mio punto di vista, e l’ho fatto per cercare di capire, e se erro correggetemi.

Laura Matelda Puppini

__________________

Note.

1 – Mario Candotti, Lotta partigiana tra Meduna, Arzino e Tagliamento, i rastrellamenti dell’autunno 1944, in Storia Contemporanea in Friuli, 1981, n. 12., p. 20. In particolare il btg. Matteotti operava in zona Trasaghis – torrente Arzino dal luglio 1944.

2 – Ivi, p. 26. Qui si legge che il battaglione osovano ‘Libertà’, aveva distaccamenti che pattugliavano il Tagliamento da Avasinis a Cornino e lungo l’ Arzino da Cassiacco ad Anduins e Pert in collaborazione con gli altri reparti partigiani della zona.

3 – Romano Marchetti, (a cura di Laura Matelda Puppini) Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona. Una vita in viaggio nel ‘900 italiano, scheda di Giovanni Pizzo, detto Nino, ‘Carnico’ di Laura Matelda Puppini, pp. 406- 407. Pizzo poi, dopo il proclama Alexander, lasciò il territorio dell’Alto Friuli e si portò a Mortegliano, suo paese di origine, dove comandò, successivamente, un battaglione di pianura. Il btg. Val Tagliamento ridotto a pochi componenti, secondo Romano Marchetti svernò in Val Agnel sopra Cjampaman, forse guidato da Soranzo o da un altro.

4 – Mario Candotti, op. cit., p. 32;

5- Como vuê. 70 anni fa l’incendio di Bordano, in: http://cjalcor.blogspot.com/2014/07/.

6- Mario Candotti, op. cit., pp. 42-44.

7 – Pieri Stefanutti, Lâ e viodiu rivâ, Lo sfollamento dell’ottobre 1944 e l’occupazione cosacca della Valle del Lago (sintesi), in: https://carnialibera1944.it/zonalibera/convegno_treppo/repubblicapartigiana_3.htm. Pieri Cfr. anche: Pieri Stefanutti, Novocerkassk e dintorni. L’occupazione cosacca nella Valle del Lago (ottobre 1944 – aprile 1945), Udine, IFSML, 1995.

8- don Francesco Zossi, Avasinis 1940 – 1945 – il diario del Parroco di Avasinis e altre testimonianze della seconda guerra mondiale nel territorio di Avasinis, a cura del Comune di Trasaghis, 1996, p. 30 della pubblicazione. Fino a p. 45 della pubblicazione è riportato il diario di don Zossi, con originale a fianco e diversa numerazione. Poi il testo continua con un grande numero di note ampie a corredo che spiegano sufficientemente bene i fatti, opera di Pieri Stefanutti, che ha curato la parte storica del volume, e di parti da testimonianze orali.

9 – Ivi, p. 37.

10 – Ivi, p. 59.

11- Ivi, p. 66.

12 – Ivi, p. 53 e “Intervista a Roberto Bellina ‘Due’ in: “Avasinis luogo della memoria, postato su you tube da Roberto Solari 1°maggio 2013. Video edito dal Comune di Trasaghis e dal Centro Documentazione del Territorio”, in: https://www.youtube.com/watch?v=cnBI97tse-Q.

13 – don Francesco Zossi, op. cit., p. 37.

14 – Ivi, p. 66 e “Intervista a Roberto Bellina ‘Due’, op. cit.

15 – don Francesco Zossi, op. cit., p. 54.

16 – Ibidem.

17 – Ibidem.

18 – don Francesco Zossi, op. cit., p. 37.  

19 – Ivi, p. 54.

20 – Nel merito, su www.nonsolocarnia.info il mio: Storia della collaborazionista X Mas con i nazisti occupanti, dopo l’8 settembre 1943. Per conoscere e non ripetere errori.

21 – don Francesco Zossi, op. cit., p. 55, su cui si trovano anche i nomi. Furono presi come ostaggi per coprire la colonna in ritirata: Vincenzo Ridolfo di Avasinis, Pietro Stefanutti di Oncedis, e Giovanni Colavizza di Trasaghis, sopravvissuti; fu ucciso, nei pressi del cimitero di Avasinis,  Gino Bianchi, nome di battaglia ‘Ero’  giovanissimo partigiano della 3 ^ Brigata Osoppo di Gemona, nato il 26 settembre 1926; mentre ad Alesso vennero freddati Provino Tomat, nome di battaglia  ‘Fiume’ di Trasaghis -Alesso nato nel 1922, sempre della 3 ^ Brigata Osoppo, e Maria Stefanutti, nata nel 1928, forse perché si trovava nel posto sbagliato nel momento sbagliato, casalinga; la giovane ferita in modo grave ad Interneppo era Felicita Rossi, mentre a Cavazzo Carnico fu ucciso il 5 maggio 1945 il partigiano della 2^ Brigata Osoppo, Oddone (anche Adone) Stroili, classe 1920. 

22 – “Intervista a Roberto Bellina ‘Due’, op. cit.. E così in: don Francesco Zossi, op. cit., p. 66: «Nella stessa mattinata circa 200 SS tedesche avevano passato il ponte del Tagliamento e poi lo avevano fatto saltare dietro di sé e bivaccavano per Trasaghis».

23 – Interviste in: “Avasinis luogo della memoria…”, postato su you tube da Roberto Solari 1°maggio 2013. Video edito dal Comune di Trasaghis e dal Centro Documentazione del Territorio”, in: https://www.youtube.com/watch?v=cnBI97tse-Q

24 – Ibidem.

25 – don Francesco Zossi, op. cit., p. 78.

26 – Ivi, p. 38. Qui così don Zossi: «All’ annuncio della direzione di quella compagnia di tedeschi, tutti da capo ripetono il gesto di sei mesi prima e fuggono in montagna trasportando quanti effetti possono». Ma sono solo gli uomini, pare.

27 – Giovanni Angelo Colonnello, Friuli Venezia Giulia, zone jugoslave, guerra di Liberazione, Ud, 1965, p. 277.

28 – “Intervista a Roberto Bellina ‘Due’ in: “Avasinis luogo della memoria…” op. cit.

29 – don Francesco Zossi, op. cit., p. 73.

30 – “Intervista a Roberto Bellina ‘Due’ in: “Avasinis luogo della memoria…” op. cit.

31- Non si capisce però come qualcuno potesse pensare che ritornassero indietro verso Peonis, quando il Col de Sole si tra Trasaghis e Avasinis. (https://camminateinfriuli.it/index.php/itinerari/itinerari-ud/anello-del-col-del-sole-da-avasinis).

32 – don Francesco Zossi, op. cit., p. 73.

33 – Ivi, p.56.

34 – Ivi, relazione operativa del btg. ‘Friuli’ in ‘La Scopa’ 4 giugno 1945.

35 – Intervista a Roberto Bellina ‘Due’ in: “Avasinis luogo della memoria…” op. cit.

36 – Ibidem.

37 – Ivi, testimonianza di Elena Rodaro, 2005.

38 – Ivi, testimonianza di Aldo Ridolfo, 2005.

39 – Ivi, testimonianza di Giacomina Di Doi, 2005.

40 – Ivi, testimonianza di Cesarino Venturini, 1990.

41- Ivi, testimonianza di Caterina Di Gianantonio, 2005.  

42 – Ibidem.

43- Ivi, Testimonianza di Giacomino Rodaro, 2005. Ma la lunga agonia di Pizzato è descritta pure da Aldo Ridolfo, 2005, sempre in: “Avasinis luogo della memoria…” op. cit.

44 – Che il primo gruppo entri a piedi è testimoniato da più persone.

45 – Testimonianza di Giacomino Rodaro, in: “Avasinis luogo della memoria…” op. cit.

46- Ibidem.

47 – don Francesco Zossi, op. cit., p.73.

48- Ivi, pp. 73- 74. 

49 – I racconti sugli uccisi fanno riempiono le interviste in: “Avasinis luogo della memoria…”, postato su you tube da Roberto Solari 1°maggio 2013. Video edito dal Comune di Trasaghis e dal Centro Documentazione del Territorio”, in: https://www.youtube.com/watch?v=cnBI97tse-Q.

50 – Ivi, Testimonianza di Giacomino Rodaro, fratello di Anna, 2005.  

51- Ivi, testimonianza di Caterina Di Gianantonio, 2005.

52- Ibidem.

53 – Testimonianza di Caterina Di Gianantonio, in: “Avasinis luogo della memoria”, op, cit.

54 – don Francesco Zossi, op. cit., p.78. Sulla uccisione del ‘muto’ testimoniano sia Giacomo Rodaro che Rita Rodaro. Preciso che Giacomo Rodaro è sempre Giacomino Rodaro intervistato anche nel filmato citato, ove parla della morte del muto.

55- Testimonianza di Caterina Di Gianantonio, in: “Avasinis luogo della memoria”, op, cit.

56- don Francesco Zossi, op. cit., p.78.

57 – Rita Rodaro, dice che anche gli uomini eran stati rinchiusi ma non vi è riscontro in altre testimonianze. Però era possibile che anche uomini fossero stati rinchiusi per poi venir deportarti ma in quel momento era inverosimile il farlo, e frutto magari solo di comportamenti acquisiti.

58- Maria Rodaro invece, che è la donna che trova un militare che la accompagna a casa a cercare la madre che giace riversa uccisa in casa, dice che erano una trentina. Testimonianza di Maria Rodaro, in: “Avasinis luogo della memoria”, op, cit., dice che erano una trentina.

59 – Testimonianza di Caterina Di Gianantonio. Maria di Pilucian è Maria Rodaro, di cui alla nota sopra, che nel filmato citato racconta anche nel dettaglio questa esperienza.

60- Paolo Pezzino, Le stragi di civili tra storia e memoria, in «Archivio trentino» pp.15-27. file:///C:/Users/User/Downloads/HJ-

61- don Francesco Zossi, op. cit., p. 57.

62- Ivi, p. 74.

63- Ivi, p.78.   

64- Ibidem.

65- Ibidem.

66- Testimonianza di Giacomino Rodaro, 2005 in: “Avasinis luogo della memoria”, op, cit.

67 – Ibidem.

68- don Francesco Zossi, op. cit., p.79.

69 – Racconto di Pieri Stefanutti in: “Avasinis luogo della memoria”, op. cit.

70- Ivi, testimonianza di Caterina Di Gianantonio.

71- don Francesco Zossi, op. cit., p. 44.

72- Ivi, p. 45.

73- Testimonianza di Maria Rodaro, in: “Avasinis luogo della memoria”, op. cit.

74 – don Francesco Zossi, op. cit., testimonianza di Maria Del Bianco, p. 80.

75 – Parte relativa ad un discorso intorno al tavolo alla fine del filmato, in: “Avasinis luogo della memoria”, op. cit.

76- don Francesco Zossi, op. cit., p.80.

77- Ibidem.

78- Ibidem.

79 – Ibidem.

80 – Ibidem.

81- Ivi, p. 81.

82- Ibidem.

83- Ibidem.

84 – Ibidem.

85 – Ibidem.

86- Ivi, pp. 81-82.

87- Ivi, p. 45.

__________________

L’immagine che accompagna l’articolo è una di quelle che si trovano al suo interno. L.M.P.

https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2024/06/testimoni.jpg?fit=285%2C177&ssl=1https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2024/06/testimoni.jpg?resize=150%2C150&ssl=1Laura Matelda PuppiniSenza categoriaCercherò qui di scrivere quanto ho capito sulla strage di Avasinis avendo come riferimento quanto riportato principalmente nelle note in: don Francesco Zossi, Avasinis 1940 – 1945 – il diario del Parroco di Avasinis e altre testimonianze della seconda guerra mondiale nel territorio di Avasinis, a cura del Comune...INFO DALLA CARNIA E DINTORNI