Cinquanta anni fa passava anche al Senato la proposta di Bruno Lepre per il voto a 18 anni. Ma spirava un’altra aria in Italia ed in Europa.
Marco Lepre mi ha inviato, per i 50 anni del voto ai diciottenni, il discorso al senato di suo padre, il senatore Bruno Lepre, socialista, un politico colto e di altri tempi oltre che notaio, a cui si deve pure l’impegno nel portare avanti il periodico ‘Il Lavoro’ nel secondo dopoguerra, praticamente da solo e che appoggiò la legge n. 1102 del 1971, recante “Nuove norme per lo sviluppo della montagna”. Non riporto in questo articolo chi fu Bruno Lepre perché ho già pubblicato una sua scheda biografica qui insieme a quella di suo padre Romano Lepre nel mio: Persone di rilievo della Carnia. Romano Lepre e suo figlio, il socialista, deputato e senatore, Bruno Lepre. a cui rimando e che vi invito a leggere. Pertanto qui riporterò solo il suo discorso al Senato per la legge da lui proposta.
Voto ai diciottenni: per una democrazia più giovane e moderna.
Discorso pronunciato al Senato della Repubblica nella seduta del 18 febbraio 1975.
«Signor Presidente, signori Ministri, onorevoli senatori, il mio breve intervento è per motivare il voto favorevole del Gruppo del PSI al disegno di legge che, modificando l’articolo 2 del codice civile, abbassa da 21 a 18 anni l’età utile per conseguire la maggiore età e con essa la capacità di esercitare tutti i diritti civili; per riflesso essa attribuisce ai giovani diciottenni anche il diritto di voto, poiché l’articolo 48 della Costituzione riconosce un tale diritto a tutti i cittadini che hanno raggiunto la maggiore età.
Il disegno di legge è nella sostanza quello che proposi, a nome del PSI, il 14 novembre 1968 alla Camera e che ottenne, in sede referente, l’approvazione unanime della Commissione giustizia di quel ramo del nostro Parlamento il 1° aprile 1971 e che fu presentato all’esame dell’Assemblea di Montecitorio nel luglio 1971, da una relazione di completa adesione stilata dall’onorevole Maria Eletta Martini. Ed è lo stesso testo che riproposi al Senato nel giorno inaugurale di questa legislatura.
Pur conscio delle difficoltà che si incontrano nel nostro paese quando si portano avanti problemi come questo, che sono i problemi delle libertà civili e dell’ammodernamento della nostra società, ero convinto che i tempi della loro proposizione fossero più che maturi, quasi venticinque anni dopo la Liberazione dell’Italia. Confortava questa mia tesi il fatto che già all’epoca della Resistenza, quando eleggemmo le giunte comunali nel territorio amministrato dal governo della Carnia libera e dello Spilimberghese, sorti per eroico sacrificio dei partigiani delle divisioni Garibaldi e Osoppo e delle sue valorose popolazioni, fu pacifico che ai giovani diciottenni competesse e il diritto di votare e il diritto di essere candidati ed eletti.
Ora alla mia parte politica pare che il nostro disegno di legge, integrato dall’utile apporto della analoga proposta presentata nel luglio scorso dal senatore Petrella e da altri colleghi del Gruppo del PCI, realizzi con maggiore completezza anche i contenuti della proposta di legge costituzionale già approvata dalla Camera per la quale noi riconfermiamo il voto positivo, proposta che tende un po’ a svecchiare i quadri dell’elettorato attivo e passivo, in adeguamento alla crescita culturale del paese, che ha trovato verifica positiva nelle generose battaglie di civiltà portate avanti in questi anni proprio dai giovani operai e studenti nella fabbrica, nella scuola e nella società: nel senso che il cittadino può essere elettore ed essere anche eletto solo se allo stesso si riconosce la piena maturità e la completa disposizione di tutti i diritti civili e non solo di quelli politici ed elettorali.
Mi pare questo il messaggio della Costituzione che, indicando nell’articolo 48 il requisito della maggiore età per avere diritto al voto, ha sanzionato la non divisibilità della maturità civile da quella politica, messaggio confortato dal 1969 in poi, dalla analoga strada scelta dalla Germania Federale, dall’Inghilterra, dagli Stati Uniti, dalla Repubblica di Francia.
E bene si è detto qui che queste iniziative non vanno considerate e interpretate come un dono ai giovani, ma come presa d’atto della comunità che il suffragio universale è carente nella storia d’oggi, se si escludono i giovani diciottenni dalla partecipazione e dal voto.
I giovani che, oltre ad essere l’eterno volano dinamico del progresso sociale fuori di ogni compromesso, hanno anche il merito di aver ideato una società più civile, ci hanno dato la visione di una scuola sempre più vicina interprete della domanda del paese reale e di un sindacato che, uscito dal ghetto della mera rivendica contrattuale, prospetta tutte le esigenze dei lavoratori che sono sì di salario decente, ma che sono anche di scuola aperta, di servizi sociali adeguati, di cultura e informazione volte ad accrescere la libertà dei cittadini.
Sono queste squisite conquiste dei giovani nelle generose battaglie di questi anni, conquiste e prospettazioni con le quali la democrazia e le stesse forze politiche devono fare i conti, se vogliono marciare con i tempi, che legittimano il riconoscimento della loro maturità e il dovere della comunità di arricchirsi del loro apporto generoso e puro che reclama un nuovo modo di essere e di esprimersi della società e dei suoi quadri dirigenti.
I giovani, ad esempio, non credono, e diventano di istinto extraparlamentari, a uomini ed a forze politiche che dopo aver gestito per trent’anni il potere, tutto il potere, ritornano oggi a parlare dell’esigenza di una nuova politica dell’ordine pubblico, della lotta alla criminalità e al fascismo, di una moderna politica della casa, della scuola e degli ospedali, come se sbarcassero oggi in Italia dopo trent’anni di esilio. Così come non credono ai politici che dicono sì e pensano no, come è accaduto più volte nel tormentato iter della proposta di legge per la maggiore età, dove la paura del voto giovanile per lo meno tradisce una carenza di volontà a progredire.
La partecipazione giovanile impone anche un modo di essere più serio, un metodo meno levantino di affrontare i problemi della nostra società e rappresenta una condizione moralizzatrice e per il paese e per gli stessi partiti politici. E la valutazione della ricchezza del loro contributo ci deve spingere a fare una politica per i giovani, soprattutto per quelli che fuggono dal meridione e dalle montagne del nord. Ciò significa soprattutto il posto di lavoro vicino a casa, per dare modo alla loro presenza di garantire la crescita libertaria e democratica del paese. Bisogna pensare anche a quella grossa bomba che potrebbe scoppiarci tra le mani e che è rappresentata dalla paurosa disoccupazione intellettuale, se è necessario anche rivedendo la politica della scuola e dell’università di questi ultimi anni.
Questi i motivi che legittimano oggi il voto favorevole del PSI alla maggiore età ai giovani diciottenni (punto di riferimento, certo, acquisito anche dal nuovo diritto di famiglia) e all’abbassamento dell’età per l’elettorato attivo e passivo, che sono poi gli stessi motivi per cui il Partito socialista si è battuto per primo, e sempre e sinceramente tra i primi, per questa conquista civile. Questi stessi motivi legittimano anche l’impegno del PSI a far subito approvare anche dalla Camera la legge della maggiore età, quale via breve ed unica per consentire ai giovani di votare a primavera, anche se questa prospettiva, non certo per colpa nostra, si fa sempre più problematica.
Ci interessa per chi voteranno, ma non ne facciamo una condizione o una remora. Ricordo ancora le polemiche all’interno del mio partito e nei partiti laici e della sinistra quando trent’anni fa demmo l’assenso per il voto alle donne. Oggi questa preoccupazione non c’è più, al punto che non si sa se sia più progressista nel suo insieme il voto maschile o quello femminile. In Germania il voto dei giovani ha cacciato dal Parlamento nazionale i neonazisti; in Inghilterra hanno votato, al primo incontro, conservatore, nel momento in cui i laburisti assecondavano gli Stati Uniti nella prosecuzione della brutta guerra del Vietnam. L’importante è che votino e che partecipino, anche se ci faranno venire il fiato grosso per recuperare il troppo tempo perduto per attuare il precetto costituzionale.
In tutte le celebrazioni del trentennio della Resistenza, che hanno visto quest’anno una larghissima partecipazione di giovani a testimoniare che la salvaguardia dei valori della lotta di Liberazione significa la salvaguardia della Repubblica e delle istituzioni, abbiamo sentito i giovani ripeterci che la Costituzione non va riformata, ma attuata.
Nell’iniziare questo mio breve intervento di adesione per il Gruppo del PSI, pensavo, a proposito dei giovani, ai 22 giovanissimi ostaggi che erano in carcere con mio padre, fucilati dai nazisti ad Udine, fuori dal cimitero, quale rappresaglia perché giorni prima, alcuni nostri partigiani, travestiti da SS erano entrati nelle carceri di via Spalato per liberare alcuni prigionieri politici e alleati ammalati, tra cui due anziani sacerdoti.
Proprio trent’anni fa questi giovani, di fronte al plotone di esecuzione, prima di cadere, gridarono: Viva l’Italia libera, morte al fascismo! Sia anche, direi soprattutto, questo eroico combattere dei nostri giovani per la libertà impegno per noi a difendere la democrazia. Il voto positivo che oggi andiamo ad esprimere vuole essere interprete anche di questi grandi valori».
Bruno Lepre.
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Io ho vissuto la mia giovinezza in una Carnia ed in una Italia che credevano nella democrazia, nei diritti dell’ uomo, nella molteplicità delle idee, quando non c’erano ‘Meta’ ‘X’ ‘Telegram’ ‘Tic Toc’, quando i medici facevano i medici senza richiedere telecamere da indossare, quando non c’erano i cellulari, che possono essere utili, ma tolgono pure tempo per pensare in modo autonomo e sono mezzi sofisticati di controllo ed anche di propaganda, quando in Parlamento sedevano pure persone intelligenti che erano cresciute alla scuola della guerra e che la guerra non la volevano più vedere. Fu una ventata di freschezza che ancora si sente spirare in questo discorso di Bruno Lepre, che poi i vari governi Berlusconi ed i politici che credevano di essere grandi economisti, ma forse solo per sè, spensero, abbruttendo anche il contesto parlamentare con risse, prese in giro e turpiloqui. Ed in questi giorni un rappresentante della Fracia si è adirato e lo ha detto pubblicamente, (c’è il video che ho postato su facebook) perché in una riunione europea dove si stava discutendo della tragedia di Gaza, c’erano politici europei che ridevano ascoltando di innocenti: donne, uomini, vecchi/e ragazzi/e e bambini e bambine uccisi, di elettricità saltata e quindi di acqua che non si può più desalinizzare, di cibo negato. Ed ora ci ritroviamo così, nella melma dell’ oscurantismo intellettuale e tra i tentacoli dei nuovi totalitarismi che distruggono il futuro. E questo accade anche per noi italiani che potevamo far vanto un tempo andato della nostra cultura, storia, arti, dei nostri poeti e naviganti, cancellando passato e filosofia ed anche la freschezza della giovinezza a cui fu donato il voto a diciotto anni su proposta di un senatore carnico che credeva nel futuro. Ma ormai questo voto che fu una conquista, appare svilito dalle diverse leggi elettorali e da un dibattito da far paura, mentre già fra i giovani serpeggia forse anche giustamente, il pensiero che tanto i politici sono tutti uguali, sono persone che pensano solo a se stesse. Pertanto vanno sempre meno a votare. e magari sono entusiasti ed emozionati al primo voto ma poi la loro positività va spegnendosi. O tempora o mores!
Laura Matelda Puppini.
La immagine che accompagna l’articolo rappresenta una ragazza che va a votare. (Da: http://avveniredi calabria.it). L. M.P.
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