Ciro Nigris, il comandante carnico garibaldino ‘Marco’. Resistenza, Costituzione attualità. Intervista di Jacopo Cipullo, Denis Guarente, Marco Martinis, anno 2001: parte seconda.
Questa è la seconda parte dell’intervista a Ciro Nigris, datata Udine 2001, fatta da due giovani ignoti ed a me giunta attraverso Mauro Fiorenza. La trascrizione è mia, con qualche minima modifica linguistica solo per adattare il linguaggio parlato a quello scritto. Laura Matelda Puppini
Parla ancora Ciro Nigris.
Mia madre mi bendisse e poi mi disse “Va, mo, frut!”
Ciro Nigris riprende a parlare ricordando il suo saluto alla madre che lo benedisse, come si usava quando un figlio faceva una scelta importante, che lo portava lontano dalla madre, visto come nume tutelare della famiglia. E poi il suo: «Va, moh, frut!».
Nigris: «Mia madre aveva anche una consapevolezza familiare (parte incomprensibile per l’emozione che rende incerta la voce),ma non si è mai sognata di dirmi: “Resta con me”. Era il destino dei giovani andare, era considerata una necessità organica, e non vi erano dubbi nel merito. E così venivano i ragazzi alla resistenza.
Si capisce che poi diventò greve il peso dell’organizzazione partigiana, con l’affluire di uomini, anche sotto il profilo alimentare, dell’armamento, dell’impiego di questi ragazzi … E poi ci tenevano sul chi vive i tedeschi, intendiamoci. Perché continuamente c’erano infiltrazioni, eccetera. E poi c’era l’attività militare: sorprese continue, continui attacchi. Attaccavamo presidi: dei carabinieri prima, dei repubblichini poi, e dei tedeschi. Attaccavamo lungo la valle del But, per esempio, ed i fortini di Tolmezzo erano sempre più o meno assediati. (1). D’altro canto i tedeschi, partendo da Tolmezzo, si muovevano ed agivano in continuazione verso Verzegnis, verso Amaro, verso Villa Santina. Insomma, ci si teneva ‘allegri’, così ecco, per necessità organica di presenza, altrimenti che si stava a fare?»
Avevamo coraggio, avevamo talvolta, paura, ma non c’era il tempo per pensare.
L’intervistatore chiede se provassero paura.
Nigris: «No, no, anche se c’era da aver paura. Ad un certo punto non ci pensi, e fai quello che devi fare. Ho conosciuto pochi partigiani che avevano paura: qualche volta essa era presente in qualcuno che era stato lungamente provato, che aveva corso rischi grossissimi. Ed allora gente che aveva avuto un fegato da leone, ad un certo punto pensava: “Ustia”! I pos ancje muri! (Accidenti! Posso anche morire!)”. Invece prima no … Ma è una cosa che può accadere. Ho avuto uno o due casi così, singolari, ma non facevano neanche ‘specie’ perché era così … casi umani.
Uno che magari aveva rischiato la vita venti volte nei gap, che giravano in città armati per fare esecuzioni, pericolosissimo esercizio, poi ad un certo momento pensava. “Ustia, I pos ancje muri!”. Era così».
Senza l’aiuto delle donne, partigiane o meno, avremmo fatto ben poco.
L’intervistatore chiede a Nigris che ruolo avessero avuto le donne nella Resistenza.
Nigris: «Senza l’assistenza delle donne non avremmo fatto granché. Anche perché noi le donne le sentivamo sempre come una presenza sororale, materna.
Un giorno su di un ponte, dopo un’azione, mentre stavo ritornando di corsa alla base, una donna mi ha visto e mi ha detto: «Ioh, biade frute, cemut fasie a stâ cun chei partigians, iei, cun ches fadias e ches poras? (O, povera ragazza, come fai a stare con i partigiani, con tutta quella fatica e quella paura?). Mi aveva scambiato per una donna, perché avevo i capelli lunghi sino alle spalle, ed avevo un volto molto da bambino.
Ed anche nelle case c’era molta comprensione. Però si capisce … e si fa presto a dire, ma dove c’erano partigiani c’era anche paura. Quando io sono arrivato, la vigilia di Natale, a Pradumbli con un piemontesino, venendo giù dalla montagna, da Cjamp, dove ci eravamo rifugiati da soli, c’era tanta di quella neve che si vedeva la zona di Ampezzo, come da un oblò, ed ho raggiunto una casa e ho bussato. – “Cui esel, cui esel? (Chi è, chi è?)”- e parlava come si parla nella Pesarina. – “I soi Marco, sciore, i soi Marco. (Sono Marco, signora, sono Marco”. – “Cui? (Chi?)” – “I soi Marco, sciore. (Sono Marco, Signora).” – “Ioh, Marco, ca’ l’è plen di cosacs, achi! (Ioh, Marco, è pieno di cosacchi, qui!)”.
Ed è andata subito a cercare i partigiani che mi hanno accompagnato in Plan dal Bèc, dove poi sono stati sorpresi ‘Nembo’, ‘Tom’ e ‘Barba’ Ennio Radina.
Senza le donne, mi creda, non si sarebbe fatto nulla. E poi davano assistenza ai feriti, agli ammalati, sempre, pur vedendole preoccupate e spaventate. Perché naturalmente quando il peso delle situazioni diventava forte, sentivi intorno a te pure l’irritazione, la paura della gente. “È giusto pagare per voi?”- pareva ti dicessero. E si poteva capirli, perché i tedeschi sparavano, i cosacchi sparavano …
Noi comandanti dicevamo di non sparare mai ad un nemico isolato, se non per difesa.
Quando alcuni partigiani, nonostante avessero avuto la proibizione di agire isolatamente contro i cosacchi, (solo per ragioni di difesa personale potevano farlo), hanno disubbidito all’ordine, ci sono state rappresaglie feroci. (2). E la gente era angosciata. Io ho conservato una lettera, di una moglie, di una amica, che mi diceva: “Non fate così!”. Ma noi lo dicevamo: “non sparate ad uno isolato, ad un cosacco isolato, è ridicolo!” Se il cosacco ti spara o è pronto a spararti rispondi ma altrimenti … Perché, poi, durante il periodo cosacco, non c’era niente da fare, perché eravamo in pochi, e non vi era motivo per operare se non su comando diretto dei responsabili, dei comandanti. E noi si vietava l’azione personale. Ed infatti non ne sono state fatte. Ma quando sono state fatte, sono state, veramente, fonte di guai».
Quindi Ciro Nigris si rivolge al giovane intervistatore ed al suo accompagnatore, e chiede, ridendo: “E voi come la vedete la storia della Resistenza? Sentiamo.” Ma i giovani non hanno tempo di rispondere perché Nigris riprende a parlare, ricordando Ennio Radina.
Ho conosciuto Ennio Radina quando era sergente sotto il Regio Esercito Italiano …
Nigris: «Ho conosciuto Ennio Radina, che era un sergente, quando ero ufficiale in fureria nella Valle del Natisone. Poi nel dicembre 1944, quando sono giunto nel loro bunker a Plan dal Bec, mi ricordo che stava cantando ‘Olandesina, mia’ con una voce altissima. (3). Aveva una voce estremamente acuta, Ennio. Io sono stato lì, in quel bunker, quattro o cinque giorni, ma poi ho detto che lì non si poteva più stare, perché era facile che il nemico ci raggiungesse. E così io sono andato indietro, e loro mi hanno mandato indietro, dicendomi: “Vai, che noi arriviamo”. Invece furono catturati. E Ennio fu arrestato con ‘Tom’ e furono fucilati qui, ad Udine, alle carceri, il 9 aprile 1945.
E mi ricordo proprio Ennio che cantava ‘Olandesina, mia’ con questa voce altissima, e io ho risentito per anni quella voce che cantava. Radina Ennio, di Villa Santina, che ha anche avuto una figlia, e che è stato fucilato con ‘Tom’… Sono ricordi che pesano. Perché fra di noi si era creato un rapporto, che non si può chiamare di amicizia, ma di una solidarietà unica. Vita per vita, insomma».
Quindi Ciro Nigris si scusa per aver parlato a ruota libera.
Le conquiste del dopoguerra furono limitate, e molti in Carnia dovettero emigrare per vivere.
L’intervistatore chiede a Nigris cosa ha significato per lui, il ripristino dello Stato Italiano e delle leggi, dopo la fine della guerra.
Nigris: «Le conquiste di carattere legislativo, e che quindi sono conquiste di carattere sociale, profondo ed ampio, sono state limitate, perché ogni ampliamento dei diritti comporta limitazioni per chi li aveva tutti e che avrebbe dovuto, poi, almeno un po’ dividerli con gli altri. Ed è stato questo il problema.
Inoltre negli anni successivi alla guerra, vi era miseria, e vi fu l’emigrazione della Carnia… con contratti capestro. Ricordiamoci le miniere del Belgio, dove andarono a lavorare. Io ho diversi amici che sono andati in America meridionale, in America settentrionale, alla caccia di un lavoro. Per esempio ‘Odessa’ (4), un carissimo figliolo, aveva 18 anni quando è venuto partigiano con me. È morto a Buenos Aires, quattro anni fa. Ha dovuto andar via. Il destino era quello: non si viveva in Carnia. C’era la miseria, c’era la polenta ma con ben poco vicino. E quindi la vita era tirata, tirata, e senza prospettiva, perché la miseria generale era notevole. E c’erano paesi che avevano pagato poco la guerra, altri che avevano pagato di più. Inoltre la Carnia era terra senza reddito, e non dava da vivere certo in maniera agiata. Ed è vero che la Carnia era sempre stata povera, ma aveva emigrazione verso l’Austria, verso la Germania, verso le terre della Slovenia … prima. Ma dopo si era chiuso tutto questo, e quindi … Tutti a casa. Da militari a casa. A far che?
Era difficile, sapete, vivere, allora. E si vedeva che la gente soffriva, che i giovani non avevano soldi, soprattutto che non avevano prospettive. Ed allora: via, via, via! Sono sciamati, è sciamata una quantità enorme di ragazzi e di non ragazzi.
Io, alla fine della guerra, avevo 23 anni e studiavo, dovevo prendere la laurea. Poi, dopo la laurea, ho incominciato ad insegnare, e così … Ma quelli che avevano quattro, cinque anni o sei anni più di me, sposati, con bambini … Ouh! È facile dire restiamo in Carnia, ma … la poesia è poesia, e lo stomaco è stomaco.
I bisogni essenziali della salute, il pensiero dei figli (cosa farà mio figlio?) queste erano le preoccupazioni. Tu fai l’operaio e vai a batter pietre, e vivi in qualche modo, ma tuo figlio, che prospettive avrà? Sono problemi grossi, sapete, e siete tutti figli e potete capire … Ed era veramente una cosa angosciante, e c’era tanta miseria».
Padri costituenti e Costituzione.
L’intervistatore domanda cosa ha rappresentato per i partigiani la Costituzione e la creazione della costituente.
Nigris: «Dalla nostra azione è nata quella pressione politica da cui è nata la Costituente, e quindi l’istituto per lo studio della Costituzione. E membro della Consulta Nazionale, per noi, fu anche Mario Lizzero, da cui sono nati i padri della Costituzione, che hanno fatto una delle costituzioni più avanzate del mondo. È per questo che oggi si vorrebbe tagliare la testa della Costituzione. Perché si può tagliare il testo, perché la società muta. Ma quei principi che sono posti in apertura della Costituzione, i principi generali devono esser mantenuti. E non vi è costituzione che li abbia formulati in maniera così seria, perentoria, esauriente. Perciò bisogna impedire che Berlusconi o gli amici suoi, tutti assieme, li modifichino. Infatti loro, in particolare quel cattolico di destra, il prete (5), almeno credo sia un prete, dicono che questa costituzione è pessima e la dobbiamo cambiare. In particolare dobbiamo cambiare l’articolo primo. Queste testuali parole io le ho sentite da lui: “Perché una cosa noi la dobbiamo fare. Questa Costituzione è cattiva, anzi è pessima. Noi dobbiamo cambiarla, non solo ritoccarla ma cancellarla”.
Quando un uomo politico che oggi è a livelli altamente qualificati, parla al mondo cattolico in questi termini, Madonna mia, qui c’ è la coda del diavolo. Non si può, capite? Perché poi la Costituzione dice cose chiare, pulite, che valgono per tutti: per chi ha in tasca i miliardi e per chi non li ha. È una enunciazione dei diritti che sono elaborati in maniera così semplice e chiara, che veramente quei padri Costituenti sono dei padri per tutti noi. Ed erano grandi persone».
Noi abbiamo combattuto per la libertà di tutti i popoli.
L’intervistatore chiede se loro hanno combattuto per essere liberi in Carnia o comunque per la Liberazione d’Italia.
Nigris: «Noi abbiamo combattuto per la libertà di tutti i popoli. Noi abbiamo combattuto anche per lo Stato italiano, per la libertà dell’Italia, per avere in Italia uno stato avanzato. Il nostro saluto, quando si entrava in un ambiente, non so se lo conoscete. Mostrando il pugno chiuso, si diceva: “Morte al fascismo, libertà ai popoli”.
Le prime volte che siamo entrati nelle osterie, le prime volte che è entrato quel ragazzuolo che ero io, con il fazzoletto rosso, con il mitra… quando aprivo la porta e, con il pugno chiuso, dicevo: “Morte al fascismo, libertà ai popoli”, restavano raggelati. Poi si metteva via il mitra, si incominciava a conversare, si teneva un’ora di educazione politica, si enunciavano le ragioni per cui noi eravamo partigiani. E dopo seguiva il “I ven ançie iò! (Vengo anch’io)” “I ven ançie iò! (Vengo anch’io)”. Era una cosa commovente, intendiamoci, a pensarla oggi! Non si andava a nozze, e non c’erano stipendi dietro. C’erano soltanto il rischio e la passione di non restare lì fermi a far niente. Il giovane vuol fare. In quel caso voleva fare bene. Ed il giovane ama essere libero, è il suo istinto. Poi può essere irretito, trascinato dove non dovrebbe andare … Quanti giovani sono andati così con le Bande Nere, eccetera … molte volte costretti dalla famiglia, o per necessità economiche. Perché loro venivano pagati. Noi no, ma loro sì. Cioè mungevano all’erario pubblico, mentre noi lasciavamo buoni, che poi lo stato si è impegnato a pagare, ed ha pagato in parte. (6). Non era sempre facile, ma si viveva, però. La gente non ci hai mai negato… Si capisce che poi, man mano che aumentava il numero dei partigiani, diminuivano i viveri.
Noi avevamo creato, vicino alla sede del comando, un pastificio. E c’erano le partigiane che facevano pasta per noi con: farina, acqua e poco sale. E questa pasta appena fatta la si portava a tutti i reparti, e si mangiava quella, bevendo acqua. E sì si lamentavano spesso i giovani, perché avevano fame. Ma non c’era altro. E men che meno c’era nel periodo cosacco, anche per la gente. Perché erano state tolte le tessere, nella Zona libera, che era ‘Banditen gebiet”, territorio di banditi, e quindi era stata negata la tessera, che già prima era tanto corta. Ed allora le formazioni hanno dovuto preoccuparsi anche di questo, dell’alimentazione della popolazione, facendo in modo che il grano della pianura arrivasse qui.
Quindi la struttura funzionale all’alimentazione venne estesa fino “all’impossibile”, con l’intendenza ‘Montes’ (7). E ‘Montes’ è il nome di un grande, che dovete ricordare.
L’intendenza ‘Montes’ aiutò anche la Carnia.
‘Montes’ aveva creato un servizio di Intendenza, che, ad un certo momento, copriva tutte le formazioni. L’hanno preso e torturato a morte a Palmanova. E questa ‘macchina’ diciamo così, che provvedeva ai bisogni della gente, faceva sì che la pianura, immediatamente vicina alla montagna, organizzasse la raccolta del frumento, del grano, in modo che la gente della Carnia potesse andare ad attingere lì. E noi avevamo pure un ‘3Rò’ (8), un camion, che faticava lungo la strada del Rest, che non era quella di adesso, era una strada veramente difficile da percorrere.
E mi ricordo Pierìn, ma non so se sapete chi è Pierìn di Ampezzo (9) che abita a Tolmezzo, ed il cui padre aveva un servizio di automobili, ma non ricordo il nome, (lo vedo ogni tanto, ma quando si è vecchi si dimenticano i nomi …), che andava su e giù, su e giù, con il camion, in pianura, ad aspettare le donne per poi riportarle su. Cinquemila quintali di grano sono entrati in Carnia così, con questo servizio di intendenza, organizzato in tutta la Pedemontana. E andavano a rifornirsi le donne della Carnia. E tutti si davano da fare, perchè c’era inedia. Non era tutto quello che sarebbe servito, ma era sempre qualcosa, come la pasta fatta dalle partigiane. Poca acqua, poco sale, e poi tira, tira, e fai le righe, e guai se stringevano un po’ la pasta, ritornava tutto un blocco!
Però i partigiani non si lamentavano allora, li ho sentiti lamentarsi dopo. “Eh, con quella pasta!” Ma io non sapevo che il vitto sarebbe stato così povero. Eh, sono passati tanti anni … Però la tensione era tale, per cui non si pensava neppure a quello che si mangiava. E poi, comunque, davano da mangiare nelle case, non ti lasciavano senza.
L’Ors di Pani.
L’Ors di Pani. Voi sapete che era l’Ors di Pani? Quello è veramente stato uno dei personaggi più significativi della Resistenza. Aveva sempre, per tutti, qualche cosa. “Io i vi doi vaçjas ma no pioras. Parcè che, quant ca rivin i Cosacs, las vacjas me le puartin vie, ma cun lis pioris i voi in mont! Nissun a mi cjape, me! (Vi do mucche ma non pecore. Perché quando arrivano i Cosacchi mi portano via le mucche, ma con le pecore vado io, in montagna. E nessuno può prender me.)”. Avrà avuto un centinaio di pecore.
Era un uomo molto ricco, l’Ors. Era un uomo che faceva rendere questa sua azienda, che era veramente un’azienda modello, anche se con mezzi che ora definiremmo primitivi. Ma l’aveva fatta in modo che rendesse moltissimo. I suoi formaggi finivano tutti da Umberto De Antoni. La famiglia De Antoni aveva monopolizzato tutta questa produzione. Ed era, per noi, veramente un padre. Quando sono andato da lui, ho avuto un ottimo trattamento. Lui pensava che io fossi un uomo grande e grosso. “Cui setu tu? (Chi sei, tu?)” “I soi ‘Marco’ (Sono ‘Marco’)”. “I, non sta dî monadis! No sta fa monadis. (Non dire scemenze. Non fare scemenze)”. E io “Ma sì, sono ‘Marco’. E lui “Ma non sta dî stupidaginis”. Ma poi: “Ma sei ‘Marco’ … ‘Marco’?” “E sì”. “Iò i crodevi che tu fos un omenon! (Credevo tu fossi un omone grande e grosso!)”. È il nome che fa sembrare le cose più grandi.
E lui ci alimentava. Ha dato anche al mio reparto una mucca, l’abbiamo uccisa, e poi l’abbiamo fatta a pezzi. E ci ha dato il suo formaggio ed anche il suo sidro. Ma tutte le formazioni sono passate di lì. Pani era al centro. Da lì ci si muoveva in ogni direzione. Tutti si fermavano lì, anche i cosacchi, che gli hanno fatto fare una vita mica da ridere, eh!. Ha rischiato veramente la fucilazione. Poi si arrendeva e diceva: “I partigians a mi puartin vie dut. (I partigiani mi portano via tutto)” e così … L’ors di Pani. Uomo da ricordare nella Resistenza. Figura singolarissima, storica. E uno pensa, magari, che l’Ors fosse un omone, ma invece no. Non era più grande di me. Aveva una divisa sporca, ed era sempre in maniche di camicia. E non si metteva su la polenta, lì, se non c’era lui, per la famiglia. “Parcè no metit su la polente, sciore? (Perché non mettete su la polenta, Signora?)” “E no… Sa non l’è Toni a no si met su polente! (E no. Se non c’è Toni non si mette su polenta qui)”. Per noi la mettevano su, per loro no. Era uno ferrigno! Generoso con noi, ma era veramente un personaggio addirittura commovente e dagli occhi affettuosi. “Biaz fruz. (Poveri ragazzi)”. Così ci diceva: “Biaz fruz!”. Ed era molto, molto attento ai nostri bisogni. Era veramente un uomo singolare.
Era un polo di passaggio obbligato: di lì si doveva passare. E lui aveva sempre qualcosa da dare da mangiare. Dava le cose essenziali, e le dava come risultato di una disposizione all’affetto, sempre avuta anche prima della Resistenza. Io so che questa predisposizione l’aveva avuta già prima, con altre formazioni non partigiane ancora. Bella figura, morta tragicamente, però» (10).
I partigians ‘Han robat?’
L’intervistatore chiede se sia vero quelli che dicono alcuni, per sentito dire, che i partigiani rubavano per esempio da mangiare.
Nigris: «Qualche partigiano avrà anche rubato, avrà fatto qualche sciocchezza. Ma quando si sapeva si prendevano misure anche tragiche. Infatti erano veramente proibiti il furto e la violenza. Anche perché la gente dava senza bisogno che ci fosse violenza. Pure per i reparti non abbiamo mai avuto bisogno di alzare la voce. Bastava dire: “I vin fam (abbiamo fame)” e ci davano quello che potevano, quel po’ che avevano. Ma c’è stato, come in tutte le comunità, anche fra i partigiani qualche lazzarone.
Di quello che aveva fatto qualcuno siamo venuti a conoscenza dopo, per sua fortuna. Perché non c’erano molte vie di mezzo. C’era l’espulsione, è questa si è verificata in alcuni casi, ma c’erano anche modi più gravi di punizione corporale, e talvolta vi furono pure processi molto seri per atti di violenza, per furti, e cose di questo tipo. Ma ogni comunità ha i suoi ladri, i suoi mascalzoni.
Si capisce però che, in una società così povera, erano particolarmente urtanti queste cose. E quindi la gente ne ha risentito, purtroppo. “Han copât, han robat”. Bah, non siamo diventati ricchi.
Io non conosco partigiani che siano diventati ricchi allora. Diventati ricchi poi, sì, ma per iniziativa personale. Ci sono di quelli che hanno costruito strade meravigliose, ma quella volta “A no erin bez”. Non c’erano soldi. E non c’erano i soldi neppure per andare a far la partita a carte, perché se perdevi dovevi pagare il ‘taglietto’ (11) all’amico. Ma se i soldi non c’erano, non andavi a fare la partita. Allora era così. Oggi non è più così, perché 5.000 lire le hanno tutti in tasca, ma allora 50 centesimi potevi non averli, ed un ‘taglietto’ costava 20 centesimi. E dovevi averli perché, se perdevi la partita, dovevi pagare. Se invece la vincevi, ti rimanevano in tasca, ed eri tutto contento!»
Attività militare, cantare e chiacchierare segnavano l’attività partigiana della truppa.
L’intervistatore chiede quali fossero i giochi di carte che facevano, in particolare durante la guerra partigiana.
Nigris: «I non vevin timp, per giuiâ. (Non avevamo tempo per giocare). Io non avevo tempo di giocare, allora. I ragazzi si divertivano a cantare, a chiacchierare, ad andare a morose (a trovare le fidanzate) se ne avevano il tempo, nelle licenze normali … Ma non so se giocassero a carte. Ma non mi pare proprio che avessero le carte da gioco, perché eravano sempre in movimento. Per un motivo o per l’altro “A erin simpri atôr (erano sempre in giro), in pattugliette, o a far rifornimenti, o a far legna, perché erano tante le cose da fare. E la pulizia delle armi si faceva ogni giorno, come l’ora politica. Poi conversavano tra loro e cantavano.
Cantare giova molto ai ragazzi. E i giovani partigiani cantavano tanto: cantavano canzoni garibaldine e comuniste, anche, come no.
Le canzoni comuniste hanno una lunga storia ‘socialista’: di un secolo di socialismo o quasi. Ottant’ anni di socialismo avevano lasciato un eco anche nel canto, ed i canti che provenivano dalla rivoluzione della Russia in modo particolare, erano efficaci, erano un respiro. Erano una voce più profonda di quanto potesse sembrare. Ma ancor oggi certi canti del mondo sociale, socialista, marxista, comunque lo si chiami, sono voci valide. Ed ancora le cantano. E non c’è bisogno di incontri della festa dell’Unità: le cantano anche fuori».
I fatti di Genova al G8 2001.
L’intervistatore chiede a Ciro Nigris se ha sentito cosa è accaduto a Genova un mese prima. (Torture alla caserma Bolzaneto e fatti intorno al G 8 ndr).
Nigris: «Cosa è accaduto a Genova è abbastanza chiaro, e mi pare abbastanza chiaro il problema, a parte la neutralità di Fini (12) e compagni, che facevano i galletti! Fini, ad un certo momento, era lì, tutto vivace, alla televisione. E mi sono detto: “Adesso diventa protagonista!” Dopo: zitto, si è messo la coda fra le gambe. Ma a parte questo, il problema è che indubbiamente, ma erano stati avvertiti, c’erano queste frange che venivano dall’estero eccetera, eccetera, e che erano violente. Ma non han preso le misure necessarie. Sono andati a vedere se mettevano fuori mutande, se c’erano i fiori, ma non strutture che contenessero, che ci sono. Io non lo sapevo, ma adesso lo so.
Ma la polizia avrebbe dovuto risolvere il problema prima, perché avevano detto che vi erano frange violente. Invece non ha preso misura alcuna. E allora questi hanno influenzato il resto.
Che poi tra i manifestanti ci fossero anche ragazzi criticabili, che hanno assaltato le camionette, sì, e questo non era nei voti. Ma la manifestazione vera e propria, che si è vista poco alla tv, perché l’hanno mostrata poco alla tv mentre hanno mostrato più il resto, è stata un corteo enorme, di duecentomila persone, e poi vi erano frange di violenti. Ma questo accade sempre. Ma quelli erano violenti intenzionalmente e lo sono ancor oggi».
Caserme Diaz e Bolzaneto: non era pomodoro ma sangue.
L’intervistatore chiede come gli è sembrata la reazione della polizia.
Nigris: «Brutta. Non è vero che era pomodoro. Era sangue. (13). Poi avranno buttato qualche vaso di pomodoro. Ma erano scene …. Se avessero fatto, ma forse lo hanno fatto, una antologia, un film, di tutte queste scene che noi abbiamo visto così, a momenti, se mostrassero veramente tutte quelle violenze … sì, sì, … ci sarebbe da rabbrividire. Erano violenze sistematiche, erano imbestiati (i poliziotti ndr), avevano perso il controllo, erano scatenati, li avevano scatenati. Perché non sono mica tutti così, i poliziotti. Erano scatenati. Sono loro i massacratori. E c’erano anche, indubbiamente, quelle frange rivoluzionarie che sistematicamente, programmaticamente hanno bisogno della violenza, ma esistono in tutto il mondo, questo è un fatto. Ma la manifestazione era imponente.
Certo che per Berlusconi è stata una grossa sorpresa. Perché lui pensava veramente di finire in una atmosfera trionfale. Non è così stupido da aver desiderato che ci fossero queste frange di violenza, per carità, io non lo penso assolutamente. Lui pensava ad una grande festa. Invece questi fatti si trascinano ancor oggi, per lui, politicamente. Perché i fatti si confermano, si attenuano, si cercano altre prove eccetera, ma i fatti ci sono. E a vederli faceva spavento».
L’ intervistatore dice che la violenza fu anche verso persone che non centravano niente, persone che stavano con le braccia aperte.
Nigris: «Sì. Ma un certo sadismo si è manifestato. I poliziotti parevano irritati, spaventati, non lo so perché questi poliziotti si sono comportati così. Perché sono ‘figli di mamma’ anche loro. E non credo siano tutti così. Che siano allenati ad una certa tensione di forza lo capisco, perché chi deve reprimere … ma certe manifestazioni di violenza, no, erano veramente una pena».
Sul neofascismo.
L’intervistatore gli domanda, in chiusura, se non sia disturbato dal fatto che ancora esistono ideologie fasciste.
Nigris: «Certo che mi disturbano e mi preoccupano. Anzi, per esser chiari, non è che mi disturbano, mi preoccupano. Perché ci cascano dentro anche i giovani. “Mularia (gioventù)”. Ma cosa c’ha da guadagnare? Il giovane è esuberante e lasciarsi tirar dentro per esuberanza in una sciocchezza come il neofascismo, mi sembra talmente …. Io capisco di più la violenza di per se stessa per voler la giustizia sociale, perché ha una motivazione. L’ insoddisfazione deve portare a qualche cosa. Ma nel neofascismo cos’hai? Perché nessuna destra ha mai dato giustizia. Poca per la verità anche la sinistra, ma qualche cosa di più sì. Ma le destre …
La destra è violenza organica ….»
Poi Ciro Nigris continua, rivolto all’intervistatore: «Dio mio mi avete fatto parlare a lungo … Avete registrato tutto, anche questa roba qui?»
Intervistatore: «Sì, sì. Perché La disturba?»
E così termina l’intervista.
Laura Matelda Puppini
__________________________________________
(1). Da che si sa c’erano due fortini dei tedeschi a Tolmezzo: uno a guardia del ponte di Caneva, l’altro verso Paluzza. Quest’ ultimo fu fatto saltare con una carica dalla partigiana Andreina Nazzi ‘Nina’, che poi sposò il mutilato nella guerra di Spagna Guglielmo Intilia. Il primo fu oggetto di attacco da parte del btg. Carnia osovano, nel luglio 1944, e nel corso di quell’azione persero la vita Marcello Coradazzi, ‘Lazzarino’, e Valeriano Cosmo di Formia, nome di battaglia ‘Alfa’.
(2) Emblematico il caso di un gruppetto di partigiani osovani, che ‘Walter’ aveva mandato ad osservare cosa stesse accadendo a Fielis, nel marzo 1945. Essi, pur avendo avuto l’ordine di non sparare se non per difesa personale, spararono comunque, uccidendo un cosacco, e la rappresaglia contro la popolazione civile non si fece attendere.
(3). ‘Olandesina’ è una canzone popolare d’amore, che veniva cantata già nel 1929. I testi via via proposti hanno qualche lieve modifica per esempio nel nome della fanciulla, che però in genere è Ketty, mentre il nome del giovane è Morris. Per ascoltarla cfr., per esempio, https://www.youtube.com/watch?v=ZjkvkzAbwRM.
(4). ‘Odessa’ è Egidio Burba, classe 1926, del btg. Magrini prima, a fine guerra comandante del btg. Italo Cristofoli.
(5). Qui forse Ciro Nigris confonde don Gianni Baget Bozzo con Rocco Buttiglione, a cui, poi, come suggerito dall’intervistatore, attribuisce la frase, dicendo che era un Ministro.
(6). Per quanto riguarda quanto rifuso ed a chi in provincia di Udine, cfr. Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Archivio di Stato di Udine. Danni di guerra – partigiani 1945-1978 fondo25 bb. Intendenza di Finanza di Udine.
(7). ‘Montes’ è Silvio Marcuzzi, operaio, antifascista, nato a Fogliano di Redipuglia, il 12 luglio 1907, morto, dopo la cattura da parte del nemico a causa di una spia, alla caserma Piave di Palmanova sotto tortura, il 1° novembre 1944. È stato insignito della medaglia d’oro al Valor Militare alla memoria.
(8). L’Autocarro Pesante Unificato Lancia 3Ro fu un autocarro prodotto dal 1938 al 1949 in Italia dalla Lancia Veicoli Industriali e largamente utilizzato per scopi civili e militari.
(9). Forse si tratta di Pierino Spangaro, autista, classe 1926, nome di battaglia ‘Silvano’.
(10) l’ ‘Ors di Pani’, cioè Antonio Zanella, fu ucciso assieme alla figlia Maria, il 5 od il 6 marzo 1955 da tale Romano Lorenzini di Raveo per futili motivi, cioè perché egli era stato accusato dallo Zanella di aver rotto il sottopancia di un mulo, spalleggiato dalla figlia. (Cfr. Il patriarca di Pani, in Incarnia, marzo 2014).
(11) Italianizzazione del termine friulano ‘tajut di vin’. «Alcuni sostengono che, in origine, fosse il segno sul bicchiere indicante la “giusta misura” di vino che veniva elargita dall’oste. Altri invece ritengono che il termine sia nato per indicare una particolare mescola di vino che un tempo era realizzata con vini di bassa gradazione, che venivano poi “tagliati” con vini più corposi. Oggi, più semplicemente, il temine “tajùt” indica all’oste il desiderio di un bicchiere di vino bianco (taj di blanc) o rosso (taj di ros)». (http://www.friulani.net/il-tajut/).
(12). Molti si chiesero cosa facesse Gianfranco Fini, all’epoca vicepremier, nella sala operativa della Questura di Genova quel maledetto 21 luglio 2001. L’onorevole Gianfranco Fini non ha mai chiarito, non ha mai fornito spiegazioni: chi credeva lo avrebbe fatto, chi lo ha assunto a eroe dopo la rottura con Silvio Berlusconi, non può che rimanerne deluso Lo stesso Giuseppe Pericu, allora e per molti anni sindaco di Genova, ha sempre chiesto l’istituzione di una commissione d’inchiesta parlamentare “per chiarire alcuni aspetti di responsabilità politica sui quali è rimasta una fitta coltre di mistero, come sulla presenza di Gianfranco Fini, vicepresidente del Consiglio, nella sala operativa della Questura di Genova”. Il governo in carica era il Berlusconi II, ministro degli Interni Claudio Scajola, le cui ammissioni di aver ordinato di sparare contro chi avesse “violato” la zona rossa provocarono sconcerto e scalpore. (https://www.ilfattoquotidiano.it/2012/05/07/diaz-film-ruolo-fini-rischio-prescrizione/220920/). La Corte Europea dei Diritti Umani ha sanzionato l’Italia per le violenze della polizia durante il G8 di Genova. (https://www.agi.it/cronaca/bolzaneto_tre_giorni_di_abusi_che_per_strasburgo_furono_tortura-2295657/news/2017-10-28/).
(13). Relativamente a quanto accadde alla caserma Diaz, sempre nel corso del G8 del 2001, si legge che : «È una verità giudiziaria quella che emerge dalla sentenza di Appello sul caso Diaz -G8 2001 (l’irruzione nella scuola sede del Genoa Social Forum e nel press Center con giornalisti di tutto il mondo) che smentisce, se ancora era il caso, che alla Diaz sui muri, sulle scale e sulla pelle degli arrestati (tra i quali alcuni giornalisti italiani e stranieri, pestati a sangue e arrestati) non c’erano “né sugo di pomodoro, né sangue rappreso di “ferite pregresse dagli scontri di piazza” come disse il portavoce del Ministero degli Interni, Roberto Sgalla la notte del blitz. Che non ci fosse voglia alcuna di fare chiarezza lo si capì quella notte e il mattino dopo quando nella Questura di Genova, di fronte a decine di giornalisti, andò in scena la famosa conferenza stampa “muta”: un comunicato stampa letto da una funzionaria di polizia e l’imperativo categorico dell’addetto alle pubbliche relazioni, il dottor Roberto Sgalla: “non si fanno domande”. In quelle ore in carcere c’erano 93 persone innocenti». (http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2010/05/19/AMEyRphD-giornalisti_associazione_pomodoro.shtml). E così si legge su di un articolo «L’85 per cento delle 252 vittime di Bolzaneto non andava neppure fermato. E chissà se i ragazzi torturati – che ci sia stata tortura lo dice la recente sentenza – sono stati ‘solo’ 252: dagli interrogatori e dalle interviste ne spuntano altri, finora sconosciuti». (http://www.repubblica.it/2008/07/sezioni/cronaca/g8-genova-4/libro-calandri/libro-calandri.html).
__________________________________________
L’immagine che correda l’articolo proviene dall’intervista e mostra Ciro Nigris mentre parla. La prima parte è stata pubblicata con il titolo:
Ringrazio sentitamente Jacopo Cipullo, Denis Guarente e Marco Martinis per aver realizzato questa importantissima intervista, che io sappia la prima concessa da Ciro Nigris.
Laura Matelda Puppini
https://www.nonsolocarnia.info/ciro-nigris-il-comandante-carnico-garibaldino-marco-resistenza-costituzione-attualita-intervista-del-2001-parte-seconda/https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2018/08/nigris-.png?fit=1024%2C616&ssl=1https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2018/08/nigris-.png?resize=150%2C150&ssl=1STORIAQuesta è la seconda parte dell'intervista a Ciro Nigris, datata Udine 2001, fatta da due giovani ignoti ed a me giunta attraverso Mauro Fiorenza. La trascrizione è mia, con qualche minima modifica linguistica solo per adattare il linguaggio parlato a quello scritto. Laura Matelda Puppini Parla ancora Ciro Nigris. Mia...Laura Matelda PuppiniLaura Matelda Puppinilauramatelda@libero.itAdministratorLaura Matelda Puppini, è nata ad Udine il 23 agosto 1951. Dopo aver frequentato il liceo scientifico statale a Tolmezzo, ove anche ora risiede, si è laureata, nel 1975, in filosofia presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Trieste con 110/110 e quindi ha acquisito, come privatista, la maturità magistrale. E’ coautrice di "AA.VV. La Carnia di Antonelli, Centro Editoriale Friulano, 1980", ed autrice di "Carnia: Analisi di alcuni aspetti demografici negli ultimi anni, in: La Carnia, quaderno di pianificazione urbanistica ed architettonica del territorio alpino, Del Bianco 1975", di "Cooperare per vivere, Vittorio Cella e le cooperative carniche, 1906- 1938, Gli Ultimi, 1988", ha curato l’archivio Vittorio Molinari pubblicando" Vittorio Molinari, commerciante, tolmezzino, fotografo, Gli Ultimi, Cjargne culture, 2007", ha curato "Romano Marchetti, Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona, una vita in viaggio nel Novecento italiano, ed. ifsml, Kappa vu, ed, 2013" e pubblicato: “Rinaldo Cioni – Ciro Nigris: Caro amico ti scrivo… Il carteggio fra il direttore della miniera di Cludinico, personaggio di spicco della Divisione Osoppo Carnia, ed il Capo di Stato Maggiore della Divisione Garibaldi Carnia, 1944-1945, in Storia Contemporanea in Friuli, n.44, 2014". E' pure autrice di "O Gorizia tu sei maledetta … Noterelle su cosa comportò per la popolazione della Carnia, la prima guerra mondiale, detta “la grande guerra”", prima ed. online 2014, edizione cartacea riveduta, A. Moro ed., 2016. Inoltre ha scritto e pubblicato, assieme al fratello Marco, alcuni articoli sempre di argomento storico, ed altri da sola per il periodico Nort. Durante la sua esperienza lavorativa, si è interessata, come psicopedagogista, di problemi legati alla didattica nella scuola dell’infanzia e primaria, e ha svolto, pure, attività di promozione della lettura, e di divulgazione di argomenti di carattere storico presso l’isis F. Solari di Tolmezzo. Ha operato come educatrice presso il Villaggio del Fanciullo di Opicina (Ts) ed in ambito culturale come membro del gruppo “Gli Ultimi”. Ha studiato storia e metodologia della ricerca storica avendo come docenti: Paolo Cammarosano, Giovanni Miccoli, Teodoro Sala.Non solo Carnia
Rispondi