Non sono una esperta di esoterismo e di filosofia esoterica, per questo non conoscevo la casa editrice Audax fondata da Emanuele Franz. Anzi quando, incuriosita dal titolo, mi sono recata ad ascoltare il Convegno “Fare cultura in montagna” sabato 21 luglio 2018, non conoscevo neppure la produzione di Franz, e mi scuso con lui per l’ignoranza. Ma poi, vedendo i volumi posti sul banchetto in vendita, sono stata presa dal dubbio che si trattasse di un editore influenzato da certa destra, che ama questi argomenti, ben poco quelli relativi alla montagna. E il mio pensiero, chissà perché, è corso a Ezra Weston Loomis Pound, più noto solo come Ezra Pound, poeta certo di rispetto. Di lui si scrive che «egli è il fabbro, l’alchimista, il mago che si muove il più delle volte a ritroso nel tempo, forgiando e modellando le parole, fondendo in esse elementi di un tempo arcano; in tal modo fa rivivere tradizioni, tecniche e artisti di un passato che ormai sopravvive solo nel ricordo». (http://www.lintellettualedissidente.it/letteratura-2/poesia-ezra-pound-novecento/).

Ma l’esperienza di Ezra Pound si colloca in un tempo definito da ideologie ed esperienze precise, e se è sempre stato valido, nella poesia come in letteratura, il principio di “tradurre le sensazioni in parole”, attribuito a detto poeta (Ivi), questo principio non è legittimo in storia, perché l’analisi storica non si basa sulle sensazioni personali. Un poeta, un letterato, possono prendere spunto da un castello visitato per scrivere le percezioni ricevute, possono scrivere romanzi che hanno un contenuto che prende spunto da momenti storici diversi che vengono riportati in modo più o meno aderente alla realtà, ma questo non è scrivere di storia.

In sintesi una cosa è ‘In nome della rosa’ di Umberto Eco, una cosa la storia di una abbazia, da scriversi traendo le maggiori informazioni possibili pure dai registri che su cui veniva segnato, in modo preciso e puntiglioso, cosa dovessero come censo all’abate le comunità soggette all’abbazia. Non è che la seconda ricerca non abbia un suo fascino per chi ama questi studi, intendiamoci, ma si muove su altri piani ed utilizza metodologie precise. Ciò non toglie però il fascino che hanno, per i lettori, i romanzi di Candace Robb.

Per quanto mi riguarda, ho già trattato della differenza tra scrivere di un periodo storico da storici o da letterati nel mio: “Letteratura e resistenza. Note da un testo di Delmo Maestri”, in: www.nonsolocarnia.info. Lo storico, infatti, è un analista scrupoloso di documenti e testimonianze, di scritti e parole, e questa attività ha ben poco a che fare con il dare corpo e voce alle proprie emozioni, così come lo scrivere di filosofia. La filosofia, come la teologia, la cosmogonia, la metafisica, hanno tentato di dare risposte ai grandi problemi dell’uomo, e sul come si possa raggiungere la conoscenza e cosa essa sia, e via dicendo, la filosofia si è occupata di schemi e classi sociali, prima della nascita della sociologia, si è occupata di Dio e degli inferi, del logos, del linguaggio, dell’universo e di tanti altri problemi. Forse potremmo già definire come un testo filosofico il ‘Gilgamesh’ scritto su tavolette dai sumeri. Ma anche il ‘Gilgamesh’ fu scritto in un periodo storico definito, sulle base della visione del mondo del tempo, ed ora non si può certamente considerare un testo filosofico un testo improntato a certo romanticismo Ottocentesco, che dette capolavori, ma che dovrebbe come minimo venire rivisto nel 2018.

Con questo non intendo dire che non si possa dare alle parole il compito di illustrare sensazioni, solo che questo è proprio della poesia, del romanzo, della letteratura, non della filosofia, che è relativa alla sapienza, non alla sensazione soggettiva.  

Ma ritornando all’incontro, sono stata piacevolmente sorpresa dal sapere che un giovane aveva tentato, in montagna, la via dell’editoria, e mi auguro che egli continui ma arricchendoci di testi più legati al territorio. I relatori erano molti, ed io, francamente, mi sarei attesa che si parlasse maggiormente di montagna e di fare cultura in montagna, essendo stata, dalla sua creazione nel 1971, fino al 2007, membro del gruppo ‘Gli Ultimi’ che diede una svolta epocale alla cultura in montagna con il suo ‘La Carnia di Antonelli’ ma anche con il mio, ‘Cooperare per vivere’, con il periodico Nort, con il volume su Vittorio Molinari, con mille altre iniziative. Anche ‘Gli Ultimi’ erano e sono editori in montagna. E pure io cerco, con www.nonsolocarnia.info, di diffondere ‘cultura in montagna’ e ‘fuori dalla montagna’.

Qualche giorno fa, poi, una persona che conosco mi ha fatto notare che, di fatto, www.nonsolocarnia raccoglie pure le firme di metà del gruppo ‘Gli ultimi’, intendendo la mia, quella del mio gemello Marco Puppini e quella di Marco Lepre, ed è vero. Ora attendo il contributo di Remo Cacitti, di Dino Zanier, di Tarcisio Not.

Comunque per ritornare all’incontro di sabato a Moggio Udinese, non avendo registratore, ho solo appuntato alcune frasi che mi sono parse interessanti, e che qui ripropongo. Mi scusino coloro che hanno relazionato se non riesco ad attribuire a ciascuno frasi e concetti che ha detto, ed il limite è mio.

Nella fase introduttiva si è parlato della difficoltà ad organizzare qualsiasi attività culturale in montagna, il che contempla, pure, di parlare con le persone e risolvere problemi. Uno degli obiettivi del ‘far cultura in montagna’ deve essere, poi, quello di far conoscere ad altri la montagna. Ma senza un sostegno economico e morale tutto diventa più difficile.
È stato sottolineato, quindi, come ci siano vari modi di fare cultura, non solo l’editoria, e per ricordarne alcuni sono stati citati: ‘Carniarmonie’, l’esperienza di ‘Il suono’, e della corale moggesi, l’archivio storico fotografico locale, l’apporto dato dal grandissimo Giobatta Morassi, nativo di Cedarchis, alla liuteria, dopo essersi formato alla prestigiosa Scuola internazionale di liuteria di Cremona, utilizzando legno tarvisiano. (Cfr. Il liutaio Morassi e il legno di risonanza della Foresta di Tarvisio, in: http://www.legnoservizi.it/il-liutaio-morassi-e-il-legno-di-risonanza-della-foresta-di-tarvisio/ e ‘È morto Giovanni Battista Morassi, maestro liutaio di fama internazionale’, in: https://udine.diariodelweb.it/udine/articolo/?nid=20180228-491006).

La cultura ha sicuramente a che fare anche con l’economia locale, e potrebbe permettere ai nativi di restare a vivere degnamente tra le montagne. La cultura fa conoscere, la cultura diventa fattore attrattivo per un territorio. E musica è anche musica classica, è anche un tradizionale concerto, è musica colta e popolare, e cultura si fa anche attraverso i cori, le bande, l’opera e l’operetta, solo che non tutti sono abituati a gustarle, in un mondo dove talvolta si confonde un evento musicale con uno sparare musica, che potrebbe essere invero maggiormente apprezzata, ai massimi livelli degli altoparlanti, con il risultato che si coglie ben poco, oltre lo stridìo e lo sballo che possono provocare. Cultura è conoscere Palladio a Vicenza ed a Udine, è conoscere i pittori famosi come Giovanni da Udine, ma anche quelli dei ‘Mistrutz’, quei ‘piccoli maestri del settecento carnico’ su alcuni dei quali scrisse Giorgio Ferigo, e non solo del settecento.   

Prendendo spunto da quanto ho già riportato sul ‘fare cultura in montagna’ io direi però che, come in precedenza, la montagna deve saper produrre ‘cultura alta’, e che non ogni libro o ogni gruppo musicale di per se stesso produce cultura, anche se può esprimere aspetti personali o permettere di operare in gruppo.

Si è pure toccato il tema dell’appiattimento, in particolare in pianura, della produzione letteraria, improntata da canoni che omologano invece che differenziare e far volare alto, mentre in montagna vi sono persone che maggiormente ricercano ed esprimono se stesse.

Inoltre il territorio montano ha una storia importante, e Moggio Udinese è ancora sede dell’Abbazia di San Gallo, che nella dedicazione ricorda la ben più grande in Svizzera, da cui inizialmente dipendeva, ove Umberto Eco ha immaginato si svolgesse il suo ‘In nome della rosa’, una delle più ricche di tutto il Medioevo. Ma ricca fu anche l’abbazia di Moggio, e grazie ai documenti che da essa provengono possiamo datare edifici ed opere in altre parti della montagna friulana. E da essa dipendeva, inizialmente, anche la chiesa di San Martino in Tolmezzo.

Così si legge in: https://it.wikipedia.org/wiki/Abbazia_di_San_Gallo_(Moggio_Udinese):
«L’abbazia benedettina fu fondata nel 1085 da Federico di Moravia, patriarca di Aquileia, ma probabilmente in precedenza vi era una stazione di osservazione romana, come si deduce da una lapide che è murata in una colonna del chiostro. L’abbazia fu consacrata dal patriarca Ulrico di Eppenstein nel 1119 ed era dipendente dall’Abbazia di san Gallo in Svizzera. In breve tempo acquisì il dominio su tutta la valle. Inoltre, gli abati di Moggio ebbero diritto di voto nel Parlamento della Patria del Friuli e le loro contese per questioni confinarie, prima con i Conti di Gorizia e successivamente con la comunità di Venzone, coinvolsero nel XIV secolo anche i duchi d’Austria. L’abbazia fu soppressa nel 1776».
Nel corso del XVI secolo ne fu abate commendatario san Carlo Borromeo. L’antica torre, che per secoli era stata sede dei giudizi abbaziali, nel 1800 venne trasformata in carcere».
Si viene a sapere, pure, da: http://www.moggioudinese.info/abbazia.html, e da: http://www.comune.moggioudinese.ud.it/index.php?id=1333,
che essa fu eretta al posto di un castello o sicuramente di una torre di avvistamento d’epoca romana, a causa della posizione strategica che controllava il passo di Camporosso e la carovaniera che seguiva il corso del fiume Fella, portando sino alle lontane terre del Norico; ed i traffici verso Sud.
La chiesa fu ricostruita nel 1776, per volere di Daniele Dolfin, patriarca di Aquileia, e tutto il complesso abbaziale subì danni a causa dei numerosi terremoti avvenuti in zona, da quello del 1348, a quelli del 1976, che ne minarono l’aspetto iniziale. Dopo gli ultimi recenti sismi, l’abbazia subì notevoli interventi di restauro e consolidamento, grazie all’interessamento di Mons. Alfredo Battisti, arcivescovo di Udine. Dal 1985 esiste ivi un monastero di clarisse. Ma se l’abbazia è stata fondata nel 1119, allora il prossimo anno si celebrano i 900 anni dalla sua fondazione, che sarebbe importante degnamente celebrare, benché esistano già numerosi studi nel merito.

Ma cambiando argomento, al convegno si è anche sottolineato  come la montagna alpina italiana sia ora meno attrattiva di quella estera, e come, se il Piemonte ha potuto vantare esperienze come quella dei mocheni, caratterizzata dall’autosufficienza e dall’indipendenza, che limitarono notevolmente i contatti con il mondo esterno, favorendo la conservazione degli usi, dei costumi e della lingua, (Cenni storici sulla valle dei Mocheni, in: http://www.jus.unitn.it/icmc/concdiramm.html) la montagna carnica, del Canal del Ferro e della val Canale furono invece luoghi di ritorno di lavoratori e cramars che andavano in Carinzia, in Baviera, e poi anche più lontano, stagionalmente o per periodi più lunghi. Questi ‘confini aperti’ produssero sia arricchimento esperienziale, sia ricchezza materiale, sia introduzione, fin nei piccoli borghi, delle idee di Lutero e del suo predecessore Jan Hus, subito perseguitate dalla chiesa cattolica. Ma in particolare coloro che si muovevano attraverso territori differenti acquisirono una apertura mentale ben diversa da coloro che vivevano in pianura. E si diceva che, nel mille settecento – ottocento, i cappellini più alla moda si vedessero nei paesi di emigrazione, acquistati con i soldi bavaresi o carinziani.

Esperienza a se stante è quella della val di Resia che, «non avendo vie di comunicazione come il Canal del Ferro, dove i contatti avvenivano in modo naturale ed assieme a uomini transitavano merci e culture, è rimasta “isolata” e si è evoluta in maniera diversa dalle vallate contermini. Per effetto dello stesso “isolamento” si è conservato un patrimonio culturale, musicale e linguistico particolare, unico e tuttora oggetto di studio. In Val Resia si parla ancora un dialetto arcaico di chiara origine slava, le musiche, le danze e le tradizioni che si mantengono sono altrettanto antiche». (http://www.comune.resia.ud.it/index.php?id=1427). E l’esperienza reseana porta a riflettere sull‘importanza di mantenere e riscoprire la identità e la ‘koinè’ friulana, slovena, tedesca, ricordandosi pure che, in questa nostra montagna, molti vissero per i loro ideali, ed anche coloro che aderirono alla resistenza in Friuli erano contadini, boscaioli, ‘int nestre’.

Ad avviso di uno dei relatori, Pietro Fontanini, bisogna seguire maggiormente l’esempio del Sud Tirolo, di Bolzano, di Merano, unendosi intorno alla propria storia, al ‘vicino’ e non al ‘lontano’, rivalorizzando l’identità, ma io direi interessandosi giustamente sia al ‘vicino’ che al ‘lontano’. E su questo concordo, perché ci stiamo abituando troppo ad una serie di eventi quasi spot, che durano il tempo di una serata, calati dall’alto, a cui fa ‘tanto figo’ partecipare, che non permettono riflessione, approfondimento, ripresa dei concetti, senza entrare nella cruda realtà di temi quali la vita e la società nella periferia delle megalopoli, la povertà, la perdita di diritti, gli homeless sempre in aumento, la droga che dilaga, il nichilismo giovanile, la precarizzazione del lavoro e la perdita per alcuni degli ammortizzatori sociali, problemi tutti italiani e non solo italiani, che meritano una ben articolata ponderazione.  Insomma si è sposata la politica dei grandi eventi, non quella dei piccoli che contempla pure la narrazione, contestualizzata, di storie nostrane: basti vedere cosa ho scritto sull’Antiquarium di Camporosso, sulle tombe di Lauco, o sul borgo di San Leopoldo su www.nonsolocarnia.info. E mentre scrivo questo penso a Pordenonelegge, altra serie di incontri spot di cui non resta praticamente nulla, con scelte fatte dall’alto, e mi chiedo quanto sia rimasto del forte discorso sul colonialismo della bravissima e coraggiosa Vandana Shiva, oltre un libro acquistato e forse mai letto, un premio dall’assessore di turno, una sfacchinata per sentirla. Pordenone legge e credo pure ‘Vicino lontano’ sono progettualità che non coinvolgono, che hanno spesso i soliti guru locali: Paolo Mieli per esempio, che è fra i tanti caratterizzati da: ‘con quella bocca può dire quello che vuole’ senza che esista possibilità di intervenire o contradditorio. Sono con Pietro Fontanini in questo, in questa critica ai grandi eventi lontani da noi, più che vicini, mentre mi domando perché, invece che capaci, si debba essere accreditati per parlare. La politica dell’esperto culturale è ora figlia del mercato, salottiera, qui come là. Riprendiamoci storia e memoria, ricominciamo a parlare, non diventiamo vittime di incontri a senso unico, che sono pillole buttate là che si trasformano in discorsi fragili ed interrotti, anche se di spessore!

Si devono abolire ‘Pordenonelegge’ o ‘Vicino lontano’? Credo si debbano ripensare perché non diventino sempre più figli di un mercato che fa di ogni evento un ‘mordi e fuggi’, con contorno in osteria.

Non solo: anche la città di Udine ed il Friuli hanno una storia tutta da approfondire, almeno dal 1800 in poi, basti vedere quanti personaggi politici ho segnato io in note varie nel mio ‘O Gorizia tu sei maledetta… Noterelle su cosa comportò, per la popolazione della Carnia, la prima guerra mondiale, detta “la grande guerra”, Moro ed., 2016, che narra anche le storie del grande scultore carnico Albino Candoni, soldato per scelta, e del povero Marco Candido, rigoladotto, che in guerra non ci sarebbe andato proprio, della forte posizione di Benedetto XV contro il conflitto ed i conflitti armati, di tanta gente che soffrì per ‘Trento e Trieste’. E non possiamo dimenticare questo, come l’economia di guerra che si creò allora. Ed anche Andrea Moro è editore di montagna ed in montagna.

Inoltre se sono d’accordo nel salvare la varietà delle parlate carniche ed anche i termini tecnici legati a peculiari attività lavorative (basti pensare a tutti quelli che indicavano i terreni intorno alle malghe in base al loro utilizzo ed allo smaltimento del concime), se sono d’accordo nel conoscere il nostro passato, non so cosa significhi ‘Koinè’ friulana in un mondo ove la società è stata composta da varie genti, ove anche in tempi antichi sloveni, tedeschi e ‘friulani’ ne formavano l’asse portante, almeno a Tarvisio ed in val Canale. Possiamo allora parlare di koinè friulana, tedesca, slovena, come insiemi culturali diversi che, pur insistendo sullo stesso territorio, mai si sono accostati producendo una esperienza comune? Io credo proprio di no.

Non da ultimo, non possiamo dimenticare che molti abitanti della Val Canale, di madrelingua tedesca, dopo il Patto d’acciaio e gli accordi siglati il 23 giugno 1939 tra Hitler e Mussolini, che prevedevano pure che la popolazione di madrelingua tedesca e ladina della provincia di Bolzano, della zona mistilingue della provincia di Trento, dell’Ampezzano e della Val Canale potessero o  mantenere la cittadinanza italiana, e quindi restare nelle proprie case, ma rinunciando una volta per tutte ad essere considerati tedeschi, oppure optare per la cittadinanza del Reich, accettando il trasferimento oltreconfine e la liquidazione dei beni, scelsero di andarsene verso il Terzo Reich.

E mentre la civiltà e la cultura contadina, dilaganti intorno ad Udine ed a sud, possono avere degli usi e costumi simili, credo sia proprio difficile pensare ad una ‘koinè’ del montanaro della Carnia, del Canal del Ferro, della Val Canale. Infine il concetto di ‘koinè’ potrebbe porsi, in un modo forse di pensarlo ed interpretarlo, almeno secondo me, all’interno di quello di ‘pangermanesimo’ e sfiora il noto motto nazista: ‘Ein Volk, ein Reich, ein Führer’. Bisogna quindi star attenti a non esser fraintesi, a non scivolare senza accorgersene verso una visione discutibile e già discussa del mondo, con la scusa dei costumi e delle tradizioni, che in Friuli vennero coltivate anche dai nazisti ai tempi dell’occupazione. Ricordiamoci che i tedeschi, nei paesi di dialetto sloveno e croato, reintrodussero le parlate locali, e di questo bisogna dar loro atto, a differenza degli italiani, che le soppressero con il ferro e con il fuoco.

L’importanza di fermarsi un po’ a ragionare sulle cose, sui concetti, è stata ribadita da Angelo Floramo, che ha richiamato il valore della lentezza, in un mondo frenetico, e degli ideali, che per alcuni, che vissero in montagna, furono più importanti del pane, perché dettero vita alle loro azioni. E io credo che si debba riflettere pure su quanto affermato dal quasi pragmatico John Dewey: «La conoscenza non è altro che la forma più complessa ed efficace di risoluzione delle situazioni problematiche che caratterizzano l’esistenza». (http://www.treccani.it/enciclopedia/john-dewey/).

Il capitalismo è quello che non vuole che riflettiamo, perché non è interessato al fatto che noi cerchiamo di risolvere problemi anche pescando dalla nostra storia, per esempio da quella del cooperativismo carnico e del grande gruppo economico delle cooperative carniche, similare, nella soluzione dei problemi del credito, a quella di Muhammad Yunus, e questo è esempio di vicino, lontano. Ed il mutualismo ed il cooperativismo possono ancora contare e portare a fervide iniziative. Se la Coop- Ca e le cooperative rosse sono fallite è perché hanno perso lo spirito originario dei padri fondatori e si sono buttate nella finanza e nell’apertura dei mercati.  (Cfr. il mio: Il caso dell’azienda CoopCa, in: nonsolocarnia.info e il mio ‘Cooperare per vivere. Vittorio Cella e le cooperative carniche, 1906-1938, Gli Ultimi, 1988, in: www.nonsolocarnia.info). Infine la salvaguardia dei beni comuni, da mutuare pure dal passato, rivalorizzando le vicinìe, e del territorio non può venir dimenticata, oltre la scarsa ricaduta economica dalla svendita di territorio e del creato.

Quindi se non erro sempre Floramo ha accennato a concetti quali quello di ‘radici’, che mal si confà all’appiattimento della globalizzazione, e di ‘memoria’ ma senza approfondire le tematiche inerenti. E se ‘radici’ porta al vecchio detto che ‘il ramo non va lontano dal ceppo’, credo proprio che ora queste radici debbano venir non solo preservate ma rivalorizzate, come le ‘cose antiche’ che mi rimandano alla poesia delle piccole cose di Pascoli ed affini. Radici e memorie – diceva Angelo Floramo – camminano pari passo con l’identità, ma tale assunto al di là dall’esser proclamato, dovrebbe esser dimostrato anche nelle connessioni ed evoluzioni.

Vanni Treu di ‘Cramars’ ha ricordato una pubblicazione sostenuta dalla nota cooperativa di formazione e lavoro e cioè: “La Montagna degli Altri. Diventare montanari e inventarsi un lavoro, di Tanja Ariis, che raccoglie 24 storie di persone che si sono trasferite in montagna ed hanno trovato dei modi per vivere qui, sperimentando pure ‘la cultura del limite’. Sui temi emersi nel corso dell’incontro di presentazione del volume, sempre organizzato, da ‘Cramars’, ho scritto alcune considerazioni nel mio: ‘Quale politica per la montagna in questa Italia?’, in: www.nonsolocarnia.info. Ma ho pure ripreso l’esperienza ‘Pipol, Piano Integrato di Politiche per l’occupazione e per il lavoro’, nel mio: Montagna, imprenditorialità, cooperazione: con l’anpi a Paluzza.

Treu si è pure soffermato su ‘Innovalp’ ideato sempre da ‘Cramars’ e presentato come «un Festival delle idee per la montagna”. Anche questo è fare cultura in montagna.  Ma io ricorderei in aggiunta, l’impegno profuso da ‘Cramars’ per gli incontri di ‘Future Forum’, che preparavano ad Innovalp: incontri che hanno portato a Tolmezzo esperti italiani ed europei, anche se alcune idee non erano del tutto condivisibili, come l’accentramento ulteriore, quasi non fosse mai avvenuto prima, di edifici e servizi in grandi città, trasformando il resto in ‘area interna’, termine che segue a quello di ‘zona sottosviluppata’ per dire la stessa cosa.
Non da ultimo, egli ha rammentato la creazione di ‘informa giovani’ ed altre attività di formazione sempre da parte della nota cooperativa con sede a Tolmezzo. Si può quindi far cultura in montagna in diversi modi, e, grazie alla rete scambiarsi idee, anche in un’ottica di sviluppo di quelle che ora sono definite, appunto, ‘aree interne’.
E se mi è lecita una critica a Innovalp è che bisognerebbe registrare e quindi riascoltare gli interventi, per tranne alcune indicazioni, onde non perderne lo spessore culturale. Forza Stefania Marcoccio, nuova presidente di Cramars, pure lei di Moggio Udinese come Vanni Treu, vediamo di procedere su questa via e tanti auguri per il tuo nuovo incarico.

Quindi Emanuele Facchin, autore di romanzi, si è soffermato sui problemi pratici che uno scrittore e persone che ‘fanno cultura’ si trovano ad avere in un mondo dove la cultura è asservita alla politica, al gusto, ed è sottofinanziata e poco sostenuta pure in montagna. Si preferiscono, penso io, i mercati detti ‘festa dei fiori’ o ‘festa della mela’, con polenta e frico come elemento portante e tanta birra e vino, oltre che un complesso non più bandistico, ma venuto da fuori che spara musica, piuttosto che cercare di fare qualcosa di diverso. Facchin aggiungeva, poi, che una signora lo aveva avvicinato e gli aveva detto di avere un diario di un parente che fece ‘il giro del mondo’ per ritornare in Carnia, all’inizio della prima guerra mondiale. Credo anch’io che lo scritto debba esser visto e valutato, ma se pubblicabile, esso deve avere una adeguata introduzione. Ci sono tante storie che si perdono, ed anche quella di Vittorio Cella e del ‘gruppo delle carniche’ poteva andare perduta … se non ci fossero stati Fernanda Cella, Renzo Tondo, il Gruppo ‘ Gli Ultimi’ … la sottoscritta e tutti coloro che collaborarono all’uscita di ‘Cooperare per vivere’.  Essere o non essere stati ‘int di glesie’ non può essere metro di misura per la validità dell’operato svolto.

E se non avessi utilizzato un registratore non certo d’eccellenza negli anni settanta, si sarebbero perse anche le storie di Jacum l’infermîr, cancellato dalla memoria, dopo che dedicò tutta la sua vita al lavoro ed a salvare vite; la tradizione della processione dei bambini per la pioggia, forse retaggio di qualcosa di ben più antico, a Cavazzo Carnico; l’avventuroso viaggio di mia nonna Anna verso Sauris negli anni venti, e via dicendo. Ho ancora alcune registrazioni da pubblicare, e chi vuole può pure stampare per leggere quelle già poste, come tutti gli articoli di www.nonsolocarnia.info.

All’ incontro hanno partecipato anche due rappresentanti dell’Unesco, per ribadire che esperienze locali possono riflettere anche i valori dell’Unesco, sempre vicina alla montagna, e qualcuno, secondo me Facchin, ha ricordato il volume di Julien Benda, ‘Il tradimento dei chierici. Il ruolo dell’intellettuale nella società contemporanea’, come testo di riflessione, sulla cui presentazione si può leggere: «Contro la crescente barbarie delle società occidentali e il loro impoverimento culturale (la subordinazione del pensiero agli interessi del capitale), Benda difende un ruolo dell’intellettuale «custode di valori» al servizio di concetti universali come la ragione, la verità, la giustizia. I «traditori» contro i quali si scaglia sono gli sciovinisti, i razzisti, i fascisti di ogni gradazione. Ma anche i rappresentanti di quella corporazione intellettuale che fa politica al riparo della sua presunta superiorità e imparzialità; i servi di ogni regime o ideologia, anche quando mossi delle migliori intenzioni». (http://www.einaudi.it/libri/libro/julien-benda/il-tradimento-dei-chierici/978880619118).

Il padre di Audax, Emanuele Franz, che ringrazio assieme agli organizzatori dell’evento per l’opportunità datami di scrivere queste mie considerazioni, e che mi auguro possa iniziare a trattare anche altri argomenti, insomma incominci, editorialmente, a ‘volare più alto’, ha chiuso l’incontro parlando del valore di guardarsi negli occhi, superando la freddezza di un sms, di un profilo facebook, perché siamo persone. Inoltre secondo lui la cultura si manifesta nei libri ma non nasce dai libri, e le idee nascono dai fremiti degli elementi naturali, concetti che però non condivido. Egli poi parla di società del dubbio, che mette in gioco anche chi siamo, e per lui il centro di tutto è credere in se stessi e nei propri sogni, che a me pare un po’ fuorviante e riduttivo, e ricalca il pensiero di Angelo Branduardi nella sua canzone’ Si può fare’ che fra l’altro dice: «Si può fare, si può fare/si può prendere o lasciare/puoi volere, puoi lottare/fermarti e rinunciare./ Si può fare, si può fare/puoi prendere o lasciare/si può crescere, cambiare/continuare a navigare». Non è del tutto errato però non tiene conto dei contesti di vita, delle opportunità presenti, della classe sociale di appartenenza. (Per il testo della canzone di Branduardi cfr. https://www.rockol.it/testi/1857931/angelo-branduardi-si-puo-fare?refresh_ce; per l’intervento di Emanuele Franz cfr: https://www.youtube.com/watch?v=0WMb2gGccJU).

E chiudo qui queste mie riflessioni, sperando in qualche commento e critica, in particolare di coloro che hanno aderito all’iniziativa e dei protagonisti, e scusandomi per i limiti degli appunti che non hanno permesso di dare a ciascuno il suo pensiero. Hanno partecipato all’ incontro come relatori: Emanuele Franz, direttore e fondatore di Audax Editrice, Pietro Fontanini, Sindaco di Udine, Giorgio Filaferro, Sindaco di Moggio Udinese, Stefano Mazzolini, vice presidente del consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia, Renata Capria D’Aronco, Club per l’UNESCO, Angelo Floramo, consulente Biblioteca Guarneriana di S.Daniele, Paolo Maurensig, scrittore, Alberto Frappa Raunceroy, scrittore e storico, Emanuele Facchin, scrittore, Daniele Damele, giornalista e scrittore,Vanni Treu, Presidente cooperativa Cramars, ma forse qualcuno era assente.

Emanuele Franz è la persona che ha presentato un volume di poesie con la prefazione di Licio Gelli, gran maestro del G.O.I. e personaggio molto discutibile, (cfr. La prefazione è di Gelli. Sala Ajace negata al libro, in : il Gazzettino, 17 marzo 2012); viene definito, non si sa perché, l’’anticorona’, con riferimento a Mauro Corona, quasi che quest’ultimo non fosse figlio, a pieno titolo, della cultura della montagna, si proclama ‘urbi et orbi’ di destra, ma un lavoro culturale serio relativo al territorio, come quello del gruppo ‘Gli Ultimi’ non è né di destra né di sinistra, e noi,  Franz, abbiamo pubblicato sempre con fondi privati, spesso personali,  e tutti vorremmo ancora interrogarci sui destini dell’uomo, dal lavoratore al singolo, ma disegnare ora il futuro non è così facile, come ci hanno detto anche i convenuti all’incontro di Paluzza, con Landini ed altri. Ed anche in quell’occasione si è parlato dei destini dell’uomo, senza ‘U’ maiuscola, di chi per vivere deve lavorare, di quelli di ‘Sboradura e Sanc’. Parliamo insieme di questi argomenti, e confrontiamoci sulla cultura in montagna, perché senza confronto tutto è perduto entro confini che sono limiti invalicabili e rischiamo di restare chiusi in cubi di vetro.

Prego gli autori di interventi di scrivermi come commento o attraverso l’indirizzo di posta del sito o mia personale, quella da cui mando le news, se ho riportato  qualcosa di poco chiaro od errato, come loro pensiero. Ma tutti possono commentare e dissentire, per cortesia però seguendo un ragionamento o un sentire, perchè io non pubblico offese, ingiurie e similari. E preciso che queste sono mie sensazioni e riflessioni, ai margini di un convegno, senza voler offendere alcuno.

Laura Matelda Puppini

Ricordo alcuni articoli pubblicati  su www.nonsolocarnia,info:

Quella montagna così vicina, così lontana. Riflessioni ai margini dell’incontro pubblico con Mauro Corona.

Cortomontagna. La montagna di Mina, la montagna di Lucas.

L’antichissimo culto di Mitra a Camporosso (Tarvis), che avvicina a Roma ed all’ Oriente, visitabile all’ Antiquarium. Un’esperienza importante alla ricerca del nostro passato.

Riflessioni sulle tombe di Lauco, tra “gans”, “aganas”, note metodologiche e “giardini”

Ipotesi e riflessioni dopo aver passeggiato a La Glesie /Leopoldskirchen, ed ascoltato studiosi locali.

Ancora su Laglesie/Leopoldskirchen dopo aver letto don Gariup: precisazioni, conferme, correzioni, ulteriori informazioni.

Tradizioni, Santi Sepolcri e processioni per la Settimana Santa, in Canal del Ferro, Val Canale, ed altri luoghi.

Usanze della Settimana Santa in Carnia, parte seconda, in particolare a Treppo Carnico. Da Manuela Quaglia

Usanze della Settimana Santa in Carnia. (Ultimo aggiornamento lunedì di Pasqua 2015).

Le feste del perdono e dell’indulgenza, tra antichi riti e cattolicesimo.

Amedeo Candido di Rigolato, comunista. Storie di vita, lavoro, partito, resistenza.

Storie paularine e carniche, da Giacomo Solero, detto Jacum l’infermîr.

Elio Bullian. La storia dei fratelli Lucchini, comunisti e partigiani, ed altre storie ampezzane.

Giovanni Marzona. Io giovanissimo partigiano osovano del btg. Carnia. Intervista di L.M. Puppini.

Giacomo Solero. Esperienze vissute per l’ospedale tolmezzino.

Anna Squecco Plozzer, cavazzina, maestra tra Cleulis e Sauris.

Anna Squecco Plozzer, Geremia Puppini. Cavazzo Carnico fra feste, allevamento dei bachi da seta, Minili di San Pieri e Pauli, e la cooperativa rossa ‘Alba Proletaria’.

Mauro Fiorenza. Intervista a Lidia De Monte, la partigiana carnica “Nera”.

L’ immagine che accompagna l’articolo è parte del manifesto di pubblicità all’incontro, avvenuto a moggio Udinese alle ore 17.00, ed è tratta da: http://www.ilfriuli.it/articolo/Cultura/A_Moggio_il_convegno_%E2%80%98Fare_cultura_in_montagna%E2%80%99_/6/182975.

Laura Matelda Puppini

 

 

 

 

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