Forte Bravetta: la storia di un impegno civico per salvare un simbolo di morte ma al tempo stesso di resistenza.
Sabato 6 aprile, prima di rientrare in Carnia, sono stata ad ascoltare, grazie a mia figlia Annalisa che mi ha informato dell’ evento, un’interessante incontro su Forte Bravetta, tenutosi a Roma presso l’auditorium casACLI in vicolo del Conte 2, intitolato: “Forte Bravetta: memoria per il futuro”, promosso dall’ Anpi del XII Municipio di Roma, sezione dedicata ai “Martiri di Forte Bravetta”; dalla sezione Anpi “Antonio Nardi” e dall’ Anppia cioè dall’ Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti, per l’80° anniversario delle fucilazioni di antifascisti a Forte Bravetta.
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Ma cos’ è ‘Forte Bravetta’?
Così scrive Augusto Pompeo (1), l’esperto della storia di Forte Bravetta, archivista e docente presso l’archivio di Stato di Roma, relativamente alla ‘nascita’ di ‘Forte Bravetta’: «Il Forte Bravetta è una delle quindici imponenti costruzioni militari realizzate a Roma nell’arco di quattordici anni, tra il 1877 […] e il 1891, per dotare la città di un sistema protettivo che, considerate le capacità delle artiglierie, non consentisse al nemico di colpire le mura che la circondavano, trattenendolo con massicci baluardi, allora in aperta campagna, distanti tre o quattro chilometri l’uno dall’altro […]. Per costruire il Forte Bravetta ci vollero sei anni, dal 1883 al 1883, occupando un’area tra le vie Aurelia e Portuense di quasi centodieci mila metri quadrati […]». (2).
Ma poi cosa accadde? Che terminato il forte, ci si accorse che esso non serviva più perché nuove tecniche militari, che privilegiavano il movimento delle truppe attaccanti aggirando gli ostacoli, avevano preso piede ed i cannoni avevano aumentato la loro gittata. Così Forte Bravetta fu trasformato, come gli altri forti romani, da luogo di resistenza agli assedianti a caserma, polveriera ed armeria. Ma successivamente, il regime fascista lo scelse, 55 anni dopo la sua costruzione, come luogo di esecuzione delle pene capitali ad iniziare dal 17 giugno 1932. Ed a Forte Bravetta furono eseguite condanne a morte sia comminate dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, (sorto il 25 novembre 1926, sciolto dopo il 25 luglio 1943, a seguito della caduta del regime fascista, ricostruito nel dicembre 1943 e rimasto operativo nel nord Italia fino alla sconfitta della primavera del 1945 (3), che aveva sede nel palazzo che ora occupa la Corte Suprema di Cassazione, detto, per vari motivi, ‘il Palazzaccio’ (4), sia, durante l’occupazione tedesca, dal post 8 settembre 1943 alla Liberazione di Roma, avvenuta il 4 giugno 1944, dal tribunale militare tedesco della Capitale detto ‘Feldgericht’ o dal tribunale militare repubblichino (tmr). (5).
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Forte Bravetta e la resistenza romana.
Il dott. Augusto Pompeo, ha scritto un volumetto divulgativo ed un volume più ampio su ‘Forte Bravetta’ e su chi vi trovò la morte, in particolare nel periodo della Resistenza in Roma, ma non solo, anche prima e poi. (6). Perché ‘Forte Bravetta’ fu luogo di esecuzioni capitali sia per accusati di spionaggio, sia per renitenti alla leva e partigiani ‘slavofoni’, sia per aderenti alla resistenza romana, il più noto dei quali è don Giuseppe Morosini, la cui storia fu pure ripresa da Dino Risi nel celebre film, interpretato da Aldo Fabrizi, “La lunga notte del ‘43”, e per 4 accusati di collaborazionismo e reati contro le persone, a liberazione avvenuta.
Bisogna sapere, nel merito, come ci è stato spiegato nel corso dell’incontro, che lo stato liberale italiano aveva abolito la pena di morte per i civili, lasciandola solo in ambito militare, ma essa fu reintrodotta dal fascismo proprio con la legge costitutiva del Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato per alcuni reati a carattere politico, paragonando l’Italia, prima che lo fosse realmente, ad uno stato in guerra, come ha giustamente detto il dott. Augusto Pompeo il 6 aprile al convegno di Roma. Inoltre detto tribunale era formato da giudici che erano o della MVSN (Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale) corpo speciale legato a Mussolini ed al fascismo e da questi istituito, cioè da ‘camice nere’ o da ufficiali dell’esercito fedelissimi al regime. Non esistevano, in esso, avvocati difensori, e si poteva esser giudicati e condannati in un batter d’ali, si fa per dire. Ma credo che in questo modo funzionassero anche il Feldgericht’ o il tribunale militare repubblichino.
Inoltre non pochi furono i martiri di ‘Forte Bravetta’, nel periodo dell’occupazione, che vennero condannati per aver aderito a gruppi gappisti inquadrati in due organizzazioni che si richiamavano al comunismo: quella del Pci, e quella del Mcd’I (Movimento comunista d’Italia) detta “Bandiera Rossa”, dal nome del suo organo di stampa, che poteva però accogliere tra le sue file anche partigiani di altra formazione politica.
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‘Bandiera Rossa’ era un movimento resistenziale, nella Roma occupata dai tedeschi e ben poco ‘città aperta’, di ispirazione marxista leninista e troskista. Essa «concepiva la lotta antifascista come un prologo immediato della rivoluzione comunista, e riteneva pertanto che il proletariato dovesse partecipare alla Resistenza mantenendo sempre la propria autonomia e perseguendo i propri interessi di classe». (6). E così si legge sul movimento detto ‘Bandiera Rossa’ su “I partigiani di Bandiera Rossa” in: fondazionepintor.net/memoria/ardeatine/tre/: «Scaturito nell’agosto del ’43 dall’unificazione di alcuni nuclei socialisti e libertari con il gruppo cospirativo romano “Scintilla” (il suo nome era un chiaro riferimento all’Iskra di Lenin), fondato nel 1935 dall’avvocato Raffaele De Luca, ex sindaco socialista di Paola; Francesco Cretara, incisore; Orfeo Mucci, falegname figlio di un anarchico del quartiere di San Lorenzo; Antonino Poce elettricista del quartiere Ponte, il Mcd’i si pronunciò da subito per l’abbattimento della monarchia e la caduta del governo Badoglio, pur riconoscendo all’URSS il ruolo di guida della rivoluzione mondiale, e quindi rifiutò di aderire al CLN. Nonostante questa sua “intransigenza”, pensata e praticata, e la denuncia della “moderazione” del PCI, seppe raccogliere adesioni di anarchici, cattolici, massoni, repubblicani e socialisti come i fratelli Carlo e Matteo Matteotti, figli di Giacomo, intellettuali come Piovene, artisti come il tenore Nicola Ugo Stame. Bandiera Rossa aveva forti cellule tra postelegrafonici, Vigili del fuoco, Ferrovieri, i lavoratori della TETI cioè l’azienda telefonica, dell’Anagrafe, dell’EIAR (la Rai del tempo) ma ciò che più lo caratterizzò fu il suo radicamento nelle borgate romane (San Lorenzo, Centocelle, Tor Pignattara, Tiburtino III, Primavalle ecc.), abitate dai “diseredati” cacciati dagli sventramenti edilizi voluti dal duce o dagli immigrati e dagli sfollati. Tra tantissimi scontri a fuoco, attentati, sabotaggi, distribuzioni di viveri rubati, condotte dai suoi partigiani […]». (7). Gli appartenenti a ‘Bandiera Rossa’ fecero molte azioni alcune delle quali sono elencate nell’ articolo sopraccitato.
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E sarà proprio ‘Bandiera Rossa’ a pagare un alto tributo alle fosse ardeatine, dove morirono alcuni dei suoi aderenti, ben 36, il cui elenco evidenzia la diversa appartenenza sociale degli appartenenti al Movimento. Ma nello stesso luogo e nello stesso momento morirono alle ardeatine anche ebrei, aderenti al Pci ed al Psiup, al Partito d’Azione, al Fronte Clandestino di Resistenza dei Carabinieri ed al Fronte Militare Clandestino. (8). Ed altri di ‘Bandiera Rossa’ furono pure giustiziati a Forte Bravetta’.
Così riporta, citando, Augusto Pompeo nel suo: “Forte Bravetta. Una fabbrica di morte dal fascismo al primo dopoguerra, ed. Odradek, 2012, a p. 203: «[…] le fosse Ardeatine non furono l’unica e nemmeno l’ultima strage perpetrata dai nazisti nella città di Roma, ma furono precedute e seguite dai 72 fucilati a Forte Bravetta; dai dieci fucilati a Pietralata il 23 ottobre, dalle dieci donne uccise ad Ostienese per aver assalito un forno, dai quattordici massacrati alla Storta sulla via della fuga il 4 giugno, senza che fosse avvenuto, a ‘giustificarli’ nessun attentato partigiano…».
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Come ci ha narrato, poi, sempre il dott. Augusto Pompeo all’ incontro del 6 aprile 2024, la resistenza romana, organizzata in forma gappista, e non avrebbe potuto essere altrimenti, ebbe il suo fulcro fra le stradine e le piccole botteghe di Roma, ed i sabotaggi e le azioni venivano compiuti in bicicletta, anche utilizzando chiodi per forare le gomme del nemico. A questo punto i nazisti vietarono le biciclette, ma i romani aggiunsero alle loro una ruota, facendole passare per tricicli. E così riporta, riprendendo da Giorgio Bocca, nel suo “Forte Bravetta. Una fabbrica di morte, cit.”, p. 210: «Nelle borgate romane si formano due tipi di Resistenza, spesso vicine mai unite in una forza omogenea. C’è una Resistenza popolare, prepolitica, condotta da giovani predisposti dalla vita grama alla ribellione, e c’è quella politica degli intellettuali, degli artigiani, degli operai appartenenti al movimento trotzkista di Bandiera Rossa. Si formano così bande dell’uno e dell’altro tipo, a Centocelle, a Torpignattara; Quadraro, Tiburtino […]». E così continua a p. 211, citando da Silverio Corsivieri: «Non si può fare la storia della Resistenza romana senza riconoscere la centralità della lotta dei borgatari», spinti anche dalla fame nera che riempiva ogni angolo popolare della città. E quando giunsero infine gli americani, a Roma, come riportato sempre sullo stesso volume a p. 220, erano «tutti che corevano, che andavano ai mercati generali a rubà, a prende ‘a roba, tutti quanti a piedi, ‘a gente un macello, poi tutte ‘e coperte: se facevano i cappotti … tutti a svaligià ‘a roba […]».
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Per avere solo una pallida idea della composizione sociale della resistenza romana, basta vedere cosa facessero gli uccisi alle ardeatine appartenenti a ‘Bandiera Rossa’: uno era macellaio, uno geometra, uno ragioniere, e gli altri erano chi impiegato, chi cameriere, chi commerciante, chi meccanico oltre un operaio, un pontarolo, un assicuratore, un capitano dei granatieri, un elettromeccanico, uno studente, un rappresentante di vini, un commesso, uno stagnaro, un asfaltista, un imbianchino, un commerciante, un arrotino, un dottore in lettere, due calzolai. Due erano falegnami, uno era un ferroviere, uno era un fabbro, uno un autista; uno era un pittore, un altro un esattore, ed un altro ancora era un cantante lirico ed uno faceva il mediatore. (9). Ed anche Davide Conti, nel suo: “Fra vita quotidiana e dimensione della storia: i GAP romani”, sottolinea l’«”atipica” dimensione popolare di una guerriglia urbana clandestina che, nonostante le regole della compartimentazione, trovò una misura di rapporto «popolare» in molti quartieri, specie della periferia». (10).
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Alcune azioni gappiste sono ancora ricordate per la loro audacia: per esempio quelle contro il teatro dell’Opera ed altre contro cinema e luoghi di divertimento frequentati dagli occupanti, oggetto preferito per gli attentati, ma anche quella contro il carcere di Regina Cieli.
Comunque nella Capitale, i «I compiti conferiti alle squadre GAP furono: a) indebolire il potenziale bellico tedesco attraverso attacchi militari diretti; b) impedire l’utilizzo di Roma come transito delle colonne naziste e dei rifornimenti verso il nord-Italia; c) minare il morale delle truppe d’occupazione attraverso attacchi militari; d) organizzare piccoli nuclei […] in grado di mettere fuori combattimento importanti reparti militari nazisti; e) attaccare militi e ufficiali fascisti; f) creare le condizioni potenziali per una possibile insurrezione della città in appoggio alle truppe Alleate». (11).
E non bisogna dimenticare, d’altro canto, come ci ha narrato sempre il dott. Augusto Pompeo, che la resistenza romana si svolse in un contesto di fortissima repressione, con momenti pure di forte indebolimento, ed in un clima caratterizzato da tre parole: fame, paura, attesa. E la paura che attanagliava era sia degli occupanti e dei fascisti che riempivano la città, sia delle spie e dei delatori, che potevano essere chiunque, spesso degli insospettabili, che vendevano il prossimo per denaro. A Roma, inoltre, si attendeva l’arrivo degli Alleati già ad Anzio, ma questi pareva non giungessero mai, tanto che vi fu chi disse che uno poteva andare a e venire da Anzio in treno quando voleva, ogni giorno, ma che gli alleati tardavano a prendere quel treno. Si attendeva a Roma … e Roma non insorse mai.
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Forte Bravetta. Ci sono 77 nomi nella lapide d’ entrata …. Ma vi è qualche errore e doppione …
All’entrata del parco di forte Bravetta, un polmone di verde che la popolazione ed il municipio, prima XVI poi XII, hanno voluto e vogliono tenacemente mantenere per sé, sorge una lapide, entrando, sulla destra, con incisi i nomi di 77 persone che furono giustiziate a Forte Bravetta. Un primo elenco dei giustiziati a partire dal 1942 fu pubblicato all’indomani della liberazione di Roma sul quotidiano ‘Il Popolo’, nella rubrica: “Documentari. Roma sotto il tallone nazista”, a questo venne aggiunto, poi, un secondo elenco: quello dei caduti a Forte Bravetta nel corso della Resistenza romana. Con il trascorrere del tempo ci si accorse, però, che vi era stata qualche omissione, qualche imprecisione, qualche errore d trascrizione, e così le associazioni partigiane aggiunsero, a quei primi due elenchi pubblicati, altri nomi non segnalati prima e corressero alcuni errori ma ne commisero altri, fino a giungere ai 77 nomi incisi, fra i quali però vi qualche doppione a causa di trascrizioni errate. (12).
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Vediamo chi furono i giustiziati a Forte Bravetta dopo l’8 settembre 1943. Muoiono a Forte Bravetta, dopo sommario e velocissimo processo senza neppure avvocato difensore, condannati da un tribunale militare italiano: l’11 ottobre ’43: Giacomo Proietti, operaio; Marco Amadei, manovale; Battista Graziani; Michele Pella, muratore; Giulio Pigliucci, impiegato; Pietro Serra, cappellaio; Proietti Giacomo, operaio e Mario Sorbi. Motivo della condanna? Saccheggio e uso di armi contro la forza pubblica. (13).
Il 23 ottobre 1943 viene giustiziato Etargenio Angelini, contadino, sorpreso con un fucile in mano dopo che qualcuno aveva sparato colpi d’arma da fuoco contro i tedeschi (14); il 18 novembre dello stesso anno Giuseppe Tirella, ufficiale della marina mercantile, pare collaboratore dei fascisti, però per omicidio ed usurpazione di funzione. Infatti egli, indossata abusivamente una divisa della MVSN, avvisato che in una casa si nascondevano armi e munizioni, si recava presso la stessa, dove uccideva una donna che temeva che egli le volesse portar via il figlioletto e che si opponeva al suo tentativo di perquisizione. (15). Pertanto, pur trovandosi il suo nome sulla lapide di Forte Bravetta, egli è solo un comune assassino.
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Il 26 novembre 1943 vengono giustiziati Agostino Basili, contadino, partigiano della Banda Vicovaro e Walter Ludovisi, muratore. Facevano parte di un gruppo partigiano che effettuava azioni lungo la Valle dell’Aniene, operativo in particolare a Mandela e Vicovaro, dove si trovavano, rispettivamente, il comando di zona delle SS e un corpo collaborazionista di ‘guardia civica’ creato da un maresciallo dell’aeronautica che era in stretto contatto con la polizia fascista repubblichina. Agostino Basili non si aspettava però di esser condannato a morte e ritornò in cella, dopo la sentenza, che era come «un pezzo di legno, con gli occhi stralunati, vitrei …». (16). Per quanto riguarda invece Walter Ludovisi, non si conosce, per ora, il motivo dell’esecuzione. (17).
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Il 22 dicembre vengono giustiziati Riccardo Di Giuseppe della banda Vicovaro, già volontario antifranchista nella guerra civile spagnola (18) e Mario Carucci del Movimento dei cattolici comunisti. Il Di Giuseppe venne trattenuto per 25 giorni a Regina Cieli da cui veniva periodicamente prelevato dalle SS e portato in via Tasso per gli interrogatori, dove subì ripetutamente torture di ogni tipo, come hanno confermato i suoi compagni di cella a Roma. Ma da che si legge, era già stato torturato a Palazzo Cenci – Bolognetti e poi a Mandela. Poi la condanna a morte da parte del tribunale militare tedesco della Capitale detto ‘Feldgericht’. «Provammo una profonda emozione ed un grande dispiacere – disse un suo compagno di cella – Avevo imparato a conoscerlo, a capire la sua grande forza morale, ad avere per lui una grande stima. (…) Chi ci fece coraggio fu lui, […] il condannato a morte. Contrariamente alla sua grande posatezza, volle persino scherzare». (19).
Insieme al Di Giuseppe furono catturati pure Teofilo Ferrari, Secondo Massa, Romeo Carboni, Giovanni Borelli, Armando e Nando Duvalli, che formavano il nucleo portante della banda di Vicovaro, che fu così sconfitta. Essi furono tutti torturati prima presso il palazzo Cenci Bolognetti, poi presso il comando SS di Mandela. Quindi furono rilasciati, tranne Riccardo Di Giuseppe, che fu portato a Roma. (20). Mario Carucci era un ex- paracadutista ed era stato catturato nell’ Ascolano, dopo la battaglia del Colle San Marco. (21). Ma bisogna ricordare che le Forze Armate erano svanite come neve al sole dopo l’armistizio di Cassibile, la fuga del re e Badoglio che avrebbe dovuto comandarle e l’occupazione tedesca dell’Italia non in mano agli Alleati, e che molti militari, sentendosi traditi ed abbandonati e non volendo servire il nazismo occupante, passarono alla resistenza armata. Anche il Carucci fu torturato prima di essere messo con le spalle al plotone di esecuzione, come fosse stato un disertore: i suoi genitori infatti testimoniarono di averlo trovato in condizioni pietose, quando fu loro concesso un’unica volta di vederlo. (22).
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Il 30 dicembre 1943, dopo un sommario processo, vengono prelevati dal carcere di Regina Cieli e fucilati: Riziero Fantini operaio anarchico, che si era molto prodigato a favore di Sacco e Vanzetti (23), Antonio Feurra, fruttivendolo, aderente al PCI e Italo Grimaldi macellaio, pure lui del Partito Comunista. (24). Il 31 dicembre vengono giustiziati, sempre a Forte Bravetta, il vice brigadiere dei carabinieri Antonio Pozzi ed il carabiniere Raffaele Pinto (25), passati ambedue alla resistenza contro l’occupante tedesco: rei, pur essendo rimasti in servizio dopo l’8 settembre 1943, di aver tenuto contatti con coloro che stavano formando il gruppo resistenziale chiamato Fmcr, Fronte Militare Clandestino di Roma. Ed anche loro vengono interrogati con metodi brutali ma questa volta dallo stesso Gino Bardi, prima Federale in Roma, poi, dal novembre 1943, Commissario Generale dell’Urbe. (26).
Il 20 gennaio 1944 vengono giustiziati Andrea Franceschetti e Salvatore Petronari, detto ‘l’avvocatino’ aderente al PCI da tempo. Il Petronari viene arrestato in una pensione dove abita con la moglie e la figlioletta di 4 anni. Quando i tedeschi e tale Ugo Mastocinque, ex- tenente dei bersaglieri, che vive nella stessa pensione, irrompono e lo catturano, lo caricano su di un taxi e lo portano in via Tasso, per torturarlo. La moglie fugge, la bimbetta viene lasciata alla padrona di casa. Nella successiva perquisizione della stanza, oltre a armi, manifesti comunisti e di propaganda, viene rinvenuta anche una somma di denaro, che sparisce. (27).
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Il 31 gennaio 1944 viene eseguita la condanna alla pena capitale per gli aderenti alla resistenza: Giovanni Andreozzi; Mariano Buratti del P.d’A., professore di filosofia e capo della ‘Banda Buratti’ (28); Mario Capecci di ‘Bandiera Rossa’; Enrico De Simone, ufficiale di cavalleria, del Fronte militare clandestino; Augusto Latini, di ‘Bandiera Rossa’; Vittorio Mallozzi, fornaciaio, aderente al Pci; Paolantonio Renzi, muratore, del Pd’A; Raffaele Riva, operaio, aderente al Movimento dei cattolici comunisti; Franco Sardone, insegnante, del P.d’A. e Renato Traversi. (28).
Il prof. Mariano Buratti, anche ufficiale della Guardia di Finanza e volontario nella guerra d’Etiopia, venne catturato a Ponte Milvio il 12 dicembre 1943, dopo delazione forse da parte di Mario Pistolini, arrestato pure lui, ma subito rilasciato e poi dileguatosi. Il Buratti, dopo la cattura, fu lungamente torturato in via Tasso, e di lui non si seppe più nulla per alcuni giorni fino a che la Radio ed il quotidiano ‘Il Messaggero’ non dettero la notizia della sua fucilazione. Fu lui, dopo l’8 settembre 1943, a creare la “Banda (partigiana) del Cimino, detta anche ‘Banda Buratti’. Viene ricordato come un uomo molto dolce e malinconico, dato che aveva perso la prima moglie ed i due figli di primo letto. (29).
Il 2 febbraio 1944 vengono fucilati dalla Polizia dell’Africa Italiana, dopo esser stati prelevati dal carcere di Regina Cieli, 11 aderenti alla resistenza romana tutti appartenenti a ‘Bandiera Rossa’. Essi sono: Ettore Arena, di Luigi, operaio tornitore, e Benvenuto Badiali, commerciante; Branko Bitler, conosciuto come Walter Branco, impresario teatrale; Ottavio Cirulli, calzolaio; Romolo Jacopini; Enzio Malatesta, giornalista (30); Carlo Merli, giornalista; Augusto Paroli, operaio, Gino Rossi “Bixio”, ufficiale dell’Esercito; Guerrino Sbardella, tipografo; Filiberto Zolito, calzolaio, condannati a morte dal ‘Feldgericht’, come tanti altri. (31).
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Successivamente, il 4 marzo 1944, due mesi prima della liberazione, vengono giustiziati a Forte Bravetta, altri aderenti alla resistenza, e cioè: Antonio Lalli, impiegato ed Eugenio Messina, operaio, ambedue del Pci.
Tre giorni dopo, il 7 marzo dello stesso anno, vengono fucilati, dopo esser stati prelevati da Regina Cieli, altri 10 partigiani che sono: Antonio Bussi, artigiano; Concetto Fioravanti, di ‘Bandiera Rossa’; Vincenzo Gentile, impiegato al Ministero per gli affari esteri e Giorgio Labò ‘Lamberto’, studente di architettura, che viene trasportato a braccia all’esecuzione, poiché la tortura subita a via Tasso, ove vi erano i locali appositi e famigerati, non gli consente l’uso delle mani e dei piedi, ambedue del Pci; Paul Lauffer ‘Leo’, odontoiatra, del P.d’A.; Francesco Lipartiti, carabiniere, aderente al Fronte militare clandestino; Mario Mechelli, di ‘Bandiera Rossa’; Antonio Nardi, autista, sempre di ‘Bandiera Rossa’; Augusto Pasini, del P.d’ A., militare, ed appartenente alla ‘Banda Buratti’; Guido Rattoppatore, operaio, aderente al Pci. (32).
Il 3 aprile 1944 compariva davanti al plotone di esecuzione don Giuseppe Morosini, già cappellano militare, che faceva parte della banda ‘Mosconi’ operativa a Monte Mario. Si narra che però i militari della PAI spararono in aria, tranne due, perché era un sacerdote, o forse perché si girò a benedire i suoi carnefici, e fu finito dall’ufficiale repubblichino che comandava il plotone. (33).
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Due o tre cose che so di lui … La testimonianza di alcuni parenti dei partigiani caduti al Forte. (40).
La resistenza a Roma si muoveva fra vicoli e bottegucce, tra un meccanico che aggiustava magari anche biciclette, un piccolo commerciante, un calzolaio … In quel mondo vissero questi uomini coraggiosi che pagarono con la vita l’aver creduto in un mondo nuovo, sia che fossero cattolici, sia che fossero socialisti, comunisti o semplicemente idealisti. Purtroppo non avevo a Roma il registratore, e così posso scrivere solo alcune note appuntate su questi ricordi dei parenti tanti anni dopo, che hanno narrato quanto sapevano, senza barare, e che spesso non sapevano neppure che loro nonno o loro zio fosse stato un uomo così importante. E queste poche note narrano però fatti importanti.
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Per esempio, uno di questi partigiani chiuso in carcere a Regina Cieli e vicino alla morte, chiese alla famiglia, che non era poverissima, che gli fosse mandato del pane, per poterlo dividere con i suoi compagni di cella, affamati come lui.
Un altro familiare ha narrato che suo padre e la sua famiglia mai gli raccontarono chi fosse stato realmente suo zio, e presumo si trattasse di Enzio Malatesta, fucilato a Forte Bravetta. Crescendo ed avendo ascoltato alcuni ‘sussurri’ fu aiutato dall’ immaginazione a ricostruire la sua figura ed a farlo vivere e ri-vivere. E seppe che quello zio era laureato in filosofia ed aveva avviato una promettente carriera giornalistica ed era affiliato a ‘Bandiera Rossa’. Inoltre era figlio di un socialista, che vendette tutto invano per salvarlo e cercare di farlo evadere. Ma quando l’organizzazione dell’evasione da Regina Cieli, organizzata da Vassalli, esperto in questo genere di cose, era quasi riuscita, per un cambio di turno di un secondino tutto andò in fumo.
Toscano di nascita, milanese d’adozione, Enzio Malatesta era nato a Apuania (Massa Carrara) il 22 ottobre 1914. Nel 1938 si era laureato a Milano ed aveva intrapreso l’insegnamento al Liceo “Parini”. Fu direttore della rivista Cinema e Teatro. Nel 1940 si trasferì a Roma, dove fu assunto come capo redattore del quotidiano Giornale d’Italia. Con l’occupazione della Capitale decise di entrare nelle file del movimento “Bandiera Rossa” e fu tra gli organizzatori, nel Lazio, delle cosiddette “Bande esterne”. Catturato dalle SS tedesche l’11 dicembre 1943 ed accusato di aver organizzato formazioni armate, si assunse coraggiosamente ogni responsabilità, scagionando i compagni. Processato, fu condannato a morte e fucilato il 2 febbraio 1944 a Forte Bravetta. (41). Ma nel suo nucleo familiare poco si sapeva di lui.
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E vi è stato chi, nella sua ultima lettera alla famiglia, scrisse la parola Patria, per cui sarebbe andato a morire, con la ‘P’ maiuscola, perché era ancora vivo, in questi patrioti, un concetto reverenziale di patria, di matrice risorgimentale. Inoltre spesso i condannati, nelle loro ultime lettere, chiedevano scusa ai genitori per la loro prossima morte, e questo stupisce ora, ma essi davano loro un dolore, avevano forse tradito una promessa fatta, non avrebbero più potuto lavorare e prendersi cura di loro in vecchiaia. E vi fu chi, portato davanti al plotone di esecuzione, chiese di non essere bendato, per poter guardare l’ultima volta il cielo.
E un altro, prima di morire, ha inviato due lettere alla famiglia, che hanno dovuto passare ovviamente la censura. In una scrive ‘Sto bene’, per non preoccupare; nella seconda si rivolge al figlio maggiore raccomandando che ‘rispetti sempre sua madre’ ed infine rivolge un ricordo al figlio più piccolo, chiamandolo ‘il mio piccolo bambolotto’.
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Un altro testimone, nipote del condannato, ha narrato che suo nonno, padovano, quando era entrato a far parte della resistenza romana, aveva già 50 anni, ed aveva combattuto, nel corso della prima guerra mondiale, sull’Ortigara come capitano degli Alpini, ed era un ottimo geometra. Quindi, sposatosi, andò a vivere in Alto Adige, ma iniziò ad esser messo sotto controllo per la sua attività antifascista, in quanto aiutava gli espatri clandestini in Francia. Per un periodo non gli fecero nulla di particolare, in quanto era molto benvoluto nel mondo degli Alpini, però poi lo spedirono da Bolzano al Circeo, mentre la moglie, rimasta tra l’altro con ben poche lire in tasca, avendo il marito speso tutto per le sue attività antifasciste, decise di separarsi da lui e restare in Alto Adige. Bravissimo professionista, fu incaricato di compiere una serie di rilievi e di planimetrie dal ‘padrone’ del Circeo. Contattato dal Sis, vi aderì, e passò agli inglesi rilievi, planimetrie e mappe delle coste. Inoltre iniziò ad avere contatti con i partigiani dell’Agro Pontino, e con Malatesta di Bandiera Rossa.
Fu arrestato e portato nella sede dell’albergo Flora in via Veneto, e quindi torturato, e fu ucciso a Forte Bravetta. Sua moglie, per mantenersi, continuò a fare la maestra a Bolzano. Il nipote ha terminato il suo racconto dicendo che suo nonno ha passato a lui ed agli altri il valore della libertà e della democrazia per cui egli ha perso la vita, il lavoro, la famiglia. La sua biografia resta però limitata in quanto alcuni particolari sulla sua vita non si conoscono.
Infine i nipoti ritengono che il luogo per degnamente ricordare loro nonno sia il Circeo, non Forte Bravetta, ove fu ucciso in primo luogo per i suoi ideali politici, di cui era consapevole come dei rischi, e hanno colcluso dicendo che anche noi possiamo scegliere, come possiamo portare questa memoria verso il futuro.
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I nipoti di Nardi Antonio, vigile del fuoco e affiliato a ‘Bandiera Rossa’ giustiziato a Forte Bravetta il 7 marzo 1944, hanno raccontato che, neppure dopo la guerra, qualcuno della famiglia parlò loro del nonno. Cresciuti, chiesero alla nonna qualche notizia, e come risposta ebbero solo un lapidario: “Era un testa calda!”. Loro nonno era di ‘Bandiera Rossa’ e fu tradito da una spia, che lo ha fatto catturare dopo i fatti di Tor Pignattara.
Questo quartiere romano, come quelli di Centocelle, Quadraro, Borgata Gordiani, Quarticciolo, lungo le vie Casilina, Tuscolana e Prenestina, quando il fronte di guerra si arenò nel Basso Lazio, lungo il fiume Garigliano, per i nazisti divenne fondamentale perché volevano, come del resto gli alleati, il controllo della via Casilina e della ferrovia Roma-Cassino. Questi quartieri erano abitati per lo più da immigrati e da parecchi dissidenti politici, operai e impiegati, commercianti, artigiani. Il quartiere di Tor Pignattara, alla fine del 1943, divenne il baricentro dell’VIII zona del CLN, e vi operarono diversi antifascisti i cui compiti principali erano le azioni di sabotaggio dei rifornimenti e delle armi dell’esercito nazifascista, tramite l’assalto dei camion e treni in transito; la protezione dei soldati Alleati sbandati; il contrasto alle retate di polizia; il collegamento tramite ponte radio con l’esercito Alleato. Nell’ottobre 1943, il commissario del Commissariato di Tor Pignatara, Maranto, fu sostituito dal filonazista Armando Stampacchia, che iniziò una forte azione di contrasto all’attività contro gli occupanti nazisti e resistenziale, che terminò con la sua uccisione avvenuta il 4 marzo 1944, per mano gappista. Questo fatto portò ad una reazione forte da parte nazifascista.
Forse prima della morte di Stampacchia, forse subito dopo, a causa di una delazione, Antonio Nardi venne arrestato grazie ad una spia, e fu giustiziato a Forte Bravetta il 7 marzo 1944. Infine il l 20 giugno 2019 è stata costituita una sezione ANPI di Vigili del Fuoco che è stata intestata alla memoria di Antonio Nardi, la cui figura è stata ampiamente valorizzata di recente. (42).
Ma – hanno continuato i nipoti – a cosa è servito il sacrificio di uomini come il nonno, se ci troviamo ora in questa situazione? Ora di uomini così- hanno terminato – non ce ne sono più.
Anche un altro parente di un caduto a Forte Bravetta si è domandato come siamo finiti così, senza più valori fondanti, quelli che portarono tanti a finire uccisi per la libertà e la giustizia, e che stanno alla base della Costituzione.
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Interessante e commovente pure l’ultima lettera che Salvatore Petronari indirizza alla moglie, il suo pensiero è tutto per la piccola Fernanda. Egli avvisa che è stato condannato a morte e dice alla sua compagna di vita: «Sii forte, sappi sopportare questo dolore con forza, come io sopporterò quello dell’esecuzione. In questi giorni trascorsi, ho sempre pensato a te e alla nostra bambina, che ho sempre sperato di poter rivedere per darle gli ultimi baci, ma non mi è stato possibile. Come sai non ho fatto nulla che possa disonorarti, pertanto puoi sempre andare a fronte alta, senza vergognarti della disgrazia che entrambi ci colpisce. Sii buona, pensa alla nostra bambina, a cui tutti e due vogliamo molto bene, in mia mancanza dalle una buona educazione come io avrei sperato di fare se fossi stato in vita. (…). Questi ultimi momenti che mi rimangono, sono tutti rivolti a te che ho sempre voluto bene con tutta la forza del mio amore e dell’anima mia. Perdonami per questo dolore che ti dò e pensami con amore. Perdonami se qualche volta nella nostra vita c’è stato qualche piccolo diverbio che ti abbia arrecato dolore. (…)». Infine si augura che riuscirà a recuperare la cifra sottratta e che non manchi nulla, in futuro, alla loro bimba. (Augusto Pompeo, “Forte Bravetta, una fabbrica, cit.”, pp. 164-165).
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Infine riporto qui la lettera che Pietro Benedetti inviò alla famiglia prima di morire.
«Mia cara Enrichetta, Ho voluto tacerti fino ad oggi la triste realtà nella speranza di ottenere una impossibile grazia. Purtroppo è la fine. Sono straziato di non poter rivedere i miei figli. Ora tu sei tutto per loro. Sii forte per loro. Tu sai che al mondo ho fatto solo il bene e perciò morirò tranquillo. Bacia per me i miei figli ed educali nell’amore e nel lavoro. Addio, mia diletta e sfortunata compagna, bacia per me mio padre, i tuoi cari genitori, i cugini e gli zii. Salutami tutti gli amici e ringrazia coloro che hanno tentato purtroppo inutilmente di salvarmi. Un ultimo abbraccio e un bacio per tutta la vita, Tuo Pietro.
20 aprile 1944
Filippo, Rosa, Ivana, Tina, addio, siate buoni e bravi ed amate vostra madre, perdonatemi e ricordatemi sempre. Vostro Padre». (43).
E termino questa parte scrivendo che spero di non aver fatto molti errori nei miei appunti relativi alle testimonianze, ma mancavo del registratore. Ho inviato all’ Anpi proponente perché correggesse, ma non mi è giunto nulla in risposta. Ma forse nessuno ha registrato, come mi diceva una persona.
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Importante è stato ed è il contributo di chi abita in quella zona per rendere Forte Bravetta uno spazio pubblico, progetto ora sostenuto non solo dal XII Municipio, prima XVI, ma anche da Roma Capitale. Infatti vi è stata pure una tavola rotonda, che non ho potuto ascoltare solo perché dovevo partire, sulla “Riqualificazione e progetti futuri per Forte Bravetta”, a cui hanno partecipato Maurizio Velloccia, assessore capitolino all’ urbanistica; Elio Tommasetti, Presidente del XII Municipio; Pierluigi Di Blasio, Dirigente della struttura per la Progettazione dell’Agenzia del Demanio; Marco Noccioli della Presidenza Anpi Roma; Paolo De Zorzi, Presidente dell’ANPPIA Roma.
Ed una cosa si deve dire: dismesso come zona ad uso militare, il Forte e lo spazio circostante, un polmone bellissimo di verde, dovevano esser venduti, secondo lo Stato, a privati, ma furono i romani della zona, sostenuti dal loro municipio, a non volere questa operazione, da che ho compreso, mentre Augusto Pompeo ne scriveva la storia per valorizzare sia il Forte sia le sue vittime ai tempi dell’occupazione tedesca. Ed a loro deve andare il nostro grazie.
Seguirà, quando riuscirò a farlo, il secondo articolo relativo alle vittime di Forte Bravetta prima e dopo la Resistenza.
Vi invito infine a leggere anche, sempre su www.nonsolocarnia.info, il mio: “Roma. Fosse Ardeatine. Per riflettere sul nazismo e sul fascismo e sull’importanza della pace.’
Laura Matelda Puppini
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Note.
1) Augusto Pompeo è nato a Roma il 3 novembre 1945. Archivista di Stato in pensione, è stato titolare della cattedra di Archivistica speciale presso la Scuola di Archivistica, Paleografia e Diplomatica dello stesso Istituto. È autore di pubblicazioni di storia e di storia delle istituzioni moderne e contemporanee presso riviste specialistiche, quali: Deputazione di storia patria per l’Umbria, Archivi per la storia, Rivista storica del Lazio, Qualestoria. Collabora, come consulente storico, con l’Anpi provinciale di Roma. Per conto del Comune di Roma e in collaborazione con l’Anpi di Roma ha pubblicato: “Forte Bravetta, Storie, memorie, territorio”(breve storia delle esecuzioni capitali eseguite a Roma nell’età contemporanea). Per i tipi di Odradek ha pubblicato: “Forte Bravetta, una fabbrica di morte dal fascismo al primo dopoguerra”. Ha curato inoltre la pubblicazione di: “Liberi” (raccolta di saggi riguardanti vicende e testimonianze sul quartiere Monteverde di Roma durante la Resistenza), e “Dorer. Fonti documentarie per lo studio della Resistenza a Roma e nel Lazio”. (https://www.iacobellieditore.it/augusto-pompeo/).
2) Augusto Pompeo, Roma. Forte Bravetta 1932-1945, pubblicazione a cura dell’Archivio Storico Culturale del Municipio Roma XVI, ristampa 2006, p. 8. Attualmente il XVI Municipio non esiste più perché esso è stato denominato, in una fase di riorganizzazione, XII Municipio – Gianicolense.
3) Il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, venne istituito con legge del 25 novembre 1926, n. 2008 e reso operativo con i i regi decreti 12 dicembre 1926, n. 2062 e 13 marzo 1927 n. 313 con il compito di giudicare i delitti contro la sicurezza dello Stato e contro Mussolini che era il Capo del Governo. Durante il regime fascista, il Tribunale speciale ebbe il potere di diffidare, ammonire e condannare gli imputati politici ritenuti pericolosi per l’ordine pubblico. Con la stessa legge di costituzione del tribunale venne reintrodotta, in ambito civile, la pena di morte per alcuni reati a carattere politico. (Per il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, cfr. https://www.anpi.it/libri/il-tribunale-speciale-la-difesa-dello-stato; https://it.wikipedia.org/wiki/Tribunale_speciale_per_la_difesa_dello_Stato_(1926-1943); https://search.acs.beniculturali.it/OpacACS/guida/IT-ACS-AS0001-0003603. In particolare molte informazioni utili si trovano in quest’ ultimo testo, che è riferito a quanto si trova a livello documentario sul Tribunale Speciale presso l’Archivio di Stato di Roma.
4) Il Palazzo di Giustizia sorse ove vi erano gli orti di Adriano, ebbe una storia complessa, fu inaugurato 12 anni dopo il suo inizio, nel 1911, ed alla sua costruzione contribuirono anche artisti valenti. Furono forti e pesanti però anche le polemiche, di varia natura, che seguirono la erezione del palazzo, al punto che venne costituita una commissione d’inchiesta per fare chiarezza su alcuni aspetti, chiamando in causa l’architetto Guglielmo Calderini che, infine, il 12 febbraio 1916 si suicidò. «È questa forse una delle ragioni che, unitamente alla drammaticità dei casi giudiziari trattati in quelle aule, hanno portato i romani a chiamare l’edificio “Palazzaccio”». (https://www.cortedicassazione.it/it/storia_del_palazzo.page).
5) Il tribunale militare tedesco era situato a Roma in via Locullo ed è un luogo famoso per le torture inflitte ai partigiani all’interno dei suoi locali in tempo di guerra. Durante l’occupazione nazista di Roma era il tribunale chiamato a giudicare gli imputati dopo le inchieste condotte dalla polizia tedesca. I processi duravano solitamente una manciata di minuti spesso alla presenza di avvocati italiani di fede fascista. Solitamente le sentenze prevedevano la condanna capitale con fucilazione a Forte Bravetta o la deportazione in Germania. (https://siusa.archivi.beniculturali.it/cgi-bin/pagina.pl?TipoPag=prodente&Chiave=60610.
6) https://it.wikipedia.org/wiki/Bandiera_Rossa_(movimento)
7) I partigiani di Bandiera Rossa, in: http://fondazionepintor.net/memoria/ardeatine/tre/
8) Per i caduti alle ardeatine, cfr. Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Eccidio_delle_Fosse_Ardeatine).
9) Per i caduti di Bandiera Rossa, cfr. Ivi.
10) Davide Conti, Fra vita quotidiana e dimensione della storia: i GAP romani, in: https://www.patriaindipendente.it/servizi/fra-vita-quotidiana-e-dimensione-della-storia-i-gap-romani/
11) Ibidem.
12) I problemi presenti nell’elenco dei nomi riportati sulla lapide di Forte Bravetta, sono evidenziati da Augusto Pompeo nel suo: “Roma. Forte Bravetta 1932-1945, cit.” alla p. 85 e in Augusto Pompeo, Forte Bravetta, una fabbrica di morte, Odradek ed., 2012, alle pp. 259-260.
13) L’elenco dei caduti è ripreso da quelli riportati da Augusto Pompeo in: “Roma. Forte Bravetta 1932-1945, cit.” pp. 91-94 e in Augusto Pompeo, “Forte Bravetta, una fabbrica, cit.”, pp. 271-275.
14) Ivi, p. 161.
15) https://www.memoriedipaese.it/tirella-giuseppe/ e in Augusto Pompeo, “Forte Bravetta, una fabbrica, cit.”, p. 161.
16) Augusto Pompeo, “Forte Bravetta, una fabbrica, cit.”, pp. 161- 162.
17) Ivi, p. 162.
18) Riccardo Di Giuseppe, elettricista, era nato il 18 maggio 1899 a Vicovaro ed è morto il 22 dicembre 1943 a Forte Bravetta. Una scheda con la sua biografia è presente in: http://www.antifascistispagna.it/?page_id=758&ricerca=1830. Per la sua figura cfr. anche: “I fucilati di Forte Bravetta. I fatti, le vittime, in: https://www.anfim.org/wp-content/uploads/2020/09/FORTE-BRAVETTA-EdANFIM-2023.pdf.
19) Augusto Pompeo, Forte Bravetta, una fabbrica, cit.”, p. 162.
20) Ibidem.
21) Per la battaglia di colle San Marco, una delle prime di militari e giovani contro i nazisti che avanzavano ad occupare la città di Ascoli, cfr. https://ascolipiceno.anpi.it/2020/09/29/3-ottobre-1943-a-colle-san-marco-gli-eroici-eventi-della-resistenza-ascolana/.
22) Augusto Pompeo, Forte Bravetta, una fabbrica, cit., p. 163.
23) Per la figura di Riziero Fantini e la sua attività a favore di Sacco e Vanzetti, cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Riziero_Fantini e https://www.anpi.it/biografia/riziero-fantini.
24) Augusto Pompeo, Forte Bravetta, una fabbrica, cit., p. 272.
25) Ivi, p. 163. Essi furono prelevati dalla famigerata banda detta “Banda di Palazzo Braschi’. (Ibidem). Per la stessa, cfr. Mario Lombardo – Più feroci della Gestapo 1 parte, in: https://toscano27.wordpress.com/2017/04/19/mario-lombardo-pi-feroci-della-gestapo-1-parte/.
26) Nel 1947 Bardi e Guglielmo Pollastrini, detto Memmo, ex sottufficiale di polizia espulso dall’arma per violenze e soprusi, e messo in libertà dopo l’Armistizio, che guidavano la banda di torturatori posti in Palazzo Braschi, già sede del P. N.F., furono processati con 54 dei loro sgherri. Bardi fu condannato a 22 anni e 6 mesi, Pollastrini a 28 anni. Anche tutti gli altri, tra i quali il figlio di Pollastrini, vennero condannati a pesanti pene detentive ed al risarcimento delle vittime. (https://www.letteraicompagnirivista.com/events/27-novembre-1943-la-polizia-fascista-costretta-da-kappler-arresta-40-membri-della-banda-fascista-bardi-pollastrini/).
27) Augusto Pompeo, “Forte Bravetta, una fabbrica, cit.”, p. 164.
28) Ivi, p. 272.
29) http://www.bibliotecaviterbo.it/biblioteca-e-societa/1993_3-4/Gbs.pdf.
30) Senza togliere nulla agli altri, molto si è parlato, nel corso dell’incontro di Roma, di Enzio Malatesta a cui anche l’Anpi dedica una scheda, leggibile in https://www.anpi.it/biografia/enzio-malatesta
31) Augusto Pompeo, “Forte Bravetta, una fabbrica, cit.”, p. 273.
32) Ivi, pp. 273-274. Per Guido Rattoppatore, cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Guido_Rattoppatore.
33) Per don Giuseppe Morosini, cfr. https://www.memoriedipaese.it/caduti-di-forte-bravetta/; https://www.anpi.it/biografia/don-giuseppe-morosini e anche: https://www.treccani.it/enciclopedia/giuseppe-morosini_(Dizionario-Biografico).
34) https://www.televignole.it/fucilati-forte-bravetta-3
35) Una lapide in ricordo del tenente Salvatore Grasso è stata posta sulla parente di un edificio, in via Vicenza, nel rione Castro Pretorio, dove egli abitava. (https://www.rerumromanarum.com/2014/09/targa-in-memoria-di-salvatore-grasso.html).
36) Per Fabrizio Vassalli, cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Fabrizio_Vassalli. Ivi si legge che «il 13 marzo 1944, Fabrizio Vassalli fu arrestato nel centro di informazioni di Via del Babuino con il pittore Giordano Bruno Ferrari e rinchiuso in via Tasso. Per due mesi i tedeschi lo sottoposero ad atroci torture, senza ottenere alcuna informazione. Nel frattempo, le SS arrestarono e rinchiusero in Via Tasso anche Amelia Vittucci, moglie di Vassalli, insieme all’ufficiale Salvatore Grasso, all’elettromeccanico Corrado Vinci, al radiotelegrafista Pietro Bergamini, a Bice Bertini ed a Jolanda Gatti, moglie di Vinci e incinta di sette mesi. Tutti i patrioti furono sottoposti ad un sommario processo, che si concluse con la condanna a morte. Le tre donne riuscirono a salvarsi per il sopraggiungere a Roma degli Alleati. Vassalli, Ferrari, Grasso, Vinci e Bergamini furono fucilati, il 24 maggio 1944, sugli spalti di Forte Bravetta».
37) Augusto Pompeo, “Forte Bravetta, una fabbrica, cit.”, p. 274.
38) Ivi, p. 275.
39) L’elenco dei fucilati si trova anche in: https://it.wikipedia.org/wiki/Martiri_di_Forte_Bravetta, ma schede dettagliate per ognuno di loro si trovano in: https://www.memoriedipaese.it/caduti-di-forte-bravetta/, ed in altri siti, a cui rimando.
40) Da appunti di Laura Matelda Puppini sulle testimonianze rese da alcuni parenti al convegno “Forte Bravetta: memoria per il futuro”, tenutosi a Roma il 6 aprile 2024.
41) https://www.odg.toscana.it/news/news-generiche/enzio-malatesta-il-giornalista-toscano-fucilato-il-2-febbraio-1944_1543.html.
42) https://baraondanews.it/antonio-nardi-il-vigile-del-fuoco-fucilato-dai-tedeschi/.
43) “I fucilati di Forte Bravetta. I fatti, le vittime, in: https://www.anfim.org/wp-content/uploads/2020/09/FORTE-BRAVETTA-EdANFIM-2023.pdf, p. 38.
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L’immagine che accompagna l’articolo è tratta da: https://www.televignole.it/fucilati-forte-bravetta-1/ e rappresenta il monumento ai caduti di Forte Bravetta. L.M.P.
https://www.nonsolocarnia.info/forte-bravetta-la-storia-di-un-impegno-civico-per-salvare-un-simbolo-di-morte-ma-al-tempo-stesso-di-resistenza/https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2024/04/52409.jpg?fit=510%2C390&ssl=1https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2024/04/52409.jpg?resize=150%2C150&ssl=1Senza categoriaSabato 6 aprile, prima di rientrare in Carnia, sono stata ad ascoltare, grazie a mia figlia Annalisa che mi ha informato dell’ evento, un’interessante incontro su Forte Bravetta, tenutosi a Roma presso l’auditorium casACLI in vicolo del Conte 2, intitolato: “Forte Bravetta: memoria per il futuro”, promosso dall’ Anpi...Laura Matelda PuppiniLaura Matelda Puppinilauramatelda@libero.itAdministratorLaura Matelda Puppini, è nata ad Udine il 23 agosto 1951. Dopo aver frequentato il liceo scientifico statale a Tolmezzo, ove anche ora risiede, si è laureata, nel 1975, in filosofia presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Trieste con 110/110 e quindi ha acquisito, come privatista, la maturità magistrale. E’ coautrice di "AA.VV. La Carnia di Antonelli, Centro Editoriale Friulano, 1980", ed autrice di "Carnia: Analisi di alcuni aspetti demografici negli ultimi anni, in: La Carnia, quaderno di pianificazione urbanistica ed architettonica del territorio alpino, Del Bianco 1975", di "Cooperare per vivere, Vittorio Cella e le cooperative carniche, 1906- 1938, Gli Ultimi, 1988", ha curato l’archivio Vittorio Molinari pubblicando" Vittorio Molinari, commerciante, tolmezzino, fotografo, Gli Ultimi, Cjargne culture, 2007", ha curato "Romano Marchetti, Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona, una vita in viaggio nel Novecento italiano, ed. ifsml, Kappa vu, ed, 2013" e pubblicato: “Rinaldo Cioni – Ciro Nigris: Caro amico ti scrivo… Il carteggio fra il direttore della miniera di Cludinico, personaggio di spicco della Divisione Osoppo Carnia, ed il Capo di Stato Maggiore della Divisione Garibaldi Carnia, 1944-1945, in Storia Contemporanea in Friuli, n.44, 2014". E' pure autrice di "O Gorizia tu sei maledetta … Noterelle su cosa comportò per la popolazione della Carnia, la prima guerra mondiale, detta “la grande guerra”", prima ed. online 2014, edizione cartacea riveduta, A. Moro ed., 2016. Inoltre ha scritto e pubblicato, assieme al fratello Marco, alcuni articoli sempre di argomento storico, ed altri da sola per il periodico Nort. Durante la sua esperienza lavorativa, si è interessata, come psicopedagogista, di problemi legati alla didattica nella scuola dell’infanzia e primaria, e ha svolto, pure, attività di promozione della lettura, e di divulgazione di argomenti di carattere storico presso l’isis F. Solari di Tolmezzo. Ha operato come educatrice presso il Villaggio del Fanciullo di Opicina (Ts) ed in ambito culturale come membro del gruppo “Gli Ultimi”. Ha studiato storia e metodologia della ricerca storica avendo come docenti: Paolo Cammarosano, Giovanni Miccoli, Teodoro Sala.Non solo Carnia
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