Franceschino Barazzutti. Montagna: acqua nostra o acqua loro?
Sull’acqua e l’ energia idroelettrica. Correvano gli anni ’50….
Correvano gli anni ’50 quando il “potere” di fatto ed anche la “gestione” delle acque del Tagliamento, Lumiei, Degano, Vinadia furono messi nelle mani della Sade, finendo dalla Carnia a Venezia per poi essere spostati a Roma all’Enel con la nazionalizzazione dell’energia elettrica, ed infine, con la privatizzazione della stessa, finire a Milano ad Edipower spa.
Lì sono finiti nelle mani dei Comuni di Milano, Brescia e Bergamo quali proprietari della multiutility A2A detentrice del 71% di Edipower, nella mani delle Province di Trento e di Bolzano attraverso le società da esse controllate Dolomiti Energia spa e SEL spa, azioniste di Edipower per l’8,5% ciascuna, nelle mani delle banche azioniste di Edipower per il restante 12%. Comuni e Province queste, che iscrivono all’attivo dei propri bilanci i profitti realizzati dalle loro società per azioni sfruttando le acque degli altri Comuni, i nostri.
Mentre la corrente elettrica ed i profitti – anche loro – furono portati lontano, alla Carnia rimase un sistema derivatorio di ben 80 km di gallerie, altrettanti km di alvei desertificati tuttora in gran parte tali per l’inosservanza del Deflusso Minimo Vitale (DMV), uno sconquasso idrogeologico, il lago di Cavazzo sconvolto, l’obolo dei sovracanoni al Consorzio BIM, che qualcuno al Governo vorrebbe sopprimere per tenersi anche quell’obolo. Stessa situazione negli altri territori montani della regione.
Questo accadeva allora, e tuttora è in essere per l’acqua dei nostri territori montani, mandata nelle turbine. Il quadro complessivo nella nostra regione vede l’idroelettrico essenzialmente nelle mani di Edipower spa e di Edison con le centrali dell’asta del Meduna, le cui concessioni sono in scadenza nel 2020-2021. Se consideriamo che le numerose centraline idroelettriche sono prevalentemente private e che la centrale termoelettrica di Monfalcone appartiene ad A2A e quella turbogas di Torviscosa appartiene ad Edison si deve purtroppo concludere che la nostra Regione è proprietaria del….nulla. E su questo “nulla” deve elaborare il Piano Energetico Regionale. E’ quindi il caso che, imparando dalle Province Autonome di Trento e di Bolzano, la nostra Regione costituisca assieme ai produttori locali una propria società elettrica e attui una politica di acquisizione in capo ad essa delle concessioni in scadenza e non solo di quest’ultime.
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Su quell’acqua da bere, non più “nostra”.
Come l’acqua delle turbine è finita in mani lontane, ora, proprio in questi ultimi anni, qualcosa di analogo è avvenuto con l’acqua del rubinetto di casa. Infatti, il “potere” o “governo” dell’ acqua è passato dai Comuni della Carnia a Udine all’Ambito Territoriale Ottimale (ATO), ora Consulta d’Ambito (CATO), per finire a Milano all’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas (AEEG), che decide tutte le regole – tariffe comprese – mentre la gestione del servizio idrico dai Comuni è passata a Tolmezzo, a Carniacque spa, da dove, tra non molto, verrà messa nuovamente in viaggio verso Udine o Trieste per finire in un’unica società di servizi regionale, la quale poi la traghetterà sino a Bologna ad Hera, potente multiutility. La missione di Hera è aggregare a sé tutto il nordest dopo aver già assorbito Acegas Trieste, APS Padova ed anche l’udinese Amga, eseguendo gli ordini del governo. (“Affari e Finanza” del 23 settembre 2013 “Utilities, contrordine del governo. Ora le grandi mangino le piccole”).
A chiarire che la gestione del servizio idrico non si fermerà a Tolmezzo in Carniacque hanno provveduto il 18.06.2014 con rumorose dichiarazioni alla stampa i presidenti: Zuliani, della Consulta d’Ambito; Gomboso, del Consorzio Acquedotto Friuli Centrale (CAFC spa); Vuga, dell’acquedotto Poiana; Pittoni di Carniacque spa. Come lo hanno fatto?
Annunciando – oltre ad un miliadario piano trentennale d’interventi da loro definito con uno sconsiderato quanto ridicolo paragone “terza ricostruzione dopo la Seconda guerra mondiale e il terremoto” da finanziare con prestiti bancari garantiti da forti aumenti delle bollette – la volontà di fondersi in un’unica società di gestione regionale alla quale la presidente Serracchiani nello stesso giorno ha dato la sua benedizione. Ella ha inoltre dichiarato: “tanto meglio se questo piano di aggregazione avrà anche fasi ulteriori” per le quali la Regione farà la sua parte. “Ulteriori fasi” significano, di fatto, la confluenza nella bolognese Hera spa! E così, mentre il governo dell’acqua è già finito a Milano all’AEEG, la gestione è destinata a finire a Bologna, con il risultato che i comuni montani, che già contano ben poco, poi conteranno niente.
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Su Carniacque s.p.a. ed i comuni della Carnia.
I sindaci dei nostri Comuni montani, fautori di Carniacque spa, hanno la pesante responsabilità di non avere a suo tempo utilizzato, come fatto solo da Cercivento, Forni Avoltri, Ligosullo, il disposto dell’art.148 comma 5 del Dls 152/2006 che, riconoscendo le peculiarità dei territori montani, prevede che «l’adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato è facoltativa per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle comunità montane» e di aver portato, invece, i loro cittadini in bocca ai pescecani, [ togliere: mentre, al contrario, il servizio idrico autonomo dei tanti singoli comuni montani non sarebbe] rendendolo preda appetibile.
A questo è servita e serve Carniacque spa: a spogliare e traghettare i Comuni verso le grandi multiutility. Rispetto a questa prospettiva non ha gran valore che i Comuni abbiano rilevato le quote di Amga-Hera in Carniacque. Quest’ultima, in quanto società per azioni e non ente pubblico, sarà prima o poi preda di qualche pesce più grande di lei.
Tale esito è reso più concreto dalla pesante situazione finanziaria di Carniacque, che è una società molto piccola operante in un territorio che comporta costi elevati e scarsi ricavi. Di questa difficile situazione di Carniacque approfittano i “signori dell’acqua” della Consulta d’Ambito e del Cafc, per fare i loro giochi, spalleggiati da qualche dispettoso amministratore comunale carnico.
Davanti a questa situazione è incomprensibile l’inerzia della gran parte dei Comuni, che anziché assumere adeguate iniziative a tutela della propria autonomia e dei cittadini si lasciano trascinare dagli eventi determinati da altri. Altrettanto incomprensibile è il silenzio dei fautori iniziali della costituzione di Carniacque nella forma di società per azioni, in particolare il sen Carpenedo, il consigliere regionale Renzo Petris, la vicesindaco Erica Gonano ed i vari sindaci di allora.
Questa grave situazione chiama in causa anche i componenti dei precedenti consigli di amministrazione anche per averla tenuta chiusa nel cassetto. Se va dato atto al neopresidente e amministratore delegato avv. Luches di averla comunicata ai Comuni azionisti, è risultata stonata la sua uscita contro la stampa per averne dato notizia al pubblico e contro i Comitati per averla ripresa.
E’ il caso di precisare l’itinerario già percorso e quello futuro dell’acqua del nostro rubinetto, sia riguardo al governo di tale acqua, sia alla gestione della stessa.
Gestione pubblica dell’acqua: fra Comuni e Vicinie.
Storicamente, per ovvi motivi di configurazione del territorio montano, i nostri vecchi ubicarono gli abitati per lo più subito a valle di sorgenti, numerose in montagna, da cui portarono l’acqua nella fontana, luogo centrale, di grande socialità ed unione del paese. Ne è risultato un grande numero di acquedotti autonomi, di breve lunghezza anche per ridurre la possibilità di perdite e guasti, di cui il caso di Ovaro con la presenza di 10 acquedotto su 14 abitati è indicativo.
Il governo di tale acqua e la gestione di essa furono esercitati per secoli da un unico soggetto: la Vicinia del villaggio, uno strumento di autogoverno locale, di grande partecipazione, di solidarietà, di identità comunitaria, di democrazia diretta, di amministrazione dei beni collettivi. In Carinzia nei borghi della Lesachtal il servizio idrico è tuttora gestito dalle locali Vicinie.
Successivamente, alla Vicinia subentrò il Comune, il cui Consiglio – organo di democrazia delegata – ha esercitato sia il “potere” su tale acqua, sia la “gestione” di essa, portando l’acqua non solo alla fontana, ma anche ai rubinetti dei vari edifici e la rete fognaria ai depuratori.
Il modello della Vicinia e quello del Comune nel contesto territoriale montano hanno sempre garantito agli abitanti acqua buona, sana, gratuita, a costi moderati. E gli abitanti dei borghi montani hanno sempre considerato, anche psicologicamente, l’acqua bene collettivo, “la nestra âga”, cui è dovuto grande rispetto e visibilità, con le bellissime fontane carniche.
Alla fine degli anni ’90 questo collaudato sistema venne sconvolto prima dalla Legge Galli del 1994 poi dal Dls 152 del 2006, con cui lo Stato, vergognosamente rinunciando al suo ruolo sociale e pur continuando a riscuotere tasse crescenti, dichiarò di non investire più un soldo nel servizio idrico e ne impose l’autofinanziamento da parte degli utenti ed il trasferimento del “potere” all’ATO a Udine e la “gestione” a Carniacque a Tolmezzo, lontano dagli abitati montani, dalla gente.
Il ruolo del Comune, ne usciva sminuito, i costi e le tariffe risultavano aumentate. Erano i primi passi della ritirata del “pubblico” per far posto al “privato”, al mercato. Iniziava così un lungo viaggio che tuttora continua.
Tolmezzo, 18 febbraio 2015.
Franceschino Barazzutti, già presidente del Consorzio del Bacino Imbrifero Montano (BIM) Tagliamento, e Presidente del Comitato per la tutela delle acque del bacino montano del Tagliamento.
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