I cosacchi del Grebegn. Da un racconto di Lev Tolstoj.
Un giorno stavo passeggiando al mercato del sabato al rione del Trullo a Roma. Ad un certo punto mi soffermai a guardare cosa proponeva una bancarella di libri, cercandone uno per mio nipote Andrea, e magari uno cartonato per bimbi davvero piccoli da donare a quel briciolino di Leone, di pochi mesi.
Ma il mio sguardo cadde su un volume un po’ malmesso, se posso dire così, formato A5, usato e poco attraente, intitolato: “I cosacchi”, e scritto dal grandissimo Lev Tolstoj. Cosa aveva scritto, nel lontano 1800, sui cosacchi? Incuriosita, acquistai il libro per 1 euro dal signore, ben contento di potermelo rifilare, ed ora vorrei narrarvi cosa vi è scritto, per iniziare a parlare dei cosacchi, dopo una piccola premessa.
PREMESSA.
Certe volte leggo con noia gli articoli che parlano dei cosacchi in Carnia senza neppure una nota su chi fossero stati prima, e magari su chi furono poi, senza ricordare, come ha fatto anche Franceschino Barazzutti, che essi erano formati da gruppi diversi, non configurandosi quindi come un popolo nell’accezione romantica del termine, e che una parte dei cosacchi lottò pure con l’Armata Rossa.
Secondo il massimo storico cosacco, Anatolij Aleksandrovič Gordeev, l’origine dei Cosacchi «andrebbe rinvenuta nelle popolazioni russe originariamente deportate come schiave dai tartari e che ben volentieri in seguito accolsero nelle loro file avventurieri, contadini e servi della gleba russi in fuga». (1). Ma esistono anche altri che sostengono altre teorie sull’origine dei Cosacchi. (2).
I primi insediamenti cosacchi apparvero nell’area del basso Dnepr, zona poco popolata fra la Polonia ed il Canato di Crimea durante il XVI secolo. Questo territorio, trovandosi a valle delle rapide del fiume, fu chiamata “zaporož’e”, ovvero “al di là delle rapide”. Successivamente i cosacchi occuparono i bacini dei fiumi Kuban e Terek, il basso Volga, la steppa del bacino dell’Ural e alcune zone della Siberia orientale facenti parte del bacino del fiume Amur. (3).
Secondo alcuni il termine “cosacco” è apparso, la prima volta, nel contesto della Repubblica di Novgorod, ma secondo altri esso si ritrova solo nel 1444 in un manoscritto russo, e fu usato per designare soldati mercenari nomadi e liberi, cioè non soggetti agli obblighi feudali, che spesso offrivano i loro servigi ai vari principi. (4).
«I cosacchi erano seminomadi e vivevano di caccia, pesca e scorrerie ed erano costantemente in lotta con i tartari che abitavano la stessa area, quantunque non mancassero mescolanze tra le due popolazioni antagoniste. Più tardi i cosacchi svilupparono anche un’agricoltura stanziale. I cosacchi erano organizzati in comunità militari e di mestiere rette da un “ataman”. Tutte le cariche erano di norma elettive e le questioni più rilevanti erano affrontate dall’assemblea della comunità (krug) […]». (5).
E qui mi fermo per presentare e narrare quanto scritto da Tolstoj.
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Cartina geografica del 1680 che rappresenta la “Tartaria d’Europa” ovvero la “Piccola Tartaria” divisa da Giacomo Cantelli da Vignola nella Tartaria Nogai e della Crimea, o di Precop soggetta al Kan; nella Tartaria di Bidiack, d’Oczackow, e di Dobruss, soggetta ai Turchi; nella Tartaria Circassa e de Mordva, soggetta al Gran Duca di Moscovia e nelle Due Uckraine una abitata da Cosacchi Tanaiti soggetti alla Moscovia, l’altra dai Cosacchi di Zaporowa liberi, e già dipendenti dalla Polonia. (https://commons.wikimedia.org/wiki/. Da: https://it.wikipedia.org/wiki/Cosacchi. Leggenda tradotta dal francese).
“I COSACCHI” DI LEONE TOLSTOJ, UN TESTO PARZIALMENTE AUTOBIOGRAFICO.
Lev Tostoj da giovane era andato a fare il sodato in Caucaso, dopo una vita dissoluta a Mosca, chiamato dal fratello Nicola che prestava ivi servizio come ufficiale. Quindi, dopo essersi guadagnato a Tiflis, presumibilmente l’odierna Tblisi, le spalline da ufficiale di artiglieria, si fermò in zona fino al 1853, partecipando a tutte le spedizioni contro i montanari ribelli e condividendo le fatiche, gli stenti e i rischi dei soldati». (6). Questo per farvi capire che questa storia ha come riferimento un’esperienza giovanile di Tolstoj, che ci narra quello che allora aveva visto, pur nel contesto di un romanzo. Il libro fu scritto tra il 1852 ed il 1863, e fu pubblicato la prima volta in quell’anno sulla rivista russa Russkij vestnik, come ci ricorda wikipedia.
I COSACCHI DEL GREBEGN, E DOVE VIVEVANO.
Per prima cosa voglio riportarvi i luoghi dove si svolge il racconto, che riguarda i cosacchi che vivevano lungo il Terek.
«Tutta la parte della linea del Terek lungo la quale sono disposti i villaggi cosacchi del Grebegn (7), per circa ottanta verste (8), presenta identici caratteri sia per i luoghi sia per la popolazione. Il Terek, che separa i cosacchi dai montanari, scorre torbido e rapido, ma già largo e placido, trasportando continuamente una sabbia grigiastra sulla riva destra bassa, coperta di canne, e corrodendo quella di sinistra, scoscesa benché poco elevata, con le sue radici di querce centenarie, di platani che stanno imputridendo e di giovani alberelli. Sulla riva destra sono disposti gli “auli” (9) pacificati, ma ancora irrequieti; lungo la riva sinistra, a mezza vresta dal fiume, […] sono distribuiti i villaggi cosacchi. Anticamente la maggior parte di questi villaggi sorgevano proprio sulla riva; ma il Terek, che ogni anno devia dalle montagne verso il nord, li ha corrosi ed ora non si vedono che le vecchie rovine coperte di fitta vegetazione, i giardini, i peri, i susini nani, e i pioppi a piramide, intrecciati di rovi e di viti inselvatichite. Nessuno ci vive più, e sulla sabbia si vedono soltanto le orme dei cervi, dei “biriuki” (10), delle lepri e dei fagiani, divenuti amanti di questi luoghi.
Da un villaggio cosacco all’altro corre una strada aperta nella foresta per un tiro di cannone. Lungo la strada sono distribuiti i posti di guardia, in cui stanno i cosacchi. Fra i posti di guardia su vedette, si trovano le sentinelle. I possessi cosacchi non sono costituiti che da una sottile striscia di terra fertile e boschiva, larga trecento “sazeni” (11). A nord di essi cominciano le dune della steppa del Nogài o di Mosdòk, che risale lontano verso il Nord e si congiunge, Dio sa dove, con le steppe dei turcomanni, di Àstrachan e dei kirghisi – kaisatski. A sud, al di là dal Terek, ci sono la grande Cec’nia, la catena di Koc’kàlosovo, le Montagne Nere, un’altra catena ancora e, infine, i monti nevosi che si vedono soltanto, ma dove nessuno è ancora stato mai. È in questa fascia di terra fertile, boscosa e ricca di vegetazione, che vive da tempo immemorabile una popolazione russa guerriera, bella e ricca, composta di vecchi credenti (12), detta dei cosacchi del Grebegn. Molto tempo fa i loro antenati, vecchi credenti, fuggirono dalla Russia e si stabilirono oltre il Terek, fra i cecentsi del Grebegn, la prima catena di montagne boscose della Grande Cec’nia. Vivendo tra i cecentsi, i cosacchi si imparentarono con loro, e si appropriarono delle usanze, del tenore di vita, e dei costumi dei montanari, ma conservarono anche là, in tutta la primitiva purezza, la lingua russa e la vecchia fede». (13).
Ora bisogna sapere che Il fiume Terek è il maggiore fiume del nord del Caucaso, e che si origina nella regione della Georgia chiamata Mtskheta-Mtianeti, gettandosi, alla fine, nel Mar Caspio dopo aver attraversato il territorio Russo (14); che con “cosacchi del Grebegn” si intende un gruppo di cosacchi che aveva lasciato, nel sedicesimo secolo, la zona del Don perché contrario alla riforma religiosa del Patriarica Nicon, e per questo perseguitato, per stabilirsi ai piedi delle colline del Caucaso, nei pressi, appunto, del fiume Terek. I Cosacchi del Grebegn furono culturalmente influenzati sia dalla cultura cecena che da quella Nogai, e la maggior parte di loro era bilingue, cioè parlava sia russo che Nogai. (15).
Ma continuiamo a leggere il racconto di Tolstoj. «Una tradizione tuttora viva tra i Cosacchi, dice che lo zar Ivàn il Terribile arrivò sul Terek, fece venire in sua presenza gli anziani del Grebegn, donò loro la terra di questa parte del fiume, li esortò a vivere in pace e promise di non obbligarli mai né a diventare suoi sudditi, né a cambiar religione». (16).
Ivan IV, zar di Russia. (https://biografieonline.it/biografia-ivan-il-terribile).
Ora si può già capire che Tolstoj non parlava del “popolo cosacco”, ma di un gruppo preciso di cosacchi, che avevano mantenuto la vecchia religione ed abitavano in un luogo definito. Ma per questo motivo non dobbiamo scambiarli per degli eroi senza macchia e senza paura, come si suol dire. Inoltre pare, come vedremo poi, che più che avere usanze ed abiti propri, i cosacchi del Grebegn avessero appreso molto dai loro vicini, compresa la lingua dei Nogai, cioè dei Mongoli Caucasici.
Infatti così procede il romanzo: «Ancor oggi (17) le famiglie cosacche si considerano legate da parentela con quelle dei cecentsi e l’amore alla libertà, all’ozio, al saccheggio e alla guerra costituisce il tratto principale del loro carattere. (…). Il cosacco, per istinto, odia meno il montanaro azighìt, che gli ha ucciso il fratello, del soldato (russo ndr) che sta con lui per difendere il suo villaggio, ma che gli ha affumicato di tabacco la capanna. (18). Egli rispetta il nemico montanaro, ma disprezza il soldato straniero e per lui oppressore. In sostanza il contadino russo è per il cosacco un essere estraneo, selvaggio e spregevole, di cui ha veduto il modello nei merciai ambulanti e negli emigrati piccolo – russi che i cosacchi, spregiativamente, chiamano “cardatori”. L’eleganza nel vestire consiste nell’imitare il circasso. Le armi migliori provengono dai montanari, i migliori cavalli si comprano da loro o a loro si rubano». (19).
MASCHI COSACCHI.
«Il giovanotto cosacco sfoggia la propria conoscenza della lingua tartara (20) e, quando fa baldoria, parla in tartaro perfino con i compagni. Ciò nonostante, questo piccolo popolo cristiano, sbattuto in un cantuccio della terra, circondato da tribù maomettane semiselvagge e da soldati, si stima possessore di un alto grado di civiltà e riconosce come uomo soltanto il cosacco: tutto il resto invece lo considera con disprezzo». (21).
«Il cosacco passa la maggior parte del tempo nei posti di guardia, nelle spedizioni militari, a caccia e pesca. Non lavora quasi mai a casa. La sua presenza nel villaggio è una eccezione alla regola ed allora egli fa baldoria. Tutti i cosacchi hanno vino del loro e l’ubriachezza non è tanto un’inclinazione comune a tutti, quanto un rito, l’inosservanza del quale sarebbe tenuta in conto di apostasia». (22).
By Grigory Gagarin – Гагарин Григорий Григорьевич. Костюмы Кавказа, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=12214222. Scènes, paysages, moeurs et costumes du Caucase dessinés d’aprés nature par le prince G. Gagarine. Greben Cossacks. Unica immagine reperita che si riferisca ai Cosacchi del Grebegn.
DONNE COSACCHE.
«La donna, il cosacco la riguarda come uno strumento di personale benessere; solo alla ragazza permette di divertirsi, obbliga invece la donna maritata a lavorare per lui dalla giovinezza fino all’estrema vecchiaia e pretende dalla donna, all’ uso orientale, sottomissione e lavoro. In conseguenza di questo modo di vedere, la donna, sviluppandosi intensamente nel fisico e nel morale, e pur sottomettendosi in apparenza, acquista, come di solito in Oriente, un’influenza ed un peso nella vita domestica senza paragone e maggiore che in Occidente. La sua esclusione dalla vita sociale e l’abitudine al faticoso lavoro maschile le danno un peso ed una forza tanto maggiori nella vita domestica.
Il cosacco, che in presenza di estranei stima sconveniente rivolgere alla moglie parole tenere ed oziose, ne sente, suo malgrado, la superiorità, quando rimane quattr’occhi con lei. Tutta la casa, tutte le masserizie, tutti i beni sono stati acquistati da lei e si conservano soltanto mercé le sue fatiche e le sue cure. Sebben egli sia convinto che il lavoro è umiliante per un cosacco e conviene soltanto al bracciante nogaiets (23) e alla donna, sente confusamente che tutto ciò di cui gode e che chiama suo è frutto di questo lavoro, e che è in potere della donna, madre e moglie che sia, […] di privarlo di tutto ciò di cui gode. Inoltre il continuo faticoso lavoro maschile e le cure affidate alle sue mani hanno dato alla donna del Grebegn un carattere particolarmente indipendente e virile, ed hanno sviluppato in lei, in modo sorprendente, la forza fisica, il buon senso, la risolutezza e la fermezza del carattere. Le donne sono, per la maggior parte, più forti, più intelligenti, più progredite e più belle dei cosacchi. (…). Le cosacche portano vesti circasse: camicia tartara, besmèt (24) e scarpette di marocchino, ma annodano i fazzoletti per il capo alla russa». (25).
L’eleganza, la pulizia, la grazia nel vestire e nell’arredamento delle capanne costituiscono un’abitudine e una necessità nella vita delle donne. (26).
GLI ANZIANI.
Mentre i cosacchi sono in servizio ai posti di guardia od in una spedizione, i vecchi vanno a caccia o a pesca o al lavoro insieme alle donne, nei frutteti e negli orti. Solo i più vecchi, i bambini ed i malati restano a casa, e «di gente, nei giorni di lavoro, specialmente d’estate, se ne vede sempre poca per le strade del villaggio». (27).
Casa cosacca in Kiev: Cossack Village Mamajeva Sloboda, da: https://www.mylittleadventure.it/best-things/kiev/tours/kiev-cossack-village-mamajeva-sloboda-open-air-museum-Hun4Mms7BM. Particolare di foto. C’erano anche immagini più rispondenti alla descrizione delle case dei cosacchi del Terek fatta da Tolstoj, ma tutte con divieto di pubblicazione o con pubblicazione a pagamento.
IL VILLAGGIO DI NOVOMLÌNSKAIA.
In questo gruppo di villaggi del Terek quello di Novomlìnskaia era considerato il capostipite, il primo ad essere stato fondato dai cosacchi del Grebegn. Esso si trovava a tre “vreste” dal fiume Terek, separato dallo stesso da un fitto bosco. La popolazione del villaggio e degli altri villaggi sul fiume viveva grazie ai vigneti, ai frutteti sul lato opposto del fiume, agli orti pieni di cocomeri e zucche, al granoturco, al miglio, alla caccia, alla pesca, ed ai vari bottini di guerra. E l’orizzonte dai frutteti spaziava verso la steppa del Nogai, con le sue dune di sabbia. (28).
Il villaggio era circondato da un vallo di terra e da spinosi cespugli di pruno a protezione dell’abitato. L’ accesso allo stesso era formato da un alto portone costruito con pali di legno e sormontato da un piccolo tetto di canne, ed accanto a questo unico varco di entrata ed uscita era posizionato un cannone mostruoso, frutto di un bottino di guerra, che non aveva sparato da almeno cent’anni.
Sotto il tettuccio del portone, su un’assicella bianca, era scritto a lettere nere: «Case 266, anime di sesso maschile 897, di sesso femminile 1012». (29), ed un cosacco in divisa, armato di sciabola e fucile, a volte faceva la guardia presso il portone, e a volte no; a volte presentava le armi all’ufficiale che passava, a volte non le presentava. (30).
Le case dei cosacchi erano tutte costruite su pali e si elevavano a circa 70 centimetri da terra, ed erano ricoperte di canne e munite di alti comignoli. «Anche se non nuove sono tutte diritte, pulite, con alti terrazzini di varia foggia, e non sono addossate le une alle altre, ma spaziate e pittorescamente disposte lungo vie ampie e vicoli. Davanti alle chiare grandi finestre di molte case, dietro gli orticelli, s’innalzano […] i pioppi a piramide, verdi, scuri, le tenere acacie dal fogliame chiaro e dai bianchi fiori profumati, e lì presso stanno i girasoli gialli, insolentemente brillanti ed i tralci rampicanti delle zucche e delle viti». (31).
«Sulla vasta piazza si scorgono tre bottegucce dove si vendono mercerie, semi di girasole, baccelli e panforti, e dietro un alto recinto oltre una fila di vecchi pioppi, appare, più lunga e più alta di tutte le altre, la casa del comandante del reggimento con le finestre a due battenti». (32).
LA VITA NEL VILLAGGIO.
Gli uomini spesso facevano la guardia al villaggio ed al Terek, ma, mentre uno faceva la sentinella, armato di fucile e sciabola, indossando la sopravveste circassa, montando un cavallo sellato e impastoiato, e muovendosi tra i pruni, gli altri erano intenti a ben altro: chi a pescare chi a cacciare, chi ad ubriacarsi, chi a sciacquare la biancheria nell’acqua del fiume. (33). Ed i giovani indossavano gambali rivoltati al di sotto del ginocchio, “besmêt” e berretto alla moda cecentsi, visto che l’eleganza maschile consisteva nell’ imitare quella dei “dzighiti” cecentsi. Per la verità le vesti di questi ultimi erano spesso ampie, lacere e trascurate, Ma per povere che fossero, venivano indossate con grande dignità e cura. Invece le armi erano lucide e ricche. (34). Ed i cosacchi avevano con sé, spesso, anche un pugnale ed un coltellino milleusi. (35).
Invece il vecchio “Zio Jeroska” dalla lunga barba bianca e la testa rasata, amante della caccia e non più in età da prestare servizio militare, indossava un gabbano lacero e succinto e delle calzature di pelle di cervo non conciata, con sopra delle pezze legate con delle cordicelle, aveva a tracolla una “kobilka” (36), sulla spalla la carne da esca per lo sparviero e quella uccisa, e la bisaccia con pallini, polvere da sparo, pane e una coda di cavallo per scacciare le zanzare, appesa alla cintura. Ed era accompagnato dal cane da caccia. Egli viveva da solo perché sua moglie era diventata ortodossa, aveva sposato un sergente russo, e se n’era andata via. (37).
Le donne, in famiglia, giravano per casa indossando una semplice camicia, ma, se veniva un uomo si coprivano il volto sino agli occhi con un fazzoletto o con la manica della camicia. (38). E talvolta indossavano, ma solo nelle feste dove si ballava e suonava, anche il “sarafani” (39) ed ornavano i capelli con diademi dorati. (40). Gli uomini potevano avere, come dappertutto, una amante, che chiamavano “animuccia” (41).
Ed in quel villaggio gli uomini vivevano «come vive la natura: muoiono, nascono, si accoppiano, di nuovo nascono, si battono, bevono, mangiano, fanno allegria e di nuovo muoiono». (42). E i cosacchi del Grebegn, scrive Tolstoj, non vivevano affatto al modo dei russi. (43).
Alexander Litovchenko (1835-1890) Portrait of a Cossack. (https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/8/8b/Cossack_Litovchenko.jpeg).
E la vita seguiva il ritmo delle stagioni, ed in autunno la strada che univa i vigneti ed i frutteti al villaggio si riempiva di carri di legno ricolmi di uva, e «ragazzetti e ragazzine con le camiciole imbrattate di uva, correvano dietro alle madri con grappoli in mano ed in bocca» e «sulla strada si incontravano continuamente braccianti laceri che portavano ceste d’uva sulle spalle robuste. Le ragazze, coperte fino agli occhi dai fazzoletti, guidavano i tori, aggiogati ai carri con i loro alti carichi di uva». (44). Le donne ridevano e cantavano durante la vendemmia, quindi si passava a pigiare l’uva nei cortili, ed a fare mosto e vino per le botti delle cantine. (45). Ed i bambini quando non seguivano le madri, si potevano vedere giocare in strada con le trottole. (46).
E le donne giovani, anche per la vendemmia, ma non solo, si alzavano presto, si lavavano il viso con l’acqua fredda, e correvano scalze alla stalla, quindi indossavano qualcosa ai piedi ed il “besmèt”, prendevano un tozzo di pane e quindi andavano a lavorare nei campi fino a sera, concedendosi solo un’ora di riposo. Al crepuscolo rientravano, e, se giovani, posti dei semi nella manica, uscivano per un momento di incontro con le altre, e quindi cenavano assieme a padre, madre, fratelli e sorelle. (47). E quell’unica bufala o due delle stalle più ricche davano vasi di latte munto, che veniva messo a bollire sul fuoco. E dai camini si alzava il fumo del “Kisiak”, delle mattonelle di sterco, che riempiva l’aria. (48).
Ed al crepuscolo, quando un’ombra lunga si stendeva sulla steppa, non vi era anima viva nei pressi del villaggio, e se si vedeva un raro uomo a cavallo, subito sia i cosacchi di guardia sia i cecentsi dell’”Aul” si allertavano. Infatti, «appena è sera, gli uomini, per paura uno dell’altro, si raccolgono intorno all’ abitato e solo le fiere e gli uccelli, non temendo più l’uomo, si aggirano liberamente per questo deserto». (49). E cenano nelle isbe, intorno ad un tavolino tartaro. (50). E forse, la sera, si poteva vedere una anziana trascinare stancamente verso casa un ramo che poteva esserle utile, o una ragazza rientrare con la fascina, alzando le gonne per non bagnarsi in qualche pozza, con gli uomini a sghignazzare e prenderla in giro. E, dopo il rientro le donne passavano da un luogo all’altro correndo e portando in mano stracci in fiamme, per riaccendere il fuoco, non avendo ogni casa un fiammifero. (51).
Ed ogni villaggio aveva una scuola ed un maestro, aveva un pope che abborriva balli, danze, amori non coniugali, la balalaika, ed il mangiar di grasso, ma i veri medici si trovavano sui monti e bisognava farli scendere all’occorrenza. (52).
Poteva però accadere, pure, che un Reggimento di fanteria del Caucaso si acquartierasse nel villaggio. «I carriaggi delle compagnie erano […] sulla piazza coi cavalli staccati. I cucinieri, scavata una buca e raccolti da vari cortili dei travetti incustoditi, già preparavano la “kascia”, (53). I sergenti facevano l’appello degli uomini. I soldati delle salmerie piantavano dei pali per legarvi i cavalli. I marescialli d’alloggio, come gente di casa, giravano per le strade ed i vicoli, indicando gli alloggi a ufficiali e soldati». (54). Ed allora i vecchi uscivano dalle capanne, sedevano sui rialzi di terra, e guardavano l’affaccendarsi di quei soldati, tetri e silenziosi, con l’aria di chi «è rassegnato a tutto e non sa che cosa ne può saltar fuori». (55).
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Fin qui il racconto di Tolstoj che altri non è che il protagonista del racconto, Olenin, sui cosacchi del Grebegn, mentre continuerà a narrarci la sua esperienza di vita militare in quella bolgia di fuoco e sangue che è “Sebastopoli”. (56).
Ho ripreso dal grande Tolstoj queste righe sui cosacchi perché ci danno un’idea di un gruppo che faceva parte di quelle genti, per nulla pacifiche, che avevano ben presenti chi fossero i nemici e dediti al bottino di guerra. E furono genti con quella mentalità che giunsero in Carnia, come occupanti al fianco dei nazisti. Ma come ci ha raccontato una sera, a Cavazzo Carnico, Franceschino Barazzutti non furono tutti i cosacchi a venire in Carnia al fianco dei nazisti, uniti a loro nella guerra contro la Russia di cui facevano parte, e nella ritirata, ma solo alcuni gruppi.
Laura Matelda Puppini.
- https://it.wikipedia.org/wiki/Cosacchi. Ivi si può leggere anche l’elenco dei vari gruppi cosacchi.
- Ivi.
- Ivi.
- Ivi.
- Ivi.
- Leone Tolstoj, I cosacchi, B.U.R., 1952, p. 6. Titolo originale dell’opera: “Kazakì, Kavkàzkaia povest”.
- “Grebegn” qui, ma ora la dicitura corrente pare sia “Greben”. Cfr. pure: https://en.wikipedia.org/wiki/Greben_Cossacks.
- Vresta: obsoleta unità di misura russa che corrisponde a 1066, 52 metri. (https://it.wikipedia.org/wiki/Versta).
- Con “aul” si indica un villaggio scosceso di montagna fortificato, cinto da mura.
- Lupi. (Leone Tostoj, op. cit., nota 1 p. 25).
- Unità di misura che corrisponde a 2,134 metri.
- Alberto Sana, nella prefazione intitolata: “Una volta fummo uomini altrove, un cosacco in Frentania, a: Antonio Allegrini. Sentiva nei boschi odori di altri mondi, poesie e prose, a cura di Alberto Sana. Morcelliana, Brescia 2016, chiarisce che i cosacchi del Grebegn praticavano un credo religioso appreso dai padri, e detto “dei vecchi credenti”. Essi, nella seconda metà del XVII° secolo, si erano opposti, guidati da Avvakum, alle riforme del Patriarca Nicon, separandosi, da scismatici, dalla chiesa ortodossa. Per questo finirono perseguitati, uccisi, esiliati. (Antonio Allegrini. Sentiva nei boschi odori di altri mondi, poesie e prose, a cura di Alberto Sana. Morcelliana, Brescia 2016, in: https://issuu.com/albertohcbg/docs/allegrini_book_ok__ultimissimo_-_gi, p.7). Ma anche alla nota 1 di pagina 26 di Leone Tolstoj, op. cit., viene riportato che “Vecchi credenti” o sismatici venivano definiti coloro che non accettarono le riforme del Patriarca Nicon, e che poi «si divisero i numerose sette».
- Leone Tostoj, op. cit., pp. 25- 26.
- https://en.wikipedia.org/wiki/Terek_River.
- https://en.wikipedia.org/wiki/Greben_Cossacks.
- Leone Tostoj, op. cit., p. 26.
- Sappiamo che il romanzo è stato terminato nel 1862, e la sua esperienza in Caucaso come militare risale al periodo fra il 1851 ed il 1853. (https://it.wikipedia.org/wiki/I_cosacchi_(racconto) e https://it.wikipedia.org/wiki/Lev_Tolstoj.
- I vecchi credenti erano di costumi austeri e ventavano l’uso del tabacco. (Leone Tolstoj, op. cit., nota 4 p. 26).
- Leone Tostoj, op. cit., p. 26.
- Presumibilmente qui con lingua tartara si intende quella nogai. Infatti si trova su internet “onda Nogai” come “onda tartara”. (https://it.wikipedia.org/wiki/Orda_Nogai). E così si legge sull’Enciclopedia Treccani alla voce “Nogai” «Popolazione di lingua turca discendente dalle tribù mongole e tatare penetrate nell’Europa orientale durante la prima metà del sec. XIII: il nome stesso è quello di un condottiero, pronipote di Genghiz Khān, che nel 1261 si rese con le sue genti indipendente dall’Orda d’oro (v. appresso). I Nogai si sparsero in varî gruppi nomadi fra il Don e le steppe circostanti al Mar Caspio, venendo poi in parte gradualmente assorbiti dalle popolazioni sedentarie. Attualmente il loro gruppo principale è stanziato nelle steppe fra il corso dei fiumi Kuma e Terek a O. del Caspio, dove conducono ancora l’esistenza tradizionale di pastori nomadi». (http://www.treccani.it/enciclopedia/nogai_res-07c5915b-8bb2-11dc-8e9d-0016357eee51_%28Enciclopedia-Italiana%29/).
- Leone Tolstoj, op. cit., p. 27.
- Ibid.
- I Nogaiets, significa del popolo Nogai.
- Abito tartaro di stoppa pesante, trapunta, simile al caffettano russo ma più corto. (Leone Tolstoj, op. cit., nota n. 1, p. 28).
- Leone Tolstoj, op. cit., pp. 27-28.
- Ivi, p. 28.
- Ivi, p. 29.
- Ivi, p. 28.
- Ibid.
- Ibid.
- Ivi, pp. 28- 29.
- Ivi, p. 29.
- Ivi, p. 35.
- , pp. 35-36.
- Ivi, p. 45.
- Strumento di caccia per avvicinarsi inosservati ai fagiani.
- Ivi, p. 78.
- Ivi, p. 56.
- Tradizionale veste, lunga ed attillata, delle contadine russe. (Leone Tolstoj, nota 1, p. 158).
- Leone Tolstoj, p. 158.
- Ivi, p. 45.
- Ivi, p. 127.
- Ivi, p. 54.
- Ivi, p. 136.
- Ibid.
- Ivi, p. 30.
- Ivi, p. 138.
- Ivi, pp. 30 – 31.
- Ivi, p. 29.
- Ivi, p. 30.
- Ivi, p. 31.
- Ivi, pp. 180- 181.
- Zuppa di cereali.
- Ivi, p. 53.
- Ivi, p. 54.
- Alfredo Polledro, Nota introduttiva a Leone Tolstoj, I Cosacchi, op.cit., p.10.
L’immagine che accompagna l’articolo è una di quelle inserite nello stesso.. L.M.P.
https://www.nonsolocarnia.info/i-cosacchi-del-grebegn-da-un-racconto-di-lev-tolstoj/https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2020/03/cosacchi-territorio-746px-Південно-Східна_Європа_1684.jpg?fit=746%2C600&ssl=1https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2020/03/cosacchi-territorio-746px-Південно-Східна_Європа_1684.jpg?resize=150%2C150&ssl=1STORIAUn giorno stavo passeggiando al mercato del sabato al rione del Trullo a Roma. Ad un certo punto mi soffermai a guardare cosa proponeva una bancarella di libri, cercandone uno per mio nipote Andrea, e magari uno cartonato per bimbi davvero piccoli da donare a quel briciolino di Leone,...Laura Matelda PuppiniLaura Matelda Puppinilauramatelda@libero.itAdministratorLaura Matelda Puppini, è nata ad Udine il 23 agosto 1951. Dopo aver frequentato il liceo scientifico statale a Tolmezzo, ove anche ora risiede, si è laureata, nel 1975, in filosofia presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Trieste con 110/110 e quindi ha acquisito, come privatista, la maturità magistrale. E’ coautrice di "AA.VV. La Carnia di Antonelli, Centro Editoriale Friulano, 1980", ed autrice di "Carnia: Analisi di alcuni aspetti demografici negli ultimi anni, in: La Carnia, quaderno di pianificazione urbanistica ed architettonica del territorio alpino, Del Bianco 1975", di "Cooperare per vivere, Vittorio Cella e le cooperative carniche, 1906- 1938, Gli Ultimi, 1988", ha curato l’archivio Vittorio Molinari pubblicando" Vittorio Molinari, commerciante, tolmezzino, fotografo, Gli Ultimi, Cjargne culture, 2007", ha curato "Romano Marchetti, Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona, una vita in viaggio nel Novecento italiano, ed. ifsml, Kappa vu, ed, 2013" e pubblicato: “Rinaldo Cioni – Ciro Nigris: Caro amico ti scrivo… Il carteggio fra il direttore della miniera di Cludinico, personaggio di spicco della Divisione Osoppo Carnia, ed il Capo di Stato Maggiore della Divisione Garibaldi Carnia, 1944-1945, in Storia Contemporanea in Friuli, n.44, 2014". E' pure autrice di "O Gorizia tu sei maledetta … Noterelle su cosa comportò per la popolazione della Carnia, la prima guerra mondiale, detta “la grande guerra”", prima ed. online 2014, edizione cartacea riveduta, A. Moro ed., 2016. Inoltre ha scritto e pubblicato, assieme al fratello Marco, alcuni articoli sempre di argomento storico, ed altri da sola per il periodico Nort. Durante la sua esperienza lavorativa, si è interessata, come psicopedagogista, di problemi legati alla didattica nella scuola dell’infanzia e primaria, e ha svolto, pure, attività di promozione della lettura, e di divulgazione di argomenti di carattere storico presso l’isis F. Solari di Tolmezzo. Ha operato come educatrice presso il Villaggio del Fanciullo di Opicina (Ts) ed in ambito culturale come membro del gruppo “Gli Ultimi”. Ha studiato storia e metodologia della ricerca storica avendo come docenti: Paolo Cammarosano, Giovanni Miccoli, Teodoro Sala.Non solo Carnia
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