Il coronavirus piomba su di una Italia impreparata, con una sanità falcidiata ed in altro affaccendata.
Coronavirus una bomba prevedibile.
Non voglio soffermarmi in queste mie due righe sul numero dei contagiati dal coronavirus (sono già ‘tot’ per alcuni sono solo ‘tot’ per altri) e su quello davvero esiguo dei morti, pare tutti anziani e portatori di altre patologie, o sul fatto che il virus, come altri virus, possa anche mutare, come ci ha detto il 25 febbraio 2020, la tv, tanto che a Rimini si è tenuto, dal 9 al 12 novembre 2019 un congresso di microbiologi dedicato proprio al tema dei virus mutanti. (http://www.ansa.it/piemonte/notizie/2019/11/08/virus-mutanti-congresso-microbiologi_4f9c31b8-45f2-4caf-8fd7-767a8609f0c5.html).
E pare che ora la società italiana ed i mezzi di informazione di massa abbiano preso coscienza di problematiche che erano note da un pezzo ed ipotizzabili, come appunto quella che una virosi anche nuova può diffondersi, in una società globalizzata, nel mondo intero, che i virus possono mutare, che forse sulla sopravvivenza dei virus, la formazione di nuovi, ecc. ecc. può giocare un ruolo anche il mutamento climatico, che è pur esso mondiale. Ma cosa vuoi che sia, gli aspetti importanti per la società sono i tweet, i cip cip dei politici, gli andamenti dei titoli azionari e gli accordi commerciali.
E non a caso il Corriere della Sera, il 23 febbraio 2020, intitolava un pezzo di Beppe Severgnini “La società fragile”, che così inizia: «la diffusione del coronavirus in Italia sta dimostrando una cosa: non siamo più abituati all’incertezza. Pensate a quanto avete letto, visto, ascoltato e ripetuto nelle ultime quarantott’ore: un corollario di ansie, timori informazioni e cautele che inevitabilmente generano allarme. Abbiamo l’illusione del controllo, ed ogni tanto si rivela per quello che è: una illusione». Inoltre Severgnini precisa, pure, come noi siamo rimasti stupiti da questa nuova minaccia perché non siamo più avvezzi a provarne altre presenti nel mondo: la fame, la guerra, gli esiti catastrofici del clima che muta, solo per citarne alcuni.
Ma un altro aspetto interessante è che in Italia, in una Italia dedita a scrivere commenti di ogni tipo su facebook, a parlare di calcio, a schierarsi su opposte tifoserie anche in politica, ma pure silenziosa, mesta, pronta ad accettare tutto, tanto che si potrebbe definire uno stato malinconico e depresso, il “coronavirus” è caduto d’improvviso come un fulmine a ciel sereno, mentre i più si interessavano ad affari propri, quasi che il personale ed il generale, anche se con sfaccettature diverse, non trovassero fra loro dei punti di contatto, ed in cui ormai solo qualcuno si interessa ancora dei problemi importanti per la nazione come per esempio la legge sulla prescrizione.
Ma poi… Ecco d’improvviso scoppia la bomba: la notizia dei primi casi di coronavirus che ha riempito i social provocando informazioni «frammentarie, emotive, non sempre esatte» (Beppe Severgnini, op. cit.). Eppure già tempo fa scrivevo che le sfide del domani in medicina, in un mondo globalizzato e attento solo al mercato, dominato da mutamenti climatici epocali, sarebbero stati virus e batteri ancora ignoti.
Queste le prime impressioni che ho avuto io.
Ed anche la prima impressione che ho avuto io, leggendo ed ascoltando del coronavirus e la sua diffusione italiana, è quella di un’accozzaglia di informazioni che talvolta si scontravano tra loro, anche per bocca di esperti, tanto da capirci ben poco o nulla. E mentre Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dello Spallanzani, Istituto Nazionale per le malattie infettive di riferimento per il Ministero della salute, continuava a rassicurare il paese, dicendo: «Stiamo lavorando con le regioni Lombardia e Veneto. Il sistema funziona, il paese regge» (https://www.agi.it/cronaca/news/2020-02-22/coronavirus-non-e-mortale-7167255/), Roberto Burioni, professore di Microbiologia e Virologia all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, dichiarava che «La notizia che speravamo non arrivasse è arrivata», riferendosi ai primi casi di coronavirus in Italia […]». Ed il virologo, sulle colonne di “Il Tempo” attaccava duramente la politica sulla gestione dei contagi. «Tutto questo – dichiarava – ci fa capire quanto fossero sbagliate alcune declamazioni tranquillizzanti di certa politica nei giorni scorsi». E ancora: «Non bisogna prendere la situazione alla carlona». (https://www.iltempo.it/cronache/2020/02/21/news/coronavirus-italia-contagi-cina-virus-virologo-roberto-burioni-lombardia-veneto-contagiati-cinesi-codogno-cittadella–1284239/). Detta presa di posizione, riferita alle dichiarazioni del prof. Ippolito, otteneva come risposta dal direttore scientifico dello Spallanzani un commento al vetriolo (https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/02/22/coronavirus-il-direttore-scientifico-dello-spallanzani-misure-tempestive-chiunque-dice-che-abbiamo-sbagliato-lo-fa-in-malafede/5714022/), mentre il premier Giuseppe Conte dichiarava: «È l’ora dell’unità, no a polemiche”. (https://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/coronavirus-325-i-casi-in-italia-il-contagio-si-allarga-a-9-regioni-11-le-vittime_15336711-202002a.shtml?refresh_cens).
E pare anche poco adatto il comportamento recente di Matteo Salvini, che non si sapeva sino a ieri se intendesse “cavalcare la tigre”, ma che ho sentito, poi, aver deposto le armi. E ritengo corretto chi ha paragonato il premier Giuseppe Conte a Gandhi (Aldo Grasso, La pazienza che supera (anche) Gandhi), il Corriere della Sera, 23 febbraio 2020) a mio avviso sia nel sopportare gli attacchi continui ma privi di contenuto di Matteo Renzi ed i suoi, sia nel sopportare le telefonate continue di Matteo Salvini che ovviamente non hanno avuto risposta, a cui il premier accennava ieri o ieri l’altro. E che dire delle accuse delle regioni che vogliono il fai da te, senza capire che non siamo in Usa, e che così l’Italia rischia di spaccarsi? Ma ‘cui prodest’, una sanità a pezzettini?
E guardate i primi tre punti che pone il 4° rapporto Gimbe sulla sostenibilità del sistema sanitario nazionale in Italia, per salvare la sanità della penisola: «Rilanciare il finanziamento pubblico per la sanità e evitare continue revisioni al ribasso. Aumentare le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni nel rispetto delle loro autonomie. Costruire un servizio socio-sanitario nazionale, perché i bisogni sociali condizionano la salute e il benessere delle persone». (Nino Cartabellotta, Elena Cottafava, Roberto Luceri, Marco Mosti, 4° Rapporto GIMBE sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale. Fondazione GIMBE: Bologna, giugno 2019. Disponibile a: www.rapportogimbe.it, pagina IV).
Un virus su una sanità pubblica falcidiata.
La seconda considerazione è che abbiamo 20 regioni e sanità regionali in cui ognuna va per il suo verso, basta vedere il caso della chiusura delle scuole nelle Marche esploso in queste ore (https://notizie.virgilio.it/coronavirus-scuole-chiuse-marche-reazione-governo-1221597?ref=libero), dopo che in una riunione tra presidenti delle regioni e governo era stato detto di non procedere più in tal senso, e che così andrà a finire che nessuno saprà più in Italia cosa fare; la terza è che, sfinito dal coronavirus, il personale già ridotto all’osso degli ospedali non sia più in grado di operare efficacemente per le patologie anche potenzialmente letali che si presentano quotidianamente: infezioni anche gravissime, patologie cardiache e neurologiche, oncologiche, con l’aggiunta dei casi di incidenti, soggetti in overdose, e via dicendo. Oppure andrà a finire che chi abita nei pressi di un grosso polo ospedaliero o è uno che conta si salverà, e gli altri pregheranno per la propria anima. (cfr. Erasmo Venosi, nel suo: “Il virus circola in Italia in una sanità pubblica massacrata da uno sfrenato liberismo” in: http://www.agoramagazine.it/). E preoccupa leggere che al San Raffaele di Milano «l’attività chirurgica in elezione potrebbe subire dei cambiamenti sulla base di indicazioni della DG di Regione Lombardia» a causa del coronavirus, che potrebbe diventare un comodo capro espiatorio su cui scaricare i limiti di una sanità spesso ormai alla deriva ed allo sbando, a causa dei tagli continui e dei rimaneggiamenti nel numero e nelle funzioni degli ospedali. Non solo: così gli italiani potrebbero abituarsi ad andare sempre meno dal medico, e non vorrei che si dovessero contare dei morti per mancanza di cure come “effetto collaterale” delle misure per contenere il coronavirus, a causa del superlavoro su di un fronte solo.
Non da ultimo c’è da chiedersi se la scelta della sanità italiana sotto Matteo Renzi e che prosegue, e propria di destra e sinistra, di giocare tutto sull’assistenza e molto meno sugli ospedali e sulla cura delle acuzie, non sia da rivedersi urgentemente capovolgendo l’ottica, sia perché i pronto soccorso ed i settori di emergenza urgenza sono tutti afferenti alla sanità statale, sia perché la sanità deve garantire diagnosi e cure e deve essere preparata a possibili pandemie anche locali. Ma sempre più spesso, nella sanità parcellizzata, regionalizzata, in mano alla politica, non si riesce ad avere una visione d’insieme dei problemi. Ed Erasmo Venosi, nel suo: “Il virus, op. cit., ci ha ricordato che «Il rischio in sanità pubblica avviene in un paese che, scimmiottando il peggior liberismo, ha ridotto i posti o chiuso ospedali, ridotto medici, infermieri per il perseguimento del numeretto pagato imposto dalla follia UE con disservizi, inefficienze e consimili. Sempre il cancro neoliberista ha tagliato i posti in terapia intensiva ovvero nel reparto dove sono massime le chance di assistenza in casi come questo».
E nel merito mi pare importante ricordare quanto ha detto il 24 febbraio Massimiliano Fedriga nel corso della trasmissione “Stasera Italia” di Rete 4. Egli ha affermato che in Fvg, regione di cui è governatore, egli ha optato per misure drastiche di chiusura delle scuole, uffici pubblici, ecc. ecc. pur non essendosi verificato caso alcuno di coronavirus, perché non avrebbe i posti di terapia intensiva per curare tutti i casi se il virus si diffondesse a macchia d’olio.
Infine non vorrei che, tra degrado, sporcizia e spazzatura in strada, in qualche periferia di grande città scoppiasse qualche peste ben più mortale del coronavirus, magari qualche tipo di tifo e colera, mentre la sanità sta guardando al coronavirus, che non è virus che abbia creato una valanga di morti, e la stessa si trovasse impreparata a rispondere alla nuova emergenza, essendo impregnata della vecchia.
Ma come è iniziata questa storia?
L’inizio di questa storia ce lo racconta in sintesi l’Unicef. «L’allarme a livello internazionale è scattato il 31 dicembre 2019, allorché le autorità sanitarie cinesi hanno riferito all’OMS l’esistenza di un focolaio di polmonite provocata da un virus finora sconosciuto nella città di Wuhan, capoluogo della provincia di Hubei e più popolosa metropoli della Cina centrale con circa 11 milioni di abitanti. Il 7 gennaio 2020 gli epidemiologi cinesi hanno identificato la causa del focolaio epidemico in un nuovo virus, denominato inizialmente 2019-nCoV e, a partire dall’11 febbraio, SARS-CoV-2. All’origine del virus si ritiene vi sia stato un animale infetto transitato nel grande mercato ittico di Wuhan, dove vengono abitualmente commercializzati anche animali vivi come serpenti o pipistrelli. Ricostruendo la storia delle mutazioni genetiche del virus, i ricercatori hanno dedotto che il passaggio iniziale dal pipistrello all’uomo è avvenuto intorno a metà novembre 2019, per poi esplodere in forma epidemica circa un mese dopo grazie alla trasmissione inter-umana.
Il nuovo virus appartiene alla vasta famiglia dei coronavirus, la stessa di cui fanno parte il comune raffreddore ma anche le ben più insidiose SARS e MERS (una malattia epidemica diffusa in Medio Oriente sin dal 2012). In particolare, il nuovo coronavirus ha una affinità genetica stretta con il patogeno vettore della SARS, circostanza che motiva la sua denominazione ufficiale. (…).
Il 30 gennaio, a seguito del verificarsi di nuovi contagi in diverse regioni del pianeta, l’OMS ha dichiarato l’epidemia da coronavirus una “emergenza sanitaria globale” (Public Health Emergency of International Concern – PHEIC). Nonostante la terminologia, la dichiarazione di emergenza globale non va considerata come un aggravamento particolare della situazione (che era già stata classificata come “allarme elevato” il 27 gennaio) e non costituisce un evento straordinario: dal 2009 a oggi sono state ben 6 le dichiarazioni di emergenza globale dell’OMS». (https://www.unicef.it/doc/9658/coronavirus-e-rischi-per-infanzia-cose-da-sapere.htm).
Prevenzione. Ritorno all’ antico?
Comunque su alcuni aspetti a livello nazionale vi sono state convergenze. Bisogna lavarsi le mani. Questa è ricetta ancestrale anche per non prendersi il raffreddore ed altre infezioni e virosi, sperando che a nessuno sia stato tagliato per morosità il servizio idrico e che anche ai mille, si fa per dire, senza tetto e senza identità che girano sia garantita questa opportunità. Non si deve sostare in luoghi affollati e bisogna evitare i contatti stretti e protratti con persone con sintomi simil influenzali. Ma secondo me, questo implica che il medico di base venga a visitare il malato in casa. Questa era pratica normale quando ero piccola, ed evitava il diffondersi di virus e batteri, ma ora non è così, con i rischi che comporta stare ore in ambulatori medici sovraffollati di febbricitanti e malandati, anche solo per fare una ricetta. Infine è raccomandato porre attenzione all’igiene delle superfici, disinfettandole con alcool. (Documento della Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria – 3 febbraio 2020).
Inoltre qualora ci si trovi con un malato anche di influenza in casa, sarebbe buona regola, dai tempi antichi, seguire le indicazioni date per chi sospetta che un parente abbia il coronavirus: «evitare contatti ravvicinati con la persona malata; se disponibile, fornirla di una maschera di tipo chirurgico; lavarsi accuratamente le mani. Prestare particolare attenzione alle superfici corporee che sono venute eventualmente in contatto con i fluidi (secrezioni respiratorie, urine, feci) del malato; far eliminare in sacchetto impermeabile, direttamente dal paziente, i fazzoletti di carta utilizzati». (Documento della Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria – 3 febbraio 2020). E se avete un letto libero, e state dormendo con il malato in uno matrimoniale, passate all’altro letto.
E questi utili consigli mi riportano ad un tempo, a quando ero piccola, quando i pavimenti di pietra e gli esterni si lavavano con acqua e varechina, che non mancava mai in casa, le lenzuola ove dormiva un ammalato venivano disinfettate ed il cotone di cui erano fatte sopportava anche acqua davvero calda; ed in alcuni casi, visto che non sempre i malati andavano in ospedale, se essi poi morivano con cancri, suppurazioni, malattie infettive e virali ecc .ecc. le loro lenzuola camicie, mutande venivano bruciate per paura del contagio. I nostri avi temevano il contagio tantissimo, basta leggere il capitolo dedicato alla peste a Milano da Alessandro Manzoni nel suo “I Promessi sposi”.
Insomma stiamo scoprendo l’acqua calda. Ed anche le regole per i bimbi che devono esser portati dal pediatra della F. I. M. P. (https://www.huffingtonpost.it/entry/coronavirus-le-cinque-regole-dei-pediatri-per-i-genitori-che-fanno-visitare-i-propri-figli_it_5e53e7a2c5b6ad3de381bfe7), paiono improntate al buon senso, che vorrebbe, però e magari, anche i pediatri muoversi dal loro studio e raggiungere i piccoli pazienti febbricitanti ed in difficoltà, pratica ormai desueta.
E termino questo mio ricordando che il compianto Giorgio Ferigo aveva scritto, in un suo articolo, che le zecche ora popolano prati e boschi perché il gradiente termico della terra è aumentato di un grado. Se vogliamo andarcele a cercare, basta che continuiamo ad alterare il creato, permettendo alla terra di surriscaldarsi, incidendo sul ritmo biologico di vita e morte anche di insetti, virus ecc. ecc., che spariscono con il freddo, ed alla acqua dolce, purificatrice, di diminuire irreversibilmente.
Mi sembra invece discutibilissimo che datori di lavoro chiedano, in periodi di chiusura per coronavirus, ai loro dipendenti di produrre obbligatoria domanda di ferie, se ciò sta accadendo realmente. C’è chi non vuole diminuire i suoi guadagni, chi non vuole fare qualche sacrificio? Chiediamocelo.
Senza offesa per alcuno, ma solo per dire la mia sull’argomento del giorno.
L’immagine, che ritrae il coronavirus, è tratta, solo per questo uso, da: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Coronaviruses_004_lores.jpg, ed ha la caratteristica di essere Photo Credit:Content Providers(s): CDC/Dr. Fred Murphy / Public domain. L’immagine originale è in toni di grigio, ed io l’ho elaborata con toni di giallo.
P.s. 11 marzo 2020. Gli esperti dicono che pare che il coronavirus sopporti male il caldo, ma non ne hanno ancora matematica certezza.
Laura Matelda Puppini
https://www.nonsolocarnia.info/il-coronavirus-piomba-su-di-una-italia-impreparata-con-una-sanita-falcidiata-ed-in-altro-affaccendata/https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2020/02/coronavirus-Immagine1.png?fit=800%2C570&ssl=1https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2020/02/coronavirus-Immagine1.png?resize=150%2C150&ssl=1ECONOMIA, SERVIZI, SANITÀCoronavirus una bomba prevedibile. Non voglio soffermarmi in queste mie due righe sul numero dei contagiati dal coronavirus (sono già 'tot' per alcuni sono solo 'tot' per altri) e su quello davvero esiguo dei morti, pare tutti anziani e portatori di altre patologie, o sul fatto che il virus,...Laura Matelda PuppiniLaura Matelda Puppinilauramatelda@libero.itAdministratorLaura Matelda Puppini, è nata ad Udine il 23 agosto 1951. Dopo aver frequentato il liceo scientifico statale a Tolmezzo, ove anche ora risiede, si è laureata, nel 1975, in filosofia presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Trieste con 110/110 e quindi ha acquisito, come privatista, la maturità magistrale. E’ coautrice di "AA.VV. La Carnia di Antonelli, Centro Editoriale Friulano, 1980", ed autrice di "Carnia: Analisi di alcuni aspetti demografici negli ultimi anni, in: La Carnia, quaderno di pianificazione urbanistica ed architettonica del territorio alpino, Del Bianco 1975", di "Cooperare per vivere, Vittorio Cella e le cooperative carniche, 1906- 1938, Gli Ultimi, 1988", ha curato l’archivio Vittorio Molinari pubblicando" Vittorio Molinari, commerciante, tolmezzino, fotografo, Gli Ultimi, Cjargne culture, 2007", ha curato "Romano Marchetti, Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona, una vita in viaggio nel Novecento italiano, ed. ifsml, Kappa vu, ed, 2013" e pubblicato: “Rinaldo Cioni – Ciro Nigris: Caro amico ti scrivo… Il carteggio fra il direttore della miniera di Cludinico, personaggio di spicco della Divisione Osoppo Carnia, ed il Capo di Stato Maggiore della Divisione Garibaldi Carnia, 1944-1945, in Storia Contemporanea in Friuli, n.44, 2014". E' pure autrice di "O Gorizia tu sei maledetta … Noterelle su cosa comportò per la popolazione della Carnia, la prima guerra mondiale, detta “la grande guerra”", prima ed. online 2014, edizione cartacea riveduta, A. Moro ed., 2016. Inoltre ha scritto e pubblicato, assieme al fratello Marco, alcuni articoli sempre di argomento storico, ed altri da sola per il periodico Nort. Durante la sua esperienza lavorativa, si è interessata, come psicopedagogista, di problemi legati alla didattica nella scuola dell’infanzia e primaria, e ha svolto, pure, attività di promozione della lettura, e di divulgazione di argomenti di carattere storico presso l’isis F. Solari di Tolmezzo. Ha operato come educatrice presso il Villaggio del Fanciullo di Opicina (Ts) ed in ambito culturale come membro del gruppo “Gli Ultimi”. Ha studiato storia e metodologia della ricerca storica avendo come docenti: Paolo Cammarosano, Giovanni Miccoli, Teodoro Sala.Non solo Carnia
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