Intervista a Fabio Cinausero. Le peripezie di un operaio carnico, sindacalista, attivista comunista, come da lui narrate a Laura Matelda Puppini alla fine del 1979. Prima parte.
Questa lunga intervista a Fabio Cinausero, comunista ed operaio, porta la data 30 dicembre 1979. Pochi mesi dopo Cinausero moriva, ed a lui io e mio fratello abbiamo dedicato l’articolo “Movimento operaio e sottosviluppo alla cartiera di Tolmezzo” pubblicato su Qualestoria n. 1, 1981, e leggibile anche in: http://www.storiastoriepn.it/movimento-operaio-e-sottosviluppo-alla-cartiera-di-tolmezzo/.
Sono contenta di aver raccolto questa testimonianza, perché resti memoria di cosa voleva dire essere comunisti in Carnia nel secondo dopoguerra. E fu quell’acceso anticomunismo qui, dove doveva essere terra solo in mano alla Democrazia Cristiana ed al Psdi, e che volse poi a Berlusconi e destra anche estrema senza se e senza ma, facendo dimenticare ogni sogno ed ogni innovazione, fu quel volere solo proprietà privata, sino all’assurdo di favorire magari un singolo piuttosto che pensare alla comunità, che ha portato la Carnia a perdere quasi tutto. Ma ritorniamo all’intervista a Fabio Cinausero.
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L: In che anni ha inziato a lavorare in cartiera?
«Sono stato assunto in cartiera nel 1950. Però Le devo raccontare come è avvenuta l’assunzione. Allora le assunzioni avvenivano attraverso l’Ufficio di Collocamento. A Tolmezzo era impiegato Pietro Not (1), e lo è tuttora, soltanto in quegli anni c’erano tanti disoccupati. Ed erano tempi duri perché era appena terminata la seconda guerra mondiale …
Ed allora cosa abbiamo stabilito di fare? Abbiamo formato un comitato spontaneo tra di noi operai, che ha deciso che doveva andare a lavorare per primo chi aveva più bisogno.
Ma c’erano diversi operai disoccupati allora a Tolmezzo, forse 70 o 80. E così il Comitato ha fatto una selezione e sono usciti una trentina di nominativi fra quelli che erano più bisognosi, che veramente erano poverissimi e non avevano niente. Fra questi io ero quello che stava peggio.
Però in cartiera assumevano solo tredici operai. Allora abbiamo messo i 30 nomi in un cappello ed abbiamo proceduto all’estrazione di 13 di loro. Il mio nome è uscito per ultimo, ed ho avuto la fortuna di avere il numero tredici.
Senonché il giorno seguente l’estrazione, si doveva già andare a lavorare, ma mi è stato detto che io non avrei potuto entrare in cartiera perché ero comunista, attivista.
Perché la cartiera aveva chiesto informazioni su di me. Ed io cosa potevo fare?
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Noi avevamo comunicato, per essere assunti, i 13 nominativi all’Ufficio di Collocamento, che li aveva dati alla cartiera. Ma il mio nominativo era stato quasi scartato perché in cartiera non mi volevano assumere. Infatti avevano domandato tutte le informazioni possibili sugli operai che avrebbero dovuto entrare a lavorare in fabbrica. La richiesta era giunta al maresciallo dei Carabinieri, che si chiamava Nateri, ed il cui genero abitava qui, in questo caseggiato. Ma egli, da che so, aveva dato parere favorevole su di me, ed onestamente aveva detto: «Quest’uomo ha una famiglia, figli piccoli da sfamare, ed è disoccupato da due anni». E quindi non riteneva giusto che io non dovessi andare a lavorare.
Mi creda, mi vengono ancora in mente quelle frasi … che ben descrivevano la mia situazione. Infine sono riuscito ad andare a lavorare come tutti gli altri. Senonché noi, appena entrati, dovevamo rimanere in prova per tre mesi, e alla vigilia della scadenza del periodo di prova avevo già l’avviso di licenziamento in mano: solo io fra tutti.
L: Ma fra gli altri 13, non c’era nessun comunista o socialista?
C’erano altri comunisti o socialisti fra i 13 neo assunti, ma solo io mi sono trovato con la lettera di licenziamento in mano. Purtroppo io ero un attivista comunista … E la Commissione Interna della fabbrica era democristiana, se vogliamo dire la verità.
Senonché mi dicono in portineria: «Guardi Cinausero che Lei domani non può entrare a lavorare. Ma me lo hanno detto quando ero già entrato in cartiera perché, se mi avvisavano quando ero già uscito, non avrei potuto più rientrare, come mi è accaduto in seguito.
Allora sono andato nell’ufficio del personale, e lì ho trovato il signor De Colle (2), il capoufficio, che è deceduto a Roma dopo esser andato in pensione. Egli mi ha chiesto cosa volessi, ed io gli ho narrato che cosa mi era stato detto in portineria. Allora il signor De Colle mi ha detto che la decisione era stata presa dalla Commissione Interna e che, in ogni caso, noi 13 eravamo provvisori. Allora gli ho domandato perché fosse accaduto questo solo al me. «Ma perché io l’unico? – gli ho chiesto. «Perché io che sto peggio di tutti? Vorrei conoscere il motivo». Ma egli mi ha detto che non poteva dirmelo.
A questo punto sono andato in Direzione dall’ingegner Rith (3), che era una degnissima persona. E lui mi ha detto solo: «Purtroppo è stato così!». Ed in effetti, all’epoca, chi decideva la conferma delle assunzioni dopo il periodo di prova era la Commissione Interna assieme all’Amministrazione della Cartiera. A questo punto sono andato dalla Commissione Interna, ed ho fatto un po’ di ‘bordello’ (4), ed è andato a finire che mi hanno tenuto a lavorare.
Ma dopo tre mesi …. Io e un altro che era stato assunto lo stesso giorno in cui ero stato assunto io, siamo stati licenziati con la scusa che, al nostro posto, dovevano assumere altri operai scelti però fra i mutilati e gli invalidi. In effetti era vero che la legge obbligava le fabbriche a coprire il 10 o 12% del personale con iscritti a queste categorie protette, ma io sapevo che la Cartiera era al completo, aveva già assunto tutti quelli che doveva assumere.
Così sono andato all’ufficio del personale ed ho detto: «Guardate che la legge la conosco anch’io, e non dice che si devono licenziare 13 operai per assumere al loro posto 10 o 13 mutilati od invalidi». Ed allora mi hanno chiesto: «E tu come lo sai»? Ed io ho risposto: «Lo so, e basta. La legge vi obbliga ad assumere un numero di operai invalidi e mutilati ma non di far loro posto licenziandone altri». E nel sostenere le mie ragioni, ho anche fatto un po’ di caos, come la volta precedente, ed allora si è appianato tutto, e sono rimasto a lavorare.
Ma, circa 5 anni dopo la mia assunzione in cartiera, che era avvenuta il 12 o 14 luglio 1950, mi hanno licenziato in tronco. Ed era il 10 febbraio 1955. Ma deve sapere che in tutto questo periodo ero stato sempre sotto torchio sia da parte della Direzione che di chi mi voleva fare del male; ed io non potevo andare a farmi una fumata come facevano tutti gli altri perché avevo “o la guardia o il capoguardia”, non potevo muovermi nel cantiere anche se mi mandava il capo a fare qualcosa, perché c’era subito chi diceva che me ne andavo a spasso, insomma io ero sottoposto a “tutte queste cose”. E non si poteva parlare di niente, e, nel periodo del riposo, in quella mezz’ora riservata al pasto, non si poteva fumare neppure nello stanzino dove mangiavamo. Ed a quel punto ho pensato: «Ma come siamo ridotti qui?».
La storia di un telegramma, di cui Cinausero non sapeva niente, e del suo licenziamento.
Dopo un anno che ero stato assunto, mi hanno messo fra i candidati per la Commissione Interna, e sono stato eletto. E l’anno seguente abbiamo avuto una maggioranza, nella Commissione Interna, formata da iscritti alla Cgil. Senonché questa è stata una bomba per i Democristiani ed anche per la Direzione, perché prima detta Commissione era in mano alla Cisl. Ma comunque tutto procedeva bene finché un giorno la Camera del Lavoro, senza che io ne sapessi il motivo, ha scritto un telegramma di protesta al Presidente del Consiglio, che allora era Giovanni Gronchi, a nome degli operai della Cartiera di Tolmezzo.
Senonché, per certo, l’ufficiale della posta di Tolmezzo (5) ha telefonato alla Cartiera che stava partendo: «un telegramma a Gronchi di protesta degli operai» della fabbrica. Senonché la cartiera ha inviato un suo dipendente o impiegato ad intercettare il telegramma. Ma io di questo non sapevo nulla perché ero a casa ed era il mio giorno di riposo.
Alla sera mi sono recato in cartiera per iniziare il mio turno di lavoro senza sapere niente di tutto questo. Ma quando sono entrato, mi ha raggiunto un operaio che si chiamava Fosio, ed era di Imponzo, e mi fa:
«Cinausero!»
«Cosa vuoi Fosio?» – gli rispondo.
«Non so se ho fatto bene o male a firmare, ma guarda che c’è un avviso dove si dice che tu hai fatto dei telegrammi di protesta senza avvertire nessuno, e che qui tu non sei il padrone della cartiera, e pertanto ci hanno fatto mettere delle firme». Naturalmente erano firme contro di me per dire la loro contrarietà al telegramma.
Quindi mi sono recato in reparto, e lì gli operai hanno incominciato ad inveire contro di me, accusandomi per il telegramma e sostenendo che dovevo metterli al corrente. A questo punto ho detto: «Ma vi rendete conto di quel che dite? Guardate che io non sono al corrente di niente, non so nulla di questa faccenda. Ad ogni modo, se questo vi dà ragione, vuol dire che avete firmato solo una cambiale in bianco, senza chiedermi nulla, e della quale siete i soli responsabili del pagamento».
Sa signora, io con questo volevo solo chiarire che, senza interpellarmi, avevano firmato contro di me. E l’avviso, un trafiletto, diceva solo che «il signor Cinausero Fabio, segretario della Commissione Interna, si è permesso di inviare un telegramma di protesta politico e non sindacale- e queste frasi me le ricordo bene – al Presidente del Consiglio Gronchi, a nome degli operai della cartiera. Pertanto si fa appello agli operai …» in sintesi di espellermi. Detto testo era firmato solo: «Un gruppo di operai», senza i nominativi.
Allora io ho detto a questi operai: «Ma vi rendete conto di cosa state facendo? Ma avete visto come è firmato l’avviso? “Un gruppo di operai”. Ma quali operai? Ma vi rendete conto di chi è la responsabilità di tutto ciò? E come si fa a firmare una cambiale in bianco, senza conoscere il contenuto?»
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E due giorni dopo, se non erro, mi è stato chiesto di rendere le chiavi dell’ufficio della Commissione Interna. Ma me le hanno chieste mentre ero a casa. Infatti la cartiera ha inviato un portinaio con una lettera firmata da Coppadoro (6), il direttore, quando Coppadoro era assente da diversi giorni. E lo sapevo perché avevo chiesto un colloquio con lui diversi giorni prima, forse 10 o 15 giorni prima, e mi avevano sempre risposto che era assente, e che lo avrebbero fissato appena fosse giunto. Ma invece mi hanno mandato a chiedere indietro le chiavi della Commissione Interna con una nota firmata dal Direttore.
Ma io non le ho date, e ho scritto, in calce alla lettera giuntami: «Spiacente ma non intendo consegnare queste chiavi. Desidero essere chiamato direttamente dalla Direzione della Cartiera di Tolmezzo per chiarire ogni cosa».
Così il portinaio è tornato indietro a mani vuote. Ma l’indomani mi è giunta una raccomandata con l’avviso di sospensione dal lavoro.
Allora ho notificato la cosa alla Camera del Lavoro di Udine, che mi ha consigliato di consegnare le chiavi per non creare impicci. Ma io mi ero accorto, il giorno prima che mi di domandassero le chiavi, andando all’Ufficio della Commissione Interna, che c’era un altro lucchetto alla porta, e pertanto mi avevano già sbarrato l’entrata! Ma cosa voleva dire questo?
Dovete sapere che la richiesta delle chiavi è avvenuta quando è stata nominata la Commissione Interna dove la Cgil aveva la maggioranza. Allora tutti quelli della Commissione che prima erano in maggioranza e poi erano diventati di minoranza, tra i quali c’erano Lorenzini, Borghi, Gino Cargnelutti e suo cugino, dopo la prima riunione, in cui tra l’altro io ero stato eletto segretario, hanno incominciato a dimettersi. Ed un giorno dava le dimissioni uno, un giorno l’altro … E allora era capo del personale il famoso Perissinotto, che mi pare che due anni dopo sia sparito da Tolmezzo.
Per quanto mi riguarda però, è accaduto che io non ho potuto più entrare in cartiera, e, dopo la sospensione, mi è giunta la lettera di licenziamento in tronco. Sono stato licenziato nel febbraio del 1955, sono stato licenziato, io, il 10 febbraio! Ed è successo che non ho potuto neppure andare in cartiera a prendere i miei indumenti personali.
Il caso Cinausero sbarca ad Udine.
Quindi ho dato il mio caso in mano ai sindacati e questi hanno provocato il Collegio Arbitrale ad Udine, presso l’Associazione Industriali. E chi ha rappresentato la cartiera di Tolmezzo è stato proprio l’impiegato dell’ufficio del personale Peressinotto, perché la direzione se ne è ‘lavata le mani’.
La prima udienza del Collegio Arbitrale sul mio caso si è tenuta ad Udine nel mese mi pare di giugno del 1955. Ed i sindacati mi hanno messo come avvocato difensore il povero Enzo Moro. Ma io sono giunto all’ incontro un po’ in ritardo perché sono stato avvertito solo alle 11 del mattino che dovevo essere ad Udine alle 2 del pomeriggio. Così ho dovuto portare mio figlio con me e muovermi con una moto presa a prestito all’ultimo momento. Ma questa prima udienza è terminata con un nulla di fatto, perché io non ho accettato la chiusura proposta dalla cartiera, le sue condizioni. Perché di fatto la cartiera non mi dava nulla, soltanto un obolo, una carità, di 100.000 lire.
Ed io non ho accettato in primo luogo perché non me ne importava niente, secondariamente ero certo che non era proprio il caso che mi avessero licenziato perché non sapevo nulla del telegramma. In sintesi io rifiutavo il licenziamento, perché io non sapevo nulla di quel fatto.
Così, andata a vuoto la prima udienza, le parti si sono aggiornate per un nuovo incontro, e quindi ci hanno richiamato ma si era compreso il sentire della cartiera di Tolmezzo e che il motivo del licenziamento era politico e causato da altri fattori. Così la cartiera ha trovato la scusa della mancata consegna delle chiavi della porta dell’ufficio della Commissione Interna, definendolo il motivo del licenziamento e lasciando perdere il telegramma a Gronchi.
Infatti era andata a finire che, per entrare nella sede della C.I., la cartiera ha dovuto chiamare un notaio ed è stata imposta la presenza dei sindacati, rappresentati da Pietro Contardo.
Questo stava però a significare che io non avevo avuto torto quando mi ero rifiutato di consegnare le chiavi alla persona inviata a casa mia con il biglietto della Direzione, e invece avevo fatto male a darle poi, come consigliatomi, perché all’interno dell’ufficio c’erano dei documenti della Commissione Interna che nulla avevano a che fare con la Direzione della fabbrica. E, per esser sinceri, io volevo portar fuori di lì quei documenti perché vi era abbastanza per denunciare quelli della Cisl che avevano formato la Commissione Interna precedente! Sa allora c’erano due sindacati, la Cisl e la Cgil, e la Uil è venuta poi. Ma proprio allora c’era stata una svolta e la Cgil era passata in maggioranza, e per questo, secondo me, è avvenuto questo caos.
Così dopo 15 giorni hanno aperto la sede ma in presenza del notaio Recla, e ciò vuol dire che io non avevo avuto torto, inizialmente, a rifiutarmi di dar loro la mia chiave. Ma in compenso la direzione aveva bloccato a me l’accesso ponendo un nuovo lucchetto. E solo avendo ambedue le chiavi si poteva entrare.
Fine della vertenza, accettando le condizioni della cartiera.
Ma poi cosa è accaduto? Quando io pensavo ormai di essere l’unico caso di licenziamento, ho sentito che in cartiera la Direzione e coloro che agivano per conto ed in nome della Direzione, purtroppo, avevano impaurito gli operai. «State attenti a cosa fate – dicevano loro – altrimenti sarete segnati su un libro rosso!» e così non avrebbero più avuto neppure il premio di produzione.
All’epoca, infatti, vigeva il premio di produzione, chiamato anche ‘mancia eccezionale’ che ora (7) è dato per legge. Ma allora non era così: la cartiera poteva darlo o non darlo, seguendo il proprio punto di vista.
Inoltre per il mio caso io volevo portare il Collegio Arbitrale a Tolmezzo, ma l’avvocato arbitro, purtroppo, era stato scelto dalla controparte, perché l’associazione industriali di Udine non accettava il legale da me proposto, e cioè l’avvocato Luigi Mattiussi (8) di Gemona, che era di sinistra. Ed io ho avuto solo la consolazione di sentirmi dire da lui, gentilmente: «Guardi, Cinausero, che la cartiera di Tolmezzo è disposta a tutto pur di non assumerla».
Ed il povero Enzo Moro che mi difendeva, non ha potuto che essere testimone di quanto.
Così io, preso atto del sentore della cartiera, ho deciso di porre fine alla vicenda una volta per sempre. «Basta, finiamola!» – ho pensato. E così l’abbiamo finita.
La cartiera ha dovuto corrispondermi una cifra, una oblazione di 100.000 lire, ma non come liquidazione vera e propria. Però io non le ho accettate come oblazione ma come diritto di liquidazione. Ma ‘loro’ questo non lo hanno mai ammesso.
Io, cosa vuole Signora, più di così non potevo fare, da solo, anche avendo dalla mia il sindacato Cgil, ed i tempi allora erano quelli che erano, non erano i tempi di oggi, dove un operaio è tutelato al 100%, ed i sindacati non avevano quella forza che hanno oggi. Così, vista la posizione intransigente della cartiera, sempre per paura di esser licenziato ho chiesto ed accettato l’oblazione. E poi ero stanco e volevo solo finirla. «Basta! Finiamola!» – pensavo.
Ma cosa è successo in seguito?
Ma poi cos’è successo? Sono iniziate le eliminazioni, una epurazione vera e propria. Qualcuno lo forzavano ad uscire dalla fabbrica ‘ volontariamente’ … rendendogli la vita impossibile con tutti i sistemi peggiori che possono esistere, fra cui cambiare ad una persona il posto di lavoro, e chi era uno specialista finiva a fare il manovale, e via dicendo. E poi hanno fatto questa proposta: a chi ‘voleva’ licenziarsi davano 100.000 lire. Chiedevano chi era contento di andarsene e gli davano 100.000 lire! E doveva vedere quanti operai, vista la miseria che c’era allora, hanno accettato! (9).
Per causa di forza maggiore, poi, per poter lavorare, la maggior parte di loro ha dovuto andare all’estero. Ed era il 1955, si immagini, erano anni duri! E hanno ‘accettato’ di licenziarsi circa 100 operai. Ed erano tutti della Cgil!
Ed allora io ho detto a questi operai: «Avete visto? La firma che avete fatto contro di me era una cambiale in bianco, ed ora vi siete resi responsabili del pagamento ed avete pagato». Ma in cuor mio mi dispiaceva quanto era accaduto.
E posso anche dirLe che io ho sofferto, si capisce, per tutto questo.
Poi per due anni ho trovato qualche lavoro un po’qui, un po’ là, un po’ ‘lavia’ … Poi sono andato a lavorare con la forestale che, come lei sa, propone lavori estivi saltuari stagionali (10). Ed ho lavorato per la forestale sette anni, e facevamo lavori di sistemazione montana. Cosa vuole, Signora, si lavorava quei 4 o 5 mesi e tutto l’inverno stavamo a casa. E la vita, allora, è andata avanti così.
Nuovi problemi all’orizzonte.
Poi è successo questo, cinque, no, nove anni fa (11). La cartiera doveva, allora, procedere a nuove assunzioni, e mio figlio Alvise (12) si è presentato come candidato. Senonché, dopo che aveva superato la visita medica, dopo che era andato a colloquio con la direzione e risultava tutto a posto, gli hanno assicurato che sarebbe stato assunto anche lui. Ma, giorno dopo giorno, ne avevano già presi una quarantina ed il suo turno non giungeva mai.
Allora mi sono messo di mezzo io tramite uno della Commissione interna, e ho detto così ad uno che faceva parte della stessa: «Guardi… sono certo che mio figlio non viene preso in cartiera per colpa mia. E questo si configura come un affare politico, non sindacale. Questo non me lo assumono per fatti miei del passato». Allora questo membro della Commissione Interna è andato alla Direzione della cartiera di Tolmezzo a parlare con il direttore.
E c’era un nuovo direttore, non c’era più quello del 1955, ed aveva sale in zucca, aveva la testa a posto, ed ha capito perché io li avrei denunciati se non avessero assunto mio figlio. Perché io li avrei denunciati sul serio, Signora. E poi se il padre è un assassino (13) il figlio non ha nessuna colpa, non deve “prendere di mezzo”.
Così è andato a finire che lo hanno fatto assumere all’Icci, alla Cartotecnica. Così mio figlio doveva andare non lì ma là, come volevano loro. Ma io volevo capire perché, dato che non credevo che l’Icci fosse una filiale della cartiera, ma però dopo ho saputo che era una ‘associata’ alla stessa.
Ma quando il Direttore della cartiera ha saputo di quanto, ha detto al capo-ufficio del personale «Assolutamente, domani, voglio Cinausero in cartiera!». Così l’indomani mattina, alle 8, mio figlio ha incominciato a lavorare alla cartiera di Tolmezzo. (14).
Ma cosa vuol dire questo? Che ci sono cose assurde che possono avvenire solo qui, in Italia. E lo dico con cognizione di causa perché io sono andato a lavorare anche all’estero, e ho lottato anche all’estero sindacalmente, ma mi hanno dato sempre ragione perché lottavo per il bene dell’operaio, per il miglioramento delle condizioni della nostra vita, e non ho mai usato la violenza.
E quando era direttore alla cartiera di Tolmezzo il padrone, l’ing. Petzalis, mi ha chiamato personalmente due volte da lui, sempre perché io ero la bandiera nera della cartiera. Però ho avuto anche soddisfazioni da lui, quando ha capito i problemi, dopo che gli avevo spiegato come stavano le cose. E quando in una azienda, fabbrica, posto di lavoro, non c’è collaborazione tra Direzione, capi ed operai, la fabbrica non andrà mai bene».
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Così termina questa prima parte dell’intervista a Fabio Cinausero, a cui seguiranno altre due, perché l’intervista è lunghissima, e ricca di spunti e di storia spesso sconosciuta.
Laura Matelda Puppini.
Note.
(1) Trattasi di Pietro Not di Resiutta, della Democrazia Cristiana, poi residente a Tolmezzo.
(2) Non sono riuscita a trovare il nome del signor De Colle, ma sicuramente aveva un figlio, Massimo, che era amico di mia madre, la dott. Maria Adriana Plozzer, e di mio zio Umberto Plozzer. Quindi Massimo andò a Roma e, da che ci racconta Fabio Cinausero, suo padre lo seguì.
(3) Non sono riuscita a reperire il nome dell’ing. Rith.
(4) Normalmente si userebbe «Ho fatto un po’ di ‘casino’», ma ho lasciato la dicitura originale.
(5) All’epoca era presumibilmente sempre Soave, come durante il periodo fascista, che voci tolmezzine, negli anni sessanta, dicevano fosse stato forse troppo zelante nell’informare, forse per scelta forse per forza, ma nulla di certo è dato sapere, e si sa che le malelingue esistono dovunque.
(6) Non ho reperito il nome del dott. Coppadoro.
(7) Qui si intende il 1979.
(8) Fabio Cinausero parla di un avvocato Driussi. Ma chieste informazioni a Lorenzo Londero di Gemona del Friuli, egli mi ha detto che non gli constava fosse mai esistito un avvocato Driussi di sinistra, ma invece rispondeva a questi requisiti Luigi Mattiussi, e che, presumibilmente, il Cinausero, a tanti anni di distanza, si era sbagliato. L’avvocato Mattiussi, uomo intelligente e di cultura, era nato nel 1921, e fu avvocato dei poveri e dei partigiani, alcuni dei quali furono aiutati da lui anche ad ottenere la pensione. Prima simpatizzante per il fascismo, entrò in crisi dopo l’8 settembre 1943, e, nel corso della resistenza, firmò documenti come segretario del Cln di Gemona del Friuli, suo paese di origine e vita. Quindi divenne, nel dopoguerra, comunista. Fu per anni consigliere comunale per il P.C.I. a Gemona, dove i suoi interventi, su vari argomenti, erano molto seguiti, e fu legato da amicizia a Giacomo Pellegrini. (Dati sintetici. Fonte dott. Giuseppe Marini – Gemona del Friuli).
(9) Questa versione dei motivi di questa proposta della fabbrica agli operai diverge da quella raccontata da Marino Ambrosio pubblicata su www.nonsolocarnia.info in: https://www.nonsolocarnia.info/marino-ambrosio-la-mia-vita-alla-cartiera-di-tolmezzo-intervista-di-laura-matelda-puppini-15-aprile-1980/. Quello che è certo, però, è che, quando la maggioranza della Commissione interna passò in mano Cgil, grazie al fatto che molti operai si erano tesserati con la stessa, la fabbrica fece questa proposta. Sul perché le opinioni di Ambrosio e Cinausero differiscono.
(10) Lavori di indicazione delle piante da tagliare ed altri di sistemazione di boschi e rii venivano svolti da precari assunti dal Corpo Forestale dello Stato che, in questo modo, permetteva non solo la manutenzione del territorio ed un ragionato taglio delle piante, ma anche di dare una risposta momentanea alla disoccupazione imperante. Poi questa possibilità venne abolita per legge, con grande dispiacere di chi, usufruendone, poteva sostenere almeno per un periodo la famiglia, ma anche di chi amava il proprio territorio. E mi ricordo che molti rimasero sorpresi che questo importante servizio fosse cancellato così, di colpo. Ora Il Corpo Forestale è stato annesso, ai tempi di Matteo Renzi, all’Arma dei Carabinieri, per spendere di meno, e non è chiaro a fare che cosa. Ma lo stato dei nostri boschi e prati parla da solo sulla mancata politica forestale.
(11) Qui 1970.
(12) Presumibilmente si tratta di Alvise Cinausero, nato il 30 ottobre 1945, morto il 6 agosto 2018.
(13) Interessante questo paragone fra lui comunista ed un assassino, figlio dei tempi, e suggerito, in prima battuta, dalla moglie del Cinausero. Questi comunisti o socialisti che tanto pagarono per le loro idee, avevano spesso una donna al fianco che divenne vittima degli stessi soprusi fatti al marito, di cui risentiva l’intera famiglia. Fu tecnica fascista e del padronato e di alcuni al potere anche poi, far in modo che chi non era favorevole a loro perdesse il lavoro e finisse in ristrettezze economiche. Perse una grossa commessa mio nonno, Lorenzo Puppini, falegname, a causa di un maestro di Cavazzo Carnico, fascista, che di fatto, secondo il racconto fattomi, vietò di concludere l’affare alla committenza; dovette andare a raccogliere erbe il povero Osvaldo Fabian, che non sapeva come mantenere la famiglia, e mentre molti fascisti restavano al loro posto, andò a finire che molti partigiani dovettero emigrare nel secondo dopoguerra. Non solo: fu tecnica specifica del fascismo, nei territori annessi con la prima guerra mondiale, in Istria come in Trentino Alto Adige, far fallire privati o cooperative che non facevano comodo al Partito, anche solo per incamerare o far incamerare i loro beni. E su questo vi sono fonti.
(14) Qui si comprende come certe scelte potessero derivare da persone che non stavano ai vertici, ma che appartenevano, magari, alla fabbrica da anni e anni e pensavano fosse bene così, seguendo vecchie logiche.
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L’immagine che accompagna l’articolo è un particolare di una foto di Vittorio Molinari e mostra Tolmezzo sud con la torre della cartiera ben evidenziata. (Da archivio Vittorio Molinari). L.M.P.
https://www.nonsolocarnia.info/intervista-a-fabio-cinausero-le-peripezie-di-un-operaio-carnico-sindacalista-attivista-comunista-come-da-lui-narrate-a-laura-matelda-puppini-alla-fine-del-1979-prima-parte/https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2021/08/CARTIERA-archivio-Molinari-278.jpg?fit=294%2C309&ssl=1https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2021/08/CARTIERA-archivio-Molinari-278.jpg?resize=150%2C150&ssl=1STORIAQuesta lunga intervista a Fabio Cinausero, comunista ed operaio, porta la data 30 dicembre 1979. Pochi mesi dopo Cinausero moriva, ed a lui io e mio fratello abbiamo dedicato l’articolo “Movimento operaio e sottosviluppo alla cartiera di Tolmezzo” pubblicato su Qualestoria n. 1, 1981, e leggibile anche in: http://www.storiastoriepn.it/movimento-operaio-e-sottosviluppo-alla-cartiera-di-tolmezzo/. Sono...Laura Matelda PuppiniLaura Matelda Puppinilauramatelda@libero.itAdministratorLaura Matelda Puppini, è nata ad Udine il 23 agosto 1951. Dopo aver frequentato il liceo scientifico statale a Tolmezzo, ove anche ora risiede, si è laureata, nel 1975, in filosofia presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Trieste con 110/110 e quindi ha acquisito, come privatista, la maturità magistrale. E’ coautrice di "AA.VV. La Carnia di Antonelli, Centro Editoriale Friulano, 1980", ed autrice di "Carnia: Analisi di alcuni aspetti demografici negli ultimi anni, in: La Carnia, quaderno di pianificazione urbanistica ed architettonica del territorio alpino, Del Bianco 1975", di "Cooperare per vivere, Vittorio Cella e le cooperative carniche, 1906- 1938, Gli Ultimi, 1988", ha curato l’archivio Vittorio Molinari pubblicando" Vittorio Molinari, commerciante, tolmezzino, fotografo, Gli Ultimi, Cjargne culture, 2007", ha curato "Romano Marchetti, Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona, una vita in viaggio nel Novecento italiano, ed. ifsml, Kappa vu, ed, 2013" e pubblicato: “Rinaldo Cioni – Ciro Nigris: Caro amico ti scrivo… Il carteggio fra il direttore della miniera di Cludinico, personaggio di spicco della Divisione Osoppo Carnia, ed il Capo di Stato Maggiore della Divisione Garibaldi Carnia, 1944-1945, in Storia Contemporanea in Friuli, n.44, 2014". E' pure autrice di "O Gorizia tu sei maledetta … Noterelle su cosa comportò per la popolazione della Carnia, la prima guerra mondiale, detta “la grande guerra”", prima ed. online 2014, edizione cartacea riveduta, A. Moro ed., 2016. Inoltre ha scritto e pubblicato, assieme al fratello Marco, alcuni articoli sempre di argomento storico, ed altri da sola per il periodico Nort. Durante la sua esperienza lavorativa, si è interessata, come psicopedagogista, di problemi legati alla didattica nella scuola dell’infanzia e primaria, e ha svolto, pure, attività di promozione della lettura, e di divulgazione di argomenti di carattere storico presso l’isis F. Solari di Tolmezzo. Ha operato come educatrice presso il Villaggio del Fanciullo di Opicina (Ts) ed in ambito culturale come membro del gruppo “Gli Ultimi”. Ha studiato storia e metodologia della ricerca storica avendo come docenti: Paolo Cammarosano, Giovanni Miccoli, Teodoro Sala.Non solo Carnia
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