Non vi voglio spaventare con questo articolo, voglio solo parlarvi di uno dei problemi più importanti per noi, per i nostri figli, per i nostri nipoti, per prenderne coscienza e chiedere risposte immediate, prima che ci travolga. Esso riguarda l’acqua potabile che sta finendo sulla terra, sprecata, inquinata sottratta al suo corso normale per fornire energia che ora si potrebbe ricavare dal sole e dal vento, con leggerezza, per produrre l’utile ed il superfluo, mentre le mutazioni climatiche che si concretizzano nell’aumento del calore sul globo, con conseguente inaridimento dei terreni, non fa che accentuare detto fenomeno.

Ma chi se ne frega dell’acqua- penserà magari qualcuno preso dai mille discorsi che ci propina la politica, che non se ne può più, e dai mille selfie ed sms pilotati e rilanciati da uno staff, come ci ha informato Report, che sta alle spalle, come nel caso di Matteo Salvini, (Report (Rai3): la macchina mediatica di Salvini, 28 ottobre 2019).

Invece bisogna pensare ai problemi seri come le fonti per la vita, come l’acqua, considerata sacra da più religioni e di cui ci siamo allegramente scordati per anni, facendo finta di nulla, facendo la politica delle tre scimmiette, vendendola, svendendola in un modo o nell’altro, a chi ne sapeva il valore anche di mercato, e permettendo che si chiudessero forzosamente rubinetti di utenti morosi, magari per povertà, benché la legge romana vietasse di far violenza per impedire a taluno di attingere ad una fontana. (Mario Fiorentini, Struttura ed esercizio delle servitù d’acqua nell’esperienza giuridica romana, https://moodle2.units.it., p.17). Inoltre, sotto i romani, l’erogazione dell’ acqua potabile, nell’Urbe, si incentrava intorno al concetto di “Acqua pubblica”; veniva impedita la «manipolazione dei corsi d’acqua» e l’uso dell’acqua pubblica era regolato dal  principio «secondo cui le necessità di uno non devono prevaricare quelle di tutti gli altri» (Ivi, p. 7, p. 8, p. 11). L’acqua, poi, non era considerata fra i lussi, anzi i romani fecero in modo di condurla, con i loro famosi acquedotti, un po’ dovunque. Invece «nel mondo di oggi, parlando di “lusso”, si potrebbe senza dubbio almeno occasionalmente alludere anche all’uso di acqua dolce». (https://journals.openedition.org/mefra/3250).
Non da ultimo, sotto i romani, I fiumi pubblici erano «soggetti ad una serie di cautele volte a garantire la regolarità dell’apporto idrico per gli usi pubblici, a partire dal rifornimento necessario all’irrigazione agricola ed agli usi potabili». (Mario Fiorini, op. cit., pp. 10-11).

In sintesi, ora vi è un accesso aggressivo all’utilizzo di acqua dolce, mentre i romani avevano un accesso “morbido” alle risorse idriche realizzato «mediante un sapiente bilanciamento dei contrapposti interessi degli utenti, fossero essi agricoltori, cittadini, naviganti, ed in cui le modalità con le quali veniva effettuato il prelievo delle acque non andavano ad intaccare in maniera significativa le scorte naturali, permettendo il riformarsi delle falde ed un accesso equilibrato e ragionevole per tutti i possibili utenti». (Ivi, p. 6). Ma «L’approvvigionamento idrico, con la conseguente regolamentazione degli usi pubblici e privati delle acque, ha sempre costituito la prima sollecitudine delle comunità umane» (ivi, p. 7). E in realtà non solo il sistema tradizionale romano, ma tutti quelli escogitati nel mondo nel corso dei secoli «hanno, empiricamente, avuto di mira lo sfruttamento senza dissipazione, permettendo di fare affidamento su risorse inesauribili. In altri termini il problema della scarsità attuale non deriva tanto dal numero immenso di esseri umani che hanno attualmente la necessità di accedere all’acqua, ma dalle scriteriate modalità con cui avviene il rifornimento» (Ivi, p. 6), in sintesi dalla scriteriata politica fatta e che si sta facendo nel merito.
Ma il popolo italiano aveva deciso per l’acqua pubblica, indicando con il referendum del 2011 la via alal politica,  ma la politica ha fatto le orecchie da mercante, per non dire che ci ha preso per il culo.

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«L’anno 2003 è stato proclamato dall’ONU “Anno Internazionale dell’acqua”. La ragione di questa scelta è stata dettata dalla sempre maggiore consapevolezza che il problema idrico rischia di diventare il maggior focolaio di tensione internazionale del sec. XXI.». (Ivi, p. 3).
Ma invece di favorire una politica che puntasse a limitare lo spreco e mantenere le risorse presenti, i grandi organismi internazionali hanno formulato una opzione in favore delle multinazionali dell’acqua, che premono per ottenere la privatizzazione dei servizi essenziali, concretizzata nel “General Agreement on Trade in Services”, che serve a forzare gli Stati a ritirarsi dalla gestione dei servizi essenziali, trasferendoli alle multinazionali.  E fra  tra questi servizi essenziali non compare solo la gestione degli impianti di erogazione dell’acqua potabile, ma la stessa acqua, con la facoltà di praticare tariffe sui servizi essenziali in linea con un’ottica esclusivamente commerciale del problema. (Ivi, p. 4).

Inoltre le «politiche aggressive hanno provocato depauperamenti ed abbassamenti delle falde idriche, salinizzazione dei suoli, peggioramento delle qualità organolettiche delle acque, drammatici deficit di portata dei fiumi un po’ in tutto il mondo: in poche parole, il disastro ambientale, le alluvioni, le siccità (con conseguenti carestie), lo “stress” idrico hanno poco a che fare con la natura e moltissimo con l’ottica miope con cui lo sfruttamento idrico è stato condotto nel XX sec.». (Ivi, p. 5).

Ed anche in Italia «troviamo Multiutilty a Nord, multinazionali a Sud, shopping in borsa e attacco alle fonti: l’assedio all’acqua pubblica si fa sempre più stretto con buona pace del referendum del 2011. «La mappa delle privatizzazioni va letta dentro i processi di finanziarizzazione […] e negli ultimi cinque anni sono stati distribuiti più dividendi che utili: è l’economia del debito, che finisce in tariffa non tanto in nome degli investimenti ma quanto, soprattutto, della rendita. (…).
I processi in corso vedono la multiutility emiliana Hera espandersi in Triveneto, la milanese A2A arrivare fino a Cremona, i genovesi di Iren che tentano di mettere le mani anche sull’acqua di Torino. Ci sono le grandi manovre, poi, di Acea, tra Toscana, Umbria, Lazio e Campania, mentre a vario titolo i francesi di Suez e Veolia (che già è dentro la calabrese Sorical e per il 59,6% in Idrosicilia) agiscono con la multiutility capitolina nel Mezzogiorno insidiando Aqp, l’acquedotto pugliese, con il progetto di una megamultiutility del Sud.
Attraverso processi di acquisizione, aggregazione e fusione, i quattro colossi quotati in borsa – A2A, Iren, Hera e Acea – puntano a inglobare tutte le società di gestione dei servizi idrici, ambientali ed energetici. Gestioni distrettuali ultraregionali, le ha chiamate, un anno fa il presidente dell’autorità nazionale Energia Elettrica-Gas-Servizi Idrici. Tutto ciò serve a espandere il margine operativo dilatando la platea dei clienti e controllando le sorgenti più ricche». (Checchino Antonini, Così proseguono gli affari sull’acqua, Left, 7 gennaio 2017, p.8).

Inoltre ci si trova con una strategia del governo Renzi nel 2017 ed anche precedenti che «sono intervenuti a posteriori per coprire i piani delle corporation» (Ibid.), ed è solo da ringraziare la Corte Costituzionale che ha messo un clamoroso stop al decreto Madia, che permetteva che sulla gestione dell’acqua ogni regione facesse da sé. (Ibid.). Non da ultimo, le aziende che gestiscono l’acqua potabile e per usi domestici ed industriali dovevano essere poste fuori mercato ma, grazie ad un emendamento Pd, ciò non è avvenuto, stravolgendo gli esiti del referendum, che chiedevano a gran voce l’acqua pubblica. (Ibid).
Ed un problema non di poco conto è che se una azienda che gestisce il servizio idrico è una s.p.a., implicitamente risulta avere fine di lucro (Ivi, p. 9), come avevo già sottolineato nel 2010 anch’io ad un incontro a Cavazzo Carnico.

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Ma il problema non è solo questo, è quello che non abbiamo scorte infinite di acqua e che non riusciamo a produrre acqua potabile in laboratorio, mentre noi, anche qui in Carnia, alteriamo corsi d’acqua e sorgenti per centrali e centraline. Ma c’è chi con guerre e guerrette fa di peggio. E chi dice che l’acqua del pianeta, quella potabile, sta finendo non è un menagramo qualsiasi ma la Nasa. «Secondo gli scienziati della Nasa, il nostro Pianeta rischia di restare a secco. Le immagini mostrate dai satelliti parlano chiaro: 20 delle 37 falde acquifere del Pianeta hanno oltrepassato il punto critico di sostenibilità, calando drasticamente. Di queste, 13 sono state dichiarate ad alto rischio e la situazione è destinata a peggiorare. Tra i fattori che maggiormente hanno messo sotto pressione le riserve idriche del nostro pianeta c’è la crescita della curva demografica, l’utilizzo delle risorse per l’agricoltura e per le attività minerarie. Il problema è globale». (https://rivistanatura.com/allarme-nasa-acqua-sta-finendo/).

Ma in proposito non fa dormire sonni tranquilli neppure Simone Valesini, che già nel 2015 riportava che: «La maggior parte delle riserve sotterranee di acqua del pianeta vengono consumate rapidamente ed è impossibile al momento calcolare quanta ne rimanga». (https://www.wired.it/attualita/ambiente/2015/06/17/fine-acqua-terra/). Gli studi si sono basati in particolare su dati provenienti dallo spazio, dai due satelliti Grace, e hanno mostrato una situazione invero preoccupante.  Infatti gli studiosi americano hanno visto «la quantità di acqua presente nei 37 principali bacini sotterranei del pianeta, scoprendo che in quasi un terzo di questi (13 per l’esattezza) la quantità è diminuita fortemente tra il 2003 e il 2013, senza un ricambio apprezzabile dovuto a fonti esterne di acqua». (Ivi).

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Chi è maggiormente in difficoltà, sempre secondo: https://rivistanatura.com/allarme-nasa-acqua-sta-finendo/ è la penisola araba. Si pensa a desalinizzare il mare: ma improvvisamente ci si è accorti che è pieno di petrolio e plastica oltre altre schifezze.
«Mantenendosi costante la situazione di depauperamento delle scorte, secondo le previsioni dello Stockholm International Water Institute nel 2030 circa il 47% della popolazione mondiale potrebbe avere difficoltà a sopportarne le conseguenze. Ma gli esperti intravedono nella dissalazione una possibile soluzione per far fronte alla carenza». (http://www.scelgonews.it/acqua-sta-finendo-quella-potabile/).
Ma la cosa non si presenta semplice. Infatti «Alcune criticità emergono tuttavia sia per gli impatti che gli impianti dissalatori hanno sull’ambiente sia, al contrario, su alcune variabili che l’ambiente può introdurre negli impianti come ad esempio la presenza di alghe che possono rilasciare sostanze tossiche che hanno dimostrato di poter permanere nell’acqua potabile prodotta dagli impianti ad osmosi inversa». (Ibid.).

Intanto il problema della sete attanaglia attualmente circa un miliardo e mezzo di persone, con proiezioni agghiaccianti sui cinque miliardi nel 2025, mentre gli Stati più sensibili alle richieste delle multinazionali si sono già opposti, nel corso del 3° Forum Mondiale sull’Acqua, svoltosi a Kyoto dal 16 al 23 marzo 2003, ad inserire nel documento finale qualsiasi riferimento alla natura fallimentare delle privatizzazioni, e ne è uscito il solito compitino pieno di buone intenzioni e del tutto privo di proposte concrete. (Mario Fiorni, op, cit., p.4).

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E ritorniamo all’inizio di questo articolo. L’acqua della Terra sta finendo. La maggior parte delle riserve sotterranee di acqua del pianeta vengono consumate rapidamente ed è impossibile al momento calcolare quanta ne rimanga. (L’acqua della Terra sta finendo, in: https://www.wired.it/attualita/ambiente/2015/06/17/fine-acqua-terra/?refresh_ce=.
Le zone più popolose e aride carenti di acque superficiali sono le più colpite dalla carenza d’acqua potabile, obbligando la popolazione a fare forte affidamento sulle riserve sotterranee. «Al primo posto troviamo la falda acquifera della penisola Araba, che oggi fornisce acqua potabile e per l’agricoltura a oltre 60 milioni di persone, e che ha mostrato la diminuzione maggiore nel periodo studiato». (Ivi). Al secondo e terzo posto si trovano la zona dell’Indu nel Nord Ovest di India e Pakistan ed il bacino del Murzuq–Djado, nel nord del continente africano. (Ivi).
Inoltre comparando i dati raccolti sulla velocità con cui vengono sfruttate le falde acquifere con i pochi dati disponibili sull’effettiva quantità di acqua presente nei bacini, appare «che le riserve idriche del pianeta sono inferiori a quanto calcolato in precedenza, e che le stime attuali sulla probabile durata delle falde sono estremamente imprecise». (Ivi).

Ed intanto che accade? «Si sta accelerando una tendenza preoccupante: le banche di Wall Street e i multimiliardari dell’elite stanno acquistando l’acqua in tutto il mondo ad un ritmo senza precedenti. Note mega-banche e colossi d’investimento come Goldman Sachs, JP Morgan Chase, Citigroup, UBS, Deutsche Bank, Credit Suisse, Macquarie Bank, Barclays Bank, the Blackstone Group, Allianz, e HSBC Bank, tra le altre, stanno consolidando il loro controllo sull’acqua. Anche magnati come T. Boone Pickens, l’ex presidente George H.W. Bush e la sua famiglia, Li Ka-shing di Hong Kong, Manuel V. Pangilinan delle Filippine e altri stanno comprando migliaia di ettari di terreno con falde acquifere, laghi, diritti di sfruttamento, aziende di erogazione, azioni in compagnie di ingegneria e tecnologia dell’acqua. La seconda tendenza preoccupante è che, mentre i nuovi baroni stanno comprando l’acqua in tutto il mondo, i governi stanno rapidamente limitando la capacità dei cittadini di procurarsela autonomamente (come evidenziato dal noto caso di Gary Harrington, nell’Oregon, dove lo stato ha criminalizzato la raccolta dell’acqua piovana in tre laghetti situati sulla sua proprietà privata, accusandolo di 9 imputazioni e condannandolo a 30 giorni di prigione).». (http://www.affaritaliani.it/cronache/l-acqua-dolce-sta-finendo-super-banche090614.html).

E chiudo con questi spunti di riflessione ed un rimando aCarestia e siccità catastrofiche in Africa come nello Yemen. La causa? L’uomo, con le sue guerre e il suo intervento su clima ed ambiente” e “Fratel Dario Laurencig. Acqua, siccità, e ruolo missionario”, in: www.nonsolocarnia.info.

Laura Matelda Puppini.

L’immagine che correda l’articolo è tratta da: http://www.affaritaliani.it/cronache/l-acqua-dolce-sta-finendo-super-banche090614.html. L.M.P. 

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