Laura Matelda Puppini. Ovaro. Cosa accadde alla fine di aprile e primi di maggio 1945. Per non ripetere errori.
Il 2 di maggio mi sono recata ad Ovaro per la tradizionale Santa Messa in ricordo delle vittime della furia cosacca, con predica, dal mio punto di vista, come minimo discutibile, ma don Gianni Pellarini che dichiara, simpaticamente, sul suo profilo facebook di “lavorare presso il buon Dio” è fatto così ed ha una sua visione personalissima dei fatti storici resistenziali, secondo me pure influenzato forse da Igino Piutti, ma è solo un’impressione. E se erro correggetemi. Ma se come storico a me pare un po’ manchevole, tanto da pensare che non vi sia ancora verità sui fatti accaduti il 2 maggio ad Ovaro, bisogna ringraziarlo perché è uno dei pochi sacerdoti rimasti in questa Carnia in via di dismissione. Quindi, sempre muniti di ombrelli, ci siamo recati alla miniera di Cludinico, dove è stata inaugurata una targa dedicata al povero Rinaldo Cioni, ma questo riguarda la seconda parte di questo articolo.
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C’erano anche i bimbi delle scuole alla cerimonia, che hanno letto e cantato, e c’era Lino Not, il Sindaco di Ovaro, che ha tenuto in chiesa, vista la pioggia battente, il discorso che avrebbe dovuto tenere in cimitero, davanti alla lapide che riporta i nomi di quei morti ammazzati per mano nemica, quando la guerra era di fatto già finita ed il nemico defluiva essendo già sconfitto. Poi abbiamo preso il coraggio a due mani e, muniti di giacche con cappuccio ed ombrelli, ci siamo recati ugualmente davanti a quel monumento sepolcrale che ricorda i caduti del 2 maggio, dove il sacerdote, stretto nella sua giacca a vento bagnata, ha benedetto i vivi ed i morti.
Don Gianni Pellarini in cimitero ad Ovaro il 2 maggio 2024 davanti alla lapide che ricorda i caduti nella strage. Foto di Laura Matelda Puppini. 2 maggio 2024
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Ma qualcosa su quanto accadde ad Ovaro si sa e ha radici un po’ più lontane …
Ma perché dico che si sa cosa accadde ad Ovaro quel 2 maggio 1945? Perché lo hanno scritto in più, anche se infarcendo la narrazione con qualcosa di personale o mal ricordato, ma per capirlo bisogna risalire alla crisi osovana dopo i fatti di Pielungo (1), e capire il potere di don Ascanio De Luca ‘Aurelio’, a cui era legato Alessandro Foi, ‘Paolo’ (2), dell’area cattolico /democristiana, che prese il potere nella Osoppo definitivamente al momento della riorganizzazione delle file partigiane dopo l’inverno. In quest’ ottica anticomunista, Alessandro Foi fu nominato al comando della brigata Pal Piccolo/Carnia, mentre a livello di formazione, ritornava, nel marzo 1945, al comando ‘Verdi’ (3), figura discutibile, pur non negando alcuno il suo essere organizzatore della ‘Osoppo’, e legato, a mio avviso, mani e piedi a don ‘Aurelio’.
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E se leggiamo l’interessantissima “Relazione della brigata “Pal Piccolo Carnia” al Comando della 1a divisione Osoppo” datata Z.O. 20/2/1945, si nota come la Osoppo, durante l’inverno praticamente silente in Carnia, si stesse preparando a combattere nuovamente in armi, come essa cercasse di dare, non si sa in che veste, “opportuni consigli ai russi” vista la situazione internazionale, forse nel senso di arrendersi, e come, per quanto riguarda la Carnia, si fosse assunta l’ onere di far funzionare il Cln comunali, senza chieder niente a nessuno. Fa poi pensare quel «è in atto un graduale richiamo degli uomini qualitativamente migliori», partigiani in Carnia, dopo aver dato il benservito a Romano Marchetti, che era stato uno degli organizzatori della Osoppo in Carnia, ma reo di volere un secondo Comando unico Garibaldi – Osoppo, mentre la Osoppo, in armi, voleva dominare alla fine della guerra. Ed è chiaro dal documento, che don De Luca, nel febbraio 1945, si era precipitato in Carnia a dare ordini (4), essendo ritenuta forse la Carnia zona troppo rossa, ma era presente anche in precedenza, nell’agosto, per far saltare ‘Livio’, e forse poi in zona Forni Avoltri, come delegato politico del btg. Fedeltà guidato da ‘Beppino’ Giuseppe Specogna. (5).
Alessandro Foi, ‘Paolo’, comandante della Brigata o Divisione che dir si voglia Pal Piccolo/Carnia all’ epoca dei fatti. (Da: Luciano Di Sopra Rodolfo Cozzi, Le due giornate di Ovaro, terza edizione riveduta e corretta, Aviani Aviani, 2015, p. 51).
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Alessandro Foi, ‘Paolo’, comandante da fine febbraio 1945 della Brigata o Divisione Pal Piccolo Carnia.
Ma ritorniamo ad Alessandro Foi, uno dei principali protagonisti dei fatti di Ovaro. Dal pochissimo che si trova sullo stesso, si sa che egli era legato a don De Luca, essendo ambedue di Colugna, e che riprendeva la visione politica legata ad una egemonia democristiana a fine guerra dello stesso, parroco del suo paese, e pure di ‘Vico’ e ‘Miari’, ‘Beppino’ ‘Riva’ ed altri (6), e non a caso Marchetti, quasi sempre rispettoso delle persone, ha definito Foi un ragazzo mandato a guidare una brigata in una situazione e territorio di cui nulla sapeva, con le inevitabili conseguenze. E per chiarire che idee avesse don De Luca, basta leggere questa frase scritta in un suo ricordo, stilato dopo la morte, da don Aldo Moretti. «Egli, nella sua azione partigiana, non cercò […] neppure il dialogo con i garibaldini. ‘Aurelio’ volle, quindi, “una Osoppo tutta verde, di fronte ad una Garibaldi vista da lui e non solo da lui come “tutta rossa”». (7). E a mio avviso don De Luca è stato sempre un protagonista della resistenza friulana prima in modo aperto, fino ai fatti di Pielungo, poi più o meno dietro le quinte, da quel che par di capire. E se ben ricordo, dopo la sua morte vennero fatti lavori di ristrutturazione nella sua casa, trovando nascoste, dietro un muro, numerose armi, forse collezionate per esser utilizzate nel caso di un avvento al potere dei rossi, che egli riteneva possibile. Sono sufficientemente sicura di questo fatto per scriverlo, ma non ho più la fonte, e quindi se erro correggetemi e mi scuso subito con voi ed i suoi parenti. E l’anticomunismo viscerale di Foi si legge anche in un testo datato 15 febbraio 1945 scritto dallo stesso ed indirizzato a Mario, Manlio Cencig comandante di Divisione, ed allegato alle memorie allora inedite di Gian Carlo Chiussi, citate per esteso nelle note.
E non a caso Alessandro Foi si presenta ad assumere il comando della Pal Piccolo/ Carnia il 28 o 29 febbraio 1945 assieme a ‘Riva’ (Coradazzi Angelino) democristiano, che aveva sostituito Marchetti, troppo amico dei garibaldini, nel ruolo di commissario politico della Brigata (8).
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Segheria di Aplis, sede del comando della Osoppo/Carnia come è ora. L’opificio è stato trasformato in albergo e museo. (Foto da https://www.turismofvg.it/arte-e-cultura/scienza-e-tecnica-carnia/museo-del-legno-e-della-segheria-veneziana-ed-esposizione-faunistica).
Inoltre non bisogna dimenticare due fatti che incisero, a mio avviso su questa storia. Il primo è che, dopo il proclama Alexander, la Garibaldi aveva dato l’ordine di continuare a combattere, mentre la Osoppo di sospendere l’attività partigiana in armi, in attesa della insurrezione finale. E quindi gli osovani sopravvissuti all’ inverno, ebbero tutto il tempo di riempirsi di rabbia ed astio contro il nemico, attendendo il giorno che forse da qualcuno fu vissuto come quello della ‘vendetta ‘ e non dell’insurrezione finale.
Il secondo riguarda l’ordine dato dal Cln Alta Italia che, a fine guerra, la resa del nemico, se richiesta, avrebbe dovuto avvenire sia in mano osovana che garibaldina, e questo, secondo me, provocherà la morte di ‘Livio’. Perché i cosacchi restii peraltro ad arrendersi se non agli alleati, lasciando le armi, non volevano farlo in mani partigiane, né osovane ma men che meno garibaldine. (9). E Marchetti mi ha sempre detto che, se si può dire che fecero degli errori anche i partigiani, i garibaldini li fecero all’inizio della resistenza, gli osovani in fondo.
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Sulle due stragi di fine guerra: quella di Avasinis e quella di Ovaro.
Inoltre le due stragi del 2 maggio 1945, quella di Avasinis e quella di Ovaro, furono unite da un altro aspetto: l’uccisione per mano osovana di cosacchi arresisi nel primo caso, spesso dimenticata o celata, di cui però parlava anche mia madre, e vi è chi dice che avvenne prima della strage di Avasinis chi poi; l’uccisione per mano osovana di cosacchi fatti saltare in aria nella caserma di Chialina, nella notte fra l’1 ed il 2 maggio 1945, dopo che la richiesta di resa era stata fatta, nel secondo caso. Per Avasinis ricordo quanto scritto da don Zossi, parroco del paese: «In zona c’erano Cosacchi, Tedeschi, Partigiani (…), c’erano troppi conti da saldare. Quella parte della popolazione che non si preoccupava troppo della situazione “era molto euforica” ma per troppi la fine della guerra non si presentava così semplice. Si era giunti verso gli ultimi giorni di aprile e gli Alleati erano già ad Udine. Il Comandante del presidio cosacco mi vuole; ha bisogno di trattare la resa del presidio. Faccio allora chiamare il podestà Rodaro Augusto Rossit e si conviene che essi si metteranno a disposizione dei partigiani alla sola condizione che venga ad essi salvata la vita. Si parla con i partigiani che accettano ed un giorno si partono verso la montagna lasciando libero il paese. (…). Si è saputo dopo che i patti non furono osservati». (10).
Ma nello stesso testo don Zossi scrive anche «La strada Nazionale è una congestione ed ingorgo continuato di tedeschi in fuga. Alcuni partigiani hanno l’infelice idea di compiere un ultimo atto e di andare a disturbare la loro fuga sulla stessa nazionale all’imbocco della nostra strada. Non l’avessero mai fatto. (…). Costoro si buttano contro gli stessi partigiani che inseguono per la strada e vengono in zona». (11). Non solo: che i partigiani spararono su tedeschi in ritirata, in zona Avasinis, lo testimoniò anche Mario Di Giannantonio. (12). E la risposta del nemico in ritirata fu: ‘occhio per occhio, dente per dente’. Inoltre pare che nel caso di Ovaro, fossero stati reclutati partigiani dell’ultima ora, ed anche Romano Marchetti parlava di persone troppo euforiche per comprendere bene la situazione. E non a caso, per Avasinis, don Zossi, prete del paese, salvatosi per miracolo, scrive la frase “Al nemico in fuga ponti d’oro” presa dai detti popolari, principio, secondo lui, allora non rispettato.
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Copertina del volume che contiene il diario di don Zossi. Foto già utilizzata su www.nonsolocarnia.info.
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Ma ritorniamo ad Ovaro …Ed ad alcuni osovani.
Ma ritorniamo a quel fine aprile e inizio maggio ad Ovaro. Bisogna poi ricordare che la Brigata (dal 30 marzo 1945 marzo definita divisione) ‘Pal Piccolo Carnia’ aveva come sede del Comando la segheria in Aplis nel comune di Ovaro. (13). Ed in zona, sicuramente l’1 ed il 2 maggio si trovavano sia Gian Carlo Chiussi, nominato Capo di Stato Maggiore della neonata ‘ divisione’, sia Alessandro Foi, comandante, sia ‘Mitri’ Luigi Mecchia vice – comandante, sia, ma solo dal 1° maggio, Romano Marchetti, sia Rinaldo Fabbro ‘Otto’ con il suo btg. Canin, mentre invece non consta si trovassero lì né Terenzio Zoffi, né Bruno Cacitti, né Albino Venier.
Inoltre si sa che per il passaggio di tutti i cosacchi che defluivano in ritirata e per consegnarsi agli Inglesi verso l’Austria, avendo dovuto gli stessi prendere la via della Val Degano e quindi della Val Calda per portarsi a Monte Croce Carnico, essendo stati fatti saltare, da partigiani, i ponti della Val But, e non potendo i cosacchi transitare a guado con i carriaggi e le famiglie (14), non pare fosse stato preso accorgimento alcuno, o fu inviato solo uno sparuto gruppo osovano posto sopra la stretta di Muina, il che fa pensare che quanto accadde ad Ovaro fosse stato frutto di improvvisazione.
Inoltre, come sappiamo dal verbale della seduta del Cln Val di Gorto datato 29 aprile 1945, presenti i rappresentanti del Partito Socialista, Azione, Liberale, Democratico Cristiano, degli operai della Val di Gorto, nonché il rappresentante del Partito Comunista della Carnia, erano giunte «informazioni riferite dal rappresentante del Partito d’Azione, nei riguardi delle trattative che il Comandante Territoriale della 5a Divisione ha svolto a Tolmezzo e in altri luoghi della Carnia per la resa e la cessione delle armi da parte delle truppe nemiche battute. Con soddisfazione si apprende che le stesse sono a buon punto e favorevoli e che fra poche ore la Carnia si potrà considerare definitivamente libera». (15). Peccato però che le trattative a Tolmezzo e Paluzza per la resa fossero andate a finire poi male.
Fascia indossata in quei giorni da Cioni ad indicare che egli faceva parte del Comitato di Liberazione Nazionale Gorto. (Immagine dall’ing Emilio Cioni, figlio di Rinaldo).
A questo punto il Cln dava avvio all’insurrezione finale, con «Coprifuoco immediato. Requisizione mezzi trasporto che passano a disposizione del C.L.N. per la loro destinazione ed uso in riferimento alle esigenze militari e civili della zona. Esposizione bandiere tricolori, non appena il C.L.N. dia disposizioni di innalzarla negli edifici pubblici della giurisdizione». (16). Inoltre i designati Sindaci avrebbero dovuto prendere il potere nei comuni della Val di Gorto e Val Pesarina, ove aveva giurisdizione il Cln, e la resa doveva avvenire con queste modalità: «FF.AA. Germaniche: resa incondizionata; FF.AA. Repubblica, prigionieri di guerra se depositano le armi, fuori legge in caso opposto; FF.AA. Russe, se Giorgiane agli ordini del Comte della 5a Divisione Territoriale, se Caucasiche o Cosacche disarmo immediato con le armi a disposizione del Comte La 5° Divisione Terr.». (17). Ed i Verbale dell’incontro del Cln Val di Gorto in cui si trova questa frase era firmato anche da ‘Ciro’ nome di battaglia o copertura di Rinaldo Cioni. Ed era lui che rappresentava, in seno al Cln il Pd’A, ma allora presumibilmente riferì quanto si andava dicendo in giro, senza sapere che era un sogno ma non una realtà. Ma forse l’inganno fu dato da Marchetti e Burgos e quell’auto con il tricolore.
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Infatti chi era sceso, il 29 aprile, da Ovaro a Tolmezzo a dare assicurazioni e chiedere la resa a Timofey Ivanowitsch Domanow, Atamano capo di guerra dei cosacchi, era Gian Roberto Burgos di Pomaretto ‘Flavio’ pure lui osovano, utilizzando un’auto rivestita dal tricolore, assieme a Romano Marchetti e Mario Tomat. Ma si deve sapere che Marchetti, con il fazzoletto verde al collo, aveva già chiesto, il giorno prima, il 28 aprile, all’Atamano di volgere le armi dei suoi contro i nazisti, in modo da ammansire gli Alleati. Ma «il capo militare vuole precise garanzie e richiede che la situazione gli venga spiegata da un ufficiale della missione alleata, che dia assicurazioni concrete sul futuro dei russi» – scrive Romano Marchetti. (18). Così Romano fu messo nella condizione di dover reperire un ufficiale inglese disponibile e non sapeva dove trovarlo. Allora decise di recarsi a Mione da Gian Roberto Burgos di Pomaretto ‘Flavio’ che conosceva l’inglese, perché si mascherasse da ufficiale britannico con una delle divise che possedeva l’Osoppo, e scendesse con lui l’indomani a dare garanzie all’Atamano.
Ma all’ ultimo momento ‘Flavio’ ci ripensa, si presenta con la sua divisa di ammiraglio, quale egli era, e con l’auto fasciata dal tricolore. Marchetti e Burgos si recano comunque da Domanow, che alloggiava allora all’ ‘Albergo Roma’ di Tolmezzo, dopo esser transitati per Ovaro, e qui, racconta ancora Marchetti: «corretto cerimoniale ma nessun risultato, come del resto prevedibile». (19).
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Quindi Marchetti si reca, il 30 aprile, al Comando cosacco di Villa Santina, a Villa Masieri, desideroso di incontrare Mikail Salamakin, comandante della Scuola Allievi Ufficiali cosacca, per domandare la resa, dicendo che ha già incontrato Domanow, ma non la risposta avuta. A questo punto Salamakin fa telefonare a Tolmezzo e quindi chiede ad un suo sottoposto di accompagnare fuori Romano Marchetti verso destinazione ignota, ma in direzione Ovaro. La macchina parte ma, quando raggiunge la curva prima di Cjassis, Romano si getta fuori e sparisce nel bosco. Lo ritroveremo il 1° maggio ad Ovaro. (20).
Cosacchi di pattuglia in Carnia. Da: Alberto Buvoli e Ciro Nigris, Percorsi della memoria civile. La Carnia. La Resistenza, 2004.
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Il primo maggio al mattino ad Ovaro.
Ma ritorniamo a quanto avvenne l’1 ed il 2 maggio 1945 ad Ovaro. Prima di continuare questa storia bisogna però sapere che i cosacchi avevano tre sedi militari nel comune, mentre le loro famiglie, come ovunque in Carnia, abitavano nelle case del paese. La prima sede era nei locali dell’ex- scuola elementare, a ridosso del municipio, la seconda nell’ala adiacente all’albergo Martinis, (21) la terza a Chialina nella ex stazione dei carabinieri, e che il primo maggio i gruppetti di ‘cosacchi’ che si trovavano a Rigolato e Comeglians (qui però sicuramente georgiani) si erano già arresi. (22).
La mattina del primo maggio ‘Paolo’, Alessandro Foi, comandante della Pal Piccolo/Carnia, e ‘Mitri’ Luigi Mecchia, allora Vice-comandante, accompagnati da Mario Tomat che ritengo in questa storia funga sempre da autista, si recano a Chialina, quartiere generale e forse comando dei cosacchi in Ovaro, a chiedere al Maggiore Nausiko (anche Nauziko) la resa del gruppo da lui guidato con consegna delle armi. Però egli risponde che «deve rispettare l’ordine ricevuto dal proprio comando, che è quella di tenere la posizione del presidio. Se il livello gerarchicamente superiore, quello di Paluzza, darà nuove istruzioni […] si comporterà di conseguenza». (23). Quindi pare corretto quanto riportano Di Sopra e Cozzi sul fatto che era stato concordato un momento di tregua nella trattativa ad Ovaro, che sarebbe scaduta quella sera alle 20 o alle 18, questo non è chiaro, che avrebbe permesso a ‘Paolo’ e ‘Mitri’ di portarsi a Paluzza e rientrare. (24).
Vista la situazione, Paolo/Foi e ‘Mitri’ si recavano a Paluzza per domandare al comando superiore sia la resa in mani osvane dei cosacchi della Val del But sia quella del presidio di Ovaro. Ma la risposta è quella che ha dato Domanow a Marchetti: «Il presidio si sarebbe arreso solo alle truppe alleate». (25). A questo punto ‘Paolo’ e ‘Mitri’ rientrano ad Ovaro, senza aver ottenuto nulla,
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‘Paolo’ e ‘Mitri’, comandante e vice-comandante della Pal Piccolo/Carnia si trovano ad Ovaro. Quindi, sempre il primo maggio, verso le ore 16, secondo Chiussi, come da accordi con il comandante della brigata o divisione osovana, ‘Otto’, cioè Rinaldo Fabbro, entra con gli uomini del btg. Canin che comanda nel paese di Ovaro e nella frazione di Chialina. (26).
Nel frattempo il Cln Gorto (o Val di Gorto), presieduto da Cioni ed avvisato di quanto sta accadendo, pare per volontà di quest’ ultimo, ligio alle indicazioni del Cln nazionale (27), manda a chiamare anche il gruppo garibaldino più vicino e cioè quello guidato da Elio Martinis ‘Furore’ che aveva svernato a Mione, che si porta ad Ovaro subito dopo l’arrivo di ‘Otto’ con i suoi, anche se l’ora non è certa. (28). Ma, come diceva Marchetti, i partigiani non portavano orologio al polso.
Rinaldo Cioni, da: Alberto Buvoli e Ciro Nigris, Percorsi della memoria civile. La Carnia. La Resistenza, 2004.
Unite le forze partigiane, essendo scaduto il periodo di tregua concesso a Nausiko ed ai suoi, ‘Paolo/Foi, ‘Mitri’ Gian Carlo Chiussi ‘Paolo Pitti’ si presentano, insieme a ‘Furore’ ed ai suoi uomini, una decina, a chiedere la resa ai cosacchi trincerati all’albergo Martinis, ricevendo però, come risposta, il lancio di una bomba a mano, che ferisce Alessandro Foi, mentre altri cosacchi incominciano a sparare anche dalla scuola, essendo stati avvisati di quanto sta avvenendo, telefonicamente, dai loro commilitoni. Resta colpito anche ‘Furore’ sotto un occhio, ma non gravemente. (29). E una serie di pallottole sfiorano pure Chiussi e ‘Mitri’ (Luigi Mecchia) che era con lui. (30). Ma pare che anche i partigiani abbiano risposto al fuoco.
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E così scrive nel merito Gian Carlo Chiussi: «All’intimazione di resa gridata da ‘Paolo’ vengono accolti con il lancio di una bomba a mano del tipo ‘Balilla’ e, temporaneamente, anche dalla scuola incominciano a sparare (erano collegati telefonicamente). ‘Paolo’ viene ferito da una ventina di schegge piccolissime che, per fortuna non producono gravi conseguenze. ‘Mitri’ ed io, in mezzo alla strada, all’angolo fra la scuola ed il Municipio, siamo investiti da una raffica di proiettili, senza esserne però colpiti». (31). Quindi Chiussi dice che egli e ‘Mitri’ presero la via della fuga, mentre le pallottole fischiavano loro intorno, e saltato un muretto finirono per scivolare, dato che pioveva e nevischiava, nel canale della cartiera, da dove presero la via per Aplis, sede del loro comando separandosi però ad un certo punto. (32).
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A tarda sera ed al primo mattino fra l’1 ed il 2 maggio …
E per capire qualcosa del poi, seguiamo per qualche riga, il racconto di Emilia Cortiula, sorella di don Pietro Cortiula, parroco del paese, ucciso ad Ovaro il 2 maggio dai cosacchi. Quella sera, la sera del primo maggio, racconta la donna, «molti partigiani si rifugiarono in canonica, in attesa di nuovi ordini, era una serata fredda, con pioggia e nevischio, si asciugarono le vesti in cucina, mio fratello con loro non cessava di intimarli alla calma […]. Se ne andarono prima dell’alba, ad uno di essi don Pietro gli (sic) diede il proprio mantello per ripararsi dal freddo». (33).
Invece il Comando partigiano andò a ripararsi, pare, all’ Albergo ‘ Alla Posta’ (34), e ivi Paolo/Foi decise, come comandante designato a coordinare le azioni militari e di resa, l’azione contro la caserma di Chialina dove erano asserragliati militari cosacchi ma, secondo alcuni, quel giorno anche le loro famiglie. Purtroppo non esiste fonte sicura su questo aspetto, che resta dubitativo. E dopo la richiesta di resa di Foi, tutte le porte delle caserme cosacche furono chiuse. Chi c’era in quell’ albergo non si saprà mai, tranne Alessandro Foi, Elio Martinis e Rinaldo Fabbro ‘Otto’ a cui fu dato l’ordine di recuperare l’esplosivo e procedere in tal senso, ammesso che detto incontro sia avvenuto lì.
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Forse, presenti alla decisione di Foi, c’erano anche altri osovani, ma non è dato sapere di più, dato che poi sia Gian Carlo Chiussi che Romano Marchetti hanno negato di esser stati lì nel momento in cui venne presa quella decisione. Marchetti così scrive: «Mi ricordo ancora quella sera e poi la notte. Perplesso e preoccupato per quanto andava succedendo, ma ignaro degli ultimi fatti, ho colloqui con Giovanni Cleva, Aldo Fabian e altri, concernenti la situazione. Poi mi addormento su di una sedia. Vengo svegliato di soprassalto da ‘Paolo’ F. che, sorprendendomi non poco, perché ero veramente all’oscuro di tutto, mi chiede se sono d’accordo nell’ eliminare il presidio cosacco di Chialina. Io gli rispondo solamente che bisogna bloccare le loro carrette alla stretta di Muina, altrimenti ci si troverà tra due fuochi». (35). Però Romano, ormai davvero anziano, testimoniava, nel 2012 che si trovava allora in Aplis, sede del comando della Diviisone Pal Piccolo Carnia, cosa che aveva detto anche a me all’epoca della pubblicazione delle sue memorie, ma allora non si capisce perché Foi sia andato a consultarlo mentre dormiva, in un clima incandescente, e questo lo ammette anche lui, mentre prima par di capire che si fosse trovato in una baracca al bivio della statale di Ovaro per Liariis. (36).
Però anche Di Sopra e Cozzi scrivono che, dato l’ordine di far saltare la caserma di Chialina, Foi si recò in Aplis, ma non si sa la fonte, e quindi presumibilmente a Tolmezzo per farsi curare in ospedale, dato che poi nessuno lo vide più. Eppure le sue ferite non erano gravi. Ma pare non ci fosse più neppure ‘Mitri’.
Rinaldo Fabbro, ‘OTTO’ negli anni ’40. Da Luciano Di Sopra Rodolfo Cozzi, Le due giornate di Ovaro, op. cit., 2015, p. 213.
E vi garantisco che, in assenza di documenti ufficiali tranne un resoconto striminzito dell’azione contro la caserma dei cosacchi a Chialina, non firmato da alcuno (37), temo che su quanto accaduto quella notte fra l’1 ed il 2 maggio 1945 ad Ovaro e fino all’alba non vi sia stranamente, resoconto alcuno, ma solo una serie confusa di testimonianze orali che confliggono tra loro, lasciando ipotizzare ‘mille’ storie diverse. E ad un certo punto anche Luciano Di Sopra e Roberto Cozzi, autori di tre versioni di “Le due giornate di Ovaro”, devono essersi accorti che qualcosa non tornava. Però alcuni punti fermi ci sono, ed anche una cronologia di quanto accadde dal 29 aprile in poi in quella zona ed a Tolmezzo, grazie a Marchetti. Per questo dico che le testimonianze orali, che hanno prodotto, fra l’altro, l’«alluvione di memoriali, precisazioni analisi, autobiografie» (38) di cui parla Romano Marchetti devono essere prese con le pinze, ed ogni frase deve essere confrontata, vagliata. (39).
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Morto non parla ….
Dalle memorie di Rossana Rossi Cioni, moglie di Rinaldo, sappiamo che mentre si apprestava ad andare a cena, vennero a chiamare suo marito perché la situazione si stava facendo incandescente, «c’erano dei pericoli al passaggio delle truppe Russe verso il confine, potevano esserci degli scontri e lui, come al solito, cercò di andare in aiuto a tutti» e non lo rivide più. (40). Ed escludo totalmente che Cioni, che non era fra l’altro un partigiano militare ma un collaboratore sul territorio e un aiuto per la popolazione, abbia preso decisioni militari che non gli spettavano. Inoltre egli era un uomo che si era sempre interessato per i bisogni della comunità, e nelle ultime lettere a Nigris da me pubblicate sul n. 44 di Storia Contemporanea in Friuli con titolo “Rinaldo Cioni – Ciro Nigris: Caro amico ti scrivo…” sognava solo di rivedere la sua Firenze e che i partigiani rimanessero «semplicemente soldati di una Patria senza idee politiche». (41).
Ma invece e senza fonte, a p. 78 del loro volume ed. 2015, Luciano Di Sopra e Roberto Cozzi sostengono che Cioni fu l’unico a partecipare all’ incontro all’ albergo ‘Alla ‘posta’ ove Foi decise per l’azione contro la caserma di Chialina. Tanto si può collocare dovunque chi non si sa dove si fosse trovato e gli assenti ed i morti non parlano e non possono difendersi o precisare. Non solo: a tanti anni di distanza si possono anche collocare avvenimenti pregnanti, svoltisi in un breve periodo, non correttamente a livello spazio – temporale. E danni ancora maggiori vengono fatti da chi taglia interviste e le riporta a modo suo, magari contestualizzandone parti su di un canovaccio poco realistico. E per questo rimando a quanto scrissi sul volume di Roberto Covaz ‘Gorizia al tempo della guerra’, Ed. Biblioteca dell’Immagine 2010, come commento su storiastoriepn.it nel lontano 27 ottobre 2013.
Don Pietro Cortiula. Da: G. Angeli e Tarcisio Venuti, Pastor kaputt, op. cit., p. 135.
E non poterono mai dare la loro versione dei fatti neppure il povero don Cortiula o il chierico Pavona, massacrati. Almeno avremmo avuto la certezza che l’incontro dei capi partigiani quella sera, quando Foi dette l’ordine di far saltare la caserma cosacca di Chialina, non si era tenuto in canonica, come invece sostenuto da Rinaldo Fabbro ’Otto’ moltissimi anni dopo (42), senza pensare che egli potrebbe aver errato il luogo a distanza di tanto tempo. Pertanto io eviterei davvero polemiche su questo argomento come accaduto, pensando alcuni che in questo modo si potesse ritenere il prete corresponsabile della decisione. La responsabilità di Alessandro Foi, comandante delle operazioni militari è palese, ma poi, nel dopoguerra sparì, molto opportunamente potrebbe dire qualcuno, e per anni ed anni nessuno ne sentì parlare, eppure ad Ovaro lo dovevano conoscere anche alcuni ‘testimoni oculari’. Ma dico io, la storia spesso, in Italia e non solo, è stata succube di ricostruzioni politicamente connotate e lo è ancora.
Un problema si pone però, ma temo resterà senza soluzione. Quella notte il Cln si riunì o no formalmente? E se sì dove? Oppure Cioni era uscito per aiutare e Leandro De Antoni, che si recò alla casa del medico Covassi dopo l’esplosione a chiamarlo, era in loco ma non come membro del Cln riunito? Non lo so, ma sarebbe meglio che non si facessero supposizioni senza fonte alcuna.
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Salta per mano osovana la caserma cosacca di Chialina di Ovaro.
Ma ritorniamo alla notte fra l’1 ed il 2 maggio 1945 ed all’ esplosione della caserma di Chialina. Un gruppo di georgiani era passato con i partigiani, ed si trovava quella notte ad Ovaro agli ordini del btg. Canin, ma comandati dal loro capitano Uruscha Dse Akaki (43), che poi verrà ucciso il 2 maggio 45 dai cosacchi ad Ovaro. A me pare invero strano che Chiussi, capo di stato maggiore, non fosse all’ albergo ‘Alla Posta’ e così il vice- comandante ‘Mitri’, ma non vi è riscontro nelle testimonianze.
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Dovete sapere che il btg. Canin aveva recuperato, al momento della resa del presidio di Runchia (Comeglians), composto da 8 repubblichini e 4 tedeschi 8 quintali di tritolo (44), che erano a sua disposizione. ‘Paolo Foi’ dà ordine a ‘Otto’ di far saltare la caserma cosacca di Chialina. Egli viene accompagnato, per compiere l’azione, da un russo ed un georgiano, (vi è chi dice da due georgiani, ma poco importa) passati ai partigiani nelle ultime ore, mentre altri georgiani si pongono al secondo piano della casa Di Sopra, che si trovava di fronte alla caserma a breve distanza, con una mitragliatrice, per aprire il fuoco. (45).
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E di un’altra cosa siamo certi: nonostante una testimone oculare Mirai (46) garantisca, nel 1997, di aver visto Ciro Nigris ‘Marco’, Capo di Stato Maggiore della Garibaldi/Carnia, sparare da una finestra contro i cosacchi, questo è falso perché il comando della Garibaldi Carnia si trovava allora a Viaso presso la sua sede. Qui il 1° maggio, alle ore 22, ‘Marco’ e ‘Mario’, prima ‘ Barbatoni’, comandante della brigata o Divisione, venivano raggiunti dall’informazione che ad Ovaro la situazione stava diventando difficile, e così si mettevano in cammino raggiungendo la zona di Muina l’indomani, presto al mattino, dove vedevano l’interminabile fila dei cosacchi che risaliva la valle, mentre udivano spari e rumore di bombe esplose provenire dalla direzione di Ovaro. I due cercarono qualche arma automatica, qualche collegamento, per venire in aiuto ai compagni ma non c’era nulla «i collegamenti non esistevano […] e tutte le armi erano state mandate a valle. (…)». Pertanto si intuisce che i due non passarono nemmeno il Degano. (47).
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L’azione alla caserma, avvenuta al mattino presto, presumibilmente il 2 maggio alle ore 4.30 circa del mattino, è ben poco soppesata, e viene così descritta da ‘Otto’: «Ho posizionato la cassa di dinamite davanti alla porta (della caserma. N d.r.). Non disponendo di una cassetta elettrica per la detonazione, ho dovuto impiegare una miccia e ho deciso di farla molto lunga […]. (…). Allora ho fatto tirare una lunga miccia di circa venti metri, attraverso la strada e mentre l’accendevo, i due che erano con me hanno incominciato a gridare in russo, come gli avevo detto di fare, che la caserma stava per saltare […]. (…). Ad un certo momento ho visto una fiamma altissima penetrare il cielo subito accompagnata da un boato orribile […]». (48). Dopo l’esplosione che aveva distrutto l’edificio, i georgiani si mettevano a sparare da casa Di Sopra, aumentando si presume il numero dei morti. Non ho capito, però: se anche i cosacchi avessero una mitragliatrice sul tetto, e se qualcuno di loro rispose al fuoco; il numero delle vittime e se fra le stesse vi fossero anche donne e bambini, aspetto che resta avvolto nel mistero. ‘Otto’ dichiara di sapere solo che vi erano militari cosacchi all’ interno della caserma, ed ugualmente si legge sul documento pubblicato in: Giannino Angeli Roberto Tirelli, Pastor Kaputt a p. 154. Anche il numero dei morti e feriti nell’azione partigiana varia: per detto documento rimanevano sotto le macerie 19 cosacchi, una trentina restavano feriti, e 66 uomini venivano fatti prigionieri. (49).
Invece per Luciano di Sopra e Roberto Cozzi, ma senza fonti esplicitate, nella caserma si trovavano in quel momento 120 persone, fra militari donne e bambini. Muoiono 28 persone, fra cui due donne, ne vengono ferite 30, 62 vengono prese prigioniere. (50). Ma pare difficilissimo che non sia rimasto ucciso bambino alcuno, se si trovavano nella caserma, e due donne ci potevano essere per vari motivi, compreso quello di essere addette alla pulizia o alla cucina.
Poi non si sa più nulla di ‘Otto’ e ‘ Paolo’ …
Poi di ‘Otto’ non si sa più nulla tranne che il 2 si fece fotografare, ferito, a Tolmezzo, ed anche se egli afferma, decenni dopo, di essersi recato nell’ospedale del capoluogo carnico solo la mattina del 3 maggio, e di essersi portato il 2 maggio, dopo l’azione a Chialina, alla stretta di Muina (51), nessuno però, da quanto ho letto, dichiara di averlo visto ad Ovaro poi. E lo stesso vale per Foi. E la fotografia presente in: Giannino Angeli e Roberto Tirelli, L’ Osoppo per la libertà della Carnia, ha questa didascalia: “Rinaldo Fabbro (Otto) ritratto a Tolmezzo il 2 maggio 1945”. (52). Comunque Chialina veniva liberata in questo modo, quando, forse, bastava attendere …
Rinaldo Fabbro ‘Otto’ fotografato il 2 maggio 1945 a Tolmezzo. (Giannino Angeli e Roberto Tirelli, L’ Osoppo per la libertà della Carnia, (1943-1945) A.p.o. 2003, p. 142).
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Con l’esplosione della caserma cosacca incominica la battaglia di Ovaro ….
Con l’esplosione che fa saltare la caserma cosacca di Chialina incomincia la battaglia di Ovaro vera e propria, che quindi si tiene il 2 maggio 1945, scatenata con estrema leggerezza dal comandante osovano Foi, reo sicuramente di incapacità, errori tattici e leggerezza oltre che di disorganizzazione nell’azione. Ma Marchetti, ufficiale degli alpini e comandante sul Golico, così dice di Foi: «era un ragazzo abbastanza sveglio, molto coraggioso, ma non ho esperienza diretta in proposito, e, molto probabilmente, non capiva niente di strategia. (…). (E) devo dire che l’errore non è di ‘Paolo’: l’errore è di chi l’ha mandato a comandare qua» (53).
Ma ritorniamo al 2 maggio, dopo l’esplosione a Chialina. Per far arrendere il Maggiore cosacco Nauziko, gli osovani catturarono la moglie e la cognata di questi, quindi legarono sua moglie, bendata, ad una sedia, in una zona dove poteva prendersi facilmente una pallottola cosacca, creando un clima molto pericoloso. E Chiussi sostiene che fu egli a far liberare la donna ed a farla portare con sua cognata a Paluzza. (54).
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E siamo alla mattina inoltrata il 2 maggio 1945 sempre ad Ovaro ….
Nel frattempo Elio Martinis, con altri, sempre la mattina del 2 maggio, si portava verso le ex- scuole di Ovaro, dove vi era la seconda caserma cosacca, e, dopo aver chiesto la resa ed aver ricevuto in cambio ‘il fuoco delle armi’ non si sa se motu proprio o per ordine ricevuto in precedenza da Foi o da Chiussi (55), saliva nei locali del Municipio, attiguo alle ex- scuole con altro tritolo, prelevato a Cludinico o sempre proveniente da Runchia, ma poco importa, ed accendeva la miccia, allontanandosi subito. Ma il tritolo non esplodeva ed invece creava una fiamma altissima, che originava l’incendio che bruciò pure il Municipio e gli archivi di Ovaro. (56). Quindi, sempre ‘Furore’ racconta che egli, ed altri partigiani che erano con lui, si sono allontanati e si sono rifugiati a casa Martinis, da dove «abbiamo incominciato a sparare contro i cosacchi della scuola dall’alto in basso dal balcone, mentre loro sparavano su a noi. (…). La sparatoria è andata avanti dalle 14 alle 15.30 – 16». (57).
Ma poi ….
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Pomeriggio del 2 maggio . Parte dei Cosacchi che avanzano lungo la Val Degano si portano ad Ovaro…. Ed inizia la strage.
Dovete sapere che i cosacchi, dopo la domanda di resa di Foi, avevano fatto salire al cielo dei razzi rossi. Ora si ritiene che questi fossero un segnale per avvertire le migliaia di cosacchi che risalivano la Val Degano che ad Ovaro vi erano dei problemi con i partigiani. (58). Così un gruppo sembra di cadetti si sgancia dal gruppo che stazionava lungo la strada tra Villa Santina e Mione e inizia ad aggirare Ovaro per scendere dall’alto, da Lenzone verso il centro, passando davanti alla chiesa della Santissima Trinità ed al cimitero. Un altro gruppo di cosacchi risale il greto del Degano per chiudere a tenaglia il paese, un terzo gruppo entra direttamente ad Ovaro dalla provinciale. (59). Quindi i nuovi venuti volgono verso l’edificio delle scuole ove trovano molti morti e feriti ma anche cosacchi vivi, e tolgono pure l’assedio alla caserma nell’adiacenza dell’albergo Martinis. Saranno quindi per lo più i cosacchi di stanza ad Ovaro a fare una strage con obiettivi che paiono talvolta anche mirati, ripieni di odio e di vendetta. (60). Cadono partigiani che avevano il fazzoletto al collo, sicuri il giorno prima di ricevere una resa che però pare non fosse stata mai promessa, cadono altri, cadono civili che non sono riusciti a nascondersi o forse anche tratti fuori dalle case.
La lapide funeraria in cimitero che ricorda i caduti del 2 maggio 1945 a Ovaro. Foto di Laura Matelda Puppini 2 maggio 2024.
L’elenco dei morti, uccisi anche con una sola pallottola come Rinaldo Cioni, la cui morte pare quasi quasi un’esecuzione, è il seguente: Agarinis Antonio e Dante, figli della signora Celloni che gestiva l’albergo ‘Alla Posta’, partigiani della Osoppo Territoriale Carnia; Cimenti Pietro Valentino, partigiano della Osoppo Territoriale Carnia; Cioni Rinaldo, presidente del Cln Val di Gorto e direttore della miniera di Cludinico, collaboratore con il movimento resistenziale; Cleva Emilio, partigiano del btg. osovano Canin, figlio di Giovanni Cleva del Cln Val di Gorto, che fu lasciato morire dissanguato mentre veniva impedito al medico di muoversi (61); Collinassi Gino, elettricista, nome di battaglia ‘Valentino’ partigiano del btg. monte Canin; Colman Matteo, intagliatore, partigiani della Osoppo Territoriale Carnia; Cortiula don Pietro, reo di voler pure dare ai moribondi l’estrema unzione e che si era recato con un bastone ed un pezzo di tela bianca a chiedere la fine delle ostilità al mattino del 2 maggio e che spesso si era posto come mediatore per salvare la popolazione (62); Della Pietra Giovanni partigiano del btg. monte Canin; Fedele Elio, meccanico, partigiano della Osoppo Territoriale Carnia; Fedele Francesco falegname, civile; Fedele Renato; Fruch Americo o Amerigo, presumibilmente partigiano del btg. monte Canin scambiato da alcuni per un garibaldino del btg. L. Nassivera comandato da ‘Furore’; Gaier Ermenegildo, ucciso il 3 maggio 1945 vicino al ponte che porta alla valle Pesarina, cartaio, partigiano della Osoppo Territoriale Carnia; Gonano Pietro, nato nel 1979, anziano e civile; Gottardis Matteo geometra, partigiano della Osoppo Territoriale Carnia; Gressani Vittorio minatore, partigiano della Osoppo Territoriale Carnia.; Mirai Costanza Giuditta vedova Marcuzzi, casalinga, partigiana della Osoppo Territoriale Carnia; Not Secondo operaio, partigiano della Osoppo Territoriale Carnia; Pavona Giacomo calzolaio, partigiano della Osoppo Territoriale Carnia; Pavona Silvio, calzolaio, civile, padre del chierico Virgilio Pavona; Pavona Virgilio, chierico, che qualcuno dice avesse nascosto persone ed aiutato la resistenza; Primus Vittorio partigiano del btg. monte Canin; Rossi Gilberto, suocero di Rinaldo Cioni che, scappato dalla Toscana bombardata finì poi ucciso ad Ovaro; Rupil Rinaldo, elettricista, civile; Tavoschi Giobatta nato nel 1875, anziano, pensionato, civile; Triscoli Antonio, falegname, civile. (63). Il giorno successivo i cosacchi sparano anche a Marco Raber, invalido, che era uscito di casa con il tricolore in mano per godersi la ritirata cosacca. (64).
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Vengono uccisi pure 6 georgiani, ritenuti traditori, ed i loro corpi vengono posti a stella in segno dispregiativo e mi pare che fra questi si trovasse anche il loro comandante. Questi i loro nomi: Uruschadse Akaki, capitano, nato nel 1913 a Tshochatauri; Kwastschia Iasov, sergente, nato nel 1917 a Sugdidi; Antasdse Georg, sergente, nato nel 1909 a Satschchere; Tomaia Rashdn, soldato, nato nel 1917 a Senaki; Schamu Petre, soldato, nato nel 1920 a Chobi; Danella Schalwa, soldato, nato nel 1918 a Samtredia; Cunia Prokophi, soldato nato nel 1921 a Pothi; Kancelaki Scuota, soldato, nato nel 1910 a Tiflis; Mtschedlischwili Schalwa, soldato, nato nel 1917 a Tiflis. (65). Inoltre manca all’ appello il partigiano ‘ Osoppo’ che qualcuno diceva esser garibaldino, pare morto nei pressi di casa Covassi. Di lui si trova traccia sia nella testimonianza del Luigi Covassi, a p. 163 del volume di Giannino Angeli, Tarcisio Venuti, Pastor Kaputt.
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Ora, guardando l’elenco dei morti della strage di Ovaro, si nota che alcuni appartenevano alla ‘Osoppo Territoriale Carnia’, di cui poco si sa, ma creata, secondo una testimonianza riportata in Luciano Di Sopra, Roberto Cozzi, Le due giornate di Ovaro, 2015, p. 301, tardivamente il 30 aprile 1945 da ‘Paolo’/Foi e ‘Flavio’ Burgos di Pomaretto, e forse questi ‘ partigiani dell’ ultima ora’ furono utilizzati come combattenti. Nessuno ha visto ‘Paolo’ Foi e ‘Otto’ Rinaldo Fabbro, presumibilmente ferito nell’azione contro la caserma cosacca a Chialina, il 2 maggio ad Ovaro, il che fa pensare che se ne fossero andati dal paese. Ma Foi stava abbandonando il comando della Brigata o Divisione e non si sa dove si trovasse allora ‘Mitri’ Luigi Mecchia, vice comandante della Divisione Pal Piccolo Carnia, che semmai avrebbe dovuto sostituirlo, e pare che a comandare gli osovani fosse rimasto solo Gian Carlo Chiussi. (66). E Gian Carlo Chiussi scrive anche di alcuni georgiani che si pensava si fossero nascosti in una falegnameria, da qui, magari, l’uccisione di uno dei due falegnami. (67). Inoltre i cosacchi diedero alle fiamme i luoghi dove pensavano ci fossero partigiani: la filiale della Cooperativa Carnica, casa Zancani, casa Menon la casa di Colman e quella Gressani, oltre l’albergo Pittini. Secondo una valutazione a fatti avvenuti, gli edifici finiti in fiamme furono 9, tra cui quelli di proprietà di: Aldo Pittini; Colman Giuseppe; Ariis Giovanna fu Fedele; Fior Luigi fu Andrea; Valle Lucia vedova D’ Andrea; Micoli Valentina ved. Valle; Valle Lucia ved. Zanier. (68). Ma era in fiamme anche il municipio e non per causa cosacca. Quella sera, vista la mala parata, fuggirono in ritirata ‘Furore’ ed i suoi dieci o 15 uomini, e così Romano Marchetti. (69).
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Bisogna dire che, indiscutibilmente, vi è stato chi, nel dopoguerra, ha ampiamente coperto le stupidaggini fatte dalla Osoppo o ha tentato di scaricare la causa su altri. E come si è nascosta per anni l’esistenza della Zona libera del Friuli Orientale, la creazione dell’OZAK e l’occupazione tedesca, (anche da parte del maestro Antonio Toppan, che pur era vivo, vegeto ed adulto in quel periodo), così si è nascosta l’esistenza di Alessandro Foi e la carica che ricopriva a fine guerra, oltre la sua incapacità, come la crisi di Pielungo da cui molti fatti ebbero origine, onde permettere di scrivere forse un altro ‘film’. E potremmo dire, facendo una ipotesi non tanto peregrina, che furono operazioni politiche.
Oggetti che ricordano la vita partigiana di Elio Martinis, ‘Furore’. (Foto dalla figlia Nila tramite Cristina Martinis). Dispiace invero che, mentre gli alpini sfoggiano il loro cappello ed i loro simboli con orgoglio, ai partigiani italiani, in particolare garibaldini in Fvg, di fatto sia stato vietato di farlo.
Andò così a finire che, per anni, della strage di Ovaro furono accusati i garibaldini, invece dei cosacchi, ed in particolare Elio Martinis, Furore, che fu preso di mira per questo e molto dovette subire. E nel merito ci fu chi cercò pure di trascinare Marchetti in questa storia, dicendo che egli era allora il referente presso il Comando osovano per i rapporti con la popolazione, ma egli, nel merito, precisa che «tale promozione non gli era stata mai notificata, né in forma scritta né orale, da alcuno» (70).
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E ritorniamo a Rinaldo Cioni, al 2 maggio 2024, ed alla targa posta in suo ricordo alla miniera di Ovaro.
Non mi soffermo a riscrivere la vita e le opere del giovane ingegnere di Empoli, a cui ho dedicato più articoli, (71) ma torno a sottolineare la sua bontà, la sua dedizione agli altri.
Rinaldo Cioni era allora non solo il direttore della miniera di Cludinico, ma anche un collaboratore con i partigiani in particolare con Ciro Nigris ed un mediatore a favore della popolazione. Ed era soprannominato ‘Vaticano’ per questo suo impegno civile (72). E così si legge su ‘Pastor Kaputt’ «A pochi fu nota la perigliosa e saggia opera svolta dall’ ingegner Cioni nel periodo dell’occupazione tedesco – cosacca per salvare dalle rappresaglie le innocenti famiglie della vallata di Gorto e di patrioti. Bisognerebbe scrivere un libro sulla sua opera». (73). Ma fu «travolto nella bufera del 2 maggio, quando l’infelice vallata pagò all’ira cosacca, l’ultimo tributo di sangue». (74). E non bisogna dimenticare che chi andò dal Berater nazista, che alloggiava ad Udine, a illustrare quanto avvenuto in Val But furono tre davvero coraggiosi: Virgilio Candido, segretario comunale in Paluzza, Rinaldo Cioni e l’ ing. Franz Gnadlinger (75).
Emilio Cioni figlio di Rinaldo, visibilmente commosso parla a Cludinico il 2 maggio 2024 in ricordo del padre. In primo piano il Sindaco Lino Not. Foto di Laura Matelda Puppini. 2 maggio 2024.
Poi vi sono purtroppo sempre quelli che, incollando una frase da una lettera su loro lucubrazioni personali, tendono a denigrare in particolare i morti, ma così va il mondo.
Credo che sia stato importante dopo anni di battaglie mie con a fianco l’ing. Emilio Cioni, sempre accompagnato dalla sua Signora, questo riconoscimento di Ovaro ad un uomo di tutto rispetto, che tanto del bene ha fatto, anche aiutando, pure attraverso la collaborazione con ing. Franz Gnadlinger, la popolazione, procurando cibo e l’indispensabile e nascondendo partigiani in miniera o facendoli passare per minatori al lavoro.
Il più bel ricordo di Cioni è quello che fu sottoscritto da tutti gli impiegati ed operai della miniera di Cludinico (201 persone) in ricordo dell’ingegnere, ed indirizzato alla sua vedova, la signora Rossana Rossi ved. Cioni, datato 6 maggio 1945.
“I sottoscritti impiegati ed operai della “Miniera di Ovaro” esprimono con grande dolore il proprio cordoglio per la tragica sventura che Vi ha colpito togliendoVi il Vostro diletto marito e nostro amato Direttore e il Vostro amato Genitore.
Sappiamo quanto Egli ha fatto per noi e quanto era intenzionato di compere nel nostro interesse.
Ci addolora maggiormente il fatto che sia mancato nel momento in cui doveva essere guida, specialmente che doveva raccogliere il frutto della Sua accorta Direzione ed onesto lavoro.
Noi che abbiamo seguito la Sua diuturna opera di Direttore, che abbiamo sempre ricevuto i migliori consigli, comprendiamo quanto grande sia stata la perdita che ha colpito prima di tutto Voi Signora, ed i Vostri bambini, e noi che lo abbiamo avuto come nostro Capo.
Il nostro riconoscente ringraziamento per quanto ha fatto a nostro favore vada a Voi, Signora, ed ai bambini rimasti in così tenera età privi dell’affetto e della guida del loro Padre.
Il nostro dolore Vi sia di conforto in questi gravi momenti che per Voi avrebbero dovuto essere di gioia». (76)
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La cerimonia il 2 maggio è stata commovente, bimbi e ragazzetti hanno cantato davanti alla miniera, sotto un gazebo improvvisato che li copriva dalla pioggia ed Emilio Cioni, con le lacrime agli occhi, ha detto due parole, ma anche il sindaco. E c’erano giustamente alla cerimonia anche Alvise Stefani per la sezione locale dell’Anpi, Roberto Volpetti per l’Apo provinciale e Adriano Bertolini per l’Anpi provinciale. Notizie su detta cerimonia si possono trovare anche in: “Ovaro, il Museo della miniera di Cludinico intitolato a Rinaldo Cioni” in https://www.studionord.news/. Mancava invece, clamorosamente, un giornalista del Messaggero Veneto. Ma cosa vuoi che sia ….
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La targa in ricordo di Cioni scoperta il 2 maggio 2024, firmata “Con riconoscenza e stima. La Comunità di Ovaro”. Foto di Laura Matelda Puppini- 2 maggio 2024.
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Chi fu la causa della strage di Ovaro?
A me è piaciuta molto la frase del conte Valentino Pravisano, che così scrive: «Lo scrittore Toppan vuol cercare la responsabilità di Ovaro penso non sia difficile accontentarlo. La responsabilità ricade su chi ha dichiarato la guerra l’11/6/1940 e nei suoi correi …». (77).
Della strage del 2 maggio 1945 ad Ovaro sono responsabili coloro che hanno sparato cioè i cosacchi. Poi vi è stato pure, il 9 settembre 1945, un ricorso da parte della Commissione Frazionale di Ovaro ai fini dell’accertamento dele responsabilità per i fatti accaduti il 2 maggio, inoltrato al prefetto di Udine, al Comando militare Alleato con sede ad Udine, al Procuratore di Stato sempre in Udine, firmata da Pittini Aldo e G. Colma (sic!) ma presumibilmente è Colman, in modo che «avuta l’identificazione dei colpevoli, siano chiamati a rispondere dei gravissimi danni materiali e morali che colpirono l’intera popolazione di Ovaro e Chialina» (78) e forse anche questo ha giocato nel non fare chiarezza. Infatti a caldo la Commissione Frazionale riteneva che «un gruppo di industriali della zona avessero interesse a dimostrare, attraverso un fatto d’arme, la loro simpatia verso gli alleati, allo scopo di mascherare i loro veri sentimenti e di assicurarsi così l’impunità politica e continuare i loro loschi affari». (79).
E di partigiani dell’ultima ora e industriali in prima linea altri sussurrarono, come del fatto che Umberto De Antoni se l’era forse vista brutta. Subito dopo il ricorso richiesto dalla Commissione frazionale di Ovaro veniva inviato, il 12 settembre 1945, alle stesse autorità, un altro ricorso dei capi famiglia del paese, che ritenevano che le soldataglie russe avessero sfogato il loro odio bestiale sulla popolazione inerme, uccidendo, bruciando, saccheggiando, in quanto vi era stata una provocazione armata comandata da un gruppo di individui che avevano agito con eccessiva ed imperdonabile leggerezza per nulla curandosi delle eventuali conseguenze. Si chiedeva quindi di accertare i fatti e le responsabilità «perché i responsabili stessi vengano tenuti in solido al pagamento dei gravissimi ed ingenti danni morali e materiali da essi causati». (80). Ma sembra che anche a queste richieste non fu dato seguito.
Alla fine, tardivamente, vi fu pure un esposto alla Procura della Repubblica di Tolmezzo contro Nauziko, accusato di crimini di guerra per l’accaduto, di cui dà notizia il Messaggero Veneto del 26 ottobre 1994. Il firmatario di tale esposto contro Nauziko era Vincenzo Castaldi di Varese sollecitato da uno studioso straniero, tale Joseph Agnone, residente in New Jersey. Di più però non è dato sapere, e forse anche tale esposto finì nel nulla. (81).
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Ho tentato di ricostruire fra le ‘mille versioni’ troppo inevitabilmente particolareggiate e con ipotesi fatte passare per realtà, senza pregiudizio questa storia, e se vi è qualche errore correggetemi in modo preciso e con fonti. E vi dico anche che certe volte mi chiedo chi sono io per parlare di tutta questa sofferenza, che narrando percepisco, di uomini e donne travolti da una guerra con tutto il suo bagaglio di orrore e terrore, ma qualcuno deve pure, da storico, cercare di analizzare i fatti. Però nell’ approccio a storie di questo tipo, a mio avviso, si deve avere come minimo un po’ di umiltà e non lo spirito guerriero di alcuni politici e certo loro pressappochismo per non dire certa loro fantasia per piegare la realtà al desiderio. Inoltre credo che storie come questa, che avvennero in un clima di guerra, debbano far riflettere anche i guerrafondai locali, quelli a cui pare che il conflitto in Ucraina debba coinvolgere il mondo intero per questioni di orgoglio ipernazionalista europeo, ‘occidentale’ quando questo termine per me ha solo un significato geografico; quelli a cui pare che la guerra sia cosa buona e giusta e che trovano il modo di giustificare il genocidio dei palestinesi per mano ebraica. Leggete per cortesia qualche volume serio sulla guerra e vedrete che subito vi schiererete con i pacifisti. E credo che debba far riflettere anche coloro che pensano che la realtà sia come giocare ad un videogame. Ricordo che senza i volumi citati in nota questo testo non avrebbe potuto esser scritto.
Laura Matelda Puppini.
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Note.
(1) Per la crisi di Pielungo, cfr., su www.nonsolocarnia.info: Laura Matelda Puppini. Romano Zoffo Barba Livio o Livio, il battaglione Carnia, e la crisi innescata dai fatti di Pielungo.
(2) Alessandro Foi detto Sandro, nome di battaglia Paolo, era già stato comandante del btg. Libertà, uno di quelli che, sotto il suo comando, quelli che aveva riportato al potere ‘Verdi’ e don De Luca ‘Aurelio’ ai tempi dei fatti di Pielungo sostituendo ‘Vico’, e prima era stato, per breve tempo, comandante del btg. Giustizia. Foi era di Colugna, era legato a ‘Aurelio’ don De Luca, parroco del suo paese, anche per idealità, era fortemente anticomunista, era stato sergente nell’ esercito ed era stato addestrato come guastatore. Aveva frequentato sino alla seconda o terza geometri, ma poi aveva dovuto abbandonare la scuola per motivi familiari, mi pare essendo morta sua madre e dovendo pensare alla famiglia. Dopo la guerra sparì in Venezuela. (Cfr. Gian Carlo Chiussi, Con l’Osoppo in Carnia, memorie del periodo partigiano, Udine, ottobre 1982, allora inedito, p. 58. Provenienza Marco Puppini). Il testo è poi stato edito dall’ A.p.o. a cura dell’autore, ma senza gli allegati presenti nella copia precedente, ed inoltre, nella copia in rete con una lettera di don De Luca posta all’ inizio, e con titolo: “Diario di un osovano in Carnia nella guerra ’43-’45”, 2009. Un accenno ad Alessandro Foi come persona legata a don De Luca e residente a Colugna si trova anche in Francesco Cargnelutti, Preti Patrioti, Arti Grafiche Friulane, terza edizione, 2001. p.86.
(3) “Verbale della riunione di Comando gruppo divisioni Osoppo in preparazione dell’insurrezione”, documento datato Z.O. 30/3/1945, in Alberto Buvoli, Le formazioni Osoppo Friuli, documenti 1944-1945, ed. Ifsml, 2003, pp. 198-200. In esso si legge che alcuni comandanti osovani, per lo più filo-democristiani, si erano riuniti ed avevano deciso di unificare il comando delle Brigate sotto ‘Verdi’, unico astenuto don ‘Aurelio’, che comunque era legato a ‘Verdi’, pare, mani e piedi.
(4) Per l’influenza di don ‘Aurelio’ in Carnia a fine guerra, cfr. “Relazione della brigata “Pal Piccolo Carnia” al Comando della 1a divisione Osoppo, datata Z.O. 20/2/1945, in: Alberto Buvoli, Le formazioni Osoppo Friuli, op, cit., pp. 196-198 e Romano Marchetti (a cura di Laura Matelda Puppini), Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona. Una vita in viaggio nel ‘900 italiano, Ifsml Kappa -Vu ed. 2013, p. 149.
(5) Patrick Martin Smith nel suo: Friuli ’44. Un ufficiale britannico tra i partigiani, Del Bianco ed., 2003, p. 145, pone ‘Aurelio’ i primi giorni di ottobre in Carnia, come il btg. Fedeltà, di cui don ‘Aurelio’ era il delegato politico. Il 6 novembre, come anche da altra fonte, il btg. Fedeltà si ritirava, giungendo a Tramonti, assieme ad alcuni inglesi. (Ivi, p. 156).
(6) Cfr. nel merito il mio: Laura Matelda Puppini. Romano Zoffo Barba Livio o Livio, il battaglione Carnia, e la crisi innescata dai fatti di Pielungo.
(7) Aldo Moretti, don Ascanio De Luca “Aurelio”, in Storia Contemporanea in Friuli, n. 20, 1989, pp. 227- 230.
(8) Gian Carlo Chiussi, op. cit., p. 58.
(9) I cosacchi volevano trattare la resa con gli inglesi, non sapendo che li avrebbero consegnati ai sovietici, e non volevano assolutamente aver a che fare con i partigiani. (Cfr. anche Luciano Di Sopra Rodolfo Cozzi, Le due giornate di Ovaro, terza edizione riveduta e corretta, Aviani Aviani, 2015, p. 63).
(10) La descrizione, scritta a mano su dei fogli a quadretti, è datata: Avasinis, 3 marzo 1948, ed è firmata dal Parroco don Francesco Zossi. (Testo in e da: Avasisnis 1940 – 1945. Il diario del Parroco di Avasinis ed altre testimonianze sulla seconda guerra mondiale nel territorio di Trasaghis, note e ricerche integrative a cura di Pieri Stefanutti, edizione a cura del comune di Trasaghis, Udine 1996. La parte del diario da cui sono tratte queste note si trova ivi alle pp. 35 – 45).
(11) Ivi.
(12) Testimonianza resa da Mario Di Giannantonio, in: Giovanni Angelo Colonnello, “Friuli – Venezia Giulia, Zone Jugoslave, Guerra di Liberazione, Ud, 1966, pp. 276 -277.
(13) Che la sede del Comando osovano fosse in Aplis, lo testimonia Romano Marchetti.
(14) Il defluire dei cosacchi per la Val di Gorto era stato reso pubblico, secondo Bruno Lepre che allora abitava ad Ovaro, il 30 aprile 1945 ad un incontro del Cln Val di Gorto con Michele Gortani del Comitato Aiuti e l’ing. Gnadlinger. Egli poi precisa pure che giovani del luogo, ‘partigiani dell’ultima ora’ erano stati armati in quei giorni. a il 30 aprile si era pure deciso, in quell’ incontro che «non si sarebbero frapposti ostacoli alla ritirata (dei cosacchi) in Austria. (…). Questo progetto di sgomgero pacifico fu fatto fallire dalla intromisisone di alcuni personaggi che, agendo in aperto contrasto con la deliberazione del C.L.N., chiamarono sul posto alcuni partigiani ed armarono anche dei giovani della vallata». (Bruno Lepre, Memorie di un socialista di montagna, Campanotto ed., 1996, p. 44). Il motivo di questo cambio di rotta è testimoniato da Romano Marchetti ma anche da altri.
(15) “Comitato di Liberazione Nazionale Val di Gorto. Verbale della seduta tenutasi il 29 aprile 1945, in: https://www.nonsolocarnia.info/storia-quel-maledetto-2-maggio-1945-ad-ovaro-ricostruzione-dei-fatti-dai-documenti-originali/.
(16) Ibidem.
(17) Ibidem.
(18) Leggendo Romano Marchetti questo accadde prima del 1° maggio, cioè il 29 aprile 1945. (Romano Marchetti (a cura di Laura Matelda Puppini) Da Maiaso al Golico, dalla resistenza a Savona. Una vita in viaggio nel ‘900 italiano, Ifsml Kappa Vu ed., p. 162.
(19) Ivi, pp. 162-163.
(20) Ivi, p. 167.
(21) Luciano Di Sopra Rodolfo Cozzi, Le due giornate di Ovaro, op. cit., 2015, p.74.
(22) Giannino Angeli, Tarcisio Venuti, Pastor Kaputt, Chiandetti ed.,1980, p. 173.
(23) Luciano Di Sopra Rodolfo Cozzi, Le due giornate di Ovaro, op. cit., 2015, p. 62.
(24) Ivi, p. 68.
(25) Ivi, p. 63.
(26) Ivi, p.69.
(27) Si parla di una scelta di Cioni in tal senso, ma egli, facendo così, ha solo seguito le indicazioni del CLNAI. Anche Udine fu liberata a forze partigiane unificate e, nella grande manifestazione per la liberazione e la fine della guerra, parlò dal palco il garibaldino Emilio Grossi, prima dell’8 settembre 1943 ufficiale dell’esercito.
(28) Nella sua testimonianza riportata in: Luciano Di Sopra Rodolfo Cozzi, Le due giornate di Ovaro, op. cit., 2015, p. 203 Elio Martinis testimonia di esser giunto ad Ovaro verso le 14, ma i partigiani, come mi narrava Romano Marchetti, non portavano orologi.
(29) Testimonianza di Gian Carlo Chiussi, ivi, p. 197.
(30) Gian Carlo Chiussi, Con l’Osoppo in Carnia, op. cit., p 64.
(31) Ibidem.
(32) Ibidem.
(33) Giannino Angeli, Tarcisio Venuti, Pastor Kaputt, Chiandetti ed.,1980. Dal racconto di Emilia Cortiula, sorella del parroco don Pietro Cortiula ucciso dai cosacchi il 2 maggio 1945, p. 161.
(34) Luciano Di Sopra Rodolfo Cozzi, Le due giornate di Ovaro, op. cit., 2015, p. 77. Questa è una ipotesi del dott. Luigi Covassi, medico del paese, pubblicata in: Giannino Angeli, Tarcisio Venuti, op. cit., p. 162.
(35) Romano Marchetti (a cura di Laura Matelda Puppini), op. cit., p. 168.
(36) Luciano Di Sopra Rodolfo Cozzi, Le due giornate di Ovaro, op. cit., 2015, p. 238 e p. 234.
(37) Giannino Angeli, Tarcisio Venuti, op. cit., p. 154.
(38) Romano Marchetti (a cura di Laura Matelda Puppini), op. cit., p. 11.
(39) Cfr. su www.nonsolocarnia.info: https://www.nonsolocarnia.info/l-m-puppini-lu-ha-dit-lui-lu-ha-dit-iei-luso-delle-fonti-orali-nella-ricerca-storica-la-storia-di-pochi-la-storia-di-tanti/.
(40) Rossana Rossi Cioni. Eppure la guerra era finita … Ma … 1-2 maggio 1945. L’inferno di Ovaro, in: nonsolocarnia.info.
(41) Laura Matelda Puppini, Rinaldo Cioni – Ciro Nigris: Caro amico ti scrivo…», Storia Contemporanea in Friuli, n 44, ed. Ifsml, 2014, p. 235 lettera datata 11 febbraio 1945 per il riferimento alla nostalgia della sua Firenze. In questa lettera egli anche spera che Garibaldi ed Osoppo si uniscano dimenticando le vecchie discordie «per un ideale comune». Invece l’altra frase che ho riportato in questo testo è reperibile a p. 244, nella lettera datata 26 marzo 1945, l’ultima presente nel carteggio scritta da Cioni.
(42) Luciano Di Sopra Rodolfo Cozzi, Le due giornate di Ovaro, op. cit., 2015. Testimonianza resa da Rinaldo Fabbro p. 216.
(43) Giannino Angeli, Tarcisio Venuti, op. cit., pp. 151-152.
(44) Ivi, p. 152.
(45) Luciano Di Sopra Rodolfo Cozzi, Le due giornate di Ovaro, op. cit., 2015, 82.
(46) Ivi, 75.
(47) Mario Candotti, lotta partigiana in Carnia nell’inverno 1944-45, Storia Contemporanea in Friuli, ed. I.F.S.M.L., n. 11, 1980, p. 63.
(48) Luciano Di Sopra Rodolfo Cozzi, Le due giornate di Ovaro, op. cit., 2015, pp. 217-218.
(49) Giannino Angeli, Tarcisio Venuti, op. cit., p. 154.
(50) Luciano Di Sopra Rodolfo Cozzi, Le due giornate di Ovaro, op. cit., 2015, p. 86.
(51) Ivi, pp. 218.
(52) Nel proposito, cfr. la mia nota 16 a p. 172 in: Romano Marchetti (a cura di Laura Matelda Puppini), op. cit.. Inoltre Gian Carlo Chiussi così scrive relativamente a quel 2 maggio 1945 ad Ovaro: «A Ovaro vidi arrivare altri “garibaldini”, una ventina in tutto. Non mi ricordo di aver visto ‘Marco’ (Ciro Nigris N.d.r.). ‘Otto’ ferito ad una mano ,e ‘Paolo’ erano già a Tolmezzo a farsi medicare. (Gian Carlo Chiussi, Con l’Osoppo in Carnia, op. cit., p 67). E infatti chi comandò gli osovani quel giorno fu Chiussi anche da quanto egli scrive. Non solo, in questo su otesto egli scrive anche che la segheria di Aplis era la sede del Comando della Divisione Pal/Piccolo Carnia.
(53) Luciano Di Sopra Rodolfo Cozzi, Le due giornate di Ovaro, op. cit., 2015, p. 234.
(54) Gian Carlo Chiussi narra questo particolare. Ed egli così scrive: «vidi una donna bendata, legata ad una seggiola, in mezzo alla strada e ben in vista agli occhi dei cosacchi: era la moglie del Maggiore cosacco; era stata presa a Chialina assieme alla cognata e con quell’operazione si sperava di convincere il Maggiore alla resa». Gian Carlo Chiussi, Con l’Osoppo in Carnia, op. cit., p 65. Il fatto è ricordato anche da Romano Marchetti nelle sue memorie. (Romano Marchetti (a cura di Laura Matelda Puppini), op. cit., p. 169). Pure ‘Furore’ afferma che la moglie o la cognata del maggiore cosacco Nausiko era stata legata ad una sedia dagli osovani ed esposta in piazza, per obbligarlo ad arrendersi. (Luciano Di Sopra Rodolfo Cozzi, Le due giornate di Ovaro, op. cit., 2015, p. 204).
(55) Ivi, p. 90. Qui si legge che Chiussi aveva fatto posizionare alcuni partigiani nei pressi della chiesa della Trinità e del cimitero. Vi è anche una piccola lapide a ricordo sul luogo.
(56) Luciano Di Sopra Rodolfo Cozzi, Le due giornate di Ovaro, op. cit., 2015, pp. 204-205. Testimonianza di Elio Martinis, ‘Furore’. Qui Martinis dice che il tritolo era stato prelevato da due minatori a Cludinico, (Ivi, p. 204), ma in: Giannino Angeli, Tarcisio Venuti, op. cit., p. 152 il tritolo utilizzato ad Ovaro era stato preso dagli osovani a Runchia. L’azione di ‘Furore’ è da lui descritta in: Luciano Di Sopra Rodolfo Cozzi, Le due giornate di Ovaro, op. cit., 2015, pp. 204-205, il fatto che prima aveva chiesto la resa e fu accolto a pallottole si trova ivi a p. 89. Cfr. anche la testimonianza di Emilia Cortiula in: Giannino Angeli, Tarcisio Venuti, op. cit., p. 161.
(57) Luciano Di Sopra Rodolfo Cozzi, Le due giornate di Ovaro, op. cit., 2015, p. 205.
(58) Ivi, p. 74.
(59) Ivi, p. 93.
(60) Ibidem.
(61) Giannino Angeli, Tarcisio Venuti, op. cit., p. 178.
(62) Ivi, p. 161. Testimonianza della sorella Emilia Cortiula.
(63) Ivi, p. 176-178. Luciano Di Sopra Rodolfo Cozzi, Le due giornate di Ovaro, op. cit., 2015, p. 98 e Fabio Verardo, Episodio di Ovaro e Comeglians, in: https://www.straginazifasciste.it/wp-content/uploads/schede/Ovaro%20e%20Comeglians,%2002.05.1945.pdf.
(64) Per Marco Raber vedi la scheda da me compilata in: Romano Marchetti (a cura di Laura Matelda Puppini, op. cit., p. 407.
(65) Fabio Verardo, Episodio di Ovaro e Comeglians, op. cit.
(66) Luciano Di Sopra Rodolfo Cozzi, Le due giornate di Ovaro, op. cit., 2015, p. 97. Ma cosa fece quel pomeriggio Chiussi, unico che si sa esser rimasto a cercare almeno di far ripiegare gli osovani, cfr. anche Gian Carlo Chiussi, Con l’Osoppo in Carnia, op. cit., p. 66.
(67). Ibidem.
(68) Luciano Di Sopra Rodolfo Cozzi, Le due giornate di Ovaro, op. cit., 2015, pp. 274-275 e p. 277. Bruno Lepre nell’ opera prima citata, ha scritto che bruciò anche la filiale della Cooperativa, gestita da suo padre e la loro abitazione. (Bruno Lepre, Memorie di un socialsita, op. cit., p. 47). L’elenco dettagliato di 7 proprietari di edifici andati in fiamme si trova in: Luciano Di Sopra Rodolfo Cozzi, Le due giornate di Ovaro, op. cit., 2015, p. 312.
(69) Romano Marchetti (a cura di Laura Matelda Puppini), op. cit., p. 169.
(70) Ivi, Nota 13, p. 172.
(71) Cfr. https://www.nonsolocarnia.info/laura-m-puppini-uomini-che-scrissero-la-storia-della-democrazia-rinaldo-cioni-in-memoria-2-maggio-2020/ e Laura Matelda Puppini, Rinaldo Cioni – Ciro Nigris: Caro amico ti scrivo…», Storia Contemporanea in Friuli, n 44, ed. Ifsml, 2014, pp. 213-248.
(72) Giannino Angeli, Tarcisio Venuti, op. cit., p. 145.
(73) Ivi, nota 1 a p. 143, testo tratto da ‘Lavoro’ periodico post-bellico diretto da Bruno Lepre, n. 15 settembre 1945, p. 5.
(74) Giannino Angeli, Tarcisio Venuti, op. cit., p. 143.
(76) Luciano Di Sopra Rodolfo Cozzi, Le due giornate di Ovaro, op. cit., 2015, p. 320.
(77) Giannino Angeli, Tarcisio Venuti, op. cit., p. 183.
(78) Luciano Di Sopra Rodolfo Cozzi, Le due giornate di Ovaro, op. cit., 2015, p. 310.
(79) Ibidem.
(80) Ivi, p. 311.
(81) Ivi, p. 113.
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Ho scelto, dopo qualche perplessità, come immagine che accompagna l’articolo quella della lapide al cimitero di Ovaro che ricorda i morti il 2 maggio 1945, pensando che la guerra si abbina solo ad un’ immagine di cimitero. E termino con la celebre frase di Gino Strada: Io non sono per la pace, io sono contro la guerra. Laura Matelda Puppini.
https://www.nonsolocarnia.info/laura-matelda-puppini-ovaro-cosa-accadde-alla-fine-di-aprile-e-primi-di-maggio/https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2024/05/20240502_105912-scaled.jpg?fit=768%2C1024&ssl=1https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2024/05/20240502_105912-scaled.jpg?resize=150%2C150&ssl=1Senza categoriaIl 2 di maggio mi sono recata ad Ovaro per la tradizionale Santa Messa in ricordo delle vittime della furia cosacca, con predica, dal mio punto di vista, come minimo discutibile, ma don Gianni Pellarini che dichiara, simpaticamente, sul suo profilo facebook di “lavorare presso il buon Dio” è...Laura Matelda PuppiniLaura Matelda Puppinilauramatelda@libero.itAdministratorLaura Matelda Puppini, è nata ad Udine il 23 agosto 1951. Dopo aver frequentato il liceo scientifico statale a Tolmezzo, ove anche ora risiede, si è laureata, nel 1975, in filosofia presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Trieste con 110/110 e quindi ha acquisito, come privatista, la maturità magistrale. E’ coautrice di "AA.VV. La Carnia di Antonelli, Centro Editoriale Friulano, 1980", ed autrice di "Carnia: Analisi di alcuni aspetti demografici negli ultimi anni, in: La Carnia, quaderno di pianificazione urbanistica ed architettonica del territorio alpino, Del Bianco 1975", di "Cooperare per vivere, Vittorio Cella e le cooperative carniche, 1906- 1938, Gli Ultimi, 1988", ha curato l’archivio Vittorio Molinari pubblicando" Vittorio Molinari, commerciante, tolmezzino, fotografo, Gli Ultimi, Cjargne culture, 2007", ha curato "Romano Marchetti, Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona, una vita in viaggio nel Novecento italiano, ed. ifsml, Kappa vu, ed, 2013" e pubblicato: “Rinaldo Cioni – Ciro Nigris: Caro amico ti scrivo… Il carteggio fra il direttore della miniera di Cludinico, personaggio di spicco della Divisione Osoppo Carnia, ed il Capo di Stato Maggiore della Divisione Garibaldi Carnia, 1944-1945, in Storia Contemporanea in Friuli, n.44, 2014". E' pure autrice di "O Gorizia tu sei maledetta … Noterelle su cosa comportò per la popolazione della Carnia, la prima guerra mondiale, detta “la grande guerra”", prima ed. online 2014, edizione cartacea riveduta, A. Moro ed., 2016. Inoltre ha scritto e pubblicato, assieme al fratello Marco, alcuni articoli sempre di argomento storico, ed altri da sola per il periodico Nort. Durante la sua esperienza lavorativa, si è interessata, come psicopedagogista, di problemi legati alla didattica nella scuola dell’infanzia e primaria, e ha svolto, pure, attività di promozione della lettura, e di divulgazione di argomenti di carattere storico presso l’isis F. Solari di Tolmezzo. Ha operato come educatrice presso il Villaggio del Fanciullo di Opicina (Ts) ed in ambito culturale come membro del gruppo “Gli Ultimi”. Ha studiato storia e metodologia della ricerca storica avendo come docenti: Paolo Cammarosano, Giovanni Miccoli, Teodoro Sala.Non solo Carnia
La ricostruzione dettagliata di L. M. Puppini è senz’altro preziosa e contribuisce a chiarire molti aspetti dei dolorosi fatti del 2 maggio ad Ovaro.
Tenderei però a non associare automaticamente la dinamica dei fatti di Ovaro con quelli di Avasinis, che hanno sì in comune la data, ma connotazioni piuttosto differenti.
Se nei fatti di Ovaro riusciamo a individuare un rapporto di causa-effetto (una richiesta di resa sfociata in una strage, con la conseguente rappresaglia da parte dei reparti cosacchi ) tali correlazioni non sono (ancora)) definibili per Avasinis.
Nel paese pedemontano, infatti, la resa del presidio cosacco venne concordata, ed i cosacchi prigionieri vennero “parcheggiati” sulle alture sovrastanti il paese in attesa degli sviluppi.
Non è provato (ed è anzi estremamente improbabile) che i reparti tedeschi (composti in realtà da soldati di varie etnie) arrivati in zona il I maggio ed autori dell’eccidio del 2 siano intervenuti in aiuto dei cosacchi imprigionati.
Siamo di fronte a svariate voci che cercano di spiegare la causa scatenante dell’eccidio.
Le stesse testimonianze citate, quelle di don Zossi e quella del prof. Di Gianantonio, sono sì preziose, ma non univoche.
Don Zossi è l’unico a indicare come causa scatenante un attacco partigiano compiuto a forze tedesche sulla Statale, ma non vi sono riscontri di nessun tipo che ne avvalorino l’effettivo verificarsi. Anche sul comportamento delle forze partigiane a ridosso del paese non vi è unicità: nel Libro Storico parrocchiale, scritto a ridosso dei fatti, don Zossi scrive “Alla mattina del giorno 2 maggio alle ore 6 1/2 i nostri partigiani cominciano a tirare dal ciglione sopra il cimitero verso Trasaghis”, mentre nel Diario, scritto nel 1948, precisa che “I tedeschi da Trasaghis raggiungono il paese dopo una piccola resistenza opposta dai partigiani.”
Del prof. Mario Di Gianantonio c’è una importante relazione scritta ancora il 6 giugno 1945 (è pubblicata integralmente nel mio “Novocerkassk e dintorni”, pp. 171 – 174) nella quale, attraverso la prima ricostruzione locale delle vicende della guerra, si citano azioni partigiane “per disperdere i nuclei di S.S. stazionanti ancora sulle colline di Trasaghis” e, riferito al mattino del 2 maggio, il fatto che “colpi di mortaio su Avasinis fecero capire che il nemico voleva sfondare a ogni costo”. La testimonianza di Di Gianantonio citata nel post si riferisce a quanto riportato da G. A. Colonnello nel suo “Guerra di Liberazione in Friuli”, nel quale viene attribuita a Di Gianantonio la frase “un gruppo di partigiani con una mitragliatrice pesante tentava di ostacolare e di molestare il passaggio delle truppe germaniche.” E’ Colonnello ad aggiungere, non si sa sulla base di quali fonti, che “Dopo essere stata attaccata da due battaglioni, uno garibaldino e l’altro osovano, una colonna nemica di circa 800 SS riesce a penetrare nell’abitato”.
Versioni non sempre concordanti, dunque, a volte da parte degli stessi autori, il che non facilita la comprensione dell’effettiva dinamica dei fatti. La strategia adottata dalle forze tedesche (postazione di mortai apprestata già dal giorno precedente, azione di aggiramento ed intervento sul paese da più direzioni) fa pensare ad una ben ponderata tattica militare, non certo ad una istintiva reazione a un occasionale attacco partigiano.
Quello che è importante rimarcare è che l’avvenuta uccisione di tanti dei cosacchi arresisi fu un fatto tragico che si verificò dopo l’eccidio, una sorta di vendetta contro persone che non avevano colpe dirette nella strage ma che, in quanto alleati dei nazisti, vennero ritenuti corresponsabili, in un momento caratterizzato, come scrisse don Zossi, da “un animo terribilmente scosso, che non vedeva più ragione o virtù”.
Caro Stefanutti, la frase che hai citato non viene assolutamente attribuita a Mario di Giannantonio, ma viene attribuito il poi. Infatti il testo è il seguente: “«Dopo esser stata attaccata da due battaglioni, uno garibaldino e l’altro osovano, una colonna nemica di circa 800 SS riesce a penetrare nell’abitato operandovi un eccidio di civili senza precedenti per rappresaglia alle perdite subite in combattimento” E questa è chiaramente una sintesi in due righe di Colonnello.
Però poi il testo così continua: «L’ apocalittico episodio rivive nel racconto di Mario di Giannantonio testimone oculare.
La mattina del 2 maggio 1945 suonavano ormai le campane a festa dei campanili di Gemona, di Osoppo e degli altri paesi sulla sinistra del Tagliamento. Le popolazioni erano insorte nel tripudio della liberazione che poneva fine all’incubo e alle miserie della guerra. Ma lungo la strada pedemontana da Pinzano, a Cavazzo, a Tolmezzo, transitavano ancora le truppe tedesche che avevano scelto, per la loro ritirata, quel percorso ritenuto più sicuro dai mitragliamenti aerei e dalle molestie dei partigiani. I piccoli paesi attraverso i quali passavano le colonne ordinate e in pieno assetto di guerra erano o sembravano deserti.
Solo dai costoni delle montagne di Avasinis nel punto in cui la pedemontana muta versante, fra questo paese e Trasaghis, un gruppo di partigiani con una mitragliatrice pesante cercava di ostacolare e di molestare il passaggio delle truppe germaniche. Non si conosce l’effetto dell’azione partigiana. La reazione del nemico, però, è stata immediata e violenta. Fatta tacere la mitragliatrice con alcuni colpi di mortaio, un reparto in ordine sparso prese d’assalto il paese». (Giovanni Angelo Colonnello Friuli Venezia Giulia, zone jugoslave, guerra di Liberazione, Ud, 1965, p. 277).
Inoltre pare proprio fuori da ogni realtà quanto riportato in questa ipotesi: «Altre versioni, più recenti, ribaltano il problema ritenendo che la strage di Avasinis sia stata preordinata, individuandola come un’azione punitiva verso il complesso delle attività partigiane nella zona, oppure per contrastare alcune azioni partigiane avvenute nei giorni immediatamente precedenti”. (https://www.nonsolocarnia.info/pieri-stefanutti-il-punto-sulleccidio-di-avasinis-tra-memorie-e-ricerche-storiche/). Nei giorni precedenti non si sa di particolari azioni ad Avasinis, mentre si combatteva intorno ad Udine, ed i nazisti ed i cosacchi non erano in ritirata. Infatti bisogna vedere il comportamento del nemico che si ritirava nel suo insieme, ed i nazisti ed i cosacchi, guidati dai loro ufficiali, seguivano ordini e comandi prestabiliti. E dove nessuno fece più azioni di guerra verso coloro che si ritiravano o dopo stavano per farlo, nessuno disturbò la popolazione nè in Carnia nè negli altri paesi vicino ad Avasinis. Però indipendentemente da questo, la strage perpetrata dai nazisti fu efferata e vennero colpiti innocenti, donne, bambini, vecchi. E ogni strage è causata da chi la compie, ed in questo caso oltre 50 esseri umani furono massacrati da un gruppo di nazisti, che sono la colpa dell’ eccidio, perchè essa è sempre di chi uccide, altrimenti giustificheremmo ogni femminicidio con “se l’è cercata”.
Invece con la mole di testimonianze seguenti, anche ad anni di distanza, potrebbe esser accaduto quanto è successo per Ovaro: tesi personali frutto magari di chiacchiere o altri aspetti potrebbero aver inficiato la ricostruzione dei fatti che però a mio avviso potrebbe configurarsi come quella descritta da Mario Di Giannatonio. Ma anche l’uccisione da parte di partigiani della prima o dell’ ultima ora o di altri uomini del luogo o dei paraggi, di cosacchi già arresisi, mi sembra un atto spregevole ed una carneficina non giustificabile. Ma su questo vorrei solo avere da te conferma se sia accaduto o meno e quando e qualcosa di più.
Avevo usato l’espressione “viene attribuita a Mario Di Gianantonio” in quanto il testo, non virgolettato, riportato da Colonnello nel 1965 potrebbe avere subito delle modifiche redazionali, pur basandosi sicuramente sulla testimonianza resa dal Di Gianantonio, non sappiamo se in forma scritta o orale. Un percorso simile si ha nella “Enciclopedia dell’antifascismo e della Resistenza” (ed. La Pietra, 1968), dove si legge “Mario Di Giannantonio, testimone oculare della strage di Avasinis, ne fece la seguente descrizione”, seguita da una narrazione che si rifà chiaramente al testo pubblicato da Colonnello, ma con alcune modifiche non sostanziali ma, probabilmente, appunto, redazionali.
Quello che mi premeva sottolineare, comunque, è la necessità di raccogliere TUTTE le testimonianze e tutte le fonti, mettendole costantemente a confronto, per cercare di ottenere, alla fine, una ricostruzione, se non precisa, quantomeno attendibile, come cerco di ribadire, ogni anno, nei giorni dell’anniversario dell’eccidio (v. per esempio l’ultimo intervento dal titolo “Serve ancora ricerca sulla strage di Avasinis” nel “Messaggero Veneto” del 16 maggio 2024) .
Questo vale per le dinamiche dell’eccidio e vale, naturalmente, anche per quelle dell’uccisione dei cosacchi. E’ un tema accennato nel Diario di Don Zossi del 1948 ed esaminato per la prima volta sulla stampa dal Carnier, soprattutto nello “Sterminio mancato” (Mursia 1982) e nella seconda edizione de “L’Armata cosacca in Italia” (Mursia 1990). Personalmente, credo di avere dato un contributo alla definizione del tema riportando testimonianze dirette e documentazione archivistica in “Novocerkassk e dintorni” (Ifsml 1995) e in “Avasinis 1940-1945” (Comune di Trasaghis 1996 e 2015). A tale proposito, ribadisco quanto ebbi già modo di scrivere: “E’ chiaro che tutti possiamo dire oggi che l’uccisione dei cosacchi sia stata una azione orribile, ingiusta, gratuita. Ma, come dico nell’ultima riga del libro “Novocerkassk e dintorni”, credo sia necessario “contestualizzare, sempre”. E contestualizzare significa proprio, come dice don Zossi, tener conto dell’«attenuante per tanto sangue, lutti e rovine”, per quell’«animo terribilmente scosso» che faceva dire, in quelle ore, “copaitju duc’, chei lazaròns!”, dove tedeschi, fascisti e cosacchi venivano unificati nell’obiettivo di una rabbia collettiva conseguente alla violenza subita”.
Nella storiografia attuale, dopo l’infatuazione per le testimonianze di tutti, si parla di memorie individuali e divergenti ed io ho trattato il tema delle fonti orali nel mio “L. M. Puppini. Lu ha dit lui, lu ha dit iei. L’uso delle fonti orali nella ricerca storica. La storia di pochi la storia di tanti”. Ma la ricostruzione dei fatti storici non può essere la somma delle singole memorie personali: pensate solo a come descriverebbe la Resistenza un partigiano od un fascista. Certamente quando mancano documenti e dati si deve cercare di ricostruire con quello che si ha in mano, andando molto cauti, però, ma allora anche le testimonianze orali, prese una per una, devono venir analizzate in base a chi le ha prodotte ed in base a quale periodo storico sono state fornite (non dimentichiamo la guerra fredda e i decenni in cui la causa erano sempre i comunisti, e l’uso politico della storia) ed in che contesto sono state rese, che domande ha fatto l’intervistatore. Perché esistono delle regole anche per condurre una buona intervista, ed una regola base dovrebbe essere quella di non chiedere mai ad una persona una cosa che non può sapere. Inoltre ieri una persona mi diceva che nei paesi la versione spesso era quella che davano il prete, il medico, i sorestanz, che non potevano venir contraddetti. Inoltre il forte anticomunismo fu diffuso fra la gente, e così la gente pensò che se i comunisti erano cattivissimi, certamente potevano essere la causa di tutto. Non solo: per anni si è pensato che gli osovani fossero stati solo dei mediatori e non persone in armi, tanto da far dire a Cesare Marzona, allora presidente dell’Apo, alla presentazione mia e di Romano a Venzone delle memorie di Romano Marchetti, che finalmente sentiva parlare dei partigiani osovani come combattenti nella guerra di Liberazione. E sin dove siamo arrivati nelle ricostruzioni fantasiose può esser dimostrato anche da un articolo di cui non ricordo il titolo, per i 100 anni di Marchetti che lo descrivevano positivamente come un partigiano senza armi, facendolo passare per fesso. Perché le armi le aveva, eccome, ed egli scrive senza mezzi termini che, ad un certo punto, passò alla lotta armata. Inoltre ritornando al 2 maggio ad Avasinis, perché non ci dovevano essere su di una altura nei paraggi partigiani con una mitragliatrice, Stefanutti, se uno di quelli da te intervistati dice che c’era però funzionava prima, ma non funzionava poi …. Ma c’era. (Cercherò chi era). Inoltre bisogna sapere cosa chiedere ed a chi perché più tempo passa più sentiremo solo versioni personali neppure dirette ma di seconda o terza mano e chissà dove elaborate su fatti accaduti nella seconda guerra mondiale. Sulla responsabilità della strage di Avasinis, senza se e senza ma, essa è dei nazisti, ci mancherebbe, ma il fatto che la gente la attribuisse, non si sa perchè, ai partigiani ha certamente inciso. E Paolo Pezzino scrive che neppure nel diritto bellico vigente in materia di rappresaglie, nell’interpretazione diffusa all’interno dell’esercito tedesco, favorevole alle prerogative dei militari, non esisteva nessuna norma, per quanto liberamente potesse essere interpretata, che permettesse o giustificasse l’uccisione di donne inermi, di bambini, di anziani paralitici. (Paolo Pezzino, Le stragi di civili tra storia e memoria, in «Archivio trentino» pp.15-27. file:///C:/Users/User/Downloads/HJ-ARCTRE-2007-056-02-02.pdf). Pertanto una cosa è ricostruire i contesti, altra attribuire la responsabilità che è sempre di chi spara, uccide, violenta. E non erano certo ad Avasinis stati i partigiani. Invece l’uccisione di cosacchi arresisi e disarmati, da parte di partigiani della prima o dell’ ultima ora o di gente dei paesi della Val del Lago, esasperati finché vuoi, è una strage a sua volta.