L’intervento dell’ingegnere idraulico Matteo Cuffolo il 1° dicembre all’isis F. Solari. Previsione e manutenzione sullo scorrimento delle acque.
Pare forse un po’ strano che io proponga a mesi di distanza riflessioni sull’ambiente di vecchia data, ma se avessi offerto tutte le relazioni del primo dicembre al convegno “La montane dai Sants: alluvione 2018” in pochi giorni, poi l’argomento sarebbe sparito dal vostro interesse. Inoltre, tanto per non annoiarci, il territorio carnico ha ripreso a franare, il che significa che non è stato messo in sicurezza. Ci si è illusi che non sarebbe più accaduto nulla fino al prossimo alluvione, ma se a piaga si aggiunge piaga, a ferita ferita, senza cura adeguata, ad alterazione del clima alterazione del clima, non si può pensare che tutto si risolva in un attimo, con il ripristino del passaggio da Forni Avoltri a Tolmezzo dei camion di Goccia di Carnia ed altri. Abbiamo sognato, o meglio la politica locale ha sognato che tutto fosse finito, ma poi è giunto il brusco risveglio. E così la Val Degano è di nuovo in difficoltà.
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Ma sentiamo cosa ci narrava, quel primo dicembre 2018, Matteo Cuffolo, ingegnere ambientale.
Egli ha esordito dicendo che, attualmente, siamo ancora in una fase di analisi su come intervenire a livello di manutenzione ordinaria del territorio, non per evitare fenomeni della portata dell’alluvione, il che è impossibile, ma per studiare come attenuare i danni possibili od allontanarli nel tempo.
Poi, mostrando una mappatura dei bacini del Triveneto dal punto di vista idraulico, egli ha introdotto il concetto di ‘tempo di ritorno’, cioè la frequenza con cui questi accadimenti avvengono, e ha precisato che in genere le alluvioni colpiscono sia il Veneto che il Friuli.
Quindi ha iniziato a spiegare la sequenza dei fenomeni nell’area,con l’aiuto di fotografie.
Guardando per esempio una serie di immagini scattate nel 2002, si può vedere cosa è accaduto allora alla confluenza tra il Meduna ed il Noncello, nel pordenonese, a causa di eventi calamitosi atmosferici.
Poi, nel 2003, ad esser colpita da una tremenda alluvione fu la Val Canale, e l’ing. Cuffolo ha mostrato immagini d’epoca di Malborghetto e Pietra Tagliata.
Nel 2004, invece, l’alluvione ha avuto luogo in ottobre, e ha colpito la Val Cellina, ove anche quest’ anno la situazione si è presentata particolarmente critica.
Nel 2009, invece, gli eventi calamitosi si sono presentati a dicembre, quando una piovosità non peraltro eccezionale, è andata a coincidere con temperature elevate per il periodo, che hanno sciolto, anche in quota, le nevi. In questo caso, però i danni hanno colpito la pianura.
Infatti essi talvolta avvengono in piano, talvolta nelle valli alpine, con diversa intensità. Per esempio i danni per l’alluvione di fine ottobre e primi di novembre 2018 si collocano tra bellunese e Carnia. Nel 2010, 2012, 2013, alluvioni hanno colpito in modo particolare il Veneto, provocando molti danni.
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Che considerazioni potremmo trarre, quindi, sui tempi di ritorno dei fenomeni calamitosi, ovvero sulla loro possibilità di ripresentarsi in un dato lasso di tempo? Applicando una formula matematica, si può dare una risposta alla domanda, e prevedere il riverificarsi di un’alluvione su di un dato territorio. Ma come fanno gli ingegneri a dimensionare e scegliere, tra quelli prevedibili, quale sarà l’evento importante da tenere sotto controllo? In base a precisi calcoli, che danno la possibilità nel tempo che esso accada.
Ma se un tempo un evento disastroso atmosferico del tipo di quello appena successo colpiva un luogo ogni 50 o 100 anni, e questo quindi era allora il tempo di ritorno, (l’alluvione a Malborghetto si è verificata 100 anni dopo la precedente, tanto per fare un esempio), ora i fenomeni si presentano molto più ravvicinati, e quindi, su scala regionale o di bacino, che è la scala idraulica di riferimento, il tempo di ritorno è di circa cinque anni. Ma i danni che fanno possono esser valutati come se i tempi di ritorno fossero di centinaia di anni. In sintesi si deve agire in modo da limitare i danni, dimensionando le opere ai tempi di ritorno.
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Ma senza spiegare come si può intervenire a livello idraulico, introducendo pure l’equazione fondamentale dell’idraulica: la portata è una velocità per una sezione, non si può capire la tipologia di intervento. Quindi l’ing. Cuffolo ha mostrato l’esempio di due portate non commisurabili. Da una parte vi è un rio, piccolo. È l’Urana Soima, (che scorre tra Magnano e Tarcento ndr), che ha sezione ridotta e velocità alta a pari portata. Dall’altra parte vi è il Tagliamento, con sezione enorme e velocità molto più bassa, a parità di portata. Questo permette di capire anche l’influenza della presenza di un ‘isola vegetata in alveo, ed il riferimento è all’esempio portato da Massimo Valent, geologo. (Cfr. Massimo Valent, geologo. Su quella montagna troppo friabile e su quelle piogge intense, in: www.nonsolocarnia.info.). In presenza di un restringimento, il comportamento dell’acqua è dettato da quell’equazione. La velocità, in questo caso, in presenza di una sezione di canale, come nell’Urana Soima, è comandata dall’energia, e l’acqua non si comporta casualmente, non sbatte qua e là a caso, ma il suo movimento è comandato da equazioni energetiche, con un bilancio fra valle e monte, cosicché possiamo prevedere cosa accadrà.
In pratica l’acqua ‘cammina’ per la sua pendenza, in base alla velocità che ha, e questo dà l’indicazione del tirante che raggiungerà l’acqua. (In campo idraulico si definisce tirante idrico l’altezza dell’acqua nella sezione fluviale, ovvero la distanza del pelo libero dal fondo di un alveo. Da: http://www.wikitecnica.com/tirante/). Ma perché è importante capire a che velocità ‘cammina’ l’acqua? Perché conoscere la velocità dell’acqua permette di fare delle previsioni sul tipo di moto che essa avrà e quindi sul tirante idrico; in sintesi su quale sarà la distanza fra il fondo dell’alveo e la superfice, il che non è di poco conto.
Quindi Cuffolo è passato ad illustrare alcuni esempi di tipo di moto che potrebbe avere un corso d’acqua, servendosi di semplificazioni in uso in ambito ingegneristico, per poter affrontare il problema. Il moto può essere ‘uniforme’ o ‘permanente’, cioè che non cambiare con il tempo, o ‘vario’, cioè che cambia con il tempo, che muta anche a livello energetico, e che si presenta come il più complesso da studiare
Questi tre tipi di moto sono attualmente analizzabili e modellabili anche con software che sono a disposizione di tutti, anche se, prodotti in America, essi sono messi a disposizione a prezzi accessibili, mentre poi, portati da qualcuno in Italia, vengono riproposti con veste grafica diversa ed un considerevole aumento di prezzo. Comunque vi sono modellazioni idrauliche anche scaricabili sul computer da un programma degli ingegneri militari americani che li pongono a disposizione di tutti. Attraverso questi software essi rappresentano le varie problematiche idrauliche, formulando ipotesi per il caso di moto permanente e per il caso di moto vario.
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Ma un altro approfondimento merita il concetto di ‘dominio’ in idraulica. Per esempio, come consideriamo, a livello di modello, un fiume? Come un filo che si sviluppa in un’unica direzione, o come una vasta area in cui si generano correnti trasversali? Certamente la rappresentazione monodimensionale è semplificata ma è la più semplice per affrontare i problemi, ed è funzionale alla costruzione di alcune opere idrauliche. Invece la modellazione bidimensionale è molto complessa perché implica di avere alcuni livelli idraulici per tarare il modello. Per questo motivo, in genere, nelle opere di manutenzione, si addotta l’ipotesi di monodimensionalità. Quindi l’ingegnere propone un esempio relativo alla zona di Venzone, realizzato nella località ove si tengono le esercitazioni militari. La modellazione, nel caso specifico, ha fornito l’ingombro dell’acqua, le sezioni con i tiranti a livello dell’acqua, il livello dell’energia, il profilo del fondo con i relativi livelli dei tiranti e dell’energia.
Inoltre il fondo del fiume non è fisso, non è come il fondo di un tubo. Se fosse così, infatti, calcolando la portata e la pendenza si potrebbe ricavare, automaticamente, il tirante. Invece vi è una evoluzione del fiume, che va ad incidere, mentre passa, sul fondo alveo. E vi è il fenomeno del trasporto solido.
E ciò comporta un continuo riaggiornarsi del calcolo, perché la velocità è in grado di movimentare un certo tipo di classi granulometriche, e quindi va a cambiare la sezione, che va a cambiare, a sua volta, la velocità, così da presentare problemi non di poco conto nel modellare.
Quante combinazioni possiamo avere? ‘Fondo fisso’, ‘fondo mobile’, ‘moto vario’ e ‘moto stazionario’.
Vi è quindi un metodo che di solito si usa nelle manutenzioni idrauliche, uno che si usa a livello scolastico, che è quello che si rifà al moto uniforme, un altro metodo che tratta il problema in modo più completo, ma in questo caso non esistono software commerciabili ed è a disposizione solo delle università.
Per la verità è stata fatta una modellazione A1 B1, cioè complessa per il Reno ma è ancora in corso di taratura.
Non è banale, quindi, una modellazione così complessa, e non serve per quello che si deve fare in Carnia oggi come oggi.
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Un altro problema è quello del trasporto solido. Ci sono diverse trattazioni dello stesso, che hanno cercato di dare una formulazione a quale sia la portata solida che viene mobilitata , a seconda del tipo di portata che passa, della pendenza e della velocità.
La difficoltà ad affrontare ingegneristicamente questo problema, è data anche dal fatto che, nel corso della mobilitazione della portata solida, cambia la sezione, per cui ogni frazione di portata deve essere rimodellata. Ma affrontare così il problema diventa oneroso, e così il calcolo della portata solida di un fiume non può esser affrontato con un software.
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Quindi per passare alle manutenzioni idrauliche, esse sono uno strumento che è stato introdotto previo decreto, che consente al privato sotto il controllo dell’ente pubblico, di svolgere degli asporti di materiale o delle movimentazioni, andando a pagare un canone allo stato ed al comune. Il controllo spetta, ovviamente, a chi ora svolge il compito di ufficiale idraulico. Sono questi interventi che, proprio perché manutentivi, non implicano in genere la realizzazione di opere, o almeno di opere che possono essere superate nel giro di pochi anni.
Ma vediamo il caso di Venzone: sponda destra: metanodotto, alcuni pannelli (con pennello o o repellente si intende un’opera sporgente che allontana il vivo della corrente dalla sponda ove posta. Da: http://www.adbpo.it/PAI/5%20-%20Quaderno%20opere%20tipo/A12.pdf).
Il filone del Tagliamento veniva richiamato, a causa di alcune opere, tutto sulla destra. Questo comportava una continua erosione ed approfondimento della sezione idraulica verso destra. Così il fiume autoalimentandosi, continuava ad aumentare la velocità, ad aumentare la capacità di trasporto, ad erodere il fondo, e continuava, quindi, ad incidere il pilone di destra del ponte. Nello stesso tempo le magre e le morbide, quindi le portate non eccezionali, tendevano ad accumulare il materiale al centro, che si stava consolidando con delle isole vegetali.
Cosa accadeva a questo punto all’acqua? L’ acqua continuava l’incisione di destra, ma iniziava anche ad intaccare la sponda sinistra, andando quindi ad erodere beni demaniali che però non erano di pertinenza fluviale, cioè non erano classificati come alveo. In questo caso i tecnici hanno proposto un intervento di staggio delle acque, cercando di portare parte dell’acqua al centro, per creare una ‘savanella’ cioè un canale centrale in alveo (https://it.wiktionary.org/wiki/savanella), che andasse a ridurre la velocità della sezione di destra del fiume e quindi, di conseguenza, la sua capacità di trasporto. Nel contempo hanno pure proposto di chiudere con un pennello l’incisione iniziata in sponda sinistra.
L’intervento sul Tagliamento a Venzone ha funzionato, e la pendenza che il fiume ha preso dopo l’intervento tecnico non è più naturale, e quindi il fiume riprenderà fra un po’ di tempo a muoversi verso destra, a causa di quanto costruito per far passare il metanodotto.
Quindi la manutenzione delle opere idrauliche ha il ruolo di allontanare il tempo di morte o di crisi delle stesse.
Un tipo di manutenzione è la manutenzione mediante movimentazione ed asporto di inerti, che è uno degli strumenti atti a mantenere efficiente il reticolo idrografico. Questo è un metodo che evita la costruzione di opere tenendo conto di una cosa: i fiumi sono sistemi antropizzati, non sono sistemi naturali che possono essere lasciati a loro stessi, devono essere gestiti e curati dall’uomo.
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Per esempio il ponte di Comeglians è un tipo di opera importante che non è però stata, evidentemente, oggetto di manutenzione dal punto di vista idraulico, non dal punto di vista strutturale. Quindi, alla luce dell’aumento degli eventi alluvionali, che sono un dato di fatto ormai, come muta la produzione solida dei bacini? Perché un dato è certo: eventi come l’alluvione recentissimo vanno ad aumentare la produzione solida nei bacini.
Come cambia, quindi, con la nuova situazione, l’equilibrio gestionale di questi fiumi, che hanno lungo il loro corso anche dighe e chiusure? Abbiamo Barcis, abbiamo Ovaro. Lì la ghiaia non passa. Così si continua ad incrementare la produzione solida.
Prendiamo per esempio il caso di Barcis. Come si possono rendere adeguati i ponti e la viabilità, a fronte del sovralluvionamento? Infatti un tirante d’acqua di un metro, che qualche anno fa passava, nel caso di un continuo apporto solido che non viene asportato manda in crisi la viabilità. Nel 2008 a Barcis è stato fatto un intervento che è costato allo stato e quindi a tutti noi un milione e mezzo di euro, non per sghiaiare, ma per alzare la strada. E si è visto l’effetto che ha avuto: quasi nullo. Sono le opere di questo tipo che costano e che sono sbagliate, perché tendono ad agire con forza contro il naturale comportamento delle acque.
Non si deve però pensare che la manutenzione sia una soluzione completa dei problemi, perché è solo uno strumento che va intelligentemente impiegato.
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A questo punto solo un’ultima nota. Un tempo la manutenzione idraulica era regolata dalla presenza sul territorio dell’ufficiale idraulico. Siccome i fiumi sono strutture vive, e vanno tenuti monitorati, questa presenza sul territorio avrebbe dovuto essere mantenuta ed invece non c’è più, o è molto molto frazionata.
Ed anche la responsabilità idraulica del fiume è stata divisa tra mille competenze.
Quindi quello che ci si augura è che dal punto di vista legislativo questi accadimenti riescano almeno a dare centralità alla figura della direzione idraulica, privilegiando, negli interventi, l’aspetto idraulico piuttosto che quello ambientale. Essi sono sì legati tra loro, ma non possiamo permetterci di lasciare isole in alveo, vegetate, ad ogni costo, perché la funzionalità del fiume non le comporta.
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Con questa considerazione l’ingegnere idraulico Matteo Cuffolo, ha chiuso, il primo dicembre 2018, all’isis F. Solari di Tolmezzo, il suo intervento. Spero di aver esposto in modo chiaro le sue parole, grazie alla registrazione, e se non ho ben capito qualcosa di tecnico fatemelo presente.
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A completamento di queste considerazioni, riporto quanto scritto nell’articolo intitolato: “Dissesto idrogeologico: ecco le aree a rischio”, in: Il Friuli, 2 marzo 2016, sulle zone di maggior dissesto idrogeologico.
Lo stato di salute della nostra regione? Non è dei migliori, almeno stando alla fotografia che emerge dal Rapporto sul dissesto idrogeologico in Italia pubblicato dall’Ispra, l’Istituto per la protezione e la ricerca ambientale, che ha analizzato i dati relativi al 2015. Il rischio combinato tra frane e dissesto idrico è marcato, con 184 Comuni su 218 a elevata o molto elevata pericolosità, pari all’84,4 per cento.
Entrando nel dettaglio, le zone a più alta pericolosità idraulica sono quelle costiere, con una superficie che interessa il 7,5 per cento del territorio regionale. L’area maggiormente esposta a frane, invece, è quella montana, pari a una superficie di 188,2 chilometri quadrati. Tra i Comuni più a rischio figurano, in provincia di Udine, Bordano (10,3 per cento del territorio amministrato), Cavazzo Carnico (8,9%), Chiusaforte (10,2%), Drenchia (12,2%), Malborghetto Valbruna (11,4%), Ovaro (7,9%), Paluzza (8,5%), Pontebba (12,8%), Raveo (16,2%), Resiutta (17,9%), Trasaghis (9%), Venzone (11,1%) e Villa Santina (17,5%); Erto e Casso (12,8%) e Vito d’Asio (8,8%) in provincia di Pordenone. (http://www.ilfriuli.it/articolo/cronaca/dissesto-idrogeologico-points–ecco-le-aree-a-rischio/2/152531).
Laura Matelda Puppini
Ho già pubblicato diversi articoli relativi all’alluvione della Carnia su: www.nonsolocarnia.info, che qui ricordo per chi non li avesse ancora letti:
–Massimo Valent, geologo. Su quella montagna troppo friabile e su quelle piogge intense.
–Gregorio Piccin. Bombardamento climatico: necessario ripensare i concetti di “difesa e sicurezza”.
–Mario Di Gallo. Sulle sistemazioni idraulico forestali.
–Gianpaolo Carbonetto. Le friabilità di un Paese.
L’immagine di presentazione dell’articolo è tratta da: https://it.geosnews.com/p/it/friuli-venezia-giulia/maltempo-in-friuli-a-ovaro-dove–esondato-il-degano-situazione-critica-a-prato-carnico_21878390, e rappresenta il torrente Degano in piena ad Ovaro nel corso dell’ultimo alluvione della Carnia. Laura Matelda Puppini
https://www.nonsolocarnia.info/lintervento-dellingegnere-idraulico-matteo-cuffolo-il-1-dicembre-allisis-f-solari-previsione-e-manutenzione-sullo-scorrimento-delle-acque/https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2019/04/Ovaro-redim.jpg?fit=480%2C250&ssl=1https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2019/04/Ovaro-redim.jpg?resize=150%2C150&ssl=1AMBIENTEPare forse un po’ strano che io proponga a mesi di distanza riflessioni sull’ambiente di vecchia data, ma se avessi offerto tutte le relazioni del primo dicembre al convegno “La montane dai Sants: alluvione 2018” in pochi giorni, poi l’argomento sarebbe sparito dal vostro interesse. Inoltre, tanto per non...Laura Matelda PuppiniLaura Matelda Puppinilauramatelda@libero.itAdministratorLaura Matelda Puppini, è nata ad Udine il 23 agosto 1951. Dopo aver frequentato il liceo scientifico statale a Tolmezzo, ove anche ora risiede, si è laureata, nel 1975, in filosofia presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Trieste con 110/110 e quindi ha acquisito, come privatista, la maturità magistrale. E’ coautrice di "AA.VV. La Carnia di Antonelli, Centro Editoriale Friulano, 1980", ed autrice di "Carnia: Analisi di alcuni aspetti demografici negli ultimi anni, in: La Carnia, quaderno di pianificazione urbanistica ed architettonica del territorio alpino, Del Bianco 1975", di "Cooperare per vivere, Vittorio Cella e le cooperative carniche, 1906- 1938, Gli Ultimi, 1988", ha curato l’archivio Vittorio Molinari pubblicando" Vittorio Molinari, commerciante, tolmezzino, fotografo, Gli Ultimi, Cjargne culture, 2007", ha curato "Romano Marchetti, Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona, una vita in viaggio nel Novecento italiano, ed. ifsml, Kappa vu, ed, 2013" e pubblicato: “Rinaldo Cioni – Ciro Nigris: Caro amico ti scrivo… Il carteggio fra il direttore della miniera di Cludinico, personaggio di spicco della Divisione Osoppo Carnia, ed il Capo di Stato Maggiore della Divisione Garibaldi Carnia, 1944-1945, in Storia Contemporanea in Friuli, n.44, 2014". E' pure autrice di "O Gorizia tu sei maledetta … Noterelle su cosa comportò per la popolazione della Carnia, la prima guerra mondiale, detta “la grande guerra”", prima ed. online 2014, edizione cartacea riveduta, A. Moro ed., 2016. Inoltre ha scritto e pubblicato, assieme al fratello Marco, alcuni articoli sempre di argomento storico, ed altri da sola per il periodico Nort. Durante la sua esperienza lavorativa, si è interessata, come psicopedagogista, di problemi legati alla didattica nella scuola dell’infanzia e primaria, e ha svolto, pure, attività di promozione della lettura, e di divulgazione di argomenti di carattere storico presso l’isis F. Solari di Tolmezzo. Ha operato come educatrice presso il Villaggio del Fanciullo di Opicina (Ts) ed in ambito culturale come membro del gruppo “Gli Ultimi”. Ha studiato storia e metodologia della ricerca storica avendo come docenti: Paolo Cammarosano, Giovanni Miccoli, Teodoro Sala.Non solo Carnia
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