Ma come è bella quell’accieria secondo Giacomina Pellizzari del Messaggero Veneto. Ma siamo proprio sicuri? Critiche serrate a quanto riportato dall’articolo.
Oggi forse più di uno avrà cercato di leggere la sintesi della sintesi di quanto prodotto, per 800.000/00 (ottocentomila) euro rigorosamente nostri, di noi cittadini del Fvg che questa acciaieria proprio non la vogliamo, dalle due università regionali e da privati ignoti ai più, pubblicata da Giacomina Pellizzari sul Messaggero Veneto del 20 settembre 2023, con titolo: “Acciaieria a Porto Nogaro. Ecco i risultati degli studi affidati dalla Regione a università ed esperti”.
Il sottotitolo forse sarebbe bastato, e non serviva altro per noi poveri nativi: “Le conclusioni non individuano criticità, il sito può accogliere in nuovo stabilimento. Necessari interventi pubblici per 180 milioni di euro. Investimento complessivo da 2,2 miliardi”. In sintesi: nativi, bocca chiusa: gli espertissimi hanno detto, per ottocentomila euro di finanziamento, che una acciaieria in laguna non farà nulla di nulla all’ambiente e almeno non hanno detto che è un bene per l’umanità intera. Non solo: quando studi e scrivi hai pure una visione delle cose, e qui pare che gli studi siano partiti come se l’acciaieria si dovesse fare, e se erro correggetemi, e si sono presi come riferimento i dati forniti dai progettisti dell’ insediamento industriale, quelli del ‘progetto Adria’, come ci dice la Pellizzari. Siamo sempre alla stessa storia, dico io, mai un rilievo sul terreno, in situ, ma solo analisi di dati provenienti da un progetto di parte. Ma pare che, con la giunta Fedriga, vada sempre a finire così: oltre ad inchini a chi si definisce un industriale, si prende per buono tutto ciò che presenta, e mi pare che con Tal/Siot sia stata la stessa cosa. E se erro corregetemi.
Ora avrei magari forse capito un costo elevato per analisi e studi in loco, ma ottocentomila euro nostri per simulare a computer sulla base dei dati forniti da chi l’acciaieria la vuole costruire …. Ma così almeno sappiamo che il progetto c’era e che era giunto all’attenzione della Regione, anche se Fedriga diceva di non averlo mai visto e di non saperne nulla.
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Gli esperti.
Ma chi sono questi esperti che, pagatissimi, collaboreranno, secondo me, a distruggere la nostra terra, non certo facendo gli interessi nostri? Ignoti dell’Università di Udine e Trieste che non hanno neppure l’ardire di metterci nome e faccia, un gruppo di professionisti privati ed ignoti coordinati da Hmr Ambiente di Padova, perché in Fvg, penso io, per la nostra Regione non ci sono professionisti esperti come i veneti padovani, anche se, magari, cercando un po’… Ma anche in sanità un prestigioso incarico dirigenziale è stato dato, senza concorso alcuno che io sappia, ad un avvocato veneto Ladi Da Cet, ed è inutile vantarsi di essere Fvg quando scelte epocali come la privatizzazione dei codici bianchi al Pronto Soccorso di Udine (senza neppure citare, in manifestazione di interesse e neppure nel bando, il già pubblicato decreto legge 30 marzo 2023 n. 34, poi convertito in legge, da quanto ho letto) e la realizzazione di una acciaieria in laguna vengono affidati all’esperienza veneta mentre i nostri ingegneri e professionisti se ne vanno da questa ‘amara terra’ e spesso scelgono la via dell’estero. E se erro correggetemi.
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‘Hmr Group’ è un gruppo privato che si è interessato del Mose a Venezia, di un cavalcavia a Sarpi, di una diga in Kurdistan e poco altro, (https://www.hmr.it/), ma non dell’impatto ambientale di una acciaieria su di una laguna. Il motto del gruppo, al settore ‘Strutture’ è: «Io non scrivo, io costruisco», a prescindere. Questa frase, secondo Hmr, è stata pronunciata dal famoso architetto e designer finlandese Alvar Aalto, che però era nato nel 1898, ed il periodo di suo maggior splendore come professionista si può ritenere che sia stato quello che va dagli anni ‘30 agli anni ‘50, essendo operativo principalmente nella sua terra, in Finlandia. Ma non è certo applicabile per una acciaieria in una laguna tra due poli turistici. E la Hmr si occupa di infrastrutture, edilizia e grandi opere, (https://www.hmr.it/settori/#settore_4) e non certo di ambiente e sostenibilità ambientale.
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Poi è stata coinvolta, sempre secondo la Pellizzari ed il Messaggero Veneto, la ‘Serin s.r.l.” che è una società di Ingegneria, che si occupa «di attività di progettazione di infrastrutture (strade, ferrovie, opere idrauliche, sistemi di telecomunicazione), Sicurezza, Urbanistica, Impianti di Illuminazione e Ambiente», ove l’ambiente è il fanalino di coda e non si sa quale sia l’approccio allo stesso. (https://www.serinsrl.com/index.php/it/chi-siamo).
Inoltre si legge che è stato coinvolto in questa indagine di fattibilità con soldi a mio avviso sottratti dalla giunta regionale alla lotta alla povertà ed alla sanità, anche l’ing. Andrea Crocetta, ma egli altri non è che uno dei due direttori tecnici della ‘Serin s.r.l.’ (Ivi), e quindi non sappiamo come mai sia stato chiamato anche singolarmente a valutare i possibili danni di una acciaieria in laguna.
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Poi la Regione ha investito del problema pure due geologi, di cui il Messaggero Veneto ci dice solo che sono uno di Sgonicco, Alberto Rosset, ed uno di Pagnacco, Gianni Menchini. Il primo risulta essere un collaboratore di ‘Astra’ un’azienda di Trieste, insediata in Area Science Park, creata nell’agosto 2016 (https://www.astrasnc.it/), che si occupa più di bonificare che di altro, tenendo conto della normativa vigente sulla quale dà pure consulenze, se ho ben compreso. (Ivi). Ma vi è una frase preoccupante a mio avviso, che si trova sul sito di ‘Astra’ e di cui vorrei sapere il reale significato, perché potrei non comprendere bene io: «Astra svolge studi e ricerche per fornire, in tempi rapidi, soluzioni a problematiche ambientali, realizzabili applicando tecnologie di avanguardia e percorsi tecnico-amministrativi appositamente sviluppati nel rispetto della normativa ambientale vigente e concertati con gli enti di controllo». Quindi da che ho compreso non si occupa in primo luogo di impatto ambientale ma di cercare di limitare i danni.
Gianni Menchini invece, è un geologo di Udine che lavora in proprio, come tanti altri, che risultava ma forse risulta ancora essere consulente per le tematiche ambientali all’interno dell’Organismo di Vigilanza della Fantoni S.p.a. relativamente all’esercizio produttivo nello stabilimento di Osoppo. (https://it.linkedin.com/in/gianni-menchini-677b5149).
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Non si capisce poi perché la giunta regionale, che fa da sé, senza mai fare un bando di gara per l’attribuzione anche di compiti di così alto costo, abbia chiesto di valutare gli aspetti idrogeologici alla facoltà di matematica e geoscienze dell’Università di Trieste, a ricercatori che ci rimangono totalmente ignoti, invece che a una equipe di geologi esperti, ma così vanno le cose in Fvg sotto Fedriga, Riccardi, Bini e questi assessori.
La facoltà di matematica e geoscienze dell’Università di Trieste ha sei corsi di studi: matematica, geologia, intelligenza artificiale, calcolo scientifico, geofisica e geodata. Ma all’interno della facoltà agiscono docenti e allievi, mica esperti di impatto ambientale di una acciaieria su di una laguna! O fanno svolgere come prova d’esame o tesi di laurea o dottorato un tema di questo spessore ad un paio di allievi ‘novellini’? Non credo che un’ Università Fvg sia caduta così in basso!
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Una prima riflessione. Chi ha deciso questi costosissimi esperti e come mai questi studi spezzatino senza una visione globale?
La prima cosa che mi chiedo è chi abbia scelto questi costosissimi esperti in costruzioni e disinquinamento non in impatto ambientale di una acciaieria ancora da costruirsi su di una laguna, prendendo come riferimento i dati forniti da chi la vuole ad ogni costo erigere, e come mai gli esiti siano giunti spezzettati senza una valutazione globale di impatto. Questo dal punto di vista scientifico è un vero e proprio insulto al metodo scientifico.
Io, che mi sono laureata nel 1975, vi posso garantire che già ai miei tempi si parlava di strutturalismo, di fattori interdipendenti, e la mia tesi era relativa ad aspetti strutturali dell’azione interpersonale in alcune situazioni di vita e loro fenomenologia. E che ormai l’approccio scientifico corretto sia sistemico e con variabili interagenti in un contesto definito credo sia quasi lapalissiano. Pertanto non capisco come uno possa, come ci ha narrato Giacomina Pellizzari, aver valutato solo e rigorosamente l’aspetto idrogeologico, l’altro solo la viabilità, il terzo solo l’impatto su una zona e via dicendo, senza valutazione dell’impatto globale per variabili interagenti anche proiettato nel futuro.
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L’uso del linguaggio comune in una relazione tecnico scientifica.
Una relazione scientifica di costo stratosferico, relativamente all’impatto di grandi camion sull’ambiente e le popolazioni, non può, a mio avviso, riportare “sembra” e “abbastanza” come in: «Seppur risulti “abbastanza rilevante” l’incremento del traffico stradale, “non sembra essere tale da generare pesanti situazioni di disagio nella viabilità esistente», o ricorrere al condizionale: «Le valutazioni tecniche e trasportistiche effettuate nello studio dell’ Università di Trieste tengono conto “dell’ incremento del traffico ferroviario stimato a partire dai volumi da trasportare, incompatibili con il raccordo ferroviario presente nella configurazione attuale, in quanto verrebbe a determinarsi un movimento annuo di carri pari a cinque volte gli attuali». Infatti ‘sembra’ , ‘pare’, ‘abbastanza’ e l’uso del condizionale fanno parte del linguaggio comune non da relazione tecnico – scientifica, ed linguaggio scientifico e quello comune sono molto diversi e si applicano in situazioni diverse. E siamo nel 2023. Io a chi scrive relazioni scientifiche con ‘sembra’ e ‘abbastanza’ o usando il condizionale non darei una lira. Pensate se voi chiedeste di valutare a dei tecnici la stabilità della vostra casa, e quelli, dopo avervi presentato una profumatissima parcella, vi dicessero: “A noi sembra stabile”.
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Ma è proprio green quell’ acciaieria?
Inoltre la relazione che riporta ogni singolo studio garantisce che «L’impianto (…) sarà strutturato mediante meccanismi che ne riducono la dispersione di energia ed inquinanti mediante il riutilizzo di acque reflue», ma non dice di quanto verrà ridotta la dispersione, come verranno riutilizzate le acque reflue, e se detti meccanismi ignoti per limitare la dispersione siano anch’essi inquinanti od ad impatto ambientale, impatto che, se viene scritto così, vi sarà eccome, e sull’articolo della Pellizzari si legge pure che verranno prodotti, udite, udite, «per ogni tonnellata di prodotto lavorato tra i 96 ei 130 chilogrammi di Co2», aggiuntivi a quelli già presenti, che andremo a respirare.
E sapete quanto produce una acciaieria mediamente? Così scrivevo tempo da sul mio: No a quell’acciaieria da costruirsi a San Giorgio di Nogaro anche lei comparsa dal cappello del solito prestigiatore su www.nonsolocarnia.info: «La multinazionale Metrinvest M.B. ha dichiarato che emetterà ‘solo’ 100 chilogrammi di Co2 per tonnellata. Ma pensate con le variazioni climatiche in atto, con l’Europa che ci parla di green, cosa significano 100 kg di co2 sparati nell’ambiente per tonnellata di acciaio prodotto, quando una acciaieria può produrre ogni anno anche 97,3 milioni di tonnellate di acciaio. fermiamo questo scempio per noi, per i nostri figli e per i nostri bambini!!!!». Infine per una acciaieria anche che vada a forni elettrici, serve poi metano.
E non mi stanco di riportare da: https://www.udinetoday.it/cronaca/che-impianto-acciaieria-san-giorgio.html queste considerazioni: «Cercando di semplificare, al momento esistono due principali tecnologie per convertire il minerale di ferro, costituito da ossidi di ferro, in acciaio. La più diffusa è la tecnologia mediante altoforno, che usa come combustibile, ed elemento riducente, il carbon coke. Nell’altoforno si produce ghisa liquida che viene poi trasformata in acciaio all’interno di grossi contenitori chiamati convertitori. L’altra tecnologia, già nota da decenni, è quella della riduzione diretta (Dri) unita al forno elettrico. In sostanza il minerale di ferro viene ridotto a Dri (spugna di ferro) che rimane allo stato solido in un reattore in cui si fa fluire un gas riducente (CO+H2) prodotto dal metano. Il Dri è poi alimentato, anche in carica mista con rottame, al forno elettrico dove si completa la trasformazione ad acciaio liquido. La principale differenza tra i due processi è l’agente riducente utilizzato per rimuovere l’ossigeno dai minerali di ferro: l’altoforno, come detto, utilizza carbonio sotto forma di coke metallurgico, mentre gli impianti di riduzione diretta sono normalmente idrogenoalimentati, appunto, con metano. La letteratura esistente, e pubblicazioni anche della stessa Danieli facilmente consultabili, indica consumi di metano per un impianto Dri da 1 milione di tonnellate pari a 280 milioni di metri cubi all’anno. Ovviamente, se la taglia dell’impianto pensato sarà di 4 milioni di tonnellate di coils all’anno, il consumo di metano (comprendendo anche quello al forno elettrico e al laminatoio a valle) potrebbe superare 1.5 miliardi di metri cubi all’anno, che è circa il 2% del consumo nazionale. Il metano non è una risorsa rinnovabile e il suo impiego genera CO2, il gas serra causa principale dell’aumento di temperatura del pianeta».
E scrivevo pure «La letteratura esistente, e pubblicazioni anche della stessa Danieli facilmente consultabili, indica(no) consumi di metano per un impianto Dri da 1 milione di tonnellate pari a 280 milioni di metri cubi all’anno. Ovviamente, se la taglia dell’impianto pensato sarà di 4 milioni di tonnellate di coils all’anno, il consumo di metano (comprendendo anche quello al forno elettrico e al laminatoio a valle) potrebbe superare 1.5 miliardi di metri cubi all’anno, che è circa il 2% del consumo nazionale.
Il metano non è una risorsa rinnovabile e il suo impiego genera CO2, il gas serra causa principale dell’aumento di temperatura del pianeta. Il ciclo riduzione diretta unito al forno elettrico, in questo senso, è meno impattante del ciclo integrato altoforno con cockeria e convertitori che produce mediamente 1,600 kg/ton, mentre il progetto presentato dalla Danieli per la de-carbonizzazione di Taranto con il ciclo di riduzione diretta parla di una riduzione di circa il 50% di CO2, quindi a 800 kg/ton. Benedetti, finora, ha sempre dichiarato che il processo di riduzione diretta potrebbe impiegare idrogeno al posto del metano, limitando quindi al minimo le emissioni di CO2 e producendo il paventato “acciaio green”: al momento, però, questa strada appare impraticabile per gli altissimi consumi energetici necessari per produrre l’idrogeno. Con le attuali tecnologie di produzione servirebbe un parco fotovoltaico di circa 6,500 ettari (65 km2) e batterie di elettrolizzatori enormi con costi stimati per oltre 20 miliardi di euro». (Sull’idrogeno e la sua produzione; sulla acciaieria ucraino-olandese e la metanizzazione della Regione Fvg in: www.nonsolocarnia.info). E di impatto ambientale dell’acciaieria parlava anche il reclame Danieli sul Messaggero Veneto del primo aprile 2023. Infatti così si leggeva ivi: «l’acciaieria prevista per Servola avrebbe avuto un impatto ambientale venti volte superiore a questa ora progettata per Porto Nogaro».
Un’altra chicca riportata dalla Pellizzari è la seguente: «l’unica differenza, rispetto alla situazione attuale, che può apparire significativa è l’incremento dei prisma del Bacino di Porto Buso», ma, secondo la giornalista, lo studio precisa che bisogna tener presente che «variazioni analoghe di prisma possono verificarsi anche a seguito di fenomeni naturali».
Ma con questi chiari di luna climatici a livello naturale tutto ed il contrario di tutto è possibile: anche eventi catastrofici, ed onde altissime mai viste. E per questo la acciaieria sarebbe da sposare subito?
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Cui prodest (a chi giova) l’acciaieria e quanto ci costerebbe in infrastrutturazione e manutenzione poi delle infrastrutture, a meno che non facciamo regali …
In primo luogo, l’acciaieria non serve a noi del Fvg, ma alla multinazionale Metinvest ed alla Danieli per i loro profitti, per far dollari su dollari a meno che non vogliamo menare il can per l’aia come fa la Pellizzari, parlando di giovani di San Giorgio di Nogaro e comuni viciniori che, come i poveri bengalesi a Monfalcone, aspirano solo a diventare lavoratori dell’acciaieria. Ma se i ‘nativi’ ormai aspirano solo a questo tipo di impiego siano caduti davvero in basso. Friulani, svegliatevi! – ma lo avete già fatto.
E io credo che anche l’impianto di rigassificazione, prima previsto per Trieste ora per Grado, poi dal Governo nuovamente per Trieste, fosse stato ipotizzato per servire l’acciaieria. Inoltre gli esperti universitari si dimenticano di calcolare le perdite stratosferiche che si avrebbero nel turismo, e la fine di Grado e Lignano. Inoltre ci sono studi, anche secondo Capozzi, consigliera regionale di M5S, che contestano quelli pagati lautamente dalla Regione. Non solo: sempre secondo detta consigliera i terreni acquistati in zona dall’ente pubblico «devono essere rinaturalizzati a difesa della laguna, motivo per cui sono stati spesi quasi tre milioni di soldi pubblici per acquistarli». (https://udineoggi.news/2023/07/23/acciaieria-a-san-giorgio-di-nogaro-capozzi-m5s-consiglio-regionale-dica-no/).
Invece si chiedono ulteriori 180 milioni di euro nostri per loro, per infrastrutturare la zona ad uso e consumo dell’acciaieria, in sintesi per i profitti di Metinvest, la multinazionale ucraina, Danieli e c. e noi, pantalone, paghiamo, mentre loro guadagnano, e, se la acciaieria verrà realizzata, con la benedizione di mamma Regione. Ma proprio ‘lor signori’ sul reclame pubblicato dal Messaggero Venetoil 1° aprile 2023, ci hanno detto che, in fin dei conti, anche le nuove infrastrutture per l’acciaieria darebbero grandi benedici alla Zona Industriale Aussa Corno, su cui ora gravitano da 150.000 a 200.000 camion all’ anno, per poi apprendere da Giacomina Pellizzari che l’acciaieria ucraina porterebbe ad un movimento annuo di carri pari a 5 volte quello attuale.
PERTANTO GRIDIAMO ALTO E FORTE, ANCORA UNA VOLTA, CHE NOI QUELL’ ACCIAIERIA NON LA VOGLIAMO!
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Infine vi invito a leggere su Friulisera.it l’articolo Capozzi M5s: “Gli studi confermano impatto devastante dell’Acciaieria in Laguna”, oltre i miei su www.nonsolocarnia.info
Lanciamo i dadi: quell’acciaieria a San Giorgio di Nogaro si farà o non si farà?
E per ora mi fermo qui. Senza voler offendere alcuno, men che meno società e professionisti, questo testo che rappresenta solo un mio disquisire su di un articolo, ho scritto.E se avete casoni o attività di pesca nei paraggi temo, se l’acciaieira verrà realizzata, che dobbiate abbandonarli. Attendo critiche e precisazioni a questo mio.
Laura Matelda Puppini.
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P.S. Da Furio Honsell facebook, dopo l’audizione in commissione. 21 settembre 2023.
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L’immagine che accompagna l’articolo è una di quelle da me già utilizzate, è tratta sa Udine today, e rappresenta il progetto dell ‘acciaieria. Laura Matelda Puppini.
Il legame stretto tra l’Università di Udine e Gianpietro Benedetti ha radici lontane, e per questo motivo ritengo che ricerche relative alla fattibilità di un progetto che sta a cuore allo stesso, presidente della Danieli, sarebbe stato opportuno non fossero state affidate all’Università di Udine. Infatti nel 2006, l’11 aprile, Benedetti, già allora presidente e amministratore delegato della Danieli & C. Spa di Buttrio, leader mondiale nella produzione di impianti siderurgici, riceveva dall’università di Udine la laurea honoris causa in Ingegneria gestionale. Il riconoscimento gli veniva assegnato «per le sue capacità organizzative, il contributo personale dimostrato verso l’innovazione tecnologica, per la spinta costante alla ricerca applicata e le idee originali apportate come tecnico progettista.» (https://qui.uniud.it/ateneo/documento2006-04-031835931343/). Nel 2013, sempre l’Università di Udine, nella persona del suo allora rettore Alberto Felice De Toni e l’azienda Danieli di Buttrio, nella persona del suo Presidente, Gianpietro Benedetti, sempre più unite per collaborare nei settori della ricerca, dell’alta formazione e dell’innovazione, firmavano, il 25 ottobre a palazzo Florio, un accordo di collaborazione, “volto a rafforzare e normare la partnership in tutta una serie di iniziative che l’ateneo friulano e l’azienda di Buttrio intendono portare avanti insieme”. In particolare si dava allora, in questo modo, “continuità alla ricerca e allo sviluppo tecnologico per l’industria siderurgica, anche incrementando le collaborazioni internazionali e la possibilità di partecipare a progetti di ricerca europei. Ulteriore impulso sarebbe stato dato, in futuro, alle forme di coinvolgimento diretto degli studenti con stage, tesi e borse di ricerca”. E così De Toni, rettore:”L’università di Udine e l’azienda Danieli di Buttrio collaborano insieme già da tanti anni e con iniziative di vario tipo. Da oggi però questa alleanza si rafforza per diventare una collaborazione strategica a lungo termine”. “Alla firma erano presenti anche Ester Iannis, dirigente dell’istituto Malignani di Udine, Gianfranco Marconi, direttore del Centro ricerche Danieli, Paola Perabò e Massimo De Liva della Danieli, oltre ai docenti e ai ricercatori maggiormente coinvolti nel progetto Danieli: oltre a Sartor e Tonchia, Denis Benasciutti, Luca Casarsa, Maria Chiarvesio, Francesco De Bona, Lorenzo Fedrizzi e Paolo Gardonio”. (https://qui.uniud.it/ateneo/articolo2013-10-254446279508/).