Marco Puppini. Partigiani come causa di tutti i guai: L’assedio della Carnia di Igino Piutti.
Dal 1989, anno della caduta del muro di Berlino, a livello europeo si è cominciato a riscrivere la storia degli ultimi settant’anni, con l’obiettivo in particolare di delegittimare regimi ed organizzazioni partigiane, comuniste, antifasciste uscite vittoriose al termine della seconda guerra mondiale. In Italia in realtà questo è avvenuto già a partire dalla fine della guerra stessa, ad opera di giornalisti e politici legati a forze di destra, favoriti proprio dal clima di democrazia e libertà risultato della vittoria delle forze antifasciste. Dagli anni Novanta, dopo la salita al governo di personaggi come Berlusconi, la fine del PCI, lo sdoganamento degli “eredi” del partito fascista, la tendenza di tanti a salire rapidamente sul carro del vincitore, ambiti e influenza del cosiddetto “revisionismo storico” sono cresciuti. Ma nella maggior parte dei casi, questa “revisione” si basa su supposizioni, illazioni, chiacchiere ed una buona dose di “veleno”. Se poi si va a scoprire le carte, crolla il palco.
Ciò è accaduto più volte nella nostra regione e cito a memoria gli episodi che conosco più da vicino. Alla fine degli anni Novanta certa stampa aveva lanciato una campagna sull’esistenza ad Aquileia di una fossa comune contenente i resti di molte persone uccise da partigiani. Quando si andò a scavare nel luogo indicato, si scoprirono ossa di animali e nient’altro, obbligando i promotori della campagna ad una rapida retromarcia. Si sono indicati un partigiano ed un dirigente comunista dell’Isontino come responsabili di due diversi fatti criminosi, salvo poi accorgersi che nel momento in cui quei fatti venivano compiuti, uno era nel carcere di Palmanova sotto le torture, e l’altro incarcerato dal Governo Militare Alleato.
In tempi recenti è stata avviata dalla Lega Nazionale di Gorizia tramite il Messaggero Veneto una nuova campagna di stampa sull’esistenza di una foiba a Rosazzo contenente i resti forse di ottocento vittime. È stata interessata l’autorità giudiziaria. Nonostante le ricerche la foiba non è stata trovata. Siamo arrivati al punto in cui i “revisionisti” non vogliono più che vengano fatte ricerche atte a verificare la correttezza delle loro affermazioni. È il caso della foiba di Basovizza, che alcune personalità interessate a questi fatti hanno chiesto di recente che venga riaperta per verificare se veramente sul fondo giacciano migliaia di vittime, ricevendo rifiuti e denunce (vedi dossier n.14 de La Nuova Alabarda dal sito www.diecifebbraio.info). Questo non significa che deportazioni ed uccisioni, che una resa dei conti alla fine della guerra non ci sia stata. Significa che questi temi devono essere affrontati con molta maggiore serietà e minore intento politico e scandalistico. Libri revisionisti tanto polemici quanto poco documentati continueranno però ad essere scritti. Chi per motivi ideologici, o familiari, vuole scrivere o leggere che i partigiani erano delinquenti o inutili idioti continuerà a scriverli e leggerli. Ma chi, qualunque opinione abbia, è interessato ad un libro di storia, smetterà di leggere dopo le prime pagine pentendosi per l’incauto acquisto.
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Questa lunga premessa per dire che il libro di Piutti L’assedio della Carnia. 1943 – 45. Riflessioni, Udine, Aviani, 2014, rientra a mio parere nel tipo di libri che ho appena descritto. Certo, l’autore mette subito le mani avanti. “Non ho la pretesa di avere scritto la vera storia” scrive Piutti (p.6), e anche “Il mio non vuole essere, e non è, un saggio sulla Resistenza in Carnia” (p.8). Ma nel contempo scrive che vuole aiutare qualcuno a scrivere la verità “con maggiore onestà intellettuale di quella che sin qui si è usata” (p.9), verità che è stata coperta “da cumuli di retorica, strumentalizzazioni di parte, interessi personali a nascondere, falsificazioni a scopo politico” (p.8).
Vuole mettere a confronto quella che chiama verità ufficiale con una “altra verità”, la sua, ed arrivare così alla “verità autentica. Una verità oggettiva” (p.11). L’intento è quindi molto ambizioso ma la scorciatoia evidente: si vuole arrivare comunque, evitando di affaticarsi maneggiando fonti e documenti, a diffondere una “verità autentica” sulla base di riflessioni e giudizi personalissimi. Dal momento che ogni pagina è piena di tali giudizi, ne darò qui solo una breve rassegna commentata. Non è possibile infatti, a meno di non voler scrivere un altro libro, approfondire ciascun tema toccato dall’autore.
I partigiani secondo Piutti non erano idealisti, erano giovani che per opportunismo e per imboscarsi avevano scelto le formazioni partigiane invece di arruolarsi con i tedeschi. Perché? Perché erano cresciuti “alla scuola del Fascio” (p.23) e per Piutti gli ideali si possono imparare solo a scuola o essere calati dall’alto. In realtà si possono imparare anche in famiglia. Oppure dall’esperienza, come è accaduto a molti osservando la corruzione che regnava in Italia all’epoca, o in Africa Orientale, e lo sfacelo dei fronti russo e greco. C’è chi ha scelto perché si è reso conto, da solo o per tradizione familiare, che era in corso uno scontro mondiale da cui dipendeva la civiltà futura, e di fronte allo sfacelo, che tutti stavano pagando, di un’intera classe dirigente, ha cercato di prendere la situazione in mano. “Come avremmo potuto guardarci allo specchio se non avessimo in quel momento fatto niente?” mi ha raccontato ad esempio Romano Marchetti. Ed ha scelto anche chi, messo alle strette dai bandi di arruolamento nell’esercito nazista, di fronte all’obbligo di dare e ricevere la morte per sostenere gli ideali nazisti, ha preso la decisione più difficile, quella di disobbedire ed arruolarsi nell’esercito partigiano. Molti di questi giovani che secondo Piutti giocavano alla guerra, la avevano in realtà già vissuta perché inviati dal regime fascista sui fronti russo e greco -albanese. E molti di loro sono morti combattendo come partigiani, o hanno subito violenze che hanno portato per sempre nel corpo e nella psiche, e mi pare francamente offensivo descriverli come imboscati ladri di formaggio.
Ma è proprio la loro scelta che infastidisce Piutti. L’affermazione centrale del suo lavoro, più volte ripetuta, è: se i partigiani non ci fossero stati, o non avessero fatto niente, la Carnia avrebbe evitato guerre e lutti. Secondo lui i responsabili di tutte le disgrazie, dei morti, della fame, sono i partigiani. Va detto subito che questa affermazione trascura un fatto importante: nel 1944 quando iniziano ad operare le formazioni partigiane, la Carnia era già in guerra da quattro anni ed aveva già subito perdite e lutti. Stando a calcoli sommari che ho fatto sulla scorta degli elenchi dei caduti pubblicati dall’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, nell’ottobre 1943 erano già caduti sui vari fronti 732 militari “carnici” (residenti in Carnia), numero maggiore della somma di tutti i civili, i partigiani ed i militi fascisti “carnici” morti dopo l’8 settembre. Morti di cui è stato responsabile ultimo il regime fascista, con la sua scelta di entrare in guerra. E se i partigiani non ci fossero stati, i giovani arruolati a forza dai tedeschi e mandati sui vari fronti sarebbero ugualmente morti, le razzie tedesche ci sarebbero ugualmente state perché i tedeschi dovevano rifornire il loro esercito in crisi su molti fronti, e così via.
Certo, per Piutti la Carnia poteva tacere e nascondersi, indifferente a chi avrebbe vinto la guerra (nazismo o democrazia) e pronta magari alla fine a saltare sul carro del vincitore. Ma non avrebbe in questo modo evitato lutti ed impoverimento.
I partigiani secondo Piutti non hanno avuto una strategia e hanno combattuto per liberare una zona di scarsa importanza come la Carnia. In realtà le sue argomentazioni su questo punto appaiono contraddittorie, perché afferma pure che in ogni caso la Carnia avrebbe sofferto la guerra perché era importante sia per i collegamenti con la Carinzia sia come zona dove l’esercito nazista aveva l’opportunità di rifornirsi (p. 101). Non può pertanto accusare i partigiani di aver combattuto per mere ragioni di principio: la liberazione della Carnia privava i nazisti di una zona comunque importante e provocava loro danno, accelerando la conclusione della guerra e dando un contributo agli sforzi della coalizione internazionale antifascista. Anche la liberazione di una regione dove i partigiani potevano riorganizzarsi, curarsi, rifornirsi e dimostrare che era possibile organizzare una vita sociale su basi molto diverse da quelle fasciste dava evidentemente fastidio.
L’attività di guerriglia partigiana prevede, sempre stando a Piutti, come inevitabile conseguenza la rappresaglia indiscriminata sulla popolazione (p.37), e quindi la causa delle stragi naziste e fasciste sono ancora una volta i partigiani. L’affermazione in linea di principio è falsa. Anche la guerra non di guerriglia prevede uccisioni indiscriminate di civili, almeno a partire dai bombardamenti sulle città inaugurati dall’aviazione nazista e fascista durante la guerra di Spagna e poi realizzati nella seconda guerra mondiale da tutte le aviazioni in conflitto.
È vero che in Carnia c’è stata poca attività di bombardamento. Ma che dire di cittadine situate a pochi chilometri da Tolmezzo, ad esempio di Venzone, dove su 46 vittime civili della guerra ben 33, circa due terzi, donne e bambini compresi, sono stati causate da bombardamenti subiti dalla cittadina? Oppure di Osoppo, dove dei 52 civili vittime di guerra ben 50, quasi tutti, sono stati vittime di bombardamento aereo nella stessa Osoppo? A Gemona quasi la metà delle vittime civili, 26 su 53, sono morte per bombardamento aereo. Sono morti crudelissime, che hanno riguardato anche bambini piccoli talvolta assieme ai genitori.
Riguardo le rappresaglie tedesche in risposta ad azioni partigiane, va detto che delle azioni commesse è responsabile chi le ha compiute e non altri. Dell’ondata di stupri compiuti dalle truppe coloniali francesi (marocchine) guidate dal generale gaullista Juin in Ciociaria dopo lo sfondamento alleato della linea Gustav, (citata a p. 104) sono responsabili i francesi ed il loro comandante, nessuno incolpa i tedeschi perché avrebbero dovuto ritirarsi senza combattere rendendo inutile la concessione di un “bottino di guerra”. In Carnia, i responsabili dell’incendio di Fornidi Sotto, della strage di Pramosio ecc. e degli stupri ad opera dei cosacchi seguiti la riconquista nazista della Zona Libera sono i nazisti, che hanno deciso di rispondere in quel modo alle azioni partigiane, i comandi cosacchi che hanno lasciato che i loro uomini ritenessero le donne carniche prede di guerra, gli italiani fascisti che collaboravano con loro, non altri.
Quando Piutti tratta del fallimento del comando unico tra Garibaldi e Osoppo, mostra una ignoranza dei fatti che finisce per buttare fango su tutti i partigiani carnici, di tutte le formazioni. Il comando unico non si è realizzato in Carnia per le manovre ed i traffici politici di una parte della Osoppo provinciale nonostante la buona volontà degli osovani locali. Il comandante osovano Barba Livio non è stato allontanato dalla Carnia per il suo modo intransigente di fare la guerra, come fa capire Piutti (p. 35) ma sempre a causa delle suddette manovre (e comunque è stato spostato a Tarcento, in una zona delicata ai confini con la Resistenza slovena). Il successivo comando unico non è stato realizzato sempre per i traffici politici di alcuni dei vertici della Osoppo, non a seguito del processo a “Tredici” (come il nostro suggerisce a p. 66). Pare che Piutti ignori completamente le divisioni politiche interne alla Resistenza seguite ai cosiddetti “fatti di Pielungo”.
I partigiani sono responsabili della fame di quei mesi. Perché? Se è vero che hanno operato requisizioni per nutrirsi, pagando con denaro o buoni di prelevamento (i cui importi sono stati riscossi da privati e ditte in Prefettura dopo la guerra) hanno nel frattempo sabotato e fatto fallire le requisizioni, gli ammassi organizzati dai tedeschi che dovevano rifornire il loro esercito in difficoltà. Certamente dopo la formazione della Zona Libera i nazisti hanno cercato di isolarla, bloccando gli scambi con la pianura, mentre i partigiani – consci del problema – hanno creato un loro “corridoio” nella zona del Monte Rest.
Stando a Piutti, i partigiani sarebbero in ultima analisi responsabili anche del saccheggio delle risorse conseguenti all’insediamento nell’autunno 1944 dei cosacchi. Se non c’erano i partigiani non arrivavano i cosacchi chiamati a combatterli, ipotizza. Ma perché, se i cosacchi avevano quello scopo, non sono stati inviati in Slovenia dove la presenza partigiana era ancora più forte rispetto alla Carnia? I cosacchi non erano solo soldati, avevano al seguito migliaia di civili, erano una popolazione, uomini, donne e bambini, che andava ad insediarsi nella promessa seconda patria. La zona prescelta doveva pertanto essere idonea, avere spazi e risorse adatti all’insediamento di decine di migliaia di persone e di animali. Non a caso prima della Carnia era stata loro proposta la Carinzia (dove la presenza partigiana non è mai stata molto forte), poi scartata perché i nazisti non volevano ospitarli in territori di lingua tedesca (lo apprendo dai libri di Fabio Verardo).
La scelta della Carnia rispondeva a diverse ragioni, non solo e tanto alla presenza partigiana da eliminare ma anche alle risorse, alla conformazione, alla posizione. Ovviamente, una volta scelta la zona di nuovo insediamento, avevano il compito di collaborare a ripulirla dai partigiani.
Ancora: il governo della Zona Libera non avrebbe realizzato tutte le riforme descritte in molti libri. Non il voto alle donne perché votarono i capifamiglia (che nel caso di assenza dei maschi, molto probabile in tempo di guerra, erano le donne). In Italia le donne non avevano mai votato, né col fascismo né prima, in questa situazione ed in clima di guerra, il governo partigiano in realtà ha fatto in quel momento ed in quel contesto quanto di meglio poteva ed era straordinariamente innovativo. Per quanto riguarda la pena di morte, in tutte le legislazioni esiste una differenza fra stato di guerra e situazione di pace. Il governo della Zona Libera ha abolito la pena di morte dalla legislazione di pace, pena di morte come Piutti sa bene che era stata tolta dalla legislazione italiana nel 1889 ma reintrodotta dal regime fascista nel 1926 contro gli oppositori politici ed applicata in una decina di casi, estesa dal codice Rocco del 1930 anche ad alcuni gravi reati comuni. Non poteva toglierla dalla legislazione di guerra.
L’esperienza della Zona Libera è stata innovativa, democratica, ed ha anticipato certe affermazioni della Costituzione. La successiva ritirata di fronte alle truppe naziste dell’autunno del 1944 è stata contrariamente a quanto afferma Piutti, intelligente e flessibile, non difesa rigida come invece le formazioni partigiane avevano tentato nel Friuli Orientale con esiti tragici. Il fatto è dimostrato dal numero relativamente ridotto di vittime sia partigiane che civili che si è avuto in quella occasione, desumibili dai succitati elenchi dell’Istituto Friulano.
Infine, Piutti scrive spesso di un “fanatismo comunista” che sarebbe sfociato (forse) nell’uccisione di chi comunista non era o lo era in modo “eretico”. Qui c’è un singolare rovesciamento di frittata. Perché i morti non in combattimento ma a causa di spiate e intrighi sono proprio i comandanti comunisti, molti dei quali pure “ortodossi”, non gli altri. Guerra, Nembo, Crucchi, Gracco, erano comunisti con largo passato antifascista, Aso (caduto in battaglia come pure Arturo) aveva un passato anarchico e anch’egli una larga esperienza antifascista. Solo Mirko, tra i nomi citati da Piutti, è stato ucciso da altri partigiani, per ragioni a mio parere ancora da indagare. I conti non tornano, qui vanno studiati seriamente fatti ed episodi che hanno portato all’eliminazione di una serie di quadri comunisti (e alla loro denigrazione, durata a lungo dopo la morte) invece di fantasticare di una resa dei conti interna al partito di cui non si hanno né si portano prove.
Mi fermo qui evitando altri commenti su questo libro che non è un libro di storia, non vuole esserlo, ma una scatola piena di giudizi “velenosi”. Chi volesse capire di più sui temi trattati andando oltre i giudizi e le valutazioni, mi pare non trovi qui proprio nulla.
Marco Puppini
https://www.nonsolocarnia.info/marco-puppini-partigiani-come-causa-di-tutti-i-guai-lassedio-della-carnia-di-igino-piutti/https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2017/08/assediocarnia-144x200.jpg?fit=144%2C200&ssl=1https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2017/08/assediocarnia-144x200.jpg?resize=144%2C150&ssl=1STORIADal 1989, anno della caduta del muro di Berlino, a livello europeo si è cominciato a riscrivere la storia degli ultimi settant’anni, con l’obiettivo in particolare di delegittimare regimi ed organizzazioni partigiane, comuniste, antifasciste uscite vittoriose al termine della seconda guerra mondiale. In Italia in realtà questo è avvenuto...Laura Matelda PuppiniLaura Matelda Puppinilauramatelda@libero.itAdministratorLaura Matelda Puppini, è nata ad Udine il 23 agosto 1951. Dopo aver frequentato il liceo scientifico statale a Tolmezzo, ove anche ora risiede, si è laureata, nel 1975, in filosofia presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Trieste con 110/110 e quindi ha acquisito, come privatista, la maturità magistrale. E’ coautrice di "AA.VV. La Carnia di Antonelli, Centro Editoriale Friulano, 1980", ed autrice di "Carnia: Analisi di alcuni aspetti demografici negli ultimi anni, in: La Carnia, quaderno di pianificazione urbanistica ed architettonica del territorio alpino, Del Bianco 1975", di "Cooperare per vivere, Vittorio Cella e le cooperative carniche, 1906- 1938, Gli Ultimi, 1988", ha curato l’archivio Vittorio Molinari pubblicando" Vittorio Molinari, commerciante, tolmezzino, fotografo, Gli Ultimi, Cjargne culture, 2007", ha curato "Romano Marchetti, Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona, una vita in viaggio nel Novecento italiano, ed. ifsml, Kappa vu, ed, 2013" e pubblicato: “Rinaldo Cioni – Ciro Nigris: Caro amico ti scrivo… Il carteggio fra il direttore della miniera di Cludinico, personaggio di spicco della Divisione Osoppo Carnia, ed il Capo di Stato Maggiore della Divisione Garibaldi Carnia, 1944-1945, in Storia Contemporanea in Friuli, n.44, 2014". E' pure autrice di "O Gorizia tu sei maledetta … Noterelle su cosa comportò per la popolazione della Carnia, la prima guerra mondiale, detta “la grande guerra”", prima ed. online 2014, edizione cartacea riveduta, A. Moro ed., 2016. Inoltre ha scritto e pubblicato, assieme al fratello Marco, alcuni articoli sempre di argomento storico, ed altri da sola per il periodico Nort. Durante la sua esperienza lavorativa, si è interessata, come psicopedagogista, di problemi legati alla didattica nella scuola dell’infanzia e primaria, e ha svolto, pure, attività di promozione della lettura, e di divulgazione di argomenti di carattere storico presso l’isis F. Solari di Tolmezzo. Ha operato come educatrice presso il Villaggio del Fanciullo di Opicina (Ts) ed in ambito culturale come membro del gruppo “Gli Ultimi”. Ha studiato storia e metodologia della ricerca storica avendo come docenti: Paolo Cammarosano, Giovanni Miccoli, Teodoro Sala.Non solo Carnia
“I partigiani secondo Piutti non erano idealisti!” Da abile polemico! Io però non l’ho mai detto. C’erano degli idealisti, c’erano degli imboscati, e c’era anche chi approfittava dela situazione senza leggi. Che l’idealismo dei primi debba coprire i misfatti dei secondi mi sembra venga proprio a danno del Movimento e dei suoi valori. Questo sarebbe “veleno”? A me pare che dalla mitologia del fascismo si sia passati alla mitologia della Resistenza, mentre (almeno da sinistra) assieme alla vicende dei protagonisti, sarebbe il caso di ricostruire la storia della Resistenza come vissuta dalla gente di Carnia. Possibile che solo a me siano arrivate testimonianze come :”E’ stato più facile convivere con i Cosacchi che con i Partigiani” Perchè nessuno si prende la briga di ricostruire ciò che è avvenuto a Salvins? Perchè fingere una impossibile resistenza ad ottobre? Come ha comandato Tredici la battaglia di ottobre? Quanti erano con Arturo ad affrontare i Tedeschi a Nojaris? Perchè girano libri intitolati “La repubblica partigiana della Carnia e dell’Alto Friuli”, mai esistita. Perchè invece della presunta abolizione della pena di morte non si riportano gli uccisi non per altro che per essere stati fascisti e quindi per un reato d’opinione? Perchè non si parla dei Cosacchi trucidati ad Avasinis dopo che avevano deposto le armi (vigente l’abolizione della pena di morte sancita ad Ampezzo!).Perchè la follia di Ovaro? Perchè? Perchè? …..Perchè Matelda con la pazienza e la scrupolosità che la contraddistingue (che io non ho!) non fa una ricerca e quindi un bel libro su “Come si ricorda e si parla della Resistenza nei paesi della Carnia”?
La ricerca che Lei mi propone non ha senso, per i limiti dell’uso delle fonti orali, già da me evidenziati nel mio “L’uso delle fonti orali nella ricerca storica. La storia di pochi la storia di tanti”, pubblicato su: storiastoriepn.it l’8 agosto 2013, ed anche in una lettera al Messaggero Veneto del 28 dicembre 2013. Pare poi che a suo avviso la società locale non sia cambiata nel e dal secondo dopoguerra, non vi sia stato fenomeno alcuno di demonizzazione delle sinistre e via dicendo e le consiglio un paio di volumi interessanti nel merito: Giacomo Pacini “Le altre Gladio” Einaudi ed. 2014, e Ferdinando Imposimato, La repubblica delle stragi impunite, Newton Compton ed. 2012. Inoltre i fatti devono venir correttamente contestualizzati. Per quanto riguarda Ovaro, è chiaro che l’ordine di far saltare la caserma di Chialina fu un errore tattico della nuova dirigenza della Osoppo Carnia, il cui comandante era, da poco, il cattolico di Colugna Paolo – Alessandro Foi. Infine non esisteva frattura fra popolazione e partigiani perché questi non erano foresti, ma padri, fratelli, cugini, mariti, figli di coloro che erano rimasti nei paesi, definiti popolazione.
Non potendomi permettere di fare commenti in quanto manco della necessaria competenza in materia, mi limito a due affermazioni incontestabili che mi riguardano: se sono rimasto orfano lo devo alla caccia che i reparti speciali nazisti diedero ai partigiani (malga Cordin Grande-19 luglio 1944); se ora posso essere qui a leggere e a scrivere lo devo ad un cosacco (chiamato da mia mamma “Pieri Mucul”) che, di fronte alla terrificante impotenza di mamma e nonno, prese prontamente in mano la situazione e mi salvò da sicura brutta morte.
Mandi
dott. Mongiat, la ringrazio per averci narrato la sua esperienza di vita, ma come Lei ben riconosce, una cosa è una storia personale, altro è una analisi storica di fatti che hanno coinvolto milioni di uomini nella seconda guerra mondiale con il prima ed il poi, ed al suo interno nella guerra di Liberazione dal nazismo che fu europea. E mi pare importante riflettere su queste parole di Paola Del Din, partigiana: “Noi non abbiamo combattuto per vincere la guerra, per fare gli eroi, ma per affermare un principio. Eravamo il simbolo di un popolo che rompeva con il passato […], che si ribellava al sopruso, alla violenza di chi, con la forza, intendeva imporre le proprie idee, la propria volontà. In queste piane parole è rinchiusa l’essenza dell’unità della Resistenza: non nelle ideologie e nei partiti, che non conoscevamo, ma nella coscienza della dignità personale di ciascuno di noi stavano l’aspirazione e la speranza della rinascita dell’Italia. (…). La catastrofe che si era abbattuta sulla nostra Patria non era nei nostri animi, ma nel sistema politico nel quale la pusillanimità degli anni venti ci aveva fatto precipitare”. (25 aprile” Festa della Liberazione. Paola Del Din: Noi non abbiamo combattuto per fare gli eroi …, in: https://www.nonsolocarnia.info).
Si possono scrivere libri utilizzando le fonti orali dei protagonisti. Quando le fonti orali riguardano chi ha subito come nel caso di Mongiat, allora restano fatti personali non utilizzabili per la ricostruzione storica. A qualcuno non viene il dubbio che in questo modo al fascismo abbiamo solo cambiato colore? Rispondendo all’appello di Paola Del Din, ribelliamoci a “chi intende imporre le proprie idee”, rivendichiamo la libertà di opinione e quindi il diritto/dovere di riscrivere l’altra faccia di questa pagina della nostra storia: Dopo aver raccontato tanto dalla parte dei protagonisti, raccontiamo la storia dalla parte della gente che l’ha subita. Questo ho cercato di fare (con i miei limiti!) in “Assedio della Carnia” ed ora, (in forma romanzata ma meno fantasiosa di certe “testimonianze” in circolazione) in “Il partigiano Gianni” finalmente in edicola per merito dell’Editore Aviani..
Sull’uso delle fonti orali nella storia ho già, da storica e non autrice di pensadinis, detto ove si può trovare un mio articolo documentato. E la metodologia scientifica anche applicata all’ analisi storica è cosa nota e non da me inventata. Che poi uno in Italia possa pubblicare quello che vuole se ha i soldi per farlo, è altro argomento. Per cortesia poi, Piutti, non usi suoi commenti per fare propaganda neppure tanto velata ad un suo libro che io neppure conosco e non intendo leggere.
Piutti, le faccio un esempio. Se lei vuole descrivere per esempio il terremoto di Ischia e cosa lo ha causato, non può solo andare ad intervistare due persone e chiedere il loro parere personale sull’evento e la sua causa, senza magari sapere se fossero turisti, pompieri accorsi, o isolani. Come ha visto poi anche nei servizi in genere intervistano sia l’uno che l’altro e si tratta non di storia ma di giornalismo. E neppure un giornalista scriverebbe solo su una o due fonti orali, sottoposte non solo al proprio punto di vista, ma anche all’emotività, un pezzo esaustivo sul terremoto di Ischia. Pensi solo alle responsabilità dell’accaduto ( dei crolli e dei morti non della scossa): uno potrebbe dire che è causa del governo che non ha mai fatto prevenzione, uno del comune che ha concesso di costruire qui o là, uno di chi ha venduto materiali edili scadenti, e via dicendo. Infatti vi è la storia pregressa anche sismica dell’isola, il fatto che essa si trova in una precisa area geografica che comprende il Vesuvio e i Campi Flegrei, una storia di abusivismo edilizio e di costruzione con materiali scarsi, aspetti non noti però al turista che era lì.
Riprendendo il caso di Ischia, oggi la stampa ha riportato che abitanti e commercianti di Ischia se la sono presa con i giornalisti accusandoli di dir male dell’ isola per via dell’abusivismo e del condono edilizio e sostenendo che in fin dei conti, par di capire, non è successo quasi nulla. (“I giornali mistificano”, ma i turisti tornano, in: Il Fatto Quotidiano, 24 agosto 2017). Pertanto alcuni possono sostenere una tesi anche davanti ad una realtà lampante per proprio tornaconto, ed a fine di immagine.