No all’Italia degli staterelli e dell’autonomia differenziata in chiave neoliberista.
Le Regioni Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta dispongono già di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale.
Ma l’articolo 117 della Costituzione Italiana, modificato nel 2001, prevede altre forme di autonomia regionale all’interno dello stato italiano.
In particolare esso definisce le competenze dello Stato e quelle che le Regioni possono attribuire a sé. Lo stato è competente per tutta la nazione in materia di: politica estera; immigrazione; organizzazione ed uso delle forze armate; bilanci, finanza, moneta; ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali; ordine pubblico e sicurezza ad esclusione della polizia amministrativa locale; anagrafe; diritti dei cittadini; giustizia penale ed amministrativa; istruzione e previdenza sociale; elezioni; difesa dei confini; pesi, misure e coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale; beni culturali e tutela dell’ambiente. (sintesi da: https://www.senato.it/1025?sezione=136&articolo_numero_articolo=117).
Sono materie concorrenti tra Stato e regioni, quelle relative ai: rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. (Ivi).
Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. (Ivi). Inoltre l’art. 116 della costituzione, modificato anch’esso, specifica che: Il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige e la Valle d’Aosta dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale.
Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata. (https://www.senato.it/1025?sezione=136&articolo_numero_articolo=116).
L’articolo 119 così recita: «I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione [53 c.2] e secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio. La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante. Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite.
Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i princìpi generali determinati dalla legge dello Stato.
Possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento, con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio.
È esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti». (https://www.senato.it/1025?sezione=136&articolo_numero_articolo=119).
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Queste modifiche alla Costituzione, che la cambiano integralmente in senso federalista, (https://www.simone.it/appaltipubblici/merloni/regioni/regioni.htm) sono state approvate con la Legge costituzionale 3/2001 in vigore dall’8 novembre 2001, che ha riscritto l’intero Titolo V della Parte Seconda della Costituzione, senza prevederne prima possibilità reale di applicazione ed esiti.
A me pare, che sia sulla base della lunghezza in genere presente per esempio in norme relative all’ambiente, sia nella fumosità di alcune leggi, sia nella mancanza di capacità di prevederne la reale possibilità applicativa, siamo giunti in Italia a più legislatori che hanno come riferimento non i reali problemi dello Stato ma il meraviglioso mondo di Amelie o ancora meglio il paese delle meraviglie di Alice, dove la realtà si adatta al desiderio ed alla norma , non l’opposto. Ma qui siamo nel mondo reale.
Materie delicate, poi, quali i lavori pubblici, sono variabilmente ascritti quali competenza regionale o statale.
Ora chi ha modificato integralmente il titolo V della Costituzione è stato uno dei governi Berlusconi, quello formato da una maggioranza alla camera composta da: Forza Italia, Alleanza Nazionale, CCCD-CDU, Lega Nord e Nuovo Psi; al senato da una maggioranza composta dalle stesse forze politiche con l’aggiunta di Partito Repubblicano Italiano e Alleanza Nazionale. (I https://it.wikipedia.org/wiki/Governo_Berlusconi_II). Insomma allora l’Italia era governata dalla destra assieme all’ estrema destra filo- fascista.
E, nella composizione del governo di allora, si nota come il numero maggiore di ministri, con in aggiunta il Presidente del Consiglio Berlusconi, provenissero dalla Lombardia, seguita dal Lazio.
Leggendo poi i nomi dei ministri e sottosegretari, ormai non pare più solo portaborse, si nota come Forza Italia avesse allora una netta predominanza, seguita però da Alleanza Nazionale e dalla Lega. Del governo facevano parte: per la Lega Calderoli e Bossi, per il Centro cristiano democratico Giovanardi e Follini; vicepresidente del consiglio era Gianfranco Fini di An, e il ministro per gli italiani nel mondo era Tremaglia, sempre dello stesso partito, mentre fra i ministri di Forza Italia comparivano Scajola, Pisanu e La Loggia, Frattini e la Prestigiacomo. Ma l’elenco non è completo, e se volete leggere tutti gli uomini al potere allora basta che consultiate: https://it.wikipedia.org/wiki/Governo_Berlusconi_II, come ho fatto io.
Insomma Silvio Berlusconi sdoganava di fatto i neofascisti di A.N. (eredi del M.S.I.) e Fiamma Tricolore, e quindi Governo e Parlamento modificavano subito la costituzione, stravolgendo lo Stato, senza prevederne le reali ricadute. Ed appare proprio strano che Partiti che hanno dichiarato sempre di sostenere la Nazione, che si chiamano Forza Italia e Avanguardia Nazionale, abbiano provveduto a smantellare l’unità dello Stato, proponendo di fatto una sorta di federalismo discutibilissimo, e che può portare solo ulteriori problemi agli italiani, che per ora si sentono ancora tali. Perchè anche gli aspetti psicologici sono importanti.
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Ma, come ci ricorda Leonzio Rizzo nel suo: “Cosa dice la legge quadro sull’autonomia differenziata”, in: https://www.lavoce.info, «I governi precedenti non avevano pensato di incardinare in una legge quadro i principi generali secondo cui dovrà essere attuata l’autonomia differenziata regionale ai sensi dell’articolo 116 terzo comma della Costituzione, ma tra regioni e presidenza del Consiglio erano state siglate pre-intese sulle quali il Parlamento si sarebbe dovuto esprimere solo in fase di approvazione. Questo modo di procedere ha suscitato parecchie perplessità, proprio per lo svuotamento del ruolo del Parlamento in fase propositiva».
Ed ancora: «[…] la legge quadro stabilisce i criteri di base su cui un commissario – assieme a un gruppo tecnico e di esperti con l’ausilio della Sose, (Soluzioni per il Sistema Economico, spa) dell’Istat e della Commissione tecnica sui fabbisogni standard – dovrà lavorare sui livelli essenziali delle prestazioni, gli obiettivi di servizio e i fabbisogni standard. (…). Se poi entro dodici mesi dall’entrata in vigore della legge non saranno stati determinati i livelli essenziali delle prestazioni, gli obiettivi di servizio e relativi fabbisogni standard, le risorse saranno attribuite “sulla base del riparto delle risorse a carattere permanente iscritte nel bilancio dello stato a legislazione vigente”.
Gli accordi siglati tra regioni e governo dovranno poi essere vagliati dalla Commissione sul federalismo fiscale, dalla Commissione affari regionali e da quelle competenti in materia, che esprimeranno il proprio parere entro sessanta giorni. I pareri dovranno essere recepiti da regioni e governo ed entrare a far parte del testo definitivo delle intese». (Ibid).
Ora la proposta di testo di legge sull’ autonomia differenziata del ministro Francesco Boccia, si è fermata, ma è emblematico che avesse riscosso i favori di Emilia Romagna e Lombardia, ed invece l’opposizione di Luca Zaia della Lega. (Massimo Villone, La debole proposta del ministro Boccia, in: Il Manifesto, 19 dicembre 2019). E dato che così è, un motivo ci dovrà pur essere.
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Ma non è solo il noto leghista ad avere qualche perplessità sul testo della legge quadro. Anche Massimo Villone, prima dei Ds, poi di Sinistra Democratica, professore emerito di Diritto costituzionale nell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”.
Scriveva Massimo Villone il 4 dicembre che la proposta di legge quadro Boccia si regge sull’articolo 1, che impegna lo Stato a rispettare alcuni parametri nella sottoscrizione dell’intesa tra Stato e Regioni, precludendo la stipula di intese non conformi alle prescrizioni della legge-quadro. In tal modo si intendeva, certamente, assicurare stabilità e uniformità di trattamento per tutte le regioni. Ma «Dov’è il punto debole? Anzitutto, nel fatto che le intese sono approvate a loro volta con una diversa e successiva legge, specificamente prevista dall’art. 116 della Costituzione. Se venisse stipulata un’intesa non conforme ai dettati della legge quadro, tale difformità verrebbe coperta e sanata con la legge successiva che approva l’intesa. Un governo, magari espressione di una diversa maggioranza, che volesse favorire questa o quella regione, non incontrerebbe alcun insuperabile ostacolo». (Massimo Villone, La legge-quadro è un ponte assai fragile, Il Manifesto il 4 dicembre 2019).
Non solo: l’articolo 1, comma 1, lettera d), sembra stabilire che le funzioni dallo stato alle regioni siano trasferite solo dopo la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (lep) e dei fabbisogni standard regionali. Mancando i lep, trascorsi dodici mesi, le funzioni sono trasferite in base alla spesa storica. Ma ci sono regioni che trarrebbero vantaggio da un computo finanziario sulla base della spesa storica, anche se magari il dato è stato computato anche tenendo conto di spese superflue, e che ci guadagnerebbero dal fatto che i lep non venissero mai determinati. (Ivi). Ed «È questa essenzialmente – continua Villone- la ragione per cui i lep sono rimasti nel cassetto per quasi vent’anni. Ed è ormai provato oltre ogni ragionevole dubbio, e contro la vulgata generale, che la spesa storica ha favorito e favorisce le regioni del Nord. Inoltre i parametri utilizzati nella legge sono tanto generici da poter rimanere di fatto ininfluenti, o da recare danno». (Ivi).
«Per di più, nelle materie di competenza concorrente si tratta di quote della potestà legislativa statale di principio. La legge-quadro consente che lo stato in futuro abbia il potere di dettare leggi di principio per alcune regioni, ma non per altre. Con quali effetti sul sistema paese?
Il punto debole è che la proposta nulla dice sulla trasferibilità di potestà legislative. Ci sono limiti assoluti? Si garantisce l’attinenza alla specificità dei territori? Come? O se ne prescinde? Come più volte detto, scuola, autostrade, ferrovie, porti, aeroporti oggi nazionali si possono regionalizzare o no? E la tutela ambientale? E i beni culturali di primario rilievo?» (Ivi).
E se Villone pensa che: «L’Italia degli staterelli è un rischio reale», (Ivi), lo penso anch’io e ritengo che, in questo modo, si andrebbe alla fine dell’unità nazionale e nel caos più completo. Abbiamo già visto cosa è accaduto con la regionalizzazione della sanità in Fvg. E 20 sistemi sanitari diversi porterebbero alla disfatta non solo i cittadini italiani ma anche i turisti che, passando da una regione all’altra, dovrebbero tenersi in tasca un vademecum ed attraversare di fatto, anche se non segnati, ‘mille confini’, approdando in terre dalle ‘mille’ norme diverse. Mio padre mi ha sempre detto che dovevo essere fiera di essere italiana, di essere cittadina di quell’Italia unita nata dalla Resistenza, che aveva, inizialmente pochissime leggi ma brevi e chiare.
Inoltre si è già visto cosa ha creato la dissoluzione dello stato nazionale in Jugoslavia, anche se esso era nato, a differenza che in Italia, già come una Repubblica federale. Perso il collante, con la prima secessione data dalla Slovenia, la più ricca fra le componenti della Repubblica, seguita dalla Croazia, interessi di diverso tipo hanno fatto precipitare il territorio jugoslavo in una guerra fratricida, che non ha aiutato certo il mantenersi o rinforzarsi di uno spirito di collaborazione fra i diversi gruppi, ma ha favorito invece, il consolidarsi di spiriti nazionalistici accesi e di contrasti fra gli stessi. Insomma ha creato le condizioni per il sorgere di nuovi ‘fascismi’ più che di nuove fratellanze. Vogliamo rischiare questo?
Inoltre provate ad andare sul territorio della fu Repubblica Federale della Jugoslavia ed a volere girare un po’. Mentre un tempo, passato il confine, non avevi problemi, ora devi attraversare, solo per raggiungere Dubrovnik con l’auto, il confine Italia Slovenia, poi uscire dalla Slovenia ed entrare in Croazia, ad un certo punto entrare in Bosnia Erzegovina, fatto un piccolo tratto di strada uscirne, e quindi rientrare in Croazia, tanto per fare un esempio.
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Massimo Villone poi, in altro suo articolo, si sofferma sul fatto che «A partire dalle pre-intese del 28 febbraio 2018, un lungo e talora aspro dibattito ha evidenziato una distribuzione di risorse pubbliche sperequata a danno del Sud, derivante da scelte politiche ed indirizzi di governo. Le evidenze sono inconfutabili. Si è anche dimostrata in buona parte falsa e strumentale la rappresentazione di un Sud sprecone, incapace quando non malavitoso, dedito a succhiare il sangue del virtuoso ed efficiente Nord». (Massimo Villone, La debole proposta, op. cit.).
«È chiaro – continua Villone – che nessuno sconto si può o si potrà mai fare a malapolitica e malamministrazione ovunque si presentino. Ma è evidente che – resa manifesta la sperequazione – si pone la necessità di una distribuzione più equilibrata. La domanda è: la legge-quadro garantisce questo obiettivo, in settori cruciali come istruzione, sanità, trasporti e comunicazioni, servizi sociali? La risposta è no. Non bastano a tal fine i Lep, e la perequazione infrastrutturale come è prevista». (Ivi).
Inoltre uno dei rischi dell’autonomismo come proposto è quello che le regioni del nord spingano, associandosi, per distaccarsi dal sud ed unirsi a quelle che ritengono le forti economie dell’Europa, (Ivi), anche se, dal 2001, le situazioni sono cambiate anche nella U.E., ed abbandonando così «la centralità nello scacchiere euro-mediterraneo, che si assume come marginale e destinato a una progressiva irrilevanza». (Ivi).
E quale unità nazionale rimarrebbe, con la devastazione della stessa data dall’autonomismo inteso in questo senso, che porterebbe, di fatto, ad una penisola di staterelli che si auto-organizzano per inseguire, se loro possibile, quelli che si ritengono, dal punto di vista finanziario, gli stati più ricchi e più forti? Ma ora anche la Germania qualche problema ce l’ha, e regioni italiane, al di là dei sogni, potrebbero essere viste dal Nord Europa come il sud della stessa, e non appetibili. Inoltre, ormai, la mafia non è più solo al sud. E se si sognano autonomismi al limite della secessione, «bisogna frammentare tutto il frammentabile, dalle infrastrutture materiali come ferrovie, autostrade, porti, aeroporti, a quelle immateriali, come la scuola». (Ivi).
La domanda che si pone Villone è se la legge quadro Boccia fermerebbe una deriva di questo tipo, e la sua risposta è: «no, no, per nulla». (Ivi).
Così vediamo pure come, spensieratamente, i politici abbiano anche posto, modificando il titolo quinto della Costituzione, la possibilità di minare i fondamenti dello stato per interessi industriali, forse, e per rincorrere soldi ed economie ritenute solide, senza pensare che si potrebbe finire con un «futuro di declino per il Nord, e di colonia emarginata per il Sud». (Ivi).
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E non era una boutade di Sala, sindaco di Milano, Pd, la sua proposta per un asse politico-istituzionale tra Milano, Roma e Napoli, (Massimo Villone, Gli staterelli del regionalismo, la Repubblica, 10/12/2019), collegando tre metropoli e tagliando fuori dalla torta gli altri. E si sa che le aree urbane e le grandi città attraggono risorse e drenano il territorio circostante, mostrando maggiore capacità di offrire occasioni di vita. (Massimo Villone, Gli staterelli del regionalismo, in: La Repubblica- Napoli, 10 dicembre 2019). Ma questa dichiarazione ci dice anche come tutto sia, in un quadro di regionalizzazione spinta, possibile e ‘fluido’.
Inoltre Villone sostiene che, «In vista di siffatti scenari politici generali la sede appropriata per elaborare una proposta solida non è ovviamente la trattativa bilaterale tra ministero e singole regioni. Ma non è nemmeno la conferenza stato-regioni, per l’ovvio sospetto che i governatori siano disposti a barattare il maggior potere comunque a loro derivante da una autonomia accresciuta con l’interesse dei cittadini che rappresentano.
L’unico luogo appropriato è l’aula parlamentare, per un dibattito senza rete. Lo garantisce la proposta Boccia? No. Anzi, punta alla sede ristretta delle commissioni e per di più per un parere mai vincolante, e persino solo eventuale». (Massimo Villone, La debole proposta, op. cit.).
Non da ultimo, la discussione sulla proposta di legge quadro sull’ autonomia differenziata presuppone un aspetto metodologico: basta parlare sulla base di stereotipi e luoghi comuni: bisogna dare la giusta e preminente rilevanza a dati, cifre, proiezioni ed analisi scientifiche, senza se e senza ma. E questo da tempo lo dico anch’io.
Insomma, largo ai fatti cancellando le opinioni ed i bla bla bla a scopo elettorale, perché è tempo ormai, ed anche scaduto, che la politica infili questa via.Ed ancora un problema mi preoccupa. Se si giungerà a più regioni autonome o semi- autonome, chi controllerà la spesa e chi vigilerà sulla legittimità delle decisioni, approntate in un coacervo di norme finanziarie, regionali, concorrenti, statali? Mistero.
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Infine concordo con Villone quando dice che: «È davvero dubbio che i cittadini abbiano da guadagnare sia da un’Italia di staterelli, sia se in uno o più staterelli si disegnano ulteriori isole istituzionali e di gestione politico-amministrativa. Una idea di come mantenere unita l’Italia che verrà, e che sarà comunque diversa da quella che abbiamo conosciuto, non viene dalle […] regioni, e nemmeno ora dalle […] città. Una comune – occasionale – convenienza non è un progetto politico. Ancor meno viene dalla sommatoria delle richieste. Le analisi che hanno segnato l’ultima fase del dibattito hanno indicato per l’Italia, in un futuro nemmeno lontano, scenari che mettono a rischio il Sud, e con il Sud il paese intero. Basta pensare all’ultimo rapporto Svimez 2019, con prospettive drammatiche di progressiva desertificazione del Mezzogiorno che nessuno ha smentito». (Massimo Villone, Gli staterelli del regionalismo, op. cit.).
Il popolo italiano deve prendere coscienza di cosa potrebbe accadere con l’autonomia differenziata, e probabilmente accadrà.
Alcune persone schierate a sinistra hanno deciso di dire ‘No’ all’autonomia differenziata, coinvolgendo le popolazioni locali con degli incontri che spieghino a cosa si potrebbe andare incontro sposando l’autonomia differenzata delle regioni italiane. Detti incontri «dovrebbero avere al centro il tema dell’autonomia differenziata, ma costituire anche occasione per una riflessione politica più larga. E potrebbero muoversi secondo due assi fondamentali, uno di critica e un altro di proposta e di prospettiva. Occorrerebbe innanzitutto ricordare che le stesse richieste per l’autonomia differenziata, pur nella diversità delle proposte eisstenti per attuarla, aprono un contenzioso potenzialmente senza fine sulle potestà da assegnare a ciascuna singola regione, e che le regioni avanzerebbero, a gara, sempre nuove pretese, logorando lo stato centrale e indebolendo le sue capacità contrattuali con l’UE. E si deve anche denunciare che la redistribuzione delle risorse pubbliche sulla base della cosiddetta “spesa storica” ha danneggiato gravemente, negli ultimi anni, sia le regioni del Sud e sia le zone più deboli del Nord. In virtù di tale criterio è avvenuto, ad esempio, che i centri dotati di zero asili nido, per ritardi o inadempienze, hanno ricevuto dallo stato, ogni anno, zero contributi. Chi ne aveva 100, ne ha incassati, invece, per cento. Le diseguaglianze storiche sono state cristallizzate, anziché rimosse, con un intervento perequativo da parte del potere pubblico. E questo non è che uno degli aspetti, ma fondamentale, del “mondo alla rovescia” dei neoliberisti, che vuole zone povere e zone ricche divise tra loro da un divario sempre più incolmabile, dove per esempio il Fvg, e più che mai Carnia e Tarvisiano, andrebbero verso i paesi poveri e non certo fra quelli ‘di Bengodi’, rischiando di venir penalizzati ancora.
Inoltre bisogna mettere in evidenza come queste stesse logiche di “rigore di bilancio” ed “austerity” abbiano inciso negli anni proprio sull’attività dei Comuni condannandone migliaia a dichiarare dissesto o pre-dissesto. Questa condizione ha inciso enormemente sulla qualità della vita dei cittadini, vessati nelle zone povere da tasse locali al massimo consentito e servizi ridotti al lumicino, ma anche sulla dimensione democratica, svilendo il dibattito politico locale ridotto ormai a mera discussione su pratiche amministrative di rientro del debito.
Il secondo asse riguarda la necessità di rivendicare con forza, dopo anni di teorizzazione neoliberista e di restrizioni da austerità, il ruolo del potere pubblico come agente investitore. Senza un rinnovato e forte impegno finanziario dello Stato in istruzione, ricerca, sanità, pubblica amministrazione, infrastrutturazione territoriale e ambiente, gli squilibri e le disuguaglianze che lacerano il Paese, siano tra Nord e Sud, tra aree urbane e aree interne o all’interno delle stesse città metropolitane, non saranno superate.
Un’azione politica che intenda valorizzare la prossimità, promuovere la partecipazione attiva dei cittadini e rispondere ai bisogni delle comunità, piuttosto che immaginare nuove “nazioni” regionali dovrebbe individuare un percorso di risanamento della dimensione democratica e di rifinanziamento dei servizi di welfare locali – anche investendo in rigenerazione urbana e sviluppo sostenibile – superando le restrizioni del patto di stabilità.
Ed il compito di informare e chiarire questi aspetti ai cittadini è importante, e al tempo stesso è importante che i cittadini si rendano nuovamente protagonisti della vita italiana, che tornino ad avere voce, che escano dalla rassegnazione, e possano rivendicare con più energia i propri diritti. (Cfr. Un viaggio dal Sud al Nord”, in: http://www.flcgil.it/files/pdf/20191206/documento-su-autonomia-differenziata-autonomia-unita-un-viaggio-dal-sud-al-nord-dicembre-2019.pdf).
E se il valore della prossimità delle autonomie locali, nel rispondere più prontamente ai bisogni delle popolazioni, va riconosciuto, e che la prossimità tende a rendere più rapida l’azione di governo ed incrementa la democrazia, avvicinando i cittadini al potere pubblico, ma è anche vero, però, l’ ‘autonomia differenziata, così come viene rivendicata, nasce sotto la spinta di ambizioni competitive indotte dai processi di globalizzazione e dalle sue crisi, che negli ultimi decenni hanno indebolito i poteri dello stato centrale. E ridurre «l’Italia a un assemblaggio di staterelli semi-indipendenti, non ha nulla a che fare con l’accrescimento della democrazia, ed in un panorama globale dominato da giganti (USA, Cina, India, Russia), che dovrebbe spingere a rafforzare il ruolo dell’Europa, la pretesa di rinchiudersi in minuscole fortezze regionali non può che risultare alla lunga perdente per tutti» (Ivi). Così come «le pretese autonomistiche differenziate, fondate sulla maggiore capacità fiscale, sono inaccettabili alla luce della nostra Costituzione, che riconosce al cittadino, e non ai territori, la titolarità dei diritti fondamentali. Disegnare condizioni privilegiate per singole aree regionali accrescerebbe obiettivamente le disuguaglianze già in atto, e sottrarrebbe lo stato centrale alla responsabilità di attuare politiche pubbliche di riequilibrio territoriale, di contrasto alla divaricazione crescente dei redditi e di tutela di eguali diritti». (Ivi). E credo che questo aspetto sia chiarissimo, e già si delinei all’orizzonte.
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L’immagine che accompagna l’articolo è tratta da: https://ecoinformazioni.com/2019/03/14/arci-lombardia-no-allautonomia-differenziata/.
Laura Matelda Puppini
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