Leggo le proposte di Pro Carnia per il futuro del nostro territorio montano e trasecolo: che cosa ha in testa detta Associazione, se seguiamo le parole del prof. Pasquale D’ Avolio, che scrive come suo rappresentante? Un programma targato Pd vecchio 7/8 anni? Infatti in “Carnici insieme per la montagna”, Messaggero Veneto 6/2/2021, si continua a parlare di banda larga, quando si sa che i piccoli paesi se la possono scordare, e possono cercare una via aerea di collegamento invece che la terrestre, e si sostiene il cicloturismo, quando non si sposa una politica di salvaguardia del paesaggio.

Ero il 5 luglio 2020 a Pietratagliata, ad una manifestazione contro la centralina di San Rocco, e ho visto in lontananza persone che si erano fermate a guardarci dalla ciclabile. Ma voi pensate che uno ami vedere, pedalando, solo centraline su centraline e greti sassosi, dati dalla captazione forzata delle acque? Mi sono fermata pure a parlare con un appassionato di kajak triestino: molti amanti di questo sport si recavano sui torrenti montani in Val Canale e Canal del Ferro, per esempio sul torrente Raccolana, ma ora magari andranno in Austria, dove certi scempi non sono concessi.

Non solo: una Pro Carnia che sposa solo telemedicina e teleassistenza ha dimenticato i bisogni fondamentali dell’uomo, non sa cosa sia l’esercizio della medicina, ed ha cancellato ogni rapporto umano dalla sua agenda, proponendo una toppa per non affrontare un problema.  E se manca personale in sanità, lo si chieda con forza dico a D’ Avolio, non si sposino soluzioni ‘telematiche’.

Io credo, poi, che investire nelle case per svenderle, non sia una buona soluzione se non per le immobiliari, che non lavorano gratuitamente, e credo che la Carnia novella Riace debba uscire dai progetti. Intanto la Carnia è un territorio e non un paese, poi Riace ha, per i migranti che vengono da paesi del Sud, un clima, un modo di vivere, una realtà sociale ben diversi da quella carnica, non da ultimo non c’è lavoro per i già residenti, e non ci sono servizi sufficienti per alcuno. Vorrei sapere dal dott. Igino Piutti, dal dott. Pasquale D’Avolio e altri del Direttivo di Pro Carnia, come penserebbero di far vivere le persone che intendono portare qui, e se magari si ricordano che le case sono di privati.
Inoltre negli anni sessanta -settanta, molti vendettero e svendettero case a veneti e veneziani, che divennero seconde case, e portarono pure problemi per recinzioni ed altri aspetti, e non impedirono l’esodo carnico.

Scannerizzazione di una lettera di Laura Matelda Puppini sui boschi pubblicata dal Messaggero Veneto.

Rileggendo velocemente le mie lettere al Messaggero Veneto ed i miei contributi sulle tematiche della montagna su carnia.la, ho notato che ho trattato, riferendomi alla situazione reale della Carnia: il problema dei trasporti pubblici, la soppressione degli uffici postali e filiali bancarie che viaggia insieme alla carenza di bancomat ed alle aperture a singhiozzo, una sanità che deve organizzarsi pure su poliambulatori di vallata ed un  medico di base presente per ogni comune che vada verso l’utenza che abita nei paesi di montagna, ed un adeguato sistema assistenziale basato pure su infermieri e fisioterapisti domiciliari territoriali. E i medici di base devono riprendere ad andare a casa del malato, non pretendere che un malato, febbricitante, si sposti, guidi, faccia cadere le sue necessità nell’orario e giornate previsti.  Ho trattato inoltre dei beni civici come i boschi, e del taglio dei boschi senza programmazione alcuna, delle acque utilizzate da terzi o meglio regalate a terzi, di cultura, di povertà qui come là, di diritto alla giustizia in sede vicina, di piano energetico regionale e di fotovoltaico, di urbanistica e programmazione, di caserme abbandonate e turismo. E come altri ho scritto sull’uso del territorio, sulla cultura e su quale cultura, sulla mancanza di lavoro per i giovani che azzera qualsiasi progettazione, rischiando di perdere anche il contributo dato dallo Stato per la ricostruzione post- terremoto.  E ci sono paesi, se ben ricordo, che non hanno neppure un negozio alimentare, né un mercato settimanale.

Prese e centraline (della stessa società) sul torrente Raccolana. Praticamente si tratta di un torrente regalato ad un privato. (In arancione prese, in blu centraline).

Nulla di tutto questo da ‘Pro Carnia’, ed a me pare francamente che quello presentato da detta Associazione  sia un programma minimale e non adatto ad una montagna che deve venire riletta, come le politiche per la stessa, «in quanto l’immagine consolidata della montagna quale spazio residuale deve essere ribaltata» e deve far emergere quella «quantità di risorse e di opportunità da individuare e cogliere a pieno», con il sostegno dell’innovazione delle politiche pubbliche, e ristabilendo il legame vitale tra popolazione e territorio montano». [1].

Ed inoltre: la montagna viene ancora vissuta come un territorio segnato dalla debolezza, dalla marginalità, dall’arretratezza [2], e da anni ed anni è oggetto, almeno qui, di una politica di rapina delle risorse naturali, che ne sono la ricchezza, impoverendo territorio e comunità.

Non solo: «Vivere in montagna è sempre stata una sfida, che è stata vinta dagli individui e dalle comunità elaborando conoscenze e competenze appropriate e costruendo sistemi sociali ed economici basati sulla responsabilità nei confronti di un ambiente delicato e fragile e sulla solidarietà. I principi della sostenibilità li ritroviamo tutti, nella storia delle comunità alpine, preoccupate che i figli e i nipoti potessero trarre dalle risorse locali condizioni di vita analoghe – o migliori – di quelle delle generazioni attive». – scrive sempre Bruno Zanon.[3].

«Lo sguardo contemporaneo sulla montagna può quindi partire dalla consapevolezza che si possono tracciare percorsi diversi da quelli dell’abbandono, purché si sappiano distinguere i problemi e i vincoli dalle risorse e dalle opportunità. Del resto, è ormai senso comune collocare nell’elenco dei valori collettivi la qualità dell’ambiente, la biodiversità, la molteplicità delle produzioni agricole, la varietà delle forme insediative e del patrimonio storico-culturale, così come diamo per scontato che siano risorse i panorami alpini, i sentieri di montagna, le vette dolomitiche, la neve e il freddo dell’inverno che consentono di praticare gli sport invernali».[4].

Ma, sempre secondo la stessa fonte, per vivere la montagna come risorsa si devono riacquistare gli antichi saperi e bisogna mettere al bando politiche pubbliche atte a portare all’abbandono del territorio invece che alla sua tutela e valorizzazione.[5].  E senza attuare politiche di questo tipo, come pensano i giovani amministratori di proporre “Il parco naturale della Carnia”?[6].

Malga sulle Pesarine. Foto di Laura Matelda Puppini, 1987 o 1988.

Ma che politiche sono state attuate sinora? Quelle di prendere tutto quello che veniva, creando il ‘pasticcio’ della palestra addestrativa per mezzi a motore, detta pista guida sicura ma anche l’autodromo della Carnia, a Tolmezzo, e dotando il capoluogo carnico di un rumorosissimo poligono di tiro, copiando il peggio che il Veneto ci stava mostrando. Non solo: i comuni hanno contratto mutui per campi da tennis, calcetto, e bocciodromi inutili, Tolmezzo si è dotata di una pavimentazione ed una fontana in piazza, dal costo iperbolico di 2 milioni di euro e forse più, togliendo lo spazio alberato ed ombroso dove molti si sedevano, Ovaro ha speso per un arco rosa, che pare un pugno in un occhio, sperando nel Giro d’Italia, si sono permesse centrali e centraline a mero uso di privati e foresti, che stanno alterando il corso dei fiumi e dei rii e gli ecosistemi, e nessuno si è opposto al fatto che i boschi venissero venduti agli austriaci, che non si sa se taglino raso e che costruiscono piste boschive a loro uso e consumo.  Pies di cusì!!! Non solo: le nostre chiesette, le nostre case padronali languono, dopo che molto si è speso per valorizzarle, senza che si riesca a far prendere in considerazione il loro inserimento in un progetto turistico.

Inoltre ogni nevicata e pioggia intensa, la Carnia, che produce kilowatt e kilowatt di corrente elettrica, resta al buio, mentre il terreno, friabile e soggetto a interventi di diverso tipo, mai progettati in modo organizzato e sincronico, continua a franare. Così se nel 2004 si trova notizia della frana di Salars, nel 2019, dopo Vaia, si parlava della frana di Avaglio, e nel 2020-2021 leggiamo di quelle recentissime, mentre altre hanno segnato continuativamente la nostra storia. [7].

La Carnia frana, non solo per l’insipienza umana, ma pure per le caratteristiche geomorfologiche del territorio, e, in una situazione di questo tipo, si permettono interventi di ogni genere, senza coordinazione alcuna. La Carnia frana, ma si lascia costruire ovunque.

Paesaggio tra Illegio e Lunge. Foto di Laura Matelda Puppini 

Io sono sicura di una cosa: la gran parte degli abitanti della Carnia ci tiene in modo particolare al proprio territorio, sia che sia di destra, sia che sia di centro, sia che sia di sinistra, [8] perché sa riconoscere il valore delle acque, il valore della terra, il valore dell’aria e del bosco, nonché quello dei segni che testimoniano la storia lontana di un popolo e le sue tradizioni. Ma rischiamo che di questo resti ben poco e, per inseguire una errata idea di progresso, ci riempiamo di cemento, di strade, di centraline, perché non si può dire di no e “a puartin un francut”, distruggendo beni inestimabili. Per esempio un tempo in Carnia lungo molti rii oltre che fiumi si pescava, ma ora … 

Un tempo si poteva andare in montagna indisturbati, ma adesso si rischia di essere stesi da motociclisti della serie “paròn son mi”; un tempo i fiori riempivano i prati, ma ora molto meno, e distese di ranuncoli gialli e di margherite coprivano il suolo. E mi pare che la perdita in biodiversità vegetale sia sotto gli occhi di chi ha quasi 70 anni come me, mentre ghiaia, terreno smosso e sterpaglia si sostituiscono alle piane erbose, alimentate dallo sterco delle vacche, ai rii, ai fiumi.

Ed a chi mi dice che i padroni di auto da rally e moto hanno il diritto di usare per loro svago il nostro territorio, rispondo che noi su quel territorio dobbiamo e vogliamo viverci e quindi è casa nostra, e che i sentieri non sono piste per motocicli, ma vie da percorrere a piedi.

Cosa pensare ora per la Carnia, ponendo in primo piano la tutela del territorio? Intanto convincere comuni e regione a non dare più concessioni per centrali e centraline, a non concedere il “pubblico interesse” ad opere, quando è invece meramente privato, a chiedere ai comuni di sposare una politica di salvaguardia ambientale, ed a cercare di produrre posti di lavoro anche per la manutenzione e salvaguardia territoriale.

Angolo di Carnia in Val Pesarina. Foto di Laura Matelda Puppini.

Leggiamo nel merito quanto avevano cercato di realizzare i ‘Pionieri delle Carniche’ con altri. Essi ipotizzarono un Ente di Economia Montana, «che si proponesse di dare una risposta, sia tecnica che concreta, ai problemi della montagna friulana e di portarli all’attenzione dell’opinione pubblica in vista di una loro possibile soluzione». [9]. Ora questo compito dovrebbe competere alla Comunità di montagna, magari non singolarmente ma assieme a consorelle. Solo che pare che dai tempi in cui si è creata l’Uti, il concetto reale di Comunità Montana sia sparito, sostituito da quello di insieme di territori, e la burocrazia ed il taglio tecnicistico più che progettuale, arroccato pure sulla spending review territoriale, abbiano affossato qualsiasi ventata innovativa, creando un altro mastodonte globalmente inutile per l’obiettivo di vedere oltre e di ripensare la montagna come risorsa.

Inoltre l ‘Ente di economia montana si era posto come obiettivi: «occupare, nei limiti del possibile, la massa di proletari in cerca di lavoro»[10], ed ancora: «migliorare l’economia montana in provincia di Udine; integrare l’iniziativa pubblica e privata nella messa in valore della proprietà terriera, danneggiata dalla guerra, incolta, suscettibile di notevole aumento della produzione agraria, forestale, pastorizia ed estrattiva, avvalendosi, soprattutto, delle cooperative agricole e degli altri sodalizi esistenti; compilare progetti su incarico degli Enti interessati ed eseguire i lavori […] riguardanti la sistemazione idraulico – forestale dei bacini montani; approntare, nei limiti delle possibilità, su incarico dei Comuni ed Enti Pubblici, piani organici di miglioramento dei loro beni patrimoniali terrieri, suscettibili di notevole incremento nella produzione agricola, forestale e nella pastorizia, ed ottenere l’esecuzione dei progetti stessi e la loro applicazione mediante contratti e convenzioni da stipularsi cogli Enti interessati».[11].

Inoltre l’Ente di Economia montana intendeva gestire, insieme ad altri Enti pubblici, la sistemazione forestale ed agricolo-pastorale, promuovere, in montagna, la cooperazione  agricola e le mutue, portare al massimo rendimento i terreni montani, sostenere anche finanziariamente le latterie sociali esistenti, promuovere la frutticoltura, la piscicoltura, l’agricoltura, l’apicoltura, ridare ai comuni, con l’aiuto delle banche cooperative, la possibilità di gestire in proprio opere di miglioramento del territorio ed intervenire sulle malghe distrutte o rovinate dalla guerra, proporre un assetto più organico per la monticazione.

Poi l’avvento del fascismo, e la fine di ogni progetto di sviluppo per la montagna friulana. Il sostegno al privato e l’affondare il pubblico e la cooperazione, diventano i nuovi dictat, e con essi la svendita di territorio, acque, paesaggio, senza, tra l’altro, contropartita alcuna.

E una cosa ci dimentichiamo: che l’odio ossessivo per il comunismo ed il socialismo ha comportato la cancellazione della valorizzazione dei beni comuni e del settore pubblico, e nel secondo dopoguerra si è andati verso il più sfrenato neoliberismo, cadendo in mano a chi aveva i soldi, elemento chiave per una società ove Mammona ha sostituito Dio e la madre Terra, ed incapaci di dire no, mentre i politici ora tendono a spendere denaro nostro, sottraendolo a scelte più produttive, anche per emergere, ed a voler lasciare un segno del loro passaggio, senza ricordare che nella nostra società  tutto passa, vola, scivola nel dimenticatoio con celerità, senza mantenere saldi: terra, solidarietà e valori comuni, cioè la base per poter continuare a vivere.

Tronchi tra Valdaier e Ligosullo. Foto di Laura Matelda Puppini.

Ora il territorio, i ruscelli, i rii, hanno bisogno di manutenzione, i boschi di essere martellati e tagliati in modo serio [12],  la produzione e la trasformazione in loco di prodotti della terra e dell’allevamento di essere incrementate, hic et nunc, e necessita una analisi dei terreni, ad ampio raggio, sia per vedere cosa ci è rimasto sia per progettare per un futuro. Inoltre si è permesso che anche trevisani e veneti, quando erano visti come la nuova risorsa per la Carnia, acquistassero proprietà e le recintassero a piacimento, limitando passaggio umano ed animale, ed alterando gli antichi sentieri,  e si è fatto in modo che la sinistra, anche con intelligenza ed idee, se ne andasse, in nome di un centro destra che ha mostrato cosa è riuscito a fare, con un Pd sostanzialmente sulle stesse posizioni, perché ci siamo adattati alle mode nazionali e sovranazionali, in particolare Berlusconiane, senza capire che non ci avrebbero portato a nulla, ma anche perché la Dc, allora, puntò tutto su Udine e mai sulle nostre montagne, e la logica socialdemocratica prevalse sul socialismo. E credetemi: il clientelismo probabilmente ha albergato anche fra noi, e se erro correggetemi, e ci siamo dimenticati persino di baita ‘Torino’: un’eccellenza.

Inoltre la democrazia è dibattito, è esplicitazione di pareri opposti, è confronto, è scelta oculata degli amministratori locali, ora imposti di fatto dai partiti, e la democrazia presuppone l’applicazione di alcuni parametri di etica e buon governo della cosa pubblica da cui non si può esulare. Io credo che ogni spesa vada adeguatamente soppesata come in qualsiasi famiglia, e così la richiesta di finanziamento o parere per un progetto o l’altro. Meglio pensarci una volta in più che una in meno, perché indietro non si ritorna e non ritorneranno neppure i nostri figli e nipoti: noi stiamo decidendo per loro. Inoltre bisogna finirla con i prestiti agevolati per fare questo o quell’altro: i comuni rischiano di lasciare ai figli dei figli oneri a non finire e l’impossibilità ad altri di governare per carenza di liquidità.

Ma quello che manca in Carnia e per la montagna è una progettualità globale che creda nella stessa, una progettualità che non può essere somma di progetti parzialissimi senza visione d’insieme. E quanto promesso si deve mantenere: non si può chiudere ospedali facendo perdere servizi e togliendo opportunità anche lavorative, spostando popolazione, creando una cittadinanza on the road per potenziare Udine, non si può permettere centraline su centraline e pensare al turismo, che ora richiede paesaggi ed ambienti il più possibile incontaminati, ma anche banche ed uffici postali in loco, non si può spendere per produrre “Susplan. Pianificazione sostenibile in aree montane” che mostra pure come la vicinissima Austria abbia soppesato le sue scelte ambientali in modo lungimirante, mostrandoci la via, e poi lasciare tutto nel cassetto. Non si può modificare ogni giorno, con i costi che implica, l’assetto della Comunità montana, per farla diventare la tagliacosti Uti e poi, ora, la Comunità della montagna, facendoci rimpiangere Lino Not.

Non possiamo avere forestali e polizia urbana ‘utizzata’ negli uffici, ma abbiamo bisogno che chi governa e chi controlla riprendano ad andare sul territorio, percorrano le montagne, come faceva mio padre, nel secondo dopoguerra, per vedere che le scuole elementari, (fino a quella di Buttea – Val di Lauco), funzionassero al meglio.

Persone in una malga delle Pesarine. Foto di Laura Matelda Puppini, 1987 o 1988.

Inoltre credo che uno dei problemi più pressanti esistenti in Carnia relativamente al bosco sia la parcellizzazione della proprietà, che di fatto impedisce un uso adeguato del bosco e della filiera del legno, e permette la facile vendita al foresto. Inoltre finché non si riesce ad evitare, magari con appositi vincoli, che tizio o caio facciano scempi, andando solo a verificare a posteriori, ogni discorso teorico, anche se importante, è destinato a non avere realizzazione pratica. Ci vogliono, a mio avviso, a livello di politica boschiva, proposte reali, non da parte di privati ma dell’ente pubblico, di unione delle parcellizzazioni boschive, salvaguardando la proprietà, e l’introduzione di norme a salvezza del patrimonio che se è del singolo è però pure collettivo, perché ogni danno fatto da uno può riflettersi sul vicino e su molti vicini ed, alla lunga, sulla comunità intera.
Comunque, con buona pace di tutti, se ci riempiamo di centraline, come già parzialmente fatto, alterando il corso dei fiumi, temo che i nostri boschi, già distrutti da Vaia e bostrico, subiranno un ulteriore tracollo.

Infine puntare sul binomio Zoncolan/bicicletta è demenziale, a mio avviso, perché si deve puntare alle passeggiate a fini anche conoscitivo- culturali, che possano interessare famiglie, non a ardite salite in biciclo, appannaggio di pochissimi, che le fanno già.

Ed a proposito della gestione del bene collettivo in regime di autogoverno, mi paiono interessantissimi gli studi della statunitense Elinor Ostrom, premio Nobel per l’economia. Ed in quest’ottica, bisognerebbe pensare davvero alle funzioni da dare alle ora Comunità di montagna, ed al Consorzio boschi carnici, in concerto con la regione Fvg.

Mucche al pascolo in Valdaier. Foto di Laura Matelda Puppini

Quale futuro per la montagna friulana? Per ora si vede solo, per dirla alla Giorgio Ferigo [13], una Carnia dove: «cuant ch’al riva atom e al è dificil restâ achì e restâ vîfs», dove «quando giunge l’autunno, è difficile restare qui e restare vivi» e dove con l’autunno, «a taca il timp da pazienza […]  a taca la sopravivenza par chei pôcs ca son restaz», «inizia il tempo della pazienza e della sopravvivenza per i pochi che sono rimasti».

Urlava Marchetti il tradimento della montagna tutta, con il mancato circondario, con l’accentramento di servizi e, di conseguenza, di famiglie e persone, per sempre. E ancora a quasi 101 anni scriveva, in un inedito, che «l’attuale rovina della Carnia consegue alla sottrazione subita di strutture civili, sociali, militari». Come non dargli ragione?

Ma dove sono stati sinora i nostri politici? Come hanno fatto a non vedere? E ora che aspetteremo: gli auguri di Natale, l’ennesimo Capodanno a piangerci addosso… a «niçulâsi inta (nestre) rasegnazion», a «cullarci nella nostra rassegnazione» per dirla sempre con Ferigo?[14]. Dove sono andati a finire i carnici a cui la lezione data da Riccardo Spinotti, Vittorio Cella, Aulo Magrini e Michele Gortani, per citarne solo alcuni, avrebbe dovuto aver lasciato qualche traccia? Tutti emigrati? E questa situazione non è forse attribuibile anche ai nostri amministratori locali che pare abbiano e abbiano sempre avuto in mente solo “quatri beciuz pal paisùt”, senza essere propositivi, decisi, decisivi in senso globale, come politica vuole? E la chiesa locale dov’è?

«Carnia, dal Pal Piciul al Bivera simpri gueras pierdudas», «Carnia dal Pal Piccolo al Bivera, sempre guerre perdute» [15] – recitava Giorgio. Facciamo in modo di iniziare a parlare di rinascita del territorio, non fermandoci alle quattro note di programmazione retrò di ‘Pro Carnia’, rivendicando almeno quanto abbiamo detto per il piano paesaggistico.

Attenzione alle acque, loro mantenimento e cura, senza svenderle e regalarle; tutela, valorizzazione e promozione del patrimonio storico, culturale, architettonico, archeologico. Ed inoltre: valorizzazione della risorsa bosco, non dandola in gestione a privati, commassando ma lasciando la proprietà e non dandola in uso a grossi gruppi; evitando il taglio raso dei boschi e la vendita di grosse proprietà boschive e malghe a privati anche esteri; valorizzazione dei parchi già esistenti come quello delle Colline Carniche, finanziato e poi di fatto abbandonato quando sono terminati i finanziamenti, e creazione di nuovi parchi. Inoltre: recupero siti degradati; eliminazione del poligono del Bivera; divieto di transito di moto su sentieri e di attività motoristiche che possano disturbare la fauna, distruggere la flora, rovinare i sentieri, che vengono, tra l’altro, mantenuti dal C.a.i. attraverso l’opera di volontari. Creazione del catasto tavolare. Continuità nei procedimenti e non approvazione di progetti, ora impresentabili, come quello del villaggio turistico previsto sullo Zoncolan da parte di privati, che possono togliere servizi a valle per portarli in quota e non solo.

E chiediamo una sanità per la montagna a misura d’ uomo!  Proponiamo, chiediamo!!! Le linee progettuali le abbiamo già date. Almeno moriremo in piedi, mostrando la nostra dignità! Basta ‘colonialismo’ e riserva indiana! Noi dobbiamo diventare una risorsa, non un’ area interna.

Queste considerazioni non sono né di destra, né di sinistra né di centro, ma sono frutto del mio amore per la mia terra e per la montagna. Naturalmente attendo commenti e se vi sono inesattezze od errori, vi prego di farmeli presente. Senza voler offendere alcuno …

Laura Matelda Puppini

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[1] Bruno Zanon, Presentazione. Uno sguardo contemporaneo sulla montagna, p.7, in: AA.VV., La montagna perduta. Come la pianura ha condizionato lo sviluppo italiano, Franco Angeli editore, citazione da: Dalla montagna perduta alla montagna risorsa, in: www.nonsolocarnia.info.

[2] Ivi, p. 8.

[3] Ivi, p. 9.

[4] Ivi, p. 12.

[5] Ibid.

[6] Tanja Ariis, Ideare il Parco naturale della Carnia. Ci credono i giovani amministratori”, in Messaggero Veneto, 4 febbraio 2021.

[7] Il primo dicembre 2018, dopo Vaia, si tenne presso l’Isis ‘F. Solari’ un interessantissimo convegno, di cui ho riportato alcune relazioni, e nel quale sottolineava pure la caratteristica del suolo in Carnia e le sue criticità. Cfr. nel merito, sempre su www.nonsolocarnia.info: “Massimo Valent, geologo. Su quella montagna troppo friabile e su quelle piogge intense. – Marco Virgilio su: La montana dei Santi, alluvione 2018. Una cosa così non si era mai vista prima, davvero. – L’intervento dell’ingegnere idraulico Matteo Cuffolo il 1° dicembre all’isis F. Solari. Previsione e manutenzione sullo scorrimento delle acque.

[8] Cfr. Piano paesaggistico regionale e richieste della popolazione carnica, in www.nonsolocarnia.info.

[9] Laura (Matelda) Puppini, Cooperare per vivere – Vittorio Cella e le Cooperative Carniche (1906- 1938), Gli Ultimi, 1988, leggibile anche su: www.nonsolocarnia.info, p. 192.

[10] Ibid.

[11] Ivi, pp. 192-193.

[12] Cfr. Noè D’Agaro (1). Boschi, segherie, aste boschive, ed altri aspetti legati allo sfruttamento del legname.

[13] Da Giorgio Ferigo, “Un sabida di sera”.

[14] Ibid.

[15] Giorgio Ferigo ed i Povolâr Ensamble, “Carnia Fidelis”.

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Altri articoli si www.nonsolocarnia.info sullo stesso argomento:

Piano paesaggistico regionale e richieste della popolazione carnica.

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Carnia. Per una progettualità futura di salvaguardia e promozione turistica dei musei e siti ecclesiali: l’incontro di Ovaro.

Delio Strazzaboschi. Beni Collettivi: verso una nuova economia in Carnia e Friuli.

Storia di una svolta recente per Carnia, Friuli, Fvg: “Tutti in Cina!!!” con la benedizione della Regione.

Franceschino Barazzutti. Degano: il torrente che fu.

Centralina sul rio Pecol in Carnia. La lettera di Free Rivers Italia con puntuali precisazioni e richieste. Ma …. Documento e comunicato da Gaia Baracetti.

Su centrali e centraline e su quella montagna violata. Sintesi dell’incontro del 26 gennaio 2019. Prima parte.

Ll caso della centralina sul torrente Pecol in comune di Paularo in Carnia, raccontato da Gaia Baracetti ad Udine, il 26 gennaio 2019.

Mentre fuori nevica e la Carnia è senza luce. No all’ennesima centralina, questa volta sul Degano, dove per inciso ce ne sono altre.

Massimo Valent, geologo. Su quella montagna troppo friabile e su quelle piogge intense.

Nuova politica aziendal- sanitaria per le aree cosiddette interne e non solo? (Aggiornato il 6/6/2020).

Economia, beni primari, ed Aree dette ora “interne”, nel quadro dell’ Europa della finanza.

Invito da Marco Lepre (Legambiente Carnia), a passeggiate di protesta per la salvaguardia dei percorsi montani.

Sandro Cargnelutti, Marco Lepre. Per favore, evitiamo orrori e sprechi! La preoccupazione di Legambiente per le nuove strade forestali in Carnia.

Ira Conti. In Carnia ed in montagna, il turismo che scegliamo segnerà il destino dei nostri paesi.

Carnia terra di servitù militari.

Tolmezzo. Sempre più anonima, sempre più brutta: è davvero ancora un capoluogo?

SANITA’ IN MONTAGNA. VERSO IL NULLA TARGATO RISPARMIO.

Discorsi vecchi per l’alluvione nuovo, ed alcune considerazioni sugli interventi in Carnia e bellunese.

Considerazioni sull’alluvione in Carnia e su alcuni problemi non solo carnici, mentre fuori ha ripreso a piovere.

La Carnia tace. Ma non fu sempre così. Il grande sciopero del 29 novembre 1967.

L’immagine che accompagna l’articolo è una di quelle inserite nello stesso. Laura Matelda Puppini

 

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