Introduzione.

Ho letto con grande interesse lo studio di Raoul Pupo intitolato: “Due vie per riconciliare il passato delle nazioni? Dalle Commissioni storico culturali italo-slovena e italo-croata alle giornate memoriali” pubblicato in: ‘Italia Contemporanea’, dicembre 2016, n 282, quindi 4 anni fa.

Premetto subito che io non sono d’accordo sul concetto e sulla politica di ‘riconciliare il passato’, perché il passato va studiato, ma, tolto questo aspetto, vorrei proporvi alcune considerazioni personali tenendo questo articolo del docente universitario di storia contemporanea a Trieste come riferimento di base.

Pupo precisa subito che: «Tutto è cominciato con le “foibe”, intendendo con tale termine le stragi di italiani avvenute nella Venezia Giulia nell’autunno del 1943 e nella primavera del 1945» [1]. E così continua: «Si e trattato di un evento certo assai drammatico, ma limitato nelle dimensioni» [2].
Ora non si può negare, dopo aver letto il volume di Raoul Pupo e Roberto Spazzali ‘Foibe’, che un uso distorto ed emotivo del termine dipenda pure da loro, come più volte sottolineato in altri miei articoli, ma mi pare importante che in questa sede Pupo evidenzi l’esiguità di questi eventi, «rispetto a episodi analoghi avvenuti nel medesimo torno di tempo in luoghi non lontani» [3], anche se resta sul vago.

Ma, continua sempre il noto professore, quella vicenda ha assunto «un ruolo assolutamente esorbitante nella memoria italiana e, conseguentemente, nelle reazioni di parte slovena e croata, tanto da divenire il simbolo contrastato della complessa storia di violenze che si snodò fra il tempo di guerra e la metà degli anni Cinquanta del Novecento nelle province già italiane dell’Adriatico orientale» [4]. Pupo si dimentica qui però di precisare che erano diventate italiane dopo la prima guerra mondiale, dato che veneziano e italiano non sono sinonimi, e quello che accadde poi: l’occupazione nazifascista con l’invasione del 1941, senza neppure che l’Italia avesse dichiarato formalmente guerra al Regno di re Pietro II, e dimentica di sottolineare quanto odio antislavo e nazionalismo accesso e sproporzionato “quella vicenda” abbia suscitato in Fvg anche grazie alla propaganda di alcune Associazioni e di partiti quali Fratelli d’Italia e Lega, che vorrebbero trasformare quei fatti, senza neppure temo conoscerli nello specifico, assurdamente, nel centro della storia contemporanea.

E come non essere d’accordo con Raoul Pupo quando scrive: «Non c’è dubbio […]  che quella del «fascismo di frontiera» sia stata una semina di violenza e di sangue, che il secondo conflitto mondiale ha poi moltiplicato e dilatato su di un’area più vasta, al di là dei confini di Rapallo, attraverso il meccanismo della guerra di aggressione, delle occupazioni e delle annessioni. È stata una semina di violenza che ha generato un’abitudine alla violenza, esasperata dalle esperienze limite vissute dalla società di frontiera nel periodo in cui l’area giuliana fu parte della Zona di operazioni Litorale Adriatico […]» [5]?

Inoltre lo stesso studioso ricorda, nel suo “Il lungo esodo”, come fatto indubbio, che «fra le due guerre alcune decine di migliaia di sloveni e croati furono costretti ad abbandonare i territori annessi all’ Italia, per un complesso di motivazioni politiche ed economiche fra loro strettamente intrecciate dando origine a diverse ondate migratorie». [6].

Ma andiamo avanti.

«Il 24 settembre 1990 il Consiglio comunale di Trieste […], guidato da una coalizione di centro-sinistra, votò sorprendentemente all’unanimità (e quindi anche con il consenso dell’estrema destra) una mozione in cui si chiedeva la costituzione di una Commissione bilaterale italo-jugoslava formata da storici dei due paesi e incaricata di far chiarezza sul problema delle foibe. L’idea venne fatta propria dal governo italiano (con il quale era stata concordata), che avviò di conseguenza i negoziati con quello di Belgrado. La trattativa fu alquanto accidentata, dal momento che nel bel mezzo la Jugoslavia si dissolse, ma venne proseguita parallelamente con i nuovi governi di Lubiana e di Zagabria e si concluse positivamente» [7].

Nell’ottobre 1993, vennero così costituite due commissioni di studio: una italo-slovena ed una italo-croata, ma mentre quella italo-slovena concluse il suo operato nell’anno 2000 con un Rapporto finale congiunto[8], la seconda sospese quasi subito i suoi lavori, mai più ripresi. [9].
Per inciso la pubblicazione in rete del rapporto finale congiunto ebbe, dai miei ricordi, un paio di versioni diverse.
Inoltre la bipartizione della Commissione di studio – secondo Pupo – ebbe effetti negativi sul piano interpretativo: infatti la Commissione italo-slovena incontrò notevoli problemi ogni volta che l’analisi dei rapporti italo-sloveni veniva inquadrata nell’ambito delle relazioni più complesse che esulavano dal mero ambito nazionale sloveno. [10].

Infatti, precisa Pupo, la frammentazione dell’area jugoslava e della relativa storiografia, ha reso particolarmente arduo seguire la prospettiva analitica che la miglior storiografia italiana aveva indicato già da molti anni: vale a dire, la necessità di tenere lo sguardo largo, al di là delle beghe fra alcune centinaia di migliaia di italiani e slavi di confine, per guardare alla proiezione centro-europea della politica estera fascista e delle logiche di occupazione dei Balcani da un lato, e della politica di Josip Broz Tito e dei suoi collaboratori dall’altra, nel secondo dopoguerra. [11].

«Entrando dunque nel merito dei lavori e dei loro risultati, – prosegue Pupo – il mandato originario della Commissione era quello di concentrarsi «sugli elementi positivi che uniscono i due popoli, contribuendo in tal modo a chiarire quegli eventi che hanno causato difficolta nel passato alle loro relazioni», dedicando opportuno spazio anche alle relazioni culturali. A tali indicazioni la Commissione si è attenuta solo in parte» [12], in primo luogo perché, sempre secondo il docente triestino, «a prevalere sono state nettamente le competenze degli studiosi di storia politica»[13], secondariamente perché «la direttiva “buonista” espressa dalle diplomazie è apparsa in troppo stridente contrasto con la realtà di un periodo storico caratterizzato proprio dalla moltiplicazione e dall’esasperazione dei conflitti fra italiani e sloveni» [14].

Però questo fa capire come in storia servano studi che esulino dalla politica, in quanto il rapporto anche di pacifica convivenza nell’Ottocento fra popolazione italiana, austriaca e slava fu dovuta, a mio avviso, al fatto che esse vivevano sotto l’unico cielo dell’Impero Austro-Ungarico. Poi però scoppiarono i nazionalismi, anche collegati a predominanze in campo economico- finanziario, e fu una catastrofe, ed alcuni iniziarono ossessivamente a pensare solo a quel benedetto confine per noi della penisola a nord est, tanto che tutta la storia italica seguente fu intrisa e dettata dalla fissazione per definire lo stesso, che obiettivamente era aspetto secondario. Ma ci fu chi mise in testa ad una parte di italiani visioni di orde barbariche con la stella rossa pronte a violare vergini ed a fare una seconda strage degli innocenti, il che non ha nulla a che fare con la realtà. E ricordo che a fine guerra, l’Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo era fra vincitori, noi fra i perdenti.

L’istituzione del giorno del ricordo, fortemente voluta politicamente dalle destre.

 «L’adozione da parte italiana della legge 30 marzo 2004, n. 92, – scrive sempre Pupo – è arrivata dopo un iter legislativo piuttosto interessante da esaminare, cominciato ancora nel 1995 con la proposta da parte di alcuni deputati di Alleanza nazionale di un disegno di legge riguardante la “Concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati”, che in realtà mirava a ottenere da parte dello Stato italiano un riconoscimento alla memoria, più che dei civili uccisi nelle ondate di violenza del 1943 e del 1945, dei militari della Rsi caduti al confine orientale. La proposta non venne nemmeno discussa nel corso della legislatura» [15].

Questa prima proposta di legge relativa alla “Concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati” fu presentata alla Camera dei deputati l’11 luglio 1995. I firmatari della proposta erano i deputati Roberto Menia, Gianfranco Fini, Mirko Tremaglia, Giuseppe Tatarella e Maurizio Gasparri, tutti del partito di Alleanza Nazionale. La proposta intendeva concedere un riconoscimento formale ai familiari degli italiani uccisi dagli jugoslavi nel periodo compreso fra l’8 settembre 1943 e il 10 febbraio 1947, sotto forma di un’insegna in acciaio brunito e smalto con la scritta “Per l’Italia”. All’articolo 3 della proposta di legge, venivano esclusi espressamente dal novero dei decorati “coloro che sono stati soppressi […] mentre facevano volontariamente parte di formazioni non al servizio dell’Italia» [16].

«Gli anni seguenti registrarono una svolta sia nei contenuti delle proposte legislative riguardanti le vicende del confine orientale, sia nella loro capacità di attrarre un consenso quasi plebiscitario tra le forze politiche. La nuova legislatura infatti vide il fiorire di varie proposte di legge volte a istituire una giornata della memoria delle foibe e dell’esodo. L’unificazione dei diversi progetti e il dibattito parlamentare condussero alla redazione di un testo che, formalmente, riguardava appunto l’istituzione del Giorno del ricordo, ma che nell’articolato riproponeva anche la concessione di un’“insegna metallica con relativo diploma” ai congiunti degli infoibati nella Venezia Giulia e in Dalmazia (compresi quindi alcuni dei territori annessi dopo l’aggressione alla Jugoslavia dell’aprile 1941), con la sola esclusione dei caduti in combattimento.

Inoltre, la nuova formulazione limitava fortemente — sino a renderli di fatto inapplicabili- i caveat che nelle precedenti versioni erano stati inseriti con il preciso intento di impedire l’attribuzione di un pubblico riconoscimento anche a criminali di guerra e ai membri di formazioni militari e di polizia ben note per il comportamento efferato tenuto nei confronti dei resistenti, sia italiani che jugoslavi nella Venezia Giulia, come per esempio l’Ispettorato speciale di pubblica sicurezza. Ciò nonostante, grazie alla nuova impostazione che poneva l’accento sulla creazione di una giornata memoriale, la legge venne approvata con una schiacciante maggioranza e dichiarazioni di voto favorevoli anche da parte di esponenti della minoranza slovena in Italia eletti nelle file dei Democratici di sinistra (ex Pci)» [17].

L’iter legislativo ed il dibattito che portarono alla creazione del giorno del ricordo.

La seconda proposta di legge derivò dalle separate proposte presentate il 19 giugno 1996 dal deputato di Alleanza Nazionale Roberto Menia e il 1º febbraio 2000 dal deputato dei Democratici di Sinistra (DS) Antonio Di Bisceglie. In tale occasione, Di Bisceglie chiese – tramite un suo emendamento – che si chiarisse con nettezza che il provvedimento mirava a definire la categoria dei decorati, escludendo tutti coloro che avevano combattuto al servizio dei tedeschi, aggiungendo però che «la grande maggioranza degli infoibati venne uccisa senza che fosse stata dimostrata la loro colpevolezza in atti tali da giustificare una condanna capitale, anzi in molti casi le loro responsabilità non solo non vennero trovate, ma nemmeno cercate», senza fonte alcuna, e sposando un’idea preconcetta degli avvenimenti, non una visione supportata da studi scientifici degli stessi. [18].

Ma allora, dai miei ricordi, i Ds andavano a braccetto con la visione dell’estrema destra, pur con qualche distinguo, e così andò a finire che la proposta di Menia si unificò con quella di Di Bisceglie. Ma poi, nel corso della discussione alla Camera, un altro Ds, Antonio Soda, decise che Di Bisceglie era stato troppo duro con repubblichini e sodali, e chiese che non potessero essere decorati solo coloro per i quali, a seguito dell’analisi di un’apposita Commissione storica, fosse stata individuata una responsabilità diretta dell’ucciso, tale da escluderlo dall’onorificenza, ottenendo il plauso di Menia.[19].
E tutti si dimenticarono dei nazisti occupanti di cui i repubblichini, quelli delle bande nere e decima Mas e similari erano collaboratori, mentre i partigiani lottavano per la libertà dell’Italia e per vedere di nuovo il tricolore sventolare sulle vette d’Italia.

Contro la proposta di legge Menia – Di Bisceglie votarono però Rifondazione Comunista e Comunisti Italiani, che giustamente denunciarono «l’intento di riabilitare i fascisti e i repubblichini e di criminalizzare indistintamente i partigiani e la Resistenza, abusando della logica della pietà e anteponendola alla logica della storia». [20].
Approdata al Senato, la proposta di legge venne respinta l’8 marzo 2001 (ultimo giorno della legislatura) dalla Commissione Affari Costituzionali in sede deliberante, col voto contrario di Rifondazione Comunista, che si sommò alle astensioni (che al Senato valgono come voto contrario) dei Democratici di Sinistra e del Partito Popolare Italiano. [21].

Infine una nuova proposta di legge fu presentata alla Camera dei deputati il 6 febbraio 2003. Essa recava le firme di un nutrito gruppo di deputati di vari gruppi parlamentari (prevalentemente di Alleanza Nazionale e Forza Italia, oltre che dell’UDC e della Margherita). I primi firmatari furono Roberto Menia e Ignazio La Russa.
Passato attraverso diverse commissioni permanenti della Camera fra aprile 2003 e febbraio 2004, il testo venne modificato sensibilmente e intitolato “Istituzione del “Giorno del ricordo” in memoria delle vittime delle foibe dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati”, riproponendo quindi anche il conferimento del riconoscimento di fatto a filo tedeschi. [22].

Nel corso della discussione generale alla camera, intervenne pure Alessandro Maran dei Ds, lamentando l’inserimento nella relazione che illustrava la proposta di legge, da parte di Menia, di espliciti riferimenti ai reparti della Decima Mas di Junio Valerio Borghese o ai bersaglieri del battaglione “Mussolini” operanti ai confini orientali d’Italia, e chiedendosi  se non vi fosse il rischio che, dietro la memoria delle “foibe”, si celasse solo il rancore politico e sociale della destra sconfitta dalla guerra, mentre Ettore Rosato, a noi famoso per la sua castrante legge elettorale, disse che sperava che il provvedimento in esame chiudesse «definitivamente una pagina di dolore, con un atto di civile memoria». [23]. Contrario decisamente al testo di legge in esame fu Franco Giordano, di Rifondazione Comunista.

La votazione finale alla Camera diede il seguente risultato: Presenti 521 – Votanti 517 – Astenuti 4 – Maggioranza 259 – Sì 502 – No 15. Il presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, alzatosi in piedi così concluse: “Onorevoli colleghi, la proposta di legge testé approvata è un atto di riconciliazione nazionale, di verità e di giustizia, una testimonianza di amore verso tanti italiani per troppo tempo dimenticati”» [24].

Passata infine per la discussione ed il voto al Senato, la proposta di legge fu presentata da Luciano Magnalbò, di Alleanza Nazionale. Voce fuori dal coro dei plaudenti fu quella di Marcello Basso dei Ds, che sostenne che: «A rompere [l’] equilibrio [fra popolazioni slave e italiane] è stato il nazionalismo fascista, che introdusse ogni sorta di violenza, compreso un vero e proprio genocidio culturale”». Inoltre il senatore Basso ricordò «le “deportazioni di massa” dei civili jugoslavi nei lager italiani come quello di Arbe, stigmatizzò “il ruolo del Battaglione bersaglieri volontari «Benito Mussolini» e dei battaglioni della X MAS, tanto cari all’onorevole Menia” […]» e rammentò in aula che «La resistenza iugoslava agli aggressori fascisti e nazisti iniziò già nel luglio del 1941; come si sa, fu guidata dai comunisti di Tito unitamente alle diverse espressioni del nazionalismo iugoslavo. Si fece valere l’equazione «italiano uguale fascista», equazione che le migliaia di italiani che morirono combattendo al fianco delle formazioni partigiane slave riuscirono solo in parte a mettere in discussione». Ma era anche vero che l’equiparazione degli italiani ai fascisti era stata introdotta e diffusa proprio da Mussolini. [25].

Infine si passò al voto ed i senatori della Repubblica italiana, che pare nulla sapessero dell’Ozak e Ozav e dell’occupazione tedesca, approvarono il testo di legge. Ma alla base di questo giorno del ricordo ci fu, a mio avviso, una vera e propria mistificazione dei contesti storici.  Così, regolarmente promulgata dal Presidente della Repubblica, la legge 30 marzo 2004, n. 92 fu pubblicata nella “Gazzetta Ufficiale” n. 86 del 13 aprile 2004.

Ma cosa accadde poi?

Secondo me e Romano Marchetti, che ne parlammo in un incontro pubblico a Mofalcone, se non erro nel 2013, il giorno del ricordo fu monopolizzato dall’estrema destra, che ne aveva dato il taglio costitutivo, senza che i Democratici sapessero prendere in mano la situazione.

 E Raoul Pupo ricorda come, sul piano comunicativo, ci furono non pochi beceri esempi di uso pubblico della storia, sostenuti anche da iniziative mediatiche di dubbio gusto. Al riguardo, a suo avviso, «la palma in negativo va certo assegnata alla fiction Il cuore nel pozzo dedicata alle foibe istriane dell’autunno 1943, prodotta nel 2005 dalla Rai: un vero coacervo di luoghi comuni, guardando il quale lo spettatore assai poco poteva capire di quanto accaduto, e quel poco era pure sbagliato» [26]. Ma, «Con pervicacia degna di miglior causa, la Rai continua a infliggerlo agli spettatori ogni 10 febbraio, moltiplicando i danni» [27].

Invece il noto professore di storia spezza una lancia a favore di ‘Magazzino 18’ di Cristicchi, che a me è parsa un’operazione emotivamente riuscita, atta a creare memoria emotiva, non storica. Inoltre come si potrebbe negare che questa rappresentazione fosse politicamente connotata quando, accanto all’immagine di Cristicchi, in un servizio di RaiUno sulla prima di Magazzino 18 a Trieste,  veniva posta l’immagine della bandiera dell’Istria, simbolo di alcuni precisi movimenti politici, probabilmente mostrata in sala, mentre lo spettacolo si era svolto, nella città giuliana, mentre il pubblico cantava l’inno italiano, ma forse, più verosimilmente, “Va pensiero”, che non è “Fratelli d’Italia”? [28].

Inoltre, se certi fatti, sull’onda emotiva di uno spettacolo vengono amplificati, come accade per la natura stessa di una espressione artistica, altri sono dimenticati. E ciò che si dimentica è quanto accaduto nello stesso territorio agli sloveni a causa degli italiani, che utilizzarono pure una politica di rapina delle risorse, e che uccisero, deportarono e fecero stragi.

E l’Italia si è dimenticata subito di altri problemi che toccarono la zona giuliana: per esempio di tutti i triestini che dovettero, a fine guerra, emigrare in Australia in cerca di lavoro, lasciando affetti e beni in città [29], e pure delle numerose agevolazioni che i profughi e gli esuli, amati pare dalla Democrazia Cristiana, ebbero a fine guerra. Infatti i profughi ed i loro figli hanno goduto delle seguenti agevolazioni: Decreto Legge (DL) n. 556 del 19.4.1948, Legge 4 marzo 1952, n. 137, avente come oggetto:  Assistenza a favore dei profughi, Legge 910 del 27 ottobre 1950 [30]; Legge n. 1080 del 28 dicembre 1950; Legge n. 9 del 4 gennaio 1951, Legge 1 luglio 1951 che per la prima volta prevedeva che gli IACP, l’UNRRA-Casas  e l’INCIS (quest’ ultimo solo per i profughi dipendenti statali) dovevano riservare ai profughi per quattro anni il 15% degli alloggi costruiti dopo il 1.1.1952; Legge 4 marzo 1952, n. 137; Legge n. 594 del 17.7.1954; Legge n. 240 del 31.3.1955; Legge n. 130 del 27.2.1958, avente come oggetto: “Norme per l’assunzione obbligatoria al lavoro dei profughi dai territori ceduti allo Stato jugoslavo con il trattato di pace e dalla zona B del territorio di Trieste e delle altre categorie di profughi”; Legge del 14.10.1960, e le cui associazioni  hanno ricevuto notevoli finanziamenti anche dalla Regione Friuli Venezia Giulia, fondi statali ex lege 72/2001 per pubblicare “Difesa Adriatica”, testata dell’ANVGD, diretta da Lorenzo Sereni, (http://www.anvgd.it/notizie/12361-mensile-difesa-adriatica.html) senza che i più riescano a capire, invero, da chi dovrebbe difendersi l’Adriatico o comunque il significato di questo titolo inquietante e non solo per quello, e l’ANVGD, associazione privata di categoria,  ha pure sinora ottenuto moltissimi soldi nostri per un motivo o l’altro, mentre la cultura tutta, sia in Fvg che in Italia, boccheggia.

E lo stesso Raoul Pupo nel suo “Il lungo esodo” scrive che «Dopo le difficoltà iniziali, […], il massiccio insieme di provvidenze e facilitazioni messo a punto dalle autorità italiane e […] le nuove opportunità offerte dalla grande stagione di sviluppo vissuta dall’ economia italiana nel corso degli anni Cinquanta, fecero sì che l’integrazione degli esuli nel tessuto del Paese di compisse con una certa celerità. Chi rimase in Italia e non prese la via dell’emigrazione, trovò infatti una sistemazione dignitosa e talvolta anche assai soddisfacente» [31]. 

Come poi non rammentare Matteo Salvini, che non credo proprio essere uno storico, che parlava il 28 febbraio 2015 a Roma sulle foibe e sulla sua personalissima visione di fatti storici che è quella delle destre neofasciste, che però da taluni viene riproposta anche in occasione della giornata del ricordo, e non pensare che i fatti resistenziali e quelli del confine orientale non siano attualmente soggetti ad uso politico? [32] Per non parlare poi, di operazioni come la pubblicazione e distribuzione agli studenti, per il giorno del ricordo, di fumetti che fomentano l’odio contro slavi e sloveni, come ‘Foiba rossa’, voluta dell’assessore alla cultura della Regione Veneto Elena Donazzan, che ha iniziato la sua folgorante carriera politica come iscritta al Fronte della Gioventù e quindi come esponente di Alleanza Nazionale.

È avvenuto quindi, anche nel caso del giorno del ricordo, che esso, come in altri casi di “memorie dolenti”, si sia strutturato come memoria di divisione [33], e che sia diventato un monopolio della destra anche estrema, che ormai ne rivendica, assieme ad associazioni di esuli e profughi, l’esclusiva. Non solo: esso sembra davvero configurarsi come la solenne commemorazione dei caduti in Istria e Dalmazia nella lotta contro il comunismo partigiano, considerati Martiri, colpevoli di essere solo italiani, voluta dal Duce nella giornata del 30 gennaio 1944, e improntata dalla mistica fascista e repubblichina, e da una lettura tutta di parte. [34].

Inoltre, all’istituzione in Italia del Giorno del ricordo ha risposto a stretto giro l’istituzione in Slovenia di una Festa del ritorno del Litorale sloveno alla madrepatria da tenersi ogni 15 settembre, data dell’entrata in vigore, nel 1947, del trattato di pace di Parigi, che assegnava alla Jugoslavia la sovranità su buona parte del Litorale. Inoltre vi è stato un duro scontro verbale, nel 2007, tra l’allora presidente della repubblica, Stipe Mesić e Giorgio Napolitano.

«Attorno alla data fatidica del Giorno del ricordo si sono infatti succedute alcune dichiarazioni dei vertici delle due repubbliche che rispolveravano un linguaggio che si credeva sepolto, almeno a quei livelli […]» [35].

Ma questi sono i risultati, penso tra me e me, di quei Menia e La Russa che stavano dietro la creazione di quella giornata, con i Ds che pareva nulla sapessero di storia patria, che hanno accettato di tutto e di più sull’onda di una visione politica fatta di centrismo buono ed opposti estremismi.  Ma in Italia l’appiattimento al basso dei politici è cosa nota.

«Non è difficile notare, dunque, quanto le esigenze di politica interna avessero innescato una deriva che si collocava agli antipodi rispetto allo spirito delle commissioni bilaterali e che rischiava di procurare gravi danni alle relazioni fra Italia, Slovenia e Croazia. Di fronte al conclamato incidente internazionale, di tale pericolo si sono rese conto anche le diplomazie dei tre paesi, che hanno invertito la rotta» [36]. Inoltre ricordo che la Slovenia, nel 2006, come segno di distensione, donava al sindaco di Gorizia, che allora era Vittorio Brancati, per interessamento del Ministro degli Esteri della Slovenia Dimitril Rupel, un elenco di nominativi che fu girato dal Comune a Clara Morassi Stanta, presidentessa e portavoce del “Comitato dei congiunti dei deportati goriziani”.

Il motivo per cui l’elenco era stato consegnato, fu quella di informare possibili parenti di quanto si sapeva sui loro cari. Ma questa semplice azione di cortesia della Slovenia verso Gorizia, creò all’epoca un putiferio, e ne furono interessati la Farnesina e Giorgio Napolitano.[37].

Inoltre, come ci ricorda Ferruccio Tassin nel suo: “Visco. I cattivi sono sempre gli altri. La Giornata della memoria”, in storiastoriepn.it, «La relazione della commissione mista di storici italo-slovena, per la valutazione della storia di queste nostre particolari terre di confine, è stata diffusa solo da poche associazioni: ICM di Gorizia, Concordia et Pax di Gorizia e Nova Gorica; il Centro “Gasparini” di Gradisca. Tenebra, nel resto d’Italia. Meno di nulla sui libri di testo scolastici», mentre Roberto Menia, recentissimamente, ha scritto un romanzo: “Dieci febbraio – dalle foibe all’esodo”, che è stato presentato al Museo Revoltella senza problema alcuno, e il giorno del ricordo, frutto canceroso, così come promulgato, del ‘politically correct’, è stato trasformato, di fatto, nella giornata dell’estrema destra, e viene gestito spesso dall’Associazione di categoria: ANVGD, che ne ha chiesto la legale gestione e che è riuscita, proprio proponendosi come la garante della corretta interpretazione dei fatti al confine orientale d’ Italia, a recuperare da anni un mare di finanziamenti per le sue attività. [38].

E la linea di lettura di quegli eventi, ora come ora, anche secondo l’ANVGD, è quella «delle foibe come atto di “genocidio nazionale», […] già presente nella propaganda dell’R.S.I., che riprese fiato nel corso del lungo dopoguerra giuliano, e che è rimasta patrimonio stabile nella cultura nazionalista giuliana – scrivono Pupo e Spazzali –  «perché si inserisce perfettamente nei suoi tipici schemi di lettura dei rapporti tra italiani e slavi, imperniati sulla contrapposizione fra la civiltà latina, veneta ed italiana da un lato, e la barbarie slava volta a sradicare con ogni mezzo la presenza italiana dall’Adriatico orientale, dall’altro» [39].

Un tentativo di analizzare la storia del Confine Orientale per l’Italia è stato fatto anche dall’Anpi Nazionale, che ha prodotto un documento, presentato in più parti d’Italia da Carlo Smuraglia, ed anche ad Udine presso l’università, intitolato: “Il confine Italo-Sloveno. Analisi e riflessioni”, leggibile su: https://www.nonsolocarnia.info. Infine non si può dimenticare il ‘Vademecum per il giorno del ricordo – Priročnik o Dnevu Spomina’, riveduto nel 2019, e consultabile in: https://www.irsml.eu/eventi/656-vademecum-per-il-giorno-del-ricordo-prirocnik-o-dnevu-spomina, che è stato analizzato con qualche critica pure da Marco Puppini nel suo: Marco Puppini. Nel merito del ‘Vademecum su foibe ed esodo’ dell’Irsml con sede a Trieste, in: https://www.nonsolocarnia.info.

Voci critiche rispetto a come è stata letta la storia del confine orientale in particolare dalle destre, compongono il gruppo che si definisce “di resistenza storica”, formato da Alessandra Kersevan, Claudia Cernigoi, Sandi Volk ed altri.

Ma la regione giuliana, a fine guerra, aveva anche altri problemi, oltre gli arresti di collaborazionisti da parte degli Jugoslavi…  

Ed infine voglio riportare ancora una considerazione.  Quasi tutti gli studiosi del periodo jugoslavo di Trieste, (nel corso del quale vi erano però gli neozelandesi, giunti quando, nella città, fra le truppe tedesche ed il 9° Corpus, il primo che aveva raggiunto il capoluogo giuliano, infuriava ancora la battaglia [40] e dove poi si trovava anche il 15° Gruppo di Armata comandato da Mac Klark),  terminato con il passaggio della città agli Alleati [41], parlano solo di epurazioni ed uccisioni, senza vedere altri problemi principali: la fame di tutti e l’importanza anche strategica del porto di Trieste. Perché il problema che avevano pure gli Inglesi non era quello del confine con l’Italia ma il porto della città giuliana, che volevano ad ogni costo. [42]. Non solo: manifestazioni si verificarono, con il passaggio di Trieste dagli Jugoslavi agli Alleati in città, il ‘Carnia’ del 23 giugno 1945 ne ricorda una ‘entusiastica’ di sostenitori dell’italianità e, qualche giorno dopo, una di operai triestini, di una certa entità, nella quale si «sarebbe inneggiato a Trieste libera in seno alla progressista democrazia jugoslava» [43]. Ma vari furono i problemi che visse la Venezia Giulia dopo la fine della guerra: il movimento di masse di persone, militari e civili che la attraversarono, ed anche la ricostruzione in generale, dopo 5 anni di guerra, e quella del tessuto economico che il fascismo aveva distrutto. E forse Trieste, proprio per la politica che la coinvolse nel dopoguerra, rimase, poi, congelata, perdendo gran parte della sua attrattività e pure quella caratteristica multietnica e di incontro/ scontro fra culture che la caratterizzava.

Chiudo qui questo mio articolo, in attesa di commenti e contestazioni, ringraziando il prof. Raoul Pupo per avermi inviato, su mia richiesta, il suo articolo: “Due vie per riconciliare il passato delle nazioni? Dalle Commissioni storico culturali italo-slovena e italo-croata alle giornate memoriali” ed augurandomi che il polo democratico, dopo lo spaventoso errore dei Ds, che senza saper nulla di storia hanno suffragato una visione da estrema destra della storia e creato una giornata targata AN in nome forse del ‘politically correct,’ possa proporre di modificare il testo di legge, visto a cosa ha portato, non negando i fatti ma sostenendo il loro studio puntuale, ora che sono stati messi a posto anche gli archivi Jugoslavi. E mi piacerebbe che qualcuno analizzasse pure i problemi che la popolazione della Venezia Giulia dovette affrontare nel dopoguerra che, come nelle altre parti d’Italia, erano la ricostruzione, l’approvvigionamento alimentare e di materie prime, e la ripresa della vita al di fuori del fascismo e della guerra, anche se molti fascisti restarono ai loro posti, forse troppi. [44].

Laura Matelda Puppini

[1]Raoul Pupo, Due vie per riconciliare il passato delle nazioni? Dalle Commissioni storico culturali italo-slovena e italo-croata alle giornate memoriali, in ‘Italia Contemporanea’, dicembre 2016, n 282 p. 233.

[2] Ibidem.

[3] Ibidem.

[4] Ibidem.

[5] Raoul Pupo, Foibe ed esodo: una eredità del fascismo?, in: https://www.irsml.eu/didattica-presentazione/confine-orientale-italiano/65-materiali-sul-confine-orientale/193-r-pupo-foibe-ed-esodo-un-eredita-del-fascismo.

[6] Raoul Pupo, Il lungo esodo, Rizzoli, 2005, p. 43.

[7] R. Pupo, Due vie, op. cit., p. 235.

[8] http://www.storiastoriepn.it/i-rapporti-italo-sloveni-fra-il-1880-e-il-1956-relazione-della-commissione-italo-slovena/ e http://www.skgz.org/it/relazioni-italo-slovene-1880-1956.

[9] R. Pupo, Due vie, op. cit., p. 235.

[10] Ibidem.

[11] Ivi, pp. 237-238.

[12] Ivi, p. 238.

[13] Ivi, p. 239.

[14] Ibidem.

[15] Ivi, pp. 245-246.

[16] https://it.wikipedia.org/wiki/Iter_della_legge_istitutiva_del_Giorno_del_ricordo. Consultato il 26 gennaio 2021.

[17] R. Pupo, Due vie op. cit. pp. 246-247.

[18] https://it.wikipedia.org/wiki/Iter_della_legge_istitutiva_del_Giorno_del_ricordo. Consultato il 26 gennaio 2021.

[19] Ibid.

[20] Ibid.

[21] Ibid.

[22]Ibid.

[23] Ibid.

[24] Ibid.

[25] Ibid.

[26] R. Pupo, Due vie op. cit., op. cit., p. 250.

[27] Ibid.

[28] Le fonti sono discordanti sul fatto che si sia cantato in sala Fratelli d’Italia o ‘Va pensiero. ..’. Immagine presente nel 2014 in sito ANVGD. Cfr. nel merito: Marco Barone, Se nazionalisti italiani ed indipendentisti triestini rivendicano l’Istria, in: http://www.agoravox.it/, 15 settembre 2014, Andrea Giovannini su www.triesteprima.it 22 ottobre 2013, in: http://www.anvgd.it/comitato-trieste/16244-qmagazzino-18q-di-cristicchi-trionfa-a-trieste.html.

[29] Raoul Pupo, Il lungo esodo, op. cit., pp. 225-240.

[30] Cfr. Cristiana Colummi, Liliana Ferrari, Gianna Nassisi, Germano Trani, Storia di un esodo, Istria, 1945-1956, Irsml, 1980.

[31] Roul Pupo, Il lungo esodo, cit., p. 213.

[32] Cfr. nel merito: Laura Matelda Puppini, Sull’uso politico della storia, in: www.nonsolocarnia.info.

[33] R. Pupo, Due vie op. cit. p. 253.

[34] “Solenne commemorazione del comunismo partigiano, in: Corriere della Sera, 19 gennaio 1944, da 10 febbraio, in: https://www.wumingfoundation.com/giap/2016/02/se-questo-e-un-direttore-di-istituto-storico-della-resistenza-roberto-spazzali-e-i-guasti-dellideologia-da-giornodelricordo/.

[35] R. Pupo, Due vie op. cit. p. 253.

[36] Ibid.

[37] Elenco donatoci dalla Slovenia, parzialmente pubblicato, incrociando dati, in www.nonsolocarnia.info. Cfr in particolare: “Elenco di civili arrestati da forze jugoslave nel maggio 1945 a Gorizia, da cui si evince che erano invischiati con il fascismo od il nazifascismo” in www.nonsolocarnia. info e “Elenco di militari collaborazionisti o inquadrati in forze naziste in Ozak arrestati da forze armate jugoslave”, in: www.nonsolocarnia.info.

[38] Laura Matelda Puppini, 25 aprile e giorno del ricordo: giornate nazionali e non di associazioni specifiche, in http://nonsolocarnia.info.

[39] Raoul Pupo, Roberto Spazzali, Foibe, ed. Il Giornale, 2018, prima ed. 2003, p. 111.

[40] https://it.wikipedia.org/wiki/Corsa_per_Trieste

[41] “Notiziario”, in ‘Carnia’, settimanale della 5aDivisione Osoppo Carnia ‘, numero di sabato 26 maggio 1945, copia anastatica in Bruno Lepre, Romano Marchetti, Carnia Lavoro. Dalla Carnia Libera alla Comunità Carnica, ed. Centro Studi Carnia di Tolmezzo, 1994.

[42] Ibidem.

[43] “Notiziario”, in “Carnia, settimanale per la 6aDivisione Osoppo Carnia”, numero di sabato 23 giugno 1945, copia anastatica in Bruno Lepre, Romano Marchetti, Carnia Lavoro. Dalla Carnia Libera alla Comunità Carnica, ed. Centro Studi Carnia di Tolmezzo, 1994.

[44] Cfr. Bruno Lepre, “continuità con il fascismo”, in: “Carnia, settimanale per la 6aDivisione Osoppo Carnia”, numero di sabato 23 giugno 1945. E così scrive qui Lepre: «[…] la continuità con il fascismo vive […] perché in tutti i gangli vitali della società, vivono ancora molti elementi troppo espressivi della mentalità violenta ed assolutistica del recente passato. Gli uffici e gli organi che rappresentano il cervello della società sono ancora per mezzo di molti loro esponenti, troppo attaccati allo spirito che ha ucciso la democrazia.». Nei pochi numeri del ‘Carnia’ compaiono ben quattro articoli, sempre firmati da Bruno Lepre, con stesso titolo ed argomento.

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La foto che accompagna l’articolo rappresenta un bimbo affamato, che mangia quello che può, e l’ho scelta perchè il problema della fame e della mancanza di lavoro coinvolse le popolazioni della penisola anche nel secondo dopoguerra.  Provenienza dell’ immagine: Archivio Anpi Bologna, pubblicata in: https://guerrainfame.it/fame_nera. LMP.

 

https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2021/02/6_la_fame_nera.jpg?fit=762%2C1000&ssl=1https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2021/02/6_la_fame_nera.jpg?resize=150%2C150&ssl=1Laura Matelda PuppiniSTORIAIntroduzione. Ho letto con grande interesse lo studio di Raoul Pupo intitolato: “Due vie per riconciliare il passato delle nazioni? Dalle Commissioni storico culturali italo-slovena e italo-croata alle giornate memoriali” pubblicato in: ‘Italia Contemporanea’, dicembre 2016, n 282, quindi 4 anni fa. Premetto subito che io non sono d’accordo sul...INFO DALLA CARNIA E DINTORNI