Il 19 gennaio 2025 il Messaggero Veneto pubblicava una lettera accorata di una Signora di Prato Carnico, Luigia Agostinis, in cui ella palesava la sua preoccupazione per la confluenza in Cafc dell’azienda per l’acqua potabile pordenonese HydroGea, perché sarebbe diventato sempre più difficile avere risposte pratiche circa la gestione degli acquedotti montani “lontani da Dio e dagli uomini” e questo lo scrivo io, per riassumere quanto espresso.

«Ma siamo sicuri che il grande è bello? Io proprio non ci credo e inviterei quei Comuni aderenti all’HydroGea a pensarci bene nell’ interesse dei propri cittadini – ha scritto la signora – Noi in Carnia ci siamo già passati, abbiamo regalato acque, serbatoi e tubature ricevendo in cambio consistenti aumenti delle bollette e servizi carenti». E così ha continuato: «Perché dico questo? Perché dal 9 agosto 2024 una perdita dell’acquedotto, più volte rilevata, defluisce a ridosso infiltrandosi nelle fondamenta, e perdendosi non si sa dove. È preoccupante tutto ciò considerando che la zona ha una consistente presenza di gessi. Le mie numerose telefonate agli uffici del Cafc sono state finora vane: “solleciteremo”, “pagheremo i danni” queste le risposte ottenute in cinque mesi. Sono arrabbiata e delusa. Rimpiango i tempi in cui in 24-48 ore, l’addetto del Comune risolveva i problemi. Diventare troppo grandi fa perdere di vista i piccoli.».

Ed effettivamente questo è un problema perché la gestione idrica comunale permetteva la conoscenza precisa della rete, un intervento tempestivo ed anche meno perdite di acqua potabile, definita l’oro del domani ‘ anni fa, e quindi ormai dell’oggi. Poi si è passati, in Carnia, a ‘Carniacque’ s.p.a. pubblica, voluta se non sbaglio in particolare dal Ds Renzo Petris e qualche altro, e, quando ha iniziato ad andare in perdita, è stato inviato, forse su mandato della Regione Fvg, il triestino Fabrizio Luches, tecnico del settore, avvocato civilista esperto in amministrazione, a controllare e sanare la situazione, ed egli ha cercato di fare quel che poteva egregiamente, occupandosi pure del depuratore. Ma Luches ha dovuto, dispiace dirlo, difendersi dall’ ingiusta accusa di fare politica in Carniacque, quando cercava solo di fare il suo lavoro. E proprio nel suo curriculum si trova che egli, dal giugno 2014 al dicembre 2016, era stato il legale rappresentante e amministratore delegato di Carniaque, «gestore del Servizio Idrico Integrato del territorio montano del Friuli Venezia Giulia, costituito da 1256 km di acquedotto, 563 km di fognatura, 308 sorgenti e 188 depuratori, per un totale di 55.600 cittadini serviti». (CV_6399_20240202_110528.pdf). E detta Azienda era partecipata da 37 Comuni, aveva 47 dipendenti ed un fatturato annuo di 6.500.000,00 euro. (Ivi). E vi posso garantire che c’erano padri contenti che le loro figlie lavorassero a Tolmezzo in detta ditta, e la gente andava a farsi controllare le bollette, anche se in modo più esitante di prima, come un tempo faceva con il comune. E con la scelta di confluire in Cafc si sono persi pure servizi territoriali e posti di lavoro in loco. 

Ma l’opposizione politica del Pd locale e non, più che altro, ed un disegno strategico dell’allora maggioranza in regione, (era il 2016), ha accelerato, attraverso Francesco Brollo, Sindaco di Tolmezzo, la confluenza veloce di Carniacque in Cafc, senza attendere, quasi si volesse fare uno sgarbo a Luches che, da libero cittadino, era del M5S. Ma questa storia, dico io, rispecchia l’alta politica che si faceva e si fa qui, tanto lungimirante da farci precipitare nella situazione attuale di impoverimento territoriale, culturale, economico.  E se erro correggetemi.

Ho scritto comunque la storia di questo frettoloso passaggio nel mio, sempre su www.nonsolocarnia.info: “Da Carniacque a Cafc: affare strategico, fusione obbligata, o privazione dell’acqua per la montagna e de profundis per la sua autonomia?” che vi invito a leggere. Inoltre con Cafc le bollette sono aumentate, come previsto pare fino al 30% rispetto a prima, ed ora la sede tolmezzina di detta società mi si dice ancora pubblica, si è spostata in zona industriale, con un solo giorno, se non erro, di apertura al pubblico, previo appuntamento. E Cafc allora piombava pure i rubinetti degli insolventi, lasciando persone senza acqua potabile. (bollette dell’acqua non pagate, il cafc taglia 1200 contatori, in Messaggero Veneto, 19 giugno 2015).

Notate che Cafc significa Consorzio dell’acquedotto del Friuli Centrale e cosa avessimo da fare con questo non lo so proprio. Ma qui a molti, non credo però alla povera gente, pareva innegabile ed importantissimo andare a finire in Cafc, con i soliti sogni di miglioramenti miracolosi, che puntualmente, nessuno ha visto in montagna. Semplicemente ora paghiamo anche i servizi del Friuli, e con l’entrata di Hydrogea in Cafc, magari pagheremo anche quelli del Pordenonese. O tempora o mores!

Inoltre con il passaggio da ‘Carniacque’ a Cafc, è andato a finire che se vi era una perdita, i tempi per la sua sistemazione aumentavano a dismisura, rispetto a quelli della celere gestione comunale, e noi, gente di qui, ci rendemmo allora conto che Cafc non sapeva che fare nei comuni montani di cui non conosceva le famose tubature, giocando sulle quali si era disatteso il risultato del referendum sull’acqua pubblica del 2011, né dove passassero. Ma ormai pare siamo abbandonati a noi stessi, se non per pagare bollette e prestazioni.  

Parlando però con una persona che di questi problemi si intende più di me, mi ha detto che ormai un comune è una entità così piccola amministrativamente, che non può più ricevere dalle banche un finanziamento per fare un depuratore, per esempio, ma si sarebbe potuto, per risolvere il problema, creare un Consorzio pubblico ad hoc, momentaneo e finalizzato, come fanno molti privati che si uniscono in nuove società per concorrere ad un bando pubblico, (Vedi società per nuova piazza Tolmezzo nel mio: “Su quella riqualificazione di piazza XX settembre in Tolmezzo, così chiacchierata, così contestata, così telenovela …” su: Non solo Carnia), chiedendo magari direttamente alal Regione o alla finanziaria regionale di sostenere l’opera.
E non a caso vi è chi ora, ricorda ‘ Carniacque’ come una buona soluzione per la montagna. (Su www.nonsolocarnia.info  ho riportato, nell’articolo intitolato: Incontro in ricordo di Enzo Cainero. Gli interventi.”  quanto detto dal Presidente della Sezione Ana di Udine, Mauro Ermacora, che così si è espresso: «lavorare in Montagna non è come lavorare in pianuraUn esempio virtuoso: La Società Carnia Acque, a suo tempo era riuscita a riunire tutti i Comuni della Montagna; è stato un esempio di come le genti di Montagna possono gestire le loro risorse in modo intelligente ed efficiente».

Ma anche vivere in montagna non è come vivere in pianura, la sanità montana non può essere organizzata come quella in pianura, hanno fatto presente nel 2016 i sindaci carnici, tramite Gianni Borghi primo cittadino di Cavazzo Carnico e Presidente della Consulta, a Maria Sandra Telesca assessore alla salute. (Cfr. l’interessantissimo testo, pubblicato su: www.nonsolocarnia.info, intitolato: Gianni Borghi su: “La nuova proposta per la salute in territorio montano”.).

Tutto questo ho scritto per introdurre un comunicato firmato da Franceschino Barazzutti, giuntomi un paio di giorni fa, su cui si dovrebbe riflettere, mentre i centri decisionali e dei servizi si allontanano sempre più da noi.

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«La montagna e l’acqua del rubinetto di casa nostra.

Con uno stanziamento di 4 milioni di euro per favorire la fusione tra la pordenonese HidroGea e il Consorzio Acquedotto del Friuli Centrale (CAFC) la Regione compie un ulteriore passo verso la costituzione di un gestore unico regionale del servizio idrico e dei rifiuti urbani. Con la costituzione di tale gestore regionale giungerà a compimento un lungo percorso di spoliazione dei territori – in particolare quelli montani – della gestione della loro importante risorsa: l’acqua.

Infatti, dopo quella inviata nelle turbine lasciando i corsi d’acqua montani in secca e profitti nelle tasche dei concessionari foresti, ora tocca all’acqua del rubinetto di casa nostra finire quotata in borsa attraverso il costituendo ente gestore unico regionale, in cui i governanti di turno collocheranno i propri fedelissimi.

L’orografica del territorio del Friuli comporta presenze molto diversificate dell’acqua: nella zona montana scorre in superficie, quindi scorre in falda nel Medio Friuli per poi riaffiorare con pressione in superficie nella zona delle risorgive del Basso Friuli alimentando i fiumi che scorrono placidi verso la laguna.

Condurre ad unità di gestione tali diversità è una forzatura. Il buon governo deve essere aderente alle caratteristiche dei vari territori, ciò che non sarà il gestore unico regionale, lontano dai piccoli acquedotti dei tanti paesini della montagna, della Carnia in particolare, dove la sottrazione ai Comuni della gestione del servizio idrico per concentrarla in Carniacque è stata un fallimento che dovrebbe insegnare che nei territori montani la gestione comunale è la più appropriata, efficiente, partecipata e vicina agli utenti. Che ora invece si vedono recapitare dal CAFC bollette “salate”.

La diversificata presenza dell’acqua in Friuli comporta modi diversi di fornitura dell’acqua potabile. Nel Basso Friuli essa avviene mediante la spontanea risalita dell’acqua di falda nelle cosiddette “fontane”. Nel Medio Friuli, privo di sorgenti e di pendenza, la fornitura dell’acqua potabile avviene necessariamente in forma consortile attraverso l’estesa rete del CAFC.

Nella zona montana la fornitura è caratterizzata dalla presenza di numerose sorgenti a mezza quota e a dislivelli che permettono di disporre dell’acqua “a caduta”. Questi fattori hanno favorito l’insediamento di diffusi piccoli abitati, ognuno con il proprio acquedotto. Significativo è il caso di Ovaro dove su 14 paesi si contano ben 13 acquedotti, la cui gestione, per semplice buon senso, può essere solo locale, comunale e non già affidata ad una società esterna.

I nostri antenati montanari nell’individuare il luogo migliore per l’insediamento di un abitato, verificavano innanzitutto la presenza di una sorgente di portata adeguata e costante a quota superiore e sufficientemente vicina dalla quale con le proprie braccia, pala e piccone, posavano la condotta sino alla fontana con il coinvolgimento di tutta la comunità locale anche per la successiva manutenzione e gestione stabilendo un forte legame tra la comunità e la “nestra aga”. Testimonianza di tale carattere comunitario erano le fontane che, collocate nella piazza dell’abitato, avevano una funzione identitaria del paese, di socializzazione, come la chiesa e la latteria.

La politica centralizzatrice di questi ultimi anni, che ha privato i Comuni montani della gestione del servizio, oltre a portare al fallimento di Carniacque, alla gestione del CAFC, al notevole aumento delle bollette, ai disagi per l’accesso ai distanti uffici del CAFC, ha indebolito il senso di comunità nei paesi montani. L’acqua del rubinetto di casa non è più sentita come “la nestra aga”, ma come “l’acqua del Cafc”.

Il servizio idrico nel territorio montano richiede non modelli urbani e accentratori (il fallimento di Carniacque insegni!) ma il decentramento del governo e della gestione in loco ai Comuni. Mentre altre Regioni prendono semplicemente atto della volontà dei comuni montani di gestire in proprio il servizio idrico non è ammissibile che la nostra Regione continui a negare tale possibilità ai Comuni montani ai quali l’utente paga volentieri il servizio idrico poiché le somme restano a disposizione del suo Comune al quale può rivolgersi ricevendo risposte e rapidi interventi.

Utopia, penserà qualcuno, poiché il servizio idrico comprende la depurazione, che richiede specifiche competenze non sempre presenti nei singoli comuni montani. Preoccupazione legittima che si supera imparando dalla Provincia di Bolzano, dove i Comuni provvedono all’intera rete idrica, alla rete fognaria interna agli abitati e alla fissazione della tariffa, mentre alla rete fognaria esterna ed al depuratore provvede la Provincia attraverso il “Servizio integrato di fognatura e depurazione”, organizzato sulla base di ambiti territoriali ottimali (Legge Provincia Bolzano 18.6.2002. n.8).

Per rimediare alla decadenza della nostra montagna, oltre a un adeguato quadro legislativo e alle disponibilità finanziarie, è necessario rafforzare l’autonomia dei comuni ora umiliata dal centralismo regionale e dalla dipendenza dal locale maggiorente regionale di turno mettendoli nelle condizioni di governare il proprio territorio e la propria comunità. Fondamentale è la ricostruzione di un forte sentimento di appartenenza alla comunità del proprio paese. Come è stato nella ricostruzione post sismica in Friuli.

Franceschino Barazzutti, già sindaco di Cavazzo Carnico. Presidente del Comitato Tutela delle Acque del Bacino Montano del Tagliamento.

22.01.2025».

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Io credo che, prima che sia troppo tardi per la montagna friulana tutta e per la Carnia, si debba riflettere su questi temi, si debba chiedere ai Sindaci di diventare reali protagonisti della politica del territorio, non succubi della stessa, ed impauriti, magari dall’ uno e dall’altro, forse perché tengono i cordoni della borsa ben stretta nelle loro mani, mentre noi, anche a livello nazionale, pare ci stiamo trasformando solo ed unicamente in quelli dell’ “Io pago!”.

Senza voler offendere alcuno, questo ho scritto, e se erro correggetemi. 

Laura Matelda Puppini.

L’immagine che accompagna l’articolo è una elaborazione di quella che ho già utilizzato presente in Messaggero Veneto, 19 giugno 2015. L.M.P. 

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