Introduzione di Laura Matelda Puppini.

Porzûs, Porzûs, ed ancora Porzûs: ci sono più scritti su Porzûs, penso fra me e me che su tutta la resistenza osovana, e quasi tutti, per non dire tutti, dimentichi della “Zona Libera del Friuli Orientale”, di alcuni documenti, dell’anticomunismo accesso presente nel periodo post- bellico in Italia, derivato dagli Usa negli anni cinquanta in pieno maccartismo (1) e parimenti dall’Inghilterra di Churchill e non solo. E furono gli Inglesi i principali artefici della distruzione, armi in pugno, di ogni afflato di novità popolare in Grecia, in Italia furono in particolare gli Americani, in misura davvero minore gli Inglesi ed anche i fascisti che restarono lì, seduti sulle loro sedie …. trascinando l’Italia verso la negazione pratica dei principi costituzionali nati dalla Resistenza. 

Così ecco comparire a casa mia un volume di tale Antonio Lenoci, pugliese, pare non amante degli sloveni, edito da Laterza, intitolato “Porzûs. La resistenza tradita” con prefazione di Alfredo Berzanti; ecco comparire il volume di Fabio Vander, che lavora al Senato: “«Guerra totale» e Resistenza nel Nord-Est” (copertina con pugno chiuso che stringe un fazzoletto verde) (2) che non fanno altro che sottolineare il loro anticomunismo senza alcuna aggiunta al dibattito, e altri ancora, e poi articoli su articoli coi titoli più fantasiosi per esempio quello intitolato “Porzus, la verità sulla strage dimenticata voluta da Tito e dai comunisti”, che già così indica che nel racconto vi è più demagogia che realtà (3), quando allora Tito aveva ben altro a cui pensare. Ma poi vorrei veramente sapere cosa c’entra la strage di Porzus col confine orientale per noi. Nulla di nulla, secondo me. 

Insomma una strage reale si è trasformata nell’emblema dell’odio agli sporchi rossi comunisti, con uno stravolgimento di fatti (alle baite per esempio furono uccisi solo Elda Turchetti, Gastone Valente e Francesco De Gregori) e contesti da parte di persone che a me pare sappiano ben poco di comunismo o lo vedano solo come lo vedevano e vivevano la nobiltà ed il fascismo, ma in particolare sappiano ben poco di resistenza e seconda guerra mondiale, insomma dei contesti, dei gap e di quelli friulani e via dicendo, fidandosi di un solo documento, per esempio, e dando allo stesso un valore enorme. Così hanno fanno Elena Aga Rossi ed il giornalista Antonio Carioti nel loro “I prodromi dell’eccidio di Porzus” (4) ove presentano un documento firmato da ‘Livio’ (anche noto come ‘Barba Livio’, Romano Zoffo di Amaro) , collegandolo a Porzûs, senza sapere che esiste un ‘diario di Livio’ in cui quel testo ha un proseguo che non avvalora la loro ipotesi.

Il problema maggiore è che chi presentò denuncia per la strage impropriamente detta di Porzûs, secondo wikipedia, furono Candido Grassi Verdi che, non dimentichiamolo, aveva avuto contatti con la X Mas,  e Alfredo Berzanti Paolo  sicuramente anticomunisti ed inviperiti per l’accaduto, che formularono la stessa ritenendo causa del tutto, aprioristicamente, la Divisione Natisone, considerata traditrice dell’ italianità. Così andò a finire che persone del tutto estranee vennero incarcerate senza processo e senza neppure uno straccio di prova del loro coinvolgimento (vedi il povero Armando Zagolin medico di Ampezzo ma anche altri) e quindi trascinandoli, anni dopo, in due processi pot pourri contro la Natisone, il comunismo, la resistenza, più politici e politicizzati che altro, non certo per causa dei giudici e basati su di una serie di testimonianze orali che sono state già da Alessandra Kersevan messe giustamente in discussione. (5). Ed invano Alberto Buvoli ha raccolto una serie di documenti nel suo: ”Le formazioni Osoppo Friuli. Documenti 1944-1945, I.F.S.M.L. 2003, invano l’A.p.o. ha pubblicato, a cura di Giannino Angeli, il ‘Diario’ di Bolla (6), invano Marco Cesselli ha cercato di capire qualcosa, con il suo “Porzûs. Due volti della Resistenza” … E fuorviante in particolare è stato l’aver nascosto l’esistenza della Zona Libera del Friuli Orientale guidata dal Comando Unico Bolla/Sasso, anche nei processi se non erro, ove vite, storie, fatti si incrociarono e succedettero, che ha contribuito a non fare chiarezza.

Inoltre, incredibilmente, versioni che si appoggiano su di un documento o l’altro, che omettono un aspetto o l’altro, mancando il più delle volte di una visione di insieme parlano di questa vicenda, ed è a mio avviso travisante che l’Apo, a fronte di tanti eroi e partigiani osovani, che trovano memoria anche nel medagliere orgogliosamente portato alle manifestazioni, scelga come suo simbolo la baita di Topli Uork (erroneamente Porzûs) dove avvenne la strage, e continui a sostenere che i partigiani osovani erano la continuazione del corpo degli alpini disciolto dalla fuga del Re e di Badoglio dopo l’ armistizio dell’ 8 settembre 1943, che all’estero, secondo Davide Conti, viene chiamato ‘resa incondizionata’.

Detto questo, dopo aver riportato la recensione critica di Marco Puppini al primo libro su Porzus di Tommaso Piffer su questo mio blog con titolo: “Marco Puppini. Una riflessione su Porzûs. Violenza e Resistenza sul confine orientale, riporto pure quella, sempre del mio gemello, al secondo volume appena uscito sullo stesso argomento a firma dello stesso autore ed, a seguire, gli articoli che ho dedicato a questo argomento sul mio www.nonsolocarnia.info, scritti cercando di capire. Leggeteli, per cortesia, è lettura è gratuita. Ancopra una cosa: Marco qui accenna ai “fatti di Pielungo” anche “crisi di Pielungo” che investì la Osoppo. Ho accennato ampiamente a questi nel mio: Laura Matelda Puppini. Romano Zoffo Barba Livio o Livio, il battaglione Carnia, e la crisi innescata dai fatti di Pielungo. sempre in www.nonsolocarnia.info.

Laura Matelda Puppini. 

Note.   

  1. Sul maccartismo vedi anche http://www.storiologia.it..
  2. Fabio Vander, “«Guerra totale» e Resistenza nel Nord-Est”, ed. Leg, Confine Orientale, 2019.   
  3. https://www.liberoquotidiano.it/news/italia/41561413/porzus-verita-strage-dimenticata-voluta-tito-comunisti.
  4. Elena Aga -Rossi e Antonio Carioti, “I prodromi dell’eccidio di Porzus”, in: Ventunesimo Secolo, 7, No. 16 (Giugno 2008), pp. 83-88.
  5. Alessandra Kersevan, Porzus. Dialoghi sopra un processo da rifare, Kappa V 1995.
  6. Il diario di Bolla (Francesco de Gregori), a cura di Giannino Angeli, A.P.O. 2001.

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MARCO PUPPINI. UN PASSO AVANTI E DUE INDIETRO? L’ULTIMO LIBRO SULLA STRAGE DI PORZUS DI TOMMASO PIFFER.

 Il titolo della celebre opera di Lenin del 1904 mi è venuto in mente dopo aver letto l’ultimo libro di Tommaso Piffer su Porzus (Sangue sulla Resistenza. Storia dell’eccidio di Porzus, Milano, Mondadori, 2025) Il primo, curato da lui (Porzus. Violenza e Resistenza sul confine orientale, Bologna. Il Mulino, 2012) non mi era piaciuto, ed avevo espresso questo mio disaccordo in una recensione. Questo secondo mi pare segni per un verso un passo avanti. C’è una documentazione ricca, proveniente da diversi archivi. L’autore pare capire il dramma, reale e non ideologico, vissuto dalla Garibaldi – Natisone, stretta tra la necessità di agire da un lato in accordo con l’Esercito di Liberazione jugoslavo e dall’altro di seguire la linea del PC e della Resistenza italiana. Natisone i cui uomini finivano per trovarsi ad essere: «a Dio spiacenti ed ai nemici suoi» (parafrasando la frase dantesca). Piffer scrive che la sua «non è una ricostruzione definitiva dell’eccidio di Porzus» (p.11) e «Neppure una storia della resistenza italiana sul confine orientale d’Italia, (storia) che è composta da tanti altri capitoli importanti oltre a quello di Porzus» (Idem). Trattando dei diversi personaggi coinvolti, ne traccia in modo sintetico le biografie, cosa utilissima. Detto questo, mi pare che Piffer manchi gli obiettivi che dichiara di porsi, i documenti esposti non confermano le conclusioni cui l’autore vuol arrivare, ovvero provare il coinvolgimento della Natisone nell’eccidio, la vecchia tesi del settore anticomunista della Osoppo. Qui ci sono i due passi indietro prima evocati.

La lettura delle vicende del confine orientale che precedono l’eccidio mi pare segnata da un’ottica nazionalista italiana ed anticomunista, comune d’altro canto a molte delle ricostruzioni che vanno per la maggiore. Una lettura che sembra dare la massima importanza alla questione nazionale e confinaria mentre la sconfitta dei nazisti e dei fascisti e la costruzione di una società migliore e più giusta rispetto a quella fascista paiono calare in secondo piano. Posso dare qui solo alcuni spunti di riflessione per ragioni di spazio.

Non erano solo i comunisti jugoslavi e l’OF a voler rivedere i confini usciti dalla prima guerra mondiale. Confini, come riconosce giustamente Piffer, che non esistevano più dopo l’annessione all’Italia della “provincia” di Lubiana seguita all’occupazione del 1941 (p.19). Ma anche partiti ed organizzazioni che si riconoscevano nella monarchia jugoslava, che accusavano i comunisti di essere eccessivamente tiepidi nelle loro rivendicazioni nazionali a causa del loro internazionalismo. Senza dimenticare i collaborazionisti sloveni della Bela Garda, fatto che aveva creato non pochi contrasti con i fascisti italiani sebbene fossero entrambi alleati dei tedeschi.

La rivolta osovana seguita ai fatti di Pielungo mi pare centrale nella narrazione sulla Resistenza friulana, perché dimostra l’esistenza di una parte della Osoppo contraria non solo al comando unico, ma anche alle direttive del Comando Triveneto e del CLNAI. Quanto accade tra garibaldini ed osovani subito dopo la liberazione di Verdi ed Aurelio e l’arresto di Spartaco e Abba, non si può ridurre ai soli ricordi di Brusin (p.49). Tra le non molte, a talora reticenti, testimonianze risulta che le armi furono esibite da ambe le parti.

La Brg, garibaldina italiana Trieste non fu spostata all’interno della Slovenia, come scrive Piffer, (pp. 60–61) ma continuò (sotto il comando operativo del IX Korpus mentre prima esisteva un comando di coordinamento italo / sloveno) sulla linea dell’attuale confine fra Italia e Slovenia, come reparto italiano operativo nella zona rivendicata dalla Resistenza jugoslava. Ad essere spostati nelle Kraine furono i battaglioni lavoratori che costituirono poi la brigata Fratelli Fontanot.

La dipendenza operativa della Natisone dal IX Korpus decisa il 24 settembre è stata anche appoggio alle rivendicazioni territoriali jugoslave (pp. 69 – 70)? In gioco c’era la questione confinaria senza dubbio, ma non solo. Forse si dimentica che la decisione venne presa mentre era attesa un’offensiva nazista in grande stile che infatti si scatenerà tre giorni dopo e bisognava attrezzarsi per sopravvivere. È difficile sostenere che militarmente la presenza di una divisione di notevoli dimensioni come la Natisone che agisse in forma autonoma rispetto alle formazioni jugoslave già presenti sul medesimo territorio era la soluzione migliore per fronteggiarla.

Anche Piffer condivide le pesanti critiche di certa storiografia all’articolo su “La Nostra Lotta” della direzione del PCI dell’ottobre 1944 (Saluto ai nostri amici e alleati jugoslavi) dove tra l’altro si dice di «accogliere i soldati di Tito non solo come liberatori allo stesso modo in cui sono accolti nell’Italia liberata i soldati Anglo-Americani, ma come dei fratelli maggiori che ci hanno indicato la via della rivolta (…) e che ci apportano (…) la libertà» (p.78). Parole viste come cedimento alle tesi jugoslave, ma qual era allora l’alternativa? Bisognava respingere armi alla mano le truppe partigiane jugoslave, magari con l’aiuto di tedeschi e fascisti, era questa l’alternativa “geniale” alle direttive esposte nell’articolo? In ogni caso, il PCI ha sempre sostenuto che la linea di confine sarebbe stata decisa nel dopoguerra dalle potenze vincitrici, non dal “fatto compiuto” dell’occupazione jugoslava, e così è stato con il ritiro dell’armata jugoslava da Trieste e Gorizia nel giugno 1945.

Siamo sicuri che fu il PCI che rifiutò di partecipare alle sedute del CLN della Venezia Giulia (come scrive Piffer p.62)?  Oppure furono le altre componenti ad allontanare il suo esponente perché aveva affermato di rappresentare non solo i comunisti italiani ma anche gli sloveni?

Mi sono soffermato su questi punti, che possono a mio parere suscitare qualche dibattito, perché andando poi allo specifico dei fatti di Porzus non c’è nel libro molto di nuovo. Piffer minimizza i contatti dell’Osoppo con i tedeschi ed i fascisti, avviati senza comunicarlo ai garibaldini ed al Comando Triveneto, e contro le indicazioni del CLNAI, nell’autunno del 1944. Ma lo stesso don Moretti, uno dei fondatori e “mente” della Osoppo, ha riconosciuto che ci furono e furono almeno inopportuni. La Osoppo ha risposto negativamente alle offerte di accordo dei tedeschi? Il 23 gennaio 1945 don Moretti scriveva a Globocnick che solo in quel momento, dopo quel rifiuto, quando il “pubblico” era al corrente della risposta negativa della Osoppo: «rendesi possibile e seria una apertura di trattative. Le formazioni osovane stavano già compromettendosi di fronte ai garibaldini ed agli sloveni per le troppe chiacchiere che si sono fatti su suoi scopi antisloveni ed anticomunisti e sulle trattative con i tedeschi (…) Devesi escludere ogni scritto ufficiale e tutte le parti devono avere la facoltà di smentire ogni colloquio avuto, sia ogni scritto spedito» (A. Buvoli, Le formazioni Osoppo Friuli. Documenti 1944 – 45, Udine, IFSML, 2003 p.162-163).

Se le trattative con i tedeschi miravano ufficialmente ad ottenere per gli osovani lo status di combattenti regolari, quelle numerose con i fascisti, iniziate ad ottobre 1944 e proseguite con l’incontro tra “Verdi” ed il comandante della X Mas Morelli a Vittorio Veneto a fine gennaio ed il presidio di Ravosa, hanno avuto chiari intenti anticomunisti ed antisloveni (A. Kersevan, Porzus, dialoghi sopra un processo da rifare, Udine, KappaVu, 1995 p.150 su Ravosa e pp.123-146, e D. Franceschini, Porzus. La Resistenza lacerata, Quaderno n. 11, Trieste, IRSML FVG, 1996, pp.49 – 78, in particolare pp. 62-63). Quanto ai quattro garibaldini uccisi per ordine dell’osovano “Goi” a Conoglano, Piffer si appiattisce forse troppo acriticamente sui risultati processuali. Cita in nota (nota 80 p.223) la lettera del fascista Munaretto ai comandi della milizia della caserma Piave di Palmanova, che suggerisce la possibilità che i quattro fossero stati uccisi in base ad un accordo tra RSI ed Osoppo, ma semplicemente nega a questa lettera ogni validità e continua sulla sua strada senza farsi molte domande. Anche il comportamento della 3^ Brigata Osoppo, inviata alle malghe per dare sostegno al reparto di Bolla, che arriva, mangia (a carico delle risorse di quelli che doveva sostenere) e poi sparisce doveva suscitare qualche riflessione, se non altro in ordine alla inaffidabilità di alcuni reparti della Osoppo.

I documenti che Piffer presenta come fondamentali per capire i fatti di Porzus sono sempre gli stessi. Ed almeno due rubati dai locali dell’ANPI da esponenti osovani (p.178). Documenti che avrebbero dovuto essere esaminati con molta cura in tribunale dato il modo in cui vi erano arrivati, per escludere qualsiasi falso o manipolazione da parte di chi li aveva rubati. Ovvero, la relazione del triumvirato gappista di Marino (Toffanin), Marco (Iuri) e Valerio, (Plaino, che a Porzus non c’era) del 10 febbraio, la lettera di Tambosso “Ultra” del 27 gennaio 1945 e la lettera di Baolini a Bertolaso dell’11 febbraio. Sono documenti che Alessandra Kersevan ha esaminato con attenzione arrivando a conclusioni opposte a quelle processuali. La relazione del triumvirato è stata riconosciuta come vera (cioè scritta dai firmatari) ma dai contenuti falsi dalla stessa Corte d’Appello. In realtà, ha l’apparenza di un falso costruito ad arte per inguaiare i gappisti (A. Kersevan, cit., pp.81-85 e pp.198-200). La lettera di Ultra può essere interpretata in modo del tutto diverso da come fecero i giudici (Kersevan, cit., p.255-262). La lettera di Baolini, “Hermes” e “Ariosto” a Bertolaso che gli interessati hanno sempre negato di aver ricevuto o spedito, trovata “casualmente” sempre all’ANPI nel 1950 potrebbe essere frutto di falsificazione (Kersevan, cit,. pp.200-203). Anche il memoriale del settembre 1946 di Plaino, in quel momento incarcerato e sottoposto a pressioni e torture psicologiche, va letto con molta attenzione tenendo conto delle sue condizioni (Kersevan, cit., pp.250-251).  Piffer nega a mio parere sbrigativamente valore a queste tesi, che confina in nota appiattendosi sui risultati processuali, ed è un peccato, perché non sempre la verità processuale è anche la verità storica.

«I principali protagonisti di quelle vicende – scrive Piffer riferendosi al dopoguerra – ripresero come poterono la loro vita interrotta dalla guerra» (p.185). I principali testimoni dell’accusa, Bricco e Patussi, fecero in realtà una brillantissima carriera militare, di Valente ci sono meno notizie. Berzanti divenne uno dei principali esponenti della DC friulana e primo presidente della Regione Autonoma dal 1964 al 1973. I gappisti ma anche i comandanti della Natisone dovettero subire periodi più o meno lunghi di carcere preventivo, o si rifugiarono all’estero. Padoan si rifugiò in Cecoslovacchia, rientrato dopo l’amnistia del 1959 visse lavorando in un negozio di abbigliamento ad Udine. Modesti, irriducibile antifascista sin dall’anteguerra, un occhio perso guidando una squadra partigiana contro i tedeschi alla stazione di Gorizia nel settembre 1943, si fece quasi nove anni di carcere per responsabilità che forse non erano sue. Lui e Plaino non erano presenti a Porzus, come non lo era Valerio Stella, ma pagarono più di altri.

Plaino a me non risulta rientrato in Italia dopo l’amnistia del 1959 come scrive Piffer (p.186) ma nel 1953, visse in seguito tra molte difficoltà facendo l’autista. Zocchi, anch’egli irriducibile antifascista, espatriato clandestinamente, combattente della guerra di Spagna, comandante della brigata Friuli, affrontò processi e carcere preventivo, prima di venire assolto. Fantini “Sasso” «avviò con fatica una piccola attività di commercio, prima di alimentari e poi di bombole di gas” scrive Piffer (p.187). Non ritiene interessante ricordare non solo le campagne denigratorie di stampa, il carcere preventivo patito, ma anche la bomba messa in casa sua dalle squadre filo italiane a neofasciste la notte di San Silvestro del 1947; le due figlie, bambine, presenti in casa, si salvarono per caso. Piffer scrive molto di intimidazioni opera degli ex partigiani nei confronti di testimoni che potevano essere “scomodi”. Mi pare che vi siano state intimidazioni nel dopoguerra a suon di aggressioni, bastonate, bombe messe nei giardini e sulle finestre delle case, istituzioni operaie distrutte, denunce e carcere preventivo, tutto contro gli ex partigiani comunisti.

I due documenti finali sono presentati come la prova della tesi che l’autore sostiene con convinzione, ovvero il probabile coinvolgimento della Natisone nell’eccidio. Non è argomento nuovo. È noto che nell’autunno – inverno 1944 gli sloveni insistettero affinché la Natisone “risolvesse” il problema della presenza osovana, la Natisone assicurò a parole ma non fece niente. Già nella lettera del 22 ottobre i comandi sloveni chiedevano a Padoan di comunicare le misure prese contro «tutti gli elementi fascisti nelle vostre file» (p.77) e in dicembre non era stato fatto ancora niente. Dopo il trasferimento oltre Isonzo la Natisone fece ancora meno, come nulla fecero gli sloveni (che se avessero voluto avrebbero agito subito per proprio conto). «La Natisone scrisse di liquidare ma non liquidò nulla. Che sia stato un modo per cavarsela di fronte ad un’azione che le ripugnava?» ha affermato don Moretti nel 1975 (Franceschini, cit., p.89). Mi pare che la documentazione nuova di Piffer confermi questo vecchio giudizio di un avversario, astuto ed intransigente ma forse più onesto di altri, della Garibaldi.

Marco Puppini»

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Articoli su Porzûs (in realtà Topli Uorch) e metodologici per capire la situazione pubblicati su www.nonsolocarnia.info.

1 – Marco Puppini Una riflessione su Porzûs. Violenza e Resistenza sul confine orientale. 13 gennaio 2015.

2 – Sull’uso politico della storia. 26 febbraio 2015. Autrice Laura Matelda Puppini.

3 – Pier Paolo Pasolini, 1948: sull’uso politico di Porzûs, su cui “nulla è ancora chiarito e risolto”. 29 aprile 2015. Autrice Laura Matelda Puppini.

4 – Per il discorso politico: Su quel dissacrare la Resistenza che ha radici lontane: Antonio Toppan ed il suo: Fatti e misfatti … . 10 luglio 2015. Autori Laura e Marco Puppini.

5 – E tu seis chi a contale, Annibale… Storia di un partigiano friulano della Divisione Garibaldi Natisone. Intervista ad Annibale Tosolini. Autrice Laura Matelda Puppini. 3 ottobre 2015.

6 – Divagando su “Porzûs”, in modo documentato. E se … 31 dicembre 2015. Autrice Laura Matelda Puppini.

7 – Convegno sul confine orientale (italiano) dell’Anpi a Milano: una riflessione. 2 febbraio 2016. Autore Marco Puppini.

8 – Dal diario di Bolla, il Capitano Francesco De Gregori. 7 febbraio 2016. Autrice Laura Matelda Puppini.

9 – La Zona Libera del Friuli Orientale ed il Comando Unico Bolla – Sasso. 14 marzo 2016. Autrice Laura Matelda Puppini.

10 – La Divisione Garibaldi Natisone alla fine della Zona libera, fra fame, nemico, e spazio ristretto. 17 marzo 2016.

11 – Ancora sulla strage di “Porzûs”, sui contesti internazionali, sulle chiavi di lettura di alcuni documenti. 16 giugno 2016. Autrice Laura Matelda Puppini.

12 – “Porzûs” – Topli Uorch. E se fosse stato un atto solitario, frutto di tensioni, senza mandante alcuno? Confutazione documentata di alcune tesi. 19 novembre 2016. Autrice Laura Matelda Puppini.

13 – Mode storiche resistenziali e non solo: via i fatti, largo alle opinioni, preferibilmente politicamente connotate. 22 dicembre 2016. Autrice Laura Matelda Puppini.

14 – Relazione del capitano del R.E.I. Francesco De Gregori, poi comandante partigiano Bolla, sui fatti d’arme alla fine della Zona Libera del Friuli Orientale. Da Archivio Fondazione Gramsci Roma. 14 agosto 2017. Autrice Laura Matelda Puppini.

15 – Confini, geografia e politica ai tempi della Resistenza. 2 settembre 2017. Autrice Laura Matelda Puppini.

16 – L. M. Puppini. Lu ha dit lui, lu ha dit iei. L’uso delle fonti orali nella ricerca storica. La storia di pochi la storia di tanti. 17 settembre 2017. Autrice Laura Matelda Puppini.

17 – Laura Matelda Puppini. Resistenza e guerra in Ozak: scenari di fine guerra 10 aprile 2018. Autrice Laura Matelda Puppini

18 – Perché no a Berlusconi a Porzûs con fazzoletto verde, labaro osovano e Volpetti, a far comizi il 25 aprile. 6 maggio 2018. Autrice Laura Matelda Puppini

19 – 6 agosto 1943: l’incontro di Tarvisio tra italiani e nazisti. 27 novembre 2018. Autrice Laura Matelda Puppini

20 – Quel terribile ’42-’43, periodo di svolta in Italia. 7 dicembre 2018. Autrice Laura Matelda Puppini

21 – In ricordo della strage di Topli Uorch. Considerazioni sui Gap di Giacca e sui contesti. 7 febbraio 2019. Autrice Laura Matelda Puppini.

22 – Paolo Strazzolini. “Eventi, luoghi e nomi nella Memoria. L’Eccidio di Porzus e le incongruenze del cippo commemorativo di Bosco Romagno”. 28 giugno 2021. Autore Paolo Strazzolini.

23 – Elda Turchetti. Ricostruzione possibile della storia di una spia paesana, poi partigiana, uccisa a Porzus. 11 settembre 2022. Autrice Laura Matelda Puppini.

24 – La resistenza non fu Porzus, ma si continua a parlare solo di quello ed a farsi strane ed inutili domande, come ora Paolo Strazzolini. 11 maggio 2023. Autrice Laura Matelda Puppini.

25 – L.M.P. Risposta alla domanda di Strazzolini: “Ma dove si trovavano Berzanti e Lizzero” nell’inverno 1944-45?  15 maggio 2023. Autrice Laura Matelda Puppini. 

26 – Confutando Strazzolini. Secondo un documento, Alfredo Berzanti (Paolo) non si trovava a Topli Uorch (Porzus) il 2 febbraio 1945. 25 luglio 2023. Autrice Laura Matelda Puppini 

Ricordo infine che sulla strage di Topli Uorch ho tenuto un incontro partecipato a Pordenone il 13 febbraio 2016, intitolato: “Porzûs… e se fosse andata così?” organizzato dall’ Istituto Provinciale per la Storia del Movimento di Liberazione di Pordenone.

Laura Matelda Puppini.

L’immagine che accompagna l’articolo è una elaborazione grafica della baita di Topli Uorch (non correttamente Porzûs) stilizzata, che forma la copertina del ‘Diario’ di Bolla. L.M.P.

 

 

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