Ci siamo trovati ad Enemonzo il 27 novembre 2021, per parlare del volume ‘La Carnia di Antonelli’ (1) ed ascoltare anche Remo Cacitti (2) che lo ha scritto con noi, che lo ha vissuto assieme a noi. Egli ha iniziato sottolineando la sua intenzione di fare alcune considerazioni generali legate al significato di questo libro fotografico nel nostro vivere odierno, ed ha ritenuto importante farlo proprio ad Enemonzo, che di Antonelli fu la patria acquisita.

1- Dall’introduzione di Leonardo Zanier: su quell’energia elettrica rubata alla Carnia.

«Partirei – ha detto Remo – dalla premessa che Leonardo Zanier (3) scrisse 40 anni fa, nel 1981, al volume fotografico. Leggendola, ci si accorge che è incentrata sullo sfruttamento montano, sul furto dell’energia elettrica che si è compiuta e si continua a compiere in Carnia fra dighe, turbine, condotte forzate ed elettrodotti che la portano altrove. Se pensiamo che in questi giorni il problema centrale a livello planetario è quello di produrre energia senza distruggere il pianeta, si può cogliere come la voce di Leonardo Zanier fosse direi profetica, 40 anni fa.

Ma da queste osservazioni nasce pure una considerazione sul ruolo che un’intellettuale ha nella società. L’intellettuale è uno che studia, analizza, scruta il presente per poter progettare il futuro.
E direi che la figura di Leonardo Zanier, per quanto riguarda questo ruolo, è stata centrale, lasciando perdere una certa amarezza che mi coglie quando penso alla funzione preziosissima che egli avrebbe potuto avere in Carnia (4)».

2 – Il ruolo dell’intellettuale nella società odierna.

«Siccome questo libro è uscito dalle mani di un piccolo gruppo di allora giovanissimi intellettuali carnici, qual è oggi il ruolo possibile di un intellettuale in questa nuova società assolutamente atomizzata, e tutta proiettata nel telematico?

Forse perché io ho insegnato per 40 anni storia antica, mi risulta sempre molto agevole il confronto tra il collasso della cultura e della civiltà precedente, che stiamo vivendo oggi, ed il collasso della civiltà classica.

Con il quinto secolo una intera civiltà implose, crollò su sé stessa, e non fu solo l’impero romano a aver fine, ebbero fine pure la cultura greco-romana, la scienza greca e l’ordinamento giuridico romano, e furono pure le culture del vicino oriente ed egizie a collassare. E badate che questo collasso fu sì creato dalle invasioni barbariche, ma le stesse non possono esser ritenute sufficienti per un cataclisma di questo tipo. E c’è un archeologo che ha detto che non furono i barbari o il cristianesimo a far terminare l’impero romano, ma che esso fu determinato da un collasso delle fogne, perché avvenne quando incominciarono a non funzionare più le cloache, le stalle, gli acquedotti (5) ed anche noi ci stiamo arrivando. Pensate, per esempio, a quale peso potrà avere il problema dell’acqua in futuro.

Ma per ritornare a noi, qual è il ruolo dell’intellettuale? Io, per analogia, ho sempre pensato che il ruolo dell’intellettuale ora non sia meno grande di quello dei monaci dell’alto medioevo, chini sui loro scriptoria. Questo piccolo gruppo di uomini, isolati dal contesto, in qualche modo autoreferenziali, per quasi un millennio, nel silenzio più assoluto, trascrissero, fecero memoria, fecero storia di una civiltà che, diversamente, per noi non sarebbe più conoscibile. Se noi sappiamo qualcosa dell’Iliade, dell’Odissea, dei lirici greci, della scienza medica o della scienza fisica o del corpus giuridico romano e di tanti aspetti della civiltà greco- romana, lo dobbiamo a loro. Pertanto il ruolo dell’intellettuale è quello di preservare un patrimonio culturale, espressione di una civiltà del passato e riuscire a trasmetterlo. E questo abbiamo cercato di fare anche noi con ‘La Carnia di Antonelli’». 

3 – La Carnia di Antonelli. Gli attori e la rappresentazione.

«Dobbiamo vedere, a mio avviso, in questo libro: ‘La Carnia di Antonelli’ di cui ora stiamo parlando, una specie di messa in scena. C’è, da un lato, una rappresentazione della realtà fatta da Umberto Antonelli, che percorre 50 anni di fotografia: dal 1900 al 1950; c’è, dall’altro, un gruppo: ‘Gli Ultimi’ di Tolmezzo, che si incominciò a formare nel capoluogo carnico agli inizi degli anni ’70.  Questi sono gli attori di una rappresentazione di cui il libro è la sceneggiatura. Ma perché dico questo? Perché in questo volume, non ci troviamo più di fronte solo alle fotografie di Antonelli, ma alle fotografie di Antonelli come sono state interpretate, come sono state lette negli anni Settanta, (e questo dato temporale è di per sé stesso significativo), da un gruppo di giovani che usciva dalla stagione del ’68, e che rappresentava il dissenso cattolico, in una regione molto sclerotizzata, ma anche un dissenso politico comune.

Pertanto, soffermandoci su quest’ opera, noi non ci troviamo più in presenza solo delle immagini scattate da Antonelli, ma in presenza di ciò che Gli Ultimi hanno visto in Antonelli. Ed anche questo aspetto comporta una riflessione più generale sullo scorrere del tempo.

Infatti quest’ opera prevede un primo dato cronologico: quello dello scatto delle immagini, che va dal 1900 al 1950, un secondo dato: quello degli anni ’70, quando le immagini vengono lette; un terzo dato: i quarant’anni dopo la pubblicazione del volume, con l’incontro qui per una ulteriore ristampa dello stesso libro. Ma che cosa ci può dire questo incalzare del tempo? Esso ci parla del fatto che dobbiamo riflettere sul modo in cui tenere insieme questi aspetti relativi ad un passato remoto, ad un passato prossimo, ad un presente.

4 – La storia come strumento per il presente, per andare oltre ….

«Passato, presente, futuro … Può un volume che narra il passato orientare il futuro? Ma che significato hanno per noi ‘passato’, ‘presente’ e ‘futuro’?

Direi che il modo per poterci orientare nel trascorrere del tempo scaturisce dalla riflessione di un grande filosofo dell’Ottocento, Friedrich Nietzsche, che ha scritto un’opera importante: “Sull’utilità e il danno della storia per la vita”. Perché, quando si parla di storia, in gioco non vi è solo l’aspetto della storia come oggetto di ricerca scientifica, ma anche quello della storia come elemento che incide sulla nostra esistenza. E nel merito cito qui pure una lettera di Johann Wolfgang Goethe a Friedrich Schiller, datata 19 dicembre 1798, ove si legge: «Del resto mi è odioso tutto ciò che mi istruisce soltanto, senza crescere o vivificare immediatamente la mia attività». Cosa disturba Goethe? Il fatto che quanto appreso non entri in circolo, si depositi senza fruttificare.

E quindi, ritornando a “Sull’utilità e il danno della storia per la vita”, qual è il danno che può portare la storia alla vita? Il danno è quello di ritenere il passato una specie stanza senza porte e senza finestre in cui si depositano un sapere e delle conoscenze che non riescono però ad incidere sul presente, ad entrare in circolo. All’opposto, ciò che nella storia è di utilità per la vita è ciò che può fruttificare per il presente, e ciò accade quanto la storia si presenta come patrimonio, come eredità che, in mano al presente, costituisce l’orizzonte dell’umanità.

Ma questo parlare di storia, di passato e di presente, alla luce del volume ‘La Carnia di Antonelli’, mi porta a soffermarmi sulla parola ‘orizzonte’: cosa significa, infatti, in Nietzsche, l’asserzione che la storia è in grado di definire l’orizzonte della vita contemporanea? Prima di lui, a questa considerazione era giunto, a livello lirico, uno straordinario poeta: Giacomo Leopardi, nel suo ‘L’infinito’. «Sempre caro mi fu quest’ermo colle,/ e questa siepe, che da tanta parte/ dell’ultimo orizzonte il guardo esclude».

Ora vi è chi ha preso in simpatia, nella lirica leopardiana, anche la siepe, ma non io. Perché la siepe è quella che impedisce di vedere l’orizzonte. Ma qualcuno può obiettare che l’orizzonte è pur sempre un ambito delimitato, perché oltre quella linea di orizzonte, io non vedo nulla. Ma a questo punto io vi inviterei a leggere qualcosa sul significato della parola orizzonte, (…). Orizzonte viene dal greco dal verbo ‘orizo’ il quale, però, non ha alcuna accezione limitativa, ma ha, invece, una accezione fondativa. Infatti ‘orizo’ significa ciò che fonda, ciò su cui si può costruire. (…).

Quindi, per ritornare a noi, una storia che si dischiude all’orizzonte, non è una storia limitata, ma una storia che trova un fondamento per poter procedere oltre. È questo è il significato di orizzonte, è questo il significato di una storia che vuole essere utile alla vita. C’è una storia che incide sulla vita in modo che essa possa darsi un fondamento per il suo presente, e da quel presente aprirsi verso ulteriori dinamiche».

5 – La lettura del volume/documento oggi.

«A questo punto, è inutile nasconderselo, nasce una difficoltà, quella di riflettere in primo luogo sul concetto di presente. Ma cos’è il presente? Forse è più facile definire il passato ed il futuro piuttosto che il presente. Ed allora partirei da una riflessione che troviamo in alcune mirabili pagine di San Agostino di Ippona secondo cui il presente è l’attimo in cui il futuro si fa passato – e questa visione non verrà superata neppure dal pensiero Novecentesco.

Nel momento in cui io pronuncio queste parole, esse appartengono già al passato, scivolano immediatamente dal futuro al passato. Ma allora c’è il rischio che il presente non abbia una sua consistenza. Infatti Agostino riteneva che si dovesse arbitrariamente distendere i confini di questo attimo fino a renderlo percepibile. Ora io non so se la soluzione agostiniana regga, ma so che noi riteniamo che il presente sia una dilatazione più o meno breve di fatti che sono già accaduti da non molto. Questo però permette che possa sopravvivere il concetto tradizionale di divisione tra un passato, un presente, ed un futuro.

Ora però abbiamo una società assolutamente atomizzata, e l’abbiamo sotto gli occhi, tutta proiettata nel telematico. (…). Ma in una società atomizzata e telematica, le tre categorie di passato presente e futuro si congiungono, e la storia subisce un trauma da cui non si può riprendere, e cioè la deformazione del passato. Il passato, in questa società diventa un fardello, diventa una stanza senza porte e senza finestre, diventa una soffitta in cui si mettono le cose che non si usano più, che non sono più utili, che risultano insignificanti per il presente.

Se è così, il rischio che si corre è quello che la perdita della memoria comporti la perdita dell’identità dell’uomo stesso, la perdita della sua capacità di costruire un orizzonte, cioè qualcosa di stabile, di fondativo. E sia ben chiaro che questa società è capace di distruggere il fondamento su cui sinora abbiamo articolato la disgressione sulla storia, e di costruire un altro orizzonte, un’altra prospettiva, un’altra dinamica, un’altra possibilità di incidere sulla vita».

5 – Come ‘La Carnia di Antonelli’ può ritenersi un volume utile alla vita presente?

«Ritornando al nostro libro: ‘La Carnia di Antonelli’, che mi ha portato a fare queste riflessioni sul ruolo della storia per la vita e sul presente, mi chiedo: «In che maniera oggi ‘La Carnia di Antonelli. Ideologia e realtà’ può costituirsi come una ‘storia’ utile alla vita? La lettura delle immagini di Umberto Antonelli data dal gruppo Gli Ultimi, secondo me, può diventare utile alla vita nella misura in cui focalizza alcuni elementi centrali della società, dal 1950 ad oggi, in una regione definita: la Carnia, non il Friuli, non l’Italia intera; Carnia che ha i suoi caratteri peculiari: una unità territoriale, un preciso patrimonio sociale, culturale, storico – artistico, architettonico, ambientale, una lingua specifica. Ed il libro ci sprona a riflettere sull’identità della Carnia e sul ruolo che possono svolgere e svolgono i suoi luoghi di conservazione storica: archivi, biblioteche, musei, insediamenti architettonici. Inoltre ‘La Carnia di Antonelli’ ci sollecita a ripensare la Carnia in termini però che non sono certamente quelli del 1950 o del 1980, ma che spetta alla vita contemporanea attivare, fondare, orizzontare, orientare».

7 – Quel filo infinito che lega il passato al presente e volge al futuro.

«Il ruolo dell’intellettuale, anche in questa società, è quella di preservare un patrimonio e riuscire a trasmetterlo. E dato che siamo qui, in Friuli Venezia Giulia, non so se avete letto uno degli ultimi libri di Paolo Rumiz (6), “Il filo infinito” (7). Egli ha fatto un percorso dal centro Italia fino al nord est dell’Europa attraverso i monasteri benedettini, ed è riuscito a tenere in mano un filo, il ‘filo infinito’, che lega questi monasteri fra di loro, ed il passato al presente, volgendo al futuro. Ma in cosa consiste questo legame? Nel fatto che tutti i monasteri hanno concorso al rispetto della tradizione, al ‘tradere’, al tramandare i dati di una cultura, i dati di una civiltà. E questo aspetto è stato chiamato da Rumiz ‘il filo infinito’, che è quello che lega il passato al futuro, e che per lui costituisce la base dell’Europa. Non so se quest’idea sia storicamente fondata, ma il volume è una pagina memorabile dell’autore. Quindi la storia può essere vista come conoscenza capace di significare il presente dell’uomo, ma la conoscenza, per essere utile deve essere condivisa.

Remo Cacitti.

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Questo testo è stato steso da Laura Matelda Puppini sulla base della scaletta pervenutale da Remo Cacitti, e della registrazione e trascrizione dell’intervento sempre da parte di Laura Matelda Puppini. Remo Cacitti si è fidato di me permettendomi di pubblicare queste righe senza rileggerle, ma, se vi è stato qualche problema di comprensione da parte mia, lo prego di farmelo presente, che correggerò immediatamente. Laura Matelda Puppini.

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Note.

(1) ‘La Carnia di Antonelli. Ideologia e realtà’ è opera di sette persone unitesi a formare istituzionalmente il gruppo Gli Ultimi, che sono: Remo Cacitti, Marco Lepre, Sergio Marini, Tarcisio Not, Laura (M) Puppini, Marco Puppini, Dino Zanier. Sergio Marini, operaio in cartiera, è morto anni fa improvvisamente. Era un grande amante della fotografia e di fotografie, ha tenuto l’archivio Antonelli per anni a casa sua assieme ad altri archivi fotografici, ed era molto bravo ad usare il computer, possedendone uno, il che, a fine degli anni settanta, era una rarità.
Per la nascita del volume si rimanda a Laura Matelda Puppini, Su quelle fotografie che potevano finire in discarica e “La Carnia di Antonelli” del Gruppo Gli Ultimi, in: www.nonsolocarnia.info. Note sulla prima edizione di ‘La Carnia di Antonelli’ si possono trovare anche in ‘Carlo Bressan. Cultura in un Friuli che fu. Parlando della prima edizione di ‘La Carnia di Antonelli’, in: www.nonsolocarnia.info.

(2) Remo Cacitti, figlio del partigiano osovano Bruno Cacitti, che ha dato un grosso contributo alla resistenza dirigendo l’intendenza carnica, è uno degli autori di ‘La Carnia di Antonelli’. Nato a Tolmezzo nel 1948, ha frequentato il liceo classico e si è laureato, con una tesi sui mosaici di Aquileia, presso l’Università Cattolica di Milano, avendo come relatore il prof. Raniero Cantalamessa, con il massimo dei voti. Ha insegnato prima Storia del Cristianesimo antico presso l’Università Cattolica, poi Letteratura Cristiana Antica e Storia del Cristianesimo Antico presso l’Università statale di Milano. Intellettuale ed autore di alcuni saggi, è molto conosciuto per “Inchiesta sul cristianesimo. Come si costruisce una religione”, Mondadori 2008, che è una lunga intervista concessa a Corrado Augias, con cui ha scritto pure il volume, e per la sua attività, dopo i terremoti del 1976, in particolare per la ricostruzione, com’ era prima dei sismi, della cittadina medievale di Venzone e del suo duomo.
Suoi anche i saggi: Venzone: un borghetto del tutto medioevale, “Il Friuli”, giugno 1968; Ricostruzione e rinascita materiale, sociale, culturale del Friuli, in I cristiani per la ricostruzione e la rinascita del Friuli, Udine 1977, (http://www.friul.net/dizionario_biografico/?id=627&x=1), ed altri scritti. Per anni è stato pure  presidente dell’Associazione ‘Amici di Venzone’, di cui fa ancora parte. Nel 2016 ha anche ricevuto il premio Gilberto Pressacco Maqôr Rusticitas, per essersi battuto contro il potere economico che suggeriva di cancellare i paesi distrutti dal terremoto a favore della grande Udine. (https://messaggeroveneto.gelocal.it/udine/cronaca/2016/06/05/news/venzone-pietra-su-pietra-il-grazie-dei-friulani-all-ideatore-del-restauro-1.136066159). Una biografia che riporta l’impegno di Remo Cacitti come studioso, docente, intellettuale, è presente anche in: http://www.istitutopiopaschini.org/remo-cacitti/.

(3) Leonardo Zanier, famoso poeta originario del comune di Comeglians, in Carnia. Ha scritto diversi libri di poesie tra cui: “Libars di scugnî lâ” e “Che Diaz us al mereti”. Presumibilmente per il suo essere comunista e sindacalista e per i contenuti delle sue poesie, Leonardo Zanier non trovò subito un editore per le sue opere, e si deve ringraziare il Circolo ‘Colavini’ di Aiello del Friuli se i suoi primi lavori furono consegnati alla stampa e diffusi. È stato tradotto in più lingue. Per la sua biografia si rimanda a: https://www.dizionariobiograficodeifriulani.it/zanier-leonardo-1935-2016/.

(4) Cfr. Laura Matelda Puppini, Leo Zanier poeta festeggiato: in onôr in favôr -ahimè non in Carnia. La cultura non abita più qui?” in: www.nonsolocarnia.info.

(5) Interessanti pure le ipotesi sul crollo dell’impero romano di Kyle Harper, che ritiene che la mancanza di cibo ed il diffondersi di epidemie, oltre ai cambiamenti climatici, portarono di fatto alla fine di una civiltà. (https://www.ilsole24ore.com/art/tutta-culpa-climate-change-ACC0mNa).

(6) Paolo Rumiz, famoso giornalista, scrittore mitteleuropeo e viaggiatore, è nato a Trieste nel 1947. «Inviato speciale del “Piccolo” di Trieste, quindi editorialista di “La Repubblica”, ha seguito gli eventi politici che a partire dagli anni Ottanta hanno prodotto profonde trasformazioni nell’area balcanica, pubblicando a seguito di questa esperienza il reportage Maschere per un massacro (1996), e successivamente ha documentato gli eventi bellici verificatisi in Afghanistan dal 2001. Appassionato viaggiatore di viaggi lenti e consapevoli, effettuati a piedi o con mezzi di fortuna, indagatore delle terre di confine e dei luoghi dimenticati, ha percorso itinerari sconosciuti al turismo di massa, soprattutto nell’Est europeo, nel profondo Nordest italiano, lungo il fiume Po. Di questo girovagare animato da ideali minimi e chiari, e degli incontri che ne sono derivati con un mondo di personaggi autentici e di territori strani e meravigliosi, ha dato conto con uno stile asciutto e fotografico che non si compiace mai di sé stesso ma tende a restituire con immediatezza e semplicità il vissuto, in numerosi libri». (https://www.treccani.it/enciclopedia/paolo-rumiz/)

(7) Il volume a cui fa riferimento Remo Cacitti è Paolo Rumiz, Il filo infinito. Viaggio tra i monasteri alle radici d’Europa, Prima edizione Feltrinelli, marzo 2019, seconda edizione la Repubblica, 2019. Da questo volume ho tratto alcune considerazioni che Rumiz fa sull’Europa, che ho pubblicato in: Paolo Rumiz. Riflessioni sull’Europa, in: www.nonsolocarnia.info.

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L’immagine che accompagna l’articolo è stata scattata da Alido Candido il 27 novembre 2021 a Enemonzo e ritrae il tavolo dei relatori a cui sedevano Dino Zanier e Carlo Bressan e Remo Cacitti, oratori ufficiali. L.M.P.

 

 

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