Molti ritengono che le donne che hanno pensato e creduto in una idea siano state prive di sentimenti. Per questo vorrei proporvi questo testo di Rosa Luxemburg, da una lettera inviata la suo amore Leo Jogiches, assassinato quando si occupava della morte della donna, uccisa in Germania. Per fortuna allora non esisteva internet, altrimenti chissà cosa avrebbero scritto di lei, che si definiva “straordinariamente riservata” (1), in questo mondo che già ho definito di “rutti e puzze” in un mio articolo, ove tutti sono economisti e politologi e magari meno sanno più parlano. Un tempo, anche quando frequentarono l’università i miei genitori ma anche io e mio fratello Marco, studiare era importante per tutti, ed anche gli operai ci tenevano a leggere e conoscere, mentre ora a me sembrano aspetti spesso svaniti sull’onda dei miti americani e dei personalismi accesi privi di fondamento. E se erro correggetemi.

Ma chi è stata Rosa Luxemburg?

Rivoluzionaria e teorica del socialismo, polacca naturalizzata tedesca, era nata a Zamość in Polonia nel 1870 e venne uccisa a Berlino 1919). Di origine ebraica, costretta all’esilio per motivi politici (1889), a Berlino aderì al Partito socialdemocratico e divenne la principale esponente dell’ala di sinistra. Prese posizione contro il revisionismo teorico di E. Bernstein e fu critica anche rispetto al modello leninista di organizzazione del partito. Nel 1916 fu tra i fondatori dello Spartakusbund e, insieme a Karl Liebknecht, politico ed avvocato, promosse l’insurrezione spartachista. Fu uccisa a Berlino il 15 gennaio 1919, nella repressione che ne seguì. (2).

Ella fu legata, contraccambiata, da profondo amore a Leo Jogiches, noto anche con lo pseudonimo di Jan Tyszka, nato a Vilnius il 17 luglio 1867 ed ucciso a Berlino il 10 marzo 1919, politico marxista e rivoluzionario lituano, di origini ebraiche.  (3).

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Rosa Luxenburg. Autore ignoto. Da: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Rosa_Luxemburg.jpg

Leo Jogiches. Da: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Leo_Jogiches_01.jpg

 

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Rosa Luxemburg a Leo Jogiches.

«Svizzera, 16 luglio 1897.

No, non posso più lavorare. Penso continuamente a te e questo mi distrae. Devo scriverti. Carissimo, amore mio, tu non sei vicino ma la mia anima è colma di te. (…). Oh, Amore mio; che il mondo intero rida pure di me, ma tu no, leggila con attenzione, con amore, con lo stesso affetto con cui leggevi le mie lettere allora, a Ginevra, quando non ero ancora tua moglie. Perché io la sto scrivendo con lo stesso sentimento di allora, come allora la mia anima tutta tende verso di te e come allora mi viene da piangere (probabilmente a questo punto sorriderai perché ora io piango per un nonnulla.

Dziodzio, mio caro, sai perché scrivo questa lettera invece di parlarti? Perché non so, non posso più parlare con te apertamente di queste cose. Sono diventata sensibile e diffidente come un coniglio. Il tuo più piccolo gesto, la parola più indifferente mi fanno male al cuore e mi tappano la bocca. Posso parlare apertamente con te soltanto quando c’è fra noi un’atmosfera affettuosa, di reciproca fiducia, ma adesso si crea così raramente! Vedi, oggi ero colma di uno strano sentimento provocato in me da questi ultimi giorni di solitudine e di meditazione, avevo tante cose da dirti, ma tu eri allegro, distratto e hai ritenuto di non aver bisogno del rapporto fisico, cioè proprio di ciò di cui ero tutta presa in quel momento. Questo mi ha fatto tanto male, ma tu hai creduto che fossi triste perché tu te ne andavi così presto.

Forse non avrei neanche avuto il coraggio di scriverti questa lettera, se non mi avesse incoraggiato quel po’ di tenerezza che mi hai dimostrato salutandomi; sentivo il soffio del passato, di quel passato il cui ricordo ogni sera prima di addormentarmi mi fa soffocare il pianto nel cuscino.

Mio caro, amore mio – probabilmente ti stai domandando con impazienza: “Cosa vuole insomma?” Chissà cosa voglio? Voglio amarti, voglio che fra noi ci sia il clima dolce, fiducioso, ideale di allora. Tu, caro, mi capisci spesso in modo semplicistico. Credi che io abbia sempre il muso lungo perché te ne vai o qualcosa di simile. E non capisci che mi fa male soprattutto il fatto che per te la nostra relazione sia solo una cosa superficiale. No, non dire, cuore mio, che non capisco, che non è superficiale nel senso come lo intendo io.

Lo so, capisco cosa significa tutto ciò, capisco perché … sento.  In passato queste parole erano per me un suono vuoto, adesso sono una dolorosa realtà. O io la sento questa superficialità, la sento quando ti vedo tutto imbronciato, quando in silenzio ti tormenti per qualche contrarietà e con lo sguardo mi dici: “Non è affar tuo, pensa a te”; la sento vedendo come dopo un litigio, rimugini sui nostri rapporti e mediti una conclusione, una decisione e assumi una linea di condotta nei miei confronti, mentre io rimango al di fuori di tutto questo e solo con il mio cervello posso cercare di capire cosa stai pensando: lo sento dopo ogni nostra unione, quando mi respingi, e ti metti al lavoro tutto chiuso in te stesso; la sento infine quando abbracci con la mente la mia vita, il mio futuro che si presenta come un manichino mosso da un meccanismo esterno.

Mio caro, anima mia, non mi lamento, non voglio nulla, voglio solo che tu non consideri ogni mio pianto come “una scena da donnicciola”.

Del resto, che ne so io? Forse è in gran parte, anzi soprattutto, colpa mia se il nostro rapporto non è caldo ed armonioso. Ma cosa posso fare non lo so, non so come comportarmi. Non so come non sono mai capace di analizzare una situazione, non sono capace di trarre delle conclusioni, non sono capace di seguire una determinata linea nei tuoi confronti, mi lascio sempre guidare dal sentimento, quando il cuore è pieno di amore e di rimpianto mi getto nelle tue braccia; quando mi sento offesa dalla tua freddezza, cado nella disperazione e ti odio – ti ammazzerei.

Cuore mio, tu invece sai ragionare, lo hai sempre fatto per te e per me, nella nostra relazione. Perché ora non vuoi farlo insieme a me? Perché mi lasci sola? Oh dio, ti sto implorando, ma forse è vero – ci penso sempre più spesso – forse non mi ami più come una volta? Davvero, sì davvero, lo senti tanto spesso.

Ormai tu vedi in me sono gli aspetti brutti e cattivi. Non senti il bisogno di stare con me. Chissà perché ho questa impressione? So solo che quando penso a tutto questo, quando ci rifletto, qualcosa mi dice che tu saresti assai più felice senza di me, che vorresti scappare e sbrogliarti da tutta questa faccenda.

Mio caro, lo capisco benissimo, mi rendo conto di quanta poca serenità trovi nella nostra relazione, quanto ti do sui nervi con queste scenate, con le mie lacrime, le mie stupidaggini, e anche con la tua diffidenza per il mio amore. Lo so, amore mio, e quando ci penso vorrei tanto essere altrove, all’inferno, anzi non esistere affatto, mi fa male il pensiero di aver invaso la tua vita: pura, orgogliosa, solitaria con le mie storie di donna, con i miei salti di umore, con la mia goffaggine, con i miei nervi, e tutto questo perché, perché?

Oh dio, che senso ne ha parlarne, non c’è più niente da fare.

Mio caro, ti domanderai una volta di più cosa voglio, infine. Nulla, nulla, caro, voglio solo che tu sappia che non sono cieco o insensibile quando ti tormento con la mia presenza, voglio che tu sappia che talvolta piango disperatamente per questo e, d’altra parte, non riesco, non so come fare, come comportarmi. Talvolta mi pare che sarebbe meglio se ci vedessimo il meno possibile, a volte in uno slancio vorrei dimenticare tutto, vorrei gettarmi nelle tue braccia e dar sfogo al pianto, ma subito incalza questo pensiero maledetto: lascialo in pace, lui ormai sta sopportando tutto solo per delicatezza – e quando due, tre piccole cose lo confermano, si accende in me l’odio e mi viene voglia di farti male , di morderti, di dimostrarti che ho bisogno del tuo amore, che posso farne a meno, ma poi mi tormento di nuovo e di nuovo viene l’angoscia e siamo da capo. (…)».

 

(Rosa Luxemburg, Lettere di lotta e disperato amore.  La corrispondenza con Leo Jogiches, Universale economica Feltrinelli, 2019. Curatori Lelio Basso e Feliks Tych, traduttore Brucha Norton, pp. 68 -70).

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Dopo aver letto questa lettera e le altre sul volume che caldamente vi consiglio, ho pensato quanto sarebbe stato interessante se si fossero reperite anche lettere d’ amore di un’altra ‘pasionaria’: Tina Modotti. Ma è anche vero che scrivere era allora pericoloso e la posta poteva venir intercettata, se si viveva in certi contesti.

Laura Matelda Puppini

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Note.

(1) Rosa Luxemburg, Lettere di lotta e disperato amore. La corrispondenza con Leo Jogiches, Universale economica Feltrinelli, 2019. Curatori Lelio Basso e Feliks Tych, traduttore Brucha Norton, p. 78.

(2) https://www.treccani.it/enciclopedia/rosa-luxemburg/, ove troverete pure altre informazioni. Cfr. anche: https://it.wikipedia.org/wiki/Rosa_Luxemburg.

(3) Per la vita di Leo Jogiches, cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Leo_Jogiches.

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L’immagine che accompagna l’articolo rappresenta Rosa Luxenburg, ed è quella utilizzata all’ interno del testo. L.M.P.

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