Salvaguardia della montagna e piccoli comuni. Riflessioni su alcuni temi presentati ad un convegno.
Sono stata ad ascoltare a Tolmezzo, il 17 marzo 2017, il convegno promosso da Bim e FederBim: “Piccoli Comuni di Montagna. Risorsa e presidio del territorio” e non nego di aver trovato interessante la proposta, centrale, di rivalorizzazione dei piccoli comuni, presentata da Massimo Castelli, già approvata alla Camera, ma poi forse persasi nei meandri di qualche commissione del senato.
Detta legge, intitolata: “Misure per il sostegno e la valorizzazione dei comuni con popolazione fino ai 5000 abitanti e dei territori montani e rurali, nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici“, si prefigge gli obiettivi di: promuovere e sostenere lo sviluppo dei comuni referenti, di tutelare e valorizzare il loro patrimonio naturale, rurale, storico-culturale ed architettonico, di contrastare lo spopolamento ed incentivare il turismo, sperando non sia troppo tardi, aggiungo io.
L’interesse del legislatore è volto alla costruzione di centri polifunzionali di servizi, anche attraverso il sostegno economico, alla bonifica dei terreni agricoli o forestali ed al recupero di edifici abbandonati o degradati, allo sviluppo dell’albergo diffuso, al sostegno delle fonti di energia rinnovabile, allo sforzo per la manutenzione ed il miglioramento della viabilità presente, all’incentivazione di attività volte al recupero ed alla salvaguardia dei beni culturali, storici, artistici e librari.
E fin qui non si può che plaudere al legislatore, anche se questo testo potrebbe venir modificato o non approvato affatto, e sperando che non finisca per essere un mezzo per finanziare anche opere discutibili ed inutili, come è accaduto per la Legge Regionale Fvg. 2/2000 art. 4 comma 55 avente come oggetto: “Provvidenze regionali al fine di favorire un processo di riqualificazione dei centri minori, dei borghi rurali e delle piazze, in un’ottica di sviluppo dei valori ambientali, sociali, culturali e turistici”, utilizzata per il progetto di riqualificazione di piazza XX settembre, detto, non certo a torto, copia- incolla di quello per la piazza di Heidelberg. (Cfr. Laura Matelda Puppini, Su quella riqualificazione di piazza XX settembre in Tolmezzo, così chiacchierata, così contestata, così telenovela …in: www.nonsolocarnia.info).
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Comunque ciò che appare, se questa normativa andrà in porto, è un tentativo di modificare la visione del mondo che ha ipotizzato il cosiddetto “progresso” andare a braccetto con il potenziamento dei grossi agglomerati urbani, con tutti i limiti ed i rischi che ciò comporta anche per la salvaguardia del territorio, ed a discapito delle periferie. Del resto, per quanto riguarda la nostra provincia, basterebbe leggere quanto scrive nel merito Romano Marchetti nel suo: Romano Marchetti, (a cura di Laura Matelda Puppini), Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona, una vita in viaggio nel Novecento italiano, Ifsml, Kappa- Vu ed. 2013, per rendersene conto. Ma intanto “i buoi sono scappati dalla stalla”, dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi, e si rischia di spendere in mille rivoli, come già accaduto (bocciodromi, campi da tennis ecc. invece che servizi per gli anziani residenti e forme di lavoro possibile e via dicendo) senza avere una visione dei problemi reali della popolazione, mentre lo Stato si dà da fare per terminare di smantellare il welfare e per svendere territorio ed ambiente, beni comuni, lasciando perdere gli aspetti etici, alcune leggi nazionali e locali, ed in assenza forme adeguate di controllo. E non da ultimo non si contestualizza, non si sposa l’antica ottica strutturalistica, che vede un fattore interagire con altri, preferendo una visione del mondo a compartimenti stagni, in funzione del tornaconto, del “becjut” immediato, con il solito corollario di “Eh, mah”, e volgendo verso la catastrofe. E se erro correggetemi.
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Per esempio in detto convegno ho sentito parlare, pomposamente, di “green economy“, ma quale “economia verde” è possibile pianificare per un territorio, in cui si è già firmata una lettera di intenti fra sindaci della Carnia, Carniacque e Cafc, che permetterebbe, di fatto, di convogliare acque dai monti verso il piano, solo con la benedizione di un paio di “sorestants”, mentre, fra l’altro, il clima volge alla siccità, i fiumi sono stati trasformati in rigagnoli a regime torrentizio, le sorgenti vengono utilizzate con concessioni, da privati,ed ettari ed ettari di bosco, in Carnia, sono in mano ad un proprietario unico, che taglia come vuole, senza, pare, che siano possibili reali controlli, pur esistendo la “Convenzione sulle Alpi” e normative specifiche forestali sul taglio del bosco? (Cfr. Laura Matelda Puppini, Da Carniacque a Cafc: affare strategico, fusione obbligata, o privazione dell’acqua per la montagna e de profundis per la sua autonomia? in: www.nonsolocarnia.info, Laura Matelda Puppini, Quale politica per la montagna in questa Italia?, in: www.nonsolocarnia.info, Tanja Ariis, Gli Austriaci ora comprano i boschi della Carnia, in: http://messaggeroveneto.gelocal.it/udine/cronaca/2012/03/27/news/gli-austriaci-ora-comprano-i-boschi-della-carnia-1.3728941 Alberto Terasso, Eberhard, l’austriaco che ha trasformato l’amore per i boschi della Carnia in lavoro, in: http://messaggeroveneto.gelocal.it/udine/cronaca/2017/03/20/news/eberhard-l-austriaco-che-trasforma-il-bosco-in-risorsa-1.15057430, La Convenzione delle Alpi in pillole. 8. Foreste montane, e http://www.alpconv.org/it/convention/protocols/Documents/foreste_it.pdf, in: alpconv.org, Regolamento forestale, le cui norme per il taglio, sono presenti anche in: http://www.asti.coldiretti.it/tagli-boschivi-nel-rispetto-delle-norme).
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Inoltre Massimo Castelli sottolineava come meno popolazione vi è, più si perdono servizi, ma il problema, così formulato, è di quelli da “un cane che si morde la coda”. Infatti se i servizi scarseggiano sempre più, per volontà nazionale e regionale, e mancando di fatto il lavoro, chi può vivere in montagna? Inoltre almeno qualcuno dovrebbe, invece che affidarsi al mito ed al possibile soldo del privato, per poi scoprire che si tratta di una fregatura, leggersi Federico Caffè, da cui apprenderebbe che alcuni settori non possono esser privatizzati senza avere una profonda ricaduta negativa sulla popolazione, visto che il privato punta al ricavo. E così scrivevo nel 2011 prima, nel 2015 poi: «É cosa nota che i servizi non rappresentino la parte attiva dei bilanci dello Stato e delle regioni, altrimenti non si chiamerebbero servizi. Ed una impostazione dell’economia basata solo sul profitto non può certo potenziare i servizi. Ma se invece di una politica neo–liberista si scegliesse, coraggiosamente, di sostenere il welfare?» (Laura Matelda Puppini, commento su carnia.la 3 aprile 2011, e Laura Matelda Puppini, Economia, finanza, speculazione, democrazia, costituzione e servizi, in: www.nonsolocarnia.info). E Federico Caffè, che portò in Italia la conoscenza del pensiero economico di Keynes, dedicò particolare attenzione ad economisti scandinavi quali Gunnar Myrdal, Frederick Zeuthen, ed alle esperienze di tali paesi nel campo della promozione del welfare, che pare cancellato dall’Italia Berlusconian – Renziana. Ed ancora così si esprimeva il noto economista italiano, di origini abruzzesi, relativamente alla logica di mercato: «Da tempo sono convinto che la sovrastruttura finanziario-borsistica, con le caratteristiche che presenta nei paesi capitalisticamente avanzati, favorisca non già il vigore competitivo, ma un gioco spregiudicato di tipo predatorio che opera sistematicamente a danno di categorie innumerevoli e sprovvedute di risparmiatori, in un quadro istituzionale che, di fatto, consente e legittima la ricorrente decurtazione o il pratico spossessamento dei loro pecùli». (Ivi, citazione da: www. centrostudimalfatti.org.).
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E mi chiedo se, dopo oltre 70 anni di vita repubblicana, dopo un ventennio fascista, e molti anni dominati da governi di fatto liberali, solo ora ci si accorge che i piccoli comuni interessano il 54% del territorio italiano, e che per essi lo Stato spende solo l’1% del suo esborso, e che senza questi “presidi “territoriali, fra qualche anno la spesa per la tutela dell’habitat montano, come di quello lagunare, si fa per dire, potrebbe aumentare per tutti? Ma nel frattempo, e non me ne vogliano gli abitanti originari dal sud, in un modo o nell’altro è avvenuto, temo, in Carnia, un ricambio nella popolazione, con persone autoctone anche laureate, professionalmente preparate, spesso socialmente e/o politicamente impegnate, che sono emigrate, e persone dal sud e da altre regioni d’Italia, prive di quell’attaccamento alla terra per loro non di origine, di conoscenza della lingua locale e di mezzi e strumenti per il mantenimento del territorio, qui immigrate. Così forse il fascismo e la politica seguente, dominata dalla destra Dc, dal pensiero liberale e da una politica sinistro- fobica, hanno arginato l’espressione del socialismo carnico, ma hanno anche creato una situazione complessa, vista con gli occhi dell’oggi. E scrivo questo senza voler offendere il popolo meridionale, che spesso amo anche per il suo coraggio, ma per sottolineare il problema a chi viene a parlare in loco come se la Carnia fosse e fosse stata una “comunità chiusa”. E non intendo offendere alcuno, e se erro correggetemi. (Nel merito dell’emigrazione pure interna di popolazione e nuclei familiari dalla Carnia, vedasi anche il mio: Laura Matelda Puppini, Carnia. Analisi di alcuni aspetti demografici degli ultimi anni, in AA.VV., La Carnia, ed. a cura del Comune di Trieste e del Civico Museo Revoltella, Udine 1975). Ed allora chi può garantire che esista una possibile tenuta della popolazione montana, da Givigliana, tanto per fare un esempio, sino a Vinaio, basandola su una possibile “funzione identitaria”, ipotizzata?
Inoltre preoccupa che “soliti relatori foresti e non” vengano qui a parlare, come già accadde per esempio nel 1984, come si trovassero in un mondo dominato da pastori sardi, con tutto il rispetto per loro, o abitanti della montagna calabra e della pianura veneta in tempi che furono, senza nulla conoscere della storia locale.
La Carnia fu la Patria del glorioso gruppo delle Cooperative Carniche, (credito, consumo, lavoro) sorto nel 1906, esperienza unica in Italia, e finita, per motivi politici, in epoca fascista, quando le Cooperative vennero inquadrate nell’ Ente nazionale della cooperazione, (Enc poi Enfc) e la banca Nazionale di Credito Cooperativo venne trasformata nella Banca Nazionale del Lavoro, (La storia del gruppo della Cooperative Carniche si può leggere online in: Laura (Matelda)Puppini, Cooperare per vivere. Vittorio Cella e le cooperative carniche. 1906- 1938, Gli Ultimi, 1988, in: www.nonsolocarnia.info) e della Comunità Carnica. (Per la storia dell’origine della Comunità Carnica, ma anche per una politica, già ipotizzata, dei sub-ambiti di vallata, cft. Romano Marchetti, op. cit.).
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Infine, giorni fa, guardando cartelle del mio archivio personale, ho potuto notare a quanti convegni sulla montagna e sulla Carnia, pieni di buoni propositi, abbia partecipato nella mia vita, e mi sono chiesta dove gli stessi siano andati a finire. Siamo sempre più pieni di parole, parole, di immagine e di immagini, di politici e di politichese ora inglesizzato che fa tanto “vip e top“, ma non di risultati. Le poste, privatizzate, (passo che gli Usa mai hanno fatto rendendosi conto dell’ importanza di uno sportello anche nelle zone più emarginate) hanno “razionalizzato” il servizio, cioè in sintesi chiuso filiali nei piccoli paesi, le banche, private, hanno seguito a ruota, proponendo aperture a a giornata ed orario, le corriere per i piccoli paesi costano troppo alla Saf, foraggiata dalla Regione Fvg (ma il totalmente privato non implica aiuti pubblici di alcun tipo), ed il possibile ricatto del togliere un servizio privat- pubblico, “se la Regione o lo Stato non …” potrebbe essere facilmente attuabile in questa situazione, ove fra l’altro, manca, pure, il lavoro.
Senza possibilità di lavoro in loco e di sicurezza del suo mantenimento, i giovani se ne vanno verso la ventura, ed i vecchi restano a presidiare la loro fine e la sempre maggiore difficoltà delle condizioni di vita.
Inoltre al convegno un relatore si chiedeva perché “i carnici”, che non si sa più chi siano, non facciano presente le loro istanze. Veramente lo hanno fatto anche ultimamente, attraverso le proposte per il piano paesaggistico regionale, e sono state da me riassunte in: Laura Matelda Puppini, Piano paesaggistico regionale e richieste della popolazione carnica, in: www.nonsolocarnia.info ed in: Laura Matelda Puppini, Carnia. Verso altre forme di turismo possibile che coniughino arte e paesaggio, in: www.nonsolocarnia.info), e FederBim, od almeno il Bim locale, avrebbe potuto informarsi nel merito.
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Fanno paura poi, termini come quelli usati dal relatore, credo Enrico Petriccioli, vice-presidente FederBim, e cioè “territorio appetibile”, che evoca “sciacalli” di vario genere, “lobby positiva”, credo solo agli occhi della “lobby” stessa, e che sottende l’idea fascista, dittatoriale, totalitaria di chi domina sul prossimo, tanto caro a personaggi vari ed a vari governi, ed una popolazione o munita di una cieca propensione al fideismo, o che indossa “gli occhiali verdi del paese di Oz”, che costringevano gli abitanti a vedere solo ciò che il mago di Oz voleva vedessero. E si ritorna al mio “Cittadini o sotàns”? Inoltre “lobby” significa “gruppo di pressione” ed ancor meglio: “gruppo organizzato di persone che cerca di influenzare dall’esterno le istituzioni per favorire particolari interessi, la cui influenza può far leva su elementi immateriali, come il prestigio di cui il gruppo gode, o su elementi materiali, come il denaro di cui dispone” (https://it.wikipedia.org/wiki/Gruppo_di_pressione), il che apre a scenari paurosi. Insomma i politici e i cosiddetti manager, (spesso di nomina politica e partiticizzati), in sintesi quelli considerati, dai poveracci, gli strapagati per fare i comodi di una qualche società od azienda privata, privatizzata, o pubblica che nulla ha più di pubblico, dovrebbero almeno stare attenti ai termini che usano, o lasciar perdere dato che siamo ancora in una Italia democratica e con una Costituzione nata dalla Resistenza. E scrivo questo senza voler offendere alcuno.
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Si è parlato, quindi, di “innovare nella tradizione”, ma non si sa che vuol dire, e mi chiedo quanto si sia innovata la politica. Basta vedere quanto hanno fatto prima i governi Berlusconi e poi quello Renzi, nella tradizione siglata dal patto del Nazareno, ed il ripresentarsi alla ribalta della politica del “do ut des”, che permette ancora di far sedere tra chi ci governa Augusto Minzolini e Luca Lotti, per avere delle perplessità. Infine in Carnia, in vari momenti della storia recente ma anche meno recente, la popolazione ha cercato di innovarsi, al punto che non si sa più quale sia la tradizione, ma spesso incontrando ostacoli di diversa natura. E dalla Carnia, dico io da carnica, talvolta si dovrebbe imparare. Si è anche sottolineata l’importanza per la regione della tenuta minima in montagna, per scongiurare l’irreparabile, quasi alle porte. Ho sentito poi nuovamente ventilare l’ipotesi di riordino fondiario, ma bisogna vedere come ed a vantaggio di chi. (Cfr anche: Luca Nazzi. A proposito di Assetti fondiari collettivi e “Piano Paesaggistico Regionale”. Senza Comunità e senza agricoltura non esiste paesaggio, in: www.nonsolocarnia.info). Inoltre la tradizione carnica non implica l’agricoltura come base di sussistenza, per ragioni morfologiche ed ambientali, ma semmai la risorsa bosco, e si veda almeno il perchè i tentativi di coltivare “piccoli frutti” fallirono.
Inoltre molti, come mio marito, coltivano in proprio, con cura e passione, piccoli appezzamenti, e non si sa perché dovrebbero perderli, essendo, fra l’altro, fonte integrativa di reddito, e permettendo la conservazione di specie autoctone. E si è visto con le acque cosa può accadere. Si crea una società che gestisce un bene comune, che però poi passa il bene ad altra fondendosi, ecc. ed in sintesi privando la popolazione di una risorsa legittima, che quindi deve pagarla a chi se l’ è incamerata gratis, con una scusa o l’altra, come quella “dei tubi”.
Ed anche la via della fiscalità di vantaggio, solo così impostata, fa ritornare alla mente il caso della Miro di Ovaro, che nei primi anni ’70 godette, se non erro, di sovvenzioni per poi sparire nel nulla, come, se ben ricordo, Marilù confezioni. (I casi si riferiscono alle ditte che allora portavano quei nomi, presenti in Carnia nel periodo citato, i cui “casi” furono oggetto di analisi critica da parte del primo gruppo Gli Ultimi, che ne fece oggetto di un ampio articolo diffuso tramite ciclostilato). E anche la De Longhi ad Ampezzo, dopo qualche anno, forse 4, se ne è andata in Cina. Ma l’economia locale ed anche nazionale non si può reggere su industrie “mordi e fuggi”, e mi si scusi la definizione, senza avere garanzia alcuna di permanenza, quando ricevono fra l’altro, agevolazioni e facilitazioni.
Insomma invece di inseguire possibili specchietti per allodole, io credo che valga la pena di seguire gli insegnamenti dei nostri vecchi, che, quando si affrontava un terreno nuovo e prevedibilmente accidentato, dicevano di tenere gli occhi aperti e di guardare dove si mettevano i piedi.
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E prima dei particolari, l’Italia dovrebbe definire alcuni aspetti generali, se essa stia andando definitivamente verso lo sbaraccamento dello Stato (ove rimangono a formarlo solo i politici da mantenere ed i futuri podestà di nomina governativa che devono far applicare ciò che vuole il Governo) e dei diritti dei cittadini, o se si intenda mantenere un assetto democratico, non in mano a qualche lobby, come invece sta di fatto accadendo, almeno pare. Infine non esiste “nuovo capitalismo” come ipotizzato da uno dei relatori, perché il modello capitalistico è finito. Infatti esso presuppone l’uso indiscriminato di risorse non replicabili né producibili, come l’acqua per esempio, o le fonti fossili per l’energia, ed il produrre per un mercato, ma se la popolazione è povera non compra e comprerà sempre meno, anche perchè deve, fra l’altro, spendere in servizi essenziali. Nel secondo dopoguerra calmierarono i prezzi dei cibi di prima necessità e dei servizi, ed una intelligente politica permise di non far pagare troppo ai poveri, ma ora … E l’unica via percorribile è quella del “poco e meglio”, pena la fine del mondo, e non sto scherzando.
Ed accingendomi a chiudere queste mie righe, che rappresentano il mio pensiero, documentato, come non ricordare uno dei più gravi problemi nazionali e sempre più internazionali, cioè la presenza della mafia radicata anche a Nord Est, come hanno ben descritto Luana De Francisco, Ugo Dinello e Giampiero Rossi nel loro volume Mafia a nord-est, Rizzoli, 2015, che utilizza preferibilmente i piccoli comuni del nord per azioni di riciclaggio, come ci ricorda Gian Carlo Caselli? (Cfr. Gian Carlo Caselli. La mia vita per la giustizia, fra mafia e Brigate Rosse, in: www.nonsolocarnia.info).
Ringrazio gli organizzatori ed i relatori per il convegno che mi ha permesso utili spunti di riflessione e questo articolo.
Laura Matelda Puppini
L’immagine, scattata da me, Laura Matelda Puppini dallo Zermula, risale agli anni 80.
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