Vorrei parlare di Tina Modotti dopo aver ascoltato più racconti su di lei, vorrei parlare di una donna che decise di donare se stessa agli altri, dimenticando ori ed allori. Vorrei parlare di una donna che inseguì un ideale a cui si dedicò, vorrei parlare di una friulana emigrante, che ebbe l’occasione di conoscere persone che la aiutarono a crescere culturalmente ed a livello personale, di una operaia in filanda, che si realizzò dietro una macchina fotografica, per abbandonarla diventando infermiera, sostegno ed aiuto ai derelitti, ai poveri, alle donne, a los niños, senza pane, nel Soccorso Rosso.

Vorrei parlare di Tina Modotti, ritenuta una sovversiva, che, come tante altre donne, anche cattoliche e comuniste, si prodigò per gli altri, fra gli ammalati, a lenirne il dolore, ad ascoltarne le ultime parole, a consolare, a cercare di far guarire. E Tina, da quanto ho ascoltato ieri, si prodigò anche in raccolte per i soldati al fronte, durante la prima guerra mondiale.

Tina, potrebbe dire qualcuno, non era sposata, visse con uomini senza l’anello al dito. Per la verità molte donne hanno messo per forza quell’anello al dito:  forse anche ai tempi di Tina alcune si sposavano per volere e scelta paterna, precipitando, talvolta, in un inferno.

Quello che ho colto di Tina, ieri, ritornando con il pensiero alla sua figura, è in primo luogo la sua origine: povera, appartenente alla classe lavoratrice friulana. Una delle tante …

Probabilmente la madre si arrabattava a tirar avanti figli e famiglia, ed a rimediare qualcosa per il pranzo e la cena, il padre a cercare di occuparsi, più o meno stagionalmente. Le idee socialiste circolavano, all’epoca, fra i diseredati e gli oppressi: essi sognavano per i figli un domani migliore del loro, un “sole” nel loro “avvenire”, sognavano pane e lavoro per tutti, terra per i contadini, istruzione comune, conoscenza, tecniche, miglioramenti igienici e per la salute. Non lo sognavano solo in Mexico, non lo sognavano solo i compagni rigorosamente comunisti o socialisti: anche i poveri cattolici desideravano un futuro migliore, senza guerre, senza fame, senza freddo. Come infatti pensare che non lo sognasse Fiorello Candido, timorato di Dio, povero, emigrante in Africa, prima soldato in guerre fasciste di conquista, ed infine invalido sul lavoro senza pensione di invalidità?

Alcuni operai guardavano alla Russia sovietica come alla realizzazione dei loro ideali, senza conoscerne le difficoltà: per loro comunque in U.R.S.S. tutti mangiavano ed avevano un tetto,  pane, una camicia, dignità e lavoravano per la grandezza della loro Nazione, che stava cercando di acquisire i vantaggi del progresso tecnico e sociale. Questo vedevano i poveri nell’U.R.S.S.

Vittorio Pezzetta, comunista, diceva alla moglie che desiderava un mondo migliore, dove tutti fossero uguali, che in Italia ci sarebbero voluti cent’anni perché il socialismo prendesse piede ma che infine avrebbe trionfato. E  le diceva pure: «Se hai un bravo ragazzo e sei povero non puoi mandarlo a scuola mentre in Russia a scuola ci vanno tutti!». (Laura Matelda Puppini, intervista ad Anna De Prato Pezzetta, moglie di Vittorio Pezzetta, Tolmezzo, dicembre 2011).

E così scriveva Romano Marchetti, relativamente al comunista garibaldino Angelo Cucito, nome di battaglia  Tredici: «Entrato in confidenza con me, mesi dopo, mi disse: “…Te vedi? Un monte de roba di tutti i zeneri e la zente che se la prende quando vòl…” quando ne ha bisogno, questo era il sogno.
Credo si riferisse ad una società planetaria, unitaria ed operosa, senza possibilità di guerre e quindi con enormi possibilità di materie prime, cibo e quant’altro». (Romano Marchetti, note su Angelo Cucito, Tredici).

Questo credo sognassero molti comunisti e socialisti, compreso Lorenzo Puppini, mio nonno, cooperatore socialista e falegname, a cui fu impedita, da quanto mi si narrava, attraverso l’azione di un fascista cavazzino, una commessa che lo avrebbe aiutato a mantenere la famiglia. Ed il fascista ha nome e cognome.
Ma ritorniamo a Tina. Ragazzina deve lasciare la scuola ed andare a lavorare in filanda: la famiglia è numerosa e troppe sono le bocche da sfamare: ognuno deve dare il suo contributo.

«Ragazze poco più che bambine stanno sulle bacinelle dell’acqua bollente (la scoline), dove si immergono i bozzoli e loro immergono le mani ad agitarli e scuoterli perché si ripuliscano e lascino emergere il capo del filo (cjaveç). Un’operaia esperta (la mestre) sovrintende all’aspo (daspe), la macchina che afferra i capi e li unisce, così da fornire un filo della prevista grossezza, fino a preparare la matassa.
Va su e giù l’assistente e dispone, […]. Su tutti sovrasta il direttore che è il padreterno urlante a destra e a manca quando l’aspo non fila regolare o anche se fila regolare. Schiaffi e pedate non sono inusuali, come punizione per quella che non fa il lavoro come deve. […].
Fino alla Grande Guerra, la giornata è di dodici ore, con un quarto d’ora al mattino per la colazione e un’ora a mezzogiorno per il pranzo. Paga di ottanta centesimi al giorno, sette centesimi l’ora, agli inizi del Novecento. A casa quindici giorni per il parto, non uno di più per non farsi cacciare in tronco, ma col privilegio di poter staccare alle quattro per allattare. (…). Prima occasione di lavoro femminile retribuito vicino a casa. Prima alternativa al servire nelle case dei ricchi delle città d’Italia. Con dosi massicce di sfruttamento. Ma si organizzano anche le prime azioni sindacali e qualche sciopero». (Ivano Urli ( a cura di) La Filanda, in: http://www.picmediofriuli.it/enciclopedia/pdf/5.1.18.pdf).

In questo ambiente vive Tina Modotti adolescente: un’esperienza che forse ella ricorderà per il resto della sua vita e che potrebbe averla influenzata in alcune scelte.

A 17 anni sbarca in America, a San Francisco, seguendo la famiglia. E’ giovanissima, è bella, si impiega come sarta o nuovamente in una fabbrica tessile, ed inizia, nel tempo libero, a seguire alcune attività culturali ed a recitare nella Filodrammatica della comunità italiana, della “Little Italy”. Non credo sia stato neppure per lei facile, come per tanti e tante, abbandonare, paese, paesaggi, Europa, amicizie ed affetti, compreso lo zio Pietro, fotografo, che forse guarda, bambina, affascinata dalle possibilità del mezzo tecnico, cercando di coglierne i segreti. Non credo sia stato facile neppure per lei salire su quella nave che avrebbe solcato l’oceano verso l’ignoto, per raggiungere il padre, e cercare una vita migliore. Ma sfugge così alla prima guerra mondiale.

Quindi la fortuna la porta ad incontrare il suo primo sposo: «durante una visita all’Esposizione Internazionale Panama-Pacific conosce il poeta e pittore Roubaix del’Abrie Richey, dagli amici chiamato Robo, con cui si unisce nel 1917 e si trasferisce a Los Angeles. Entrambi amano l’arte e la poesia, dipingono tessuti con la tecnica del batik; la loro casa diventa un luogo d’incontro per artisti e intellettuali liberal».
(Tina Modotti, arte, vita, libertà, in:http://www.comitatotinamodotti.it/tina.htm). La vita di Tina Modotti è ad una svolta decisiva. Conosce personalità di spicco del mondo artistico americano, apprende, guarda, inizia a sviluppare una propria sensibilità artistica. Incomincia a parlare quasi sempre in inglese anche con i fratelli, e appare sempre più distaccata da quella Little Italy da cui aveva mosso i primi passi in U.S.A.
L’esperienza Hollywoodiana, deludente, non è che una parentesi, un tentativo non riuscito di realizzazione di se stessa: ci ha provato, non era come dicevano.

La convivenza con Robo, dal fiocco scuro come cravatta, all’uso francese, alla Lavallière «che piaceva moltissimo a pittori e socialisti» (http://www.placidasignora.com/2008/06/06/storia-della-cravatta/) dura poco. Robo muore in Mexico nel 1922 e così Tina conosce quello Stato che per molto tempo l’affascinerà, e che sarà costretta, da un decreto di espulsione, ad abbandonare.
Quindi si unisce ad Edward Weston.

«A fine luglio 1923 Tina Modotti e Edward Weston arrivano in Messico, si stabiliscono per due mesi nel sobborgo di Tacubaja e, quindi, nella capitale. Uniti da un forte amore, vivono entro il clima politico e culturale post-rivoluzionario, a contatto con i grandi pittori muralisti David Alfaro Siqueiros, Diego Rivera e Clemente Orozco, che appartengono al Sindacato artisti e sono i fondatori del giornale “El Machete”, portavoce della nuova cultura e, in seguito, organo ufficiale del Partito Comunista Messicano». (Tina Modotti, arte, vita, libertà, op. cit.).

Per “El Machete”, all’interno del programma di miglioramento della vita contadina e di lotta alla povertà sia morale che materiale, Tina fotografa scuole rurali, tentativi di migliorare l’agricoltura, premi, manifestazioni, che corredano gli articoli. Era allora Presidente del Messico Álvaro Obregón, anticlericale, nato da una povera famiglia di agricoltori, eletto dal popolo. I quattro anni di presidenza di Obregón sono ricordati per le riforme agrarie messe in atto nel paese, e per l’atteggiamento amichevole nei confronti degli Stati Uniti d’America. (Álvaro Obregón, in: https://it.wikipedia.org .)

Ma le opere fotografiche a noi più note di Tina, quelle artistiche, risentono del nuovo approccio alla fotografia di Edward Weston, suo maestro. Nel 1922, durante un viaggio in Ohio, egli abbandona lo stile pittorialista, e inizia a concentrare la sua attenzione sulle forme astratte di oggetti industriali e di elementi organici. «La macchina fotografica – sostiene Weston – deve essere usata per registrare la vita e per rendere la vera sostanza, la quintessenza delle cose in sé, sia si tratti di acciaio lucido o di carne palpitante». (http://www.fondazionefotografia.org/artista/edward-weston/).
Durante il periodo messicano, egli sposta il suo interesse dal soggetto alla tecnica, ai meccanismi intrinsechi dell’apparecchio fotografico: «Se non riesco ad ottenere un negativo tecnicamente perfetto, il valore emotivo o intellettuale della fotografia per me è quasi nullo» – afferma. (Ivi).

Alla fine del 1924, Tina Modotti ed Edward Weston espongono insieme al Palacio de Minerìa alla presenza del Capo dello Stato. Ma con il passare del tempo ed il distacco da Weston, Tina incomincia a dar vita agli oggetti che fotografa, a farli “parlare” ponendoli, pure, sapientemente in relazione: e pur non dimenticando il suo maestro, forse lo supera. Le sue diventano immagini che comunicano pensieri, ideali, realtà, povertà. Di Weston sono noti ed abusati i ritratti di Tina nuda, ma potrebbero essere stati puro esercizio di forme ed estetica, come potrebbero esserlo stati  i nudi di un’ altra sua moglie, o sguardi sull’intimità personale. Non si sa perché si mettano quei nudi a rappresentare Tina,  ma nella nostra società di “bunga bunga” e “culi e tette”, forse è anche comprensibile ma non giustificabile.

Comunque, secondo me, il rapporto tra Wetson e Modotti , fotografi,  dovrebbe esser ulteriormente indagato, anche se vi si trovava già un accenno nella mostra “Edward Weston, una retrospettiva”, tenutasi a Modena, dal 14 settembre al 9 dicembre 2012, da me vistata. Nella presentazione della stessa si può leggere che: «la fotografia di Weston è l’espressione di una ricerca ostinata di purezza, nelle forme compositive così come nella perfezione quasi maniacale dell’immagine». (http://www.fondazionefotografia.org/mostra/edward-weston/).

Lasciato Weston, le situazioni di vita portano Tina ad impegnarsi sempre meno nella fotografia, sempre più in ambito sociale e politico. Nel 1924 lo scenario nazionale messicano muta, con la fine della presidenza di Obregón. Dal 1926 al 1929, ha luogo la rivolta dei cattolici messicani, contrari ad una politica di divisione fra Stato e Chiesa, alla requisizione dei beni ecclesiastici, alla soppressione delle scuole cattoliche e degli ordini religiosi, insomma ad una modifica in senso napoleonico ed illuminista dello stato. I “Cristeros”, combattenti in nome di Cristo Re, impugnano le armi, e si oppongono, soprattutto nel sud del paese, all’esercito regolare, creando una situazione difficilissima. (https://it.wikipedia.org/wiki/Storia_del_Messico).

Ed in questo periodo Tina si avvicina sempre più al Partito Comunista, in cui milita, conosce lo scrittore John Dos Passos e l’attrice Dolores Del Rio, entra in amicizia con la pittrice Frida Kahlo e continua anche la sua attività artistica: sue fotografie vengono pubblicate nelle riviste Forma, New Masses, Horizonte. ( (Tina Modotti, arte, vita, libertà, op. cit.).

Nel settembre del 1928, Tina diviene la compagna di Julio Antonio Mella, giovane rivoluzionario cubano, che muore al suo fianco, nel gennaio 1929, ucciso dai sicari del dittatore di Cuba Gerardo Machado, mentre tenta di organizzare una rivoluzione a carattere socialista ma anche nazionalista. Ed il 1929 è pure l’anno dell’ ultima mostra fotografica di Tina, che ha rifiutato l’incarico di fotografa ufficiale del Museo Nazionale Messicano. Il 3 dicembre 1929 si inaugura, presso l’Università Autonoma di Città del Messico, «una rassegna delle sue opere, che si trasforma in atto rivoluzionario per il contenuto e la qualità delle fotografie e per l’infuocata presentazione tenuta dal pittore Siqueiros. La rivista Mexican Folkways pubblica il manifesto “Sobre la fotografia” firmato da Tina Modotti». (Ivi).

Forse la morte del suo compagno Julio Antonio Mella, tanto amato, forse il più amato, fra le sue braccia, mostrandole la ferocia della realtà, ha fatto scattare qualcosa in Tina, che muta ancora una volta.
Ma non basta. Nel febbraio 1930 il Partito Comunista messicano viene messo fuorilegge, e la stampa inizia una campagna contro Tina Modotti, diffamandola. Infine viene incarcerata come sospettata di aver collaborato ad un attentato contro il nuovo capo dello Stato messicano, Pasqual Ortiz Rubio, ed espulsa dal Messico. Anche se avesse voluto continuare a fotografare, non so se avrebbe potuto farlo. Per la società non è più la famosa fotografa, è una “reproba” non vergine ma senza anello al dito, che si fa fotografare nuda, è una sospettata di terrorismo di stato, anche se scarcerata poi, è una esiliata.

La storia successiva di Tina, sempre più coinvolta nella vita del Partito Comunista internazionale, è storia di spostamenti al fianco di Vittorio Vidali, suo nuovo compagno, che pare proprio la viva come una moglie un po’ brontolona, è storia che vede Tina in Urss, in  Germania ed in Spagna con Soccorso Rosso, ove si prodiga verso i bimbi, i malati, i poveri.

La Modotti entra in Spagna nel 1933, con passaporto falso, per operare in Soccorso Rosso. Ella inizia la sua opera in Asturia, ove si dedica, in primo luogo, a sostenere donne e bimbi durante gli scioperi e le lotte degli operai delle miniere.
Infatti nel gennaio 1933 i minatori, fortemente sindacalizzati, avevano incominciato  uno sciopero generale promosso dalla centrale sindacale anarchica, la Confederación Nacional de Trabajadores. Fra varie vicende, essi, che volevano una società socialista, riuscirono a prendere il potere il 5 ottobre 1934, per perderlo subito,  il 18 ottobre, essendo state inviate, contro di loro, truppe governative, guidate dai generali Goded e Franco.
In queste fasi di lotta, o quando i loro uomini venivano incarcerati o morivano, donne con bambini restavano spesso senza di che mangiare, senza nulla ed il Soccorso Rosso aveva il compito di sostenere, aiutare, sorreggere. Era finanziato anche dall’Urss? Certamente, ma forse la Chiesa guarda al colore dei propri benefattori? Ed in ogni caso Soccorso Rosso era comunista. Perchè l’Unione delle Repubbliche Socialiste  Sovietiche non avrebbe dovuto sostenerlo?
Poi troviamo Tina infermiera al fonte spagnolo. Ella cura, sostiene, aiuta, consola, rincuora, come tante donne dei paesi friulani, forse come aveva visto fare ad Udine. Vede morire, soffrire, restare mutilati giovani e compagni accorsi al fronte per difendere la democrazia ed urlare il loro antifascismo, padri di famiglia ed operai, gente comune, come quella della sua famiglia. Vede  il pianto dei bimbi ed il coraggio delle donne a Madrid, Valencia, Alicante, Barcellona, accompagna nella notte spose madri e niños fuori da Malaga, dopo la vittoria dei franchisti appoggiati, pure, dalle camice nere guidate dal generale Roatta,  nel 1937.

Spesso si ritiene che coloro che aderirono al socialismo e comunismo fossero dei filo Urss contro l’America, la democrazia ed il progresso, ed in particolare contro la chiesa. Ma questa lettura è artificiosa.

Molti dei nostri comunisti e socialisti, friulani, volevano, allora, secondo me, spesso solo “pane e lavoro” ed un mondo migliore per figli e nipoti. Si racconta, per esempio e se ben ricordo, come  alcuni capi, se non erro islandesi,  avessero chiesto ai missionari cristiani se il loro Dio sarebbe stato in grado di migliorare le condizioni di vita della popolazione, nel qual caso ben venisse a sostituire i precedenti dei.

Ma ritornando a Tina, la ritroviamo infine, nel 1942, stremata dalla fatica e dal dolore, a Città del Messico, ove il suo cuore cede, nella notte, su di un taxi. Poi la damnatio memoriae, ed infine la riscoperta, grazie a pochi volonterosi, ed in particolare a Riccardo Toffoletti.

La sua figura è stata letta in molti modi, ed esiste più di una biografia su di lei. La sua vita si presta, pure, ad esser interpretata, romanticamente,  come “Un’avventura di libertà e di solitudine” e così si intitola un articolo a lei dedicato (Paolo Medeossi, Un’avventura di libertà e di solitudine, in  Messaggero Veneto, 13 novembre 2012), ma anche a discutibilissime operazioni come il progetto artistico espositivo di Maravee Eros, incentrato sulla figura di Tina, presentato nel castello di Susans nell’ ottobre 2012, attaccato pure dal giornalista di “Repubblica” Michele Smargiassi, che intitolò il suo pezzo: “Tina playmate tuo malgrado”. Egli trovava: «riduttiva e semplicistica», la versione glamour che l’ iniziativa friulana aveva scelto per valorizzare la figura di Tina Modotti, e pure adatta ad alimentare «un mito voyeristico, pruriginoso e del tutto privo di fondamento» della figura storica della nota fotografa friulana, trasformata in icona erotica. (Melania Lunazzi, L’ icona prêt-à-porter e il diritto all’ interpretazione, in Messaggero Veneto, 13 novembre 2012).

Quei nudi di Watson alla sua compagna di vita pesano ancora, come pesò, nel 1971, il tentativo di farla conoscere da parte di Vittorio Vidali.

Per quanto mi riguarda, ho incontrato Tina Modotti attraverso Riccardo Toffoletti. Quindi  la visita alla mostra organizzata, su di lei ad Udine, nei primi anni Novanta, e l’acquisto di “Tina Modotti, perché non muore il fuoco”. E lessi, guardai, imparai. Quindi  iniziai a mostrare a mia figlia le fotografie scattate dalla Modotti, iniziai ad accostarla alla foto d’autore, e Riccardo Toffoletti la invitò personalmente a Roma, alla mostra su Tina, che fece accorrere molte personalità del mondo romano. E quando penso alla Modotti, non so perchè, mi viene in mente quella frase: «Perchè non muore il fuoco».

Laura Matelda Puppini

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P.S. PRECISAZIONI GENERALI. 22 NOVEMBRE 2015.
Per note sulla fotografia di Tina Modotti ed altri aspetti rimando a Riccardo Toffoletti (a cura di) “Tina Modotti, Perchè non muore il fuoco, Edizioni Arti Grafiche Friulane, 1992, per i 50 anni dalla morte. Ma ci sono studi più recenti, anche per il suo rapporto con Edward Weston, ma pure con i fotografi Manuel Alvarez Bravo e Lola Alvarez Bravo. Al convegno veniva ricordata la biografia (vi sono, secondo gli studiosi, biografie più rispondenti alla documentazione, altre meno) di cui una delle più importanti e documentate è quella scritta da Christiane Barckhausen Canale, uscita nel 1988, tradotta in spagnolo nel 1989 e in italiano solo nel 2003 con il titolo di Tina Modotti.Verità e leggenda, Giunti Editore.

Infatti, come scrive Benedetta Solari, nella sua tesi di laurea, Tina Modotti fotografa in Messico, (1923-1930), Università degli Studi di Padova, Facoltà di Lettere e Filosofia, Scienze della Comunicazione, A.A. 2003- 2004, in: http://www.fotoinfo.net/tesi/, « […] su Tina Modotti è stato detto e scritto ormai molto, ma su alcuni aspetti della sua figura, della sua vita e della sua opera si tratta solo di congetture, di ipotesi e testimonianze contrastanti, spesso spacciate per verità e mal documentate; di affermazioni frutto di studi poco rigorosi o di letture dei fatti (e dei documenti) ideologizzate e travisate da pregiudizi […]». Inoltre « […] sono scarse le fonti primarie: la Modotti ha lasciato alcune lettere e poco altro scritto di sua mano, che possano raccontare della sua vita; le sue fotografie si trovano conservate in archivi pubblici, in collezioni private e in musei sparsi per l’Europa, la Russia, il Messico, gli Stati Uniti. (…). In secondo luogo, Tina Modotti è morta nel 1942, ma sulla figura e sulla sua opera si è iniziato a indagare e a scrivere solo a partire dagli anni Settanta, tanto è vero che si parla della “riscoperta” di Tina Modotti: questo gap temporale ha sicuramente comportato la perdita e la “diaspora” di testimonianze e materiali, già originariamente dislocati nei molti paesi in cui ella ha vissuto.

Il silenzio nei suoi confronti è dovuto a una serie di ragioni di carattere culturale e politico: […]. Il processo della “riscoperta” di Tina Modotti si avvia grazie al Circolo Culturale “Elio Mauro” di Udine.
Nel 1971 il Circolo promuove un’iniziativa sulla guerra civile spagnola: tra gli oratori c’è Vittorio Vidali (l’ultimo compagno della Modotti), che parla della sua esperienza come comandante del V Reggimento, ma anche di una certa Tina Modotti, che l’aveva condivisa con lui. Vidali, inoltre, regala al Circolo una copia dell’opuscolo messicano del 1942, suscitando nei suoi membri (e, in particolare, in Riccardo Toffoletti) l’interesse per la Modotti». (Benedetta Solari, op.cit.).

«Dal 1978 Cinemazero (Pordenone) si occupa di promozione del linguaggio cinematografico (in particolare del cinema muto), svolgendo anche ricerche su persone di origine friulana che hanno avuto esperienze cinematografiche: in questo modo scopre l’esistenza di Tina Modotti, appassionandosene. Gianni Pignat, membro dell’associazione, inizia a condurre ricerche su Tina Modotti in tutto il mondo, raccogliendo materiali grazie ai quali viene allestita la mostra Tina Modotti. Gli anni luminosi». (Benedetta Solari, op. cit.).

«A partire dagli anni Ottanta scoppia un vero boom di pubblicazioni a lei dedicate, si realizzano simposi, esposizioni e conferenze, ma continua a mancare un lavoro esaustivo e sistematico di ricerca e analisi dell’opera fotografica.  Il sintomo più immediato del nuovo interesse per Tina Modotti, osserva giustamente Mariana Figarella, è il suo effetto sul mercato dell’arte: le sue opere cominciano ad essere quotate alle aste newyorkesi, raggiungendo i più alti prezzi mai pagati per una fotografia, come nel caso di Rose, la cui stampa al platino nel 1991 è stata aggiudicata all’asta da Sotheby’s a New York per la cifra record di 165.000 dollari». (Benedetta Solari, op.cit.).

Nel 1993 il Comitato Tina Modotti, nato a Udine nel 1989 su iniziativa di Riccardo Toffoletti (già membro del Circolo Culturale “Elio Mauro” , organizza il Convegno internazionale di Studi Tina Modotti: una vita nella storia, tenutosi ad Udine dal 26 al 28 marzo. «In quell’occasione vengono chiariti meglio alcuni punti relativi alla biografia e al contesto storico (dal Messico degli anni Venti, all’Urss degli anni Trenta; dalle vicende del Soccorso Rosso Internazionale al mondo culturale californiano) e vengono proposti nuovi stimoli per la lettura della fotografia di Tina». Benedetta Solari, op.cit.).

Poi gli studi proseguono e si giunge la convegno del 19 e 20 novembre ad Udine dal titolo: “Tina Modotti nella storia del Novecento”, con contributi di Claudio Natoli, dell’Università di Cagliari; Letizia Argenteri, del San Diego Mesa College/Ucla Center for the Study of women; Patricia Albers, della University of Minnesota di Minneapolis; Rosa Casanova dell’Instituto nacional de Antropologia e Historia di Città del Messico; Alessandro Portelli, dell’Università di Roma I “La Sapienza”; Adolfo Mignemi, dell’Accademia albertina di belle arti di Torino; Enzo Collotti, dell’Università di Firenze; Laura Branciforte dell’Universidad Carlos II de Madrid; Marco Puppini, vicepresidente dell’Associazione italiana combattenti e volontari antifascisti di Spagna; Christiane Barckhausen Canale, giornalista e scrittrice;  Helena Poniatowska, giornalista e scrittrice; Roberta Valtorta, del Museo di fotografia contemporanea di Cinisello Balsamo; Antonio Cobalti, dell’Università di Trento; Paolo Ferrari, dell’Università di Udine.

Per altri aspetti dell’attività di Tina per Soccorso Rosso, ed in ogni caso, rimando anche a Marco Puppini, “Tina Modotti: sinora pochi misteri nel paginone di Alias”, sempre su https://www.nonsolocarnia.info. Naturalmente queste sono solo due note sugli studi relativi a Tina, ed il mio articolo riguarda considerazioni personali, come da titolo.

Laura Matelda Puppini

L’immagine che correda l’articolo è tratta, solo per questo uso, da: Tina Modotti, arte, vita, libertà, in: http://www.comitatotinamodotti.it/tina.htm. Il convegno a cui faccio riferimento nel titolo è quello tenutosi ad Udine il 19 e 20 novembre 2015, “Tina Modotti nella storia del Novecento”. SI INVITA I LETTORI A VISITARE LA MOSTRA DEDICATA A TINA MODOTTI A CASA CAVAZZINI AD UDINE. Laura Matelda Puppini.

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