Ultimamente ho letto alcuni articoli sulla sanità nazionale e sui medici, che mi hanno portato ad alcune riflessioni.

PAZIENTI IN SITUAZIONE DI DISAGIO, AGGRESSIONI, E MEDICO DI BASE.

Leggo su Repubblica, in merito alle violenze subite da medici ed infermieri, che «la violenza emerge in contesti particolari. Ci sarebbe, per esempio, una relazione tra le aggressioni ai medici e l’aumento dei pazienti con disturbi psichiatrici dimessi da strutture ospedaliere o residenziali, tra violenza e diffusione dell’abuso di alcol e droga. La mancanza di limiti all’accesso di visitatori negli ospedali e negli ambulatori rappresenterebbe un’altra situazione di rischio per lavoratori. Così come la lunghezza dei tempi di attesa nei pronto soccorso. O nelle situazioni di carenza del personale. La violenza si manifesterebbe di più nei presidi territoriali di emergenza o assistenza isolati, o dove è scarsa l’illuminazione (parcheggi di ospedali, classicamente), e infine se e dove il personale medico-sanitario non è adeguatamente formato a riconoscere e arginare l’aggressività». (http://www.repubblica.it/salute/medicina-e-ricerca/2018/03/29/news/non_sparate_sul_camice_bianco-192533209/). Inoltre le aggressioni  avvengono più facilmente «nei pronto soccorso, nelle strutture psichiatriche ospedaliere e territoriali, nei luoghi di attesa e nei servizi di geriatria e continuità assistenziale». (Ivi).

La domanda che mi pongo è quindi questa: se sono le persone in situazione di disagio, anziani dementi, seguiti da Csm, drogati e via dicendo quelli che più frequentemente aggrediscono, come mai gli stessi utilizzano più spesso di altri, pare, la guardia medica in particolare notturna, ed il pronto soccorso, ove avvengono più facilmente aggressioni? Non hanno forse un medico di base? E comunque ho già scritto che «Il problema dell’approccio a pazienti drogati, etilisti e psicotici, potenzialmente violenti, credo debba essere trattato con le forze dell’ordine ed esperti ed è un problema serio, non da quattro dell’Ana». (Laura Matelda Puppini, Perché no all’ ANA in sanità. Problemi e perplessità, in: www.nonsolocarnia.info). Ma forse bisognerebbe insegnare anche ai pazienti come comportarsi se medici od infermieri aggrediscono verbalmente, o lavorano sovrappensiero, producendo pure danni alle persone.

Comunque a me paiono interessanti i consigli dati, (tenendo conto fra l’altro, che la violenza ai medici sembra sia di genere, cioè riguardi maggiormente femmine che maschi) nell’articolo: ‘Violenza contro i medici, come reagire? Ecco cosa fare in caso di aggressione’, in: https://medicoepaziente.it/2018/violenza-contro-i-medici-come-reagire-ecco-cosa-fare-in-caso-di-aggressione/. Ma mi chiedo anche se mai sia stato chiesto, non all’etilista o allo psicotico, che può avere allucinazioni, perché uno aggredisca, avendo ben presente che un’aggressione fisica non ha motivazione valida alcuna.  

 E nel cercare possibili risposte al problema, mi viene ancora una volta in mente l’anziano paziente che viveva da solo, che venne accusato dal suo medico di base, senza testimoni, una delle poche volte che si era recato da lui, di usare toni alti di voce che lo portarono a temere un’aggressione, ed a chiedere per lo stesso una visita psichiatrica urgente, dopo che pare proprio si fosse dimenticato lo stato del cuore, della circolazione arteriosa, e del fegato cirrotico, oltre il fatto che aveva avuto un ictus, almeno pare.  Cosa faceva quel paziente? Ogni volta che stava male a causa di questi problemi, che certamente non si era inventato perché esiste documentazione nel merito, andava in pronto soccorso. Aveva imparato a fare così. E se avesse imparato a chiamare, in emergenza, la guardia medica, avrebbe chiamato la guardia medica, angosciato, terrorizzato, confuso. E visti i problemi, anche con la guardia medica magari avrebbe alzato la voce … per farsi sentire, per urlare il suo disagio, per sapere se stesse per morire. Perché neppure quello sapeva.

Ma perché il medico di base non aveva preso in carico detto paziente in modo adeguato? Non è che non lo conoscesse o che nessuno si fosse recato da lui a parlargliene, o che il paziente non si fosse mai recato da lui. Semplicemente, ora si attende che il paziente venga dal medico, mentre un tempo, chiamato da uno o dall’altro, il medico veniva in casa quando serviva. Ora se uno non si presenta, perché magari ha un certo grado di demenza senile e si dimentica di andare dal medico, o non sa gli orari ambulatoriali, vero balzello per un anziano, fra giornate libere e magari medico diviso fra vari paesi, e non riesce ad organizzarsi, va a finire che ha un medico in teoria ma non di fatto, e nessuno accerta il perché egli non si faccia mai vedere. Poi magari nessuno gli ha detto, se non è stato ospedalizzato, che deve firmare le carte per la privacy, altrimenti nessun medico può vedere i suoi referti a computer, che forse ha però non legge, e poi anche se uno va una volta dal medico di base, questo sta attento ai toni di voce, a come difendersi legalmente a priori,  e non al motivo per cui il paziente potrebbe essere nel suo ambulatorio, e scambia per pazzia il risultato di uno scarso apporto di ossigeno al cervello, o un inizio di demenza senile in esiti di ictus, quando magari poteva prescrivere all’assistito un calmante, o, ancor meglio, un fluidificatore del sangue … o un po’ di ossigeno. Almeno in Canada se uno non va per un anno dal medico di base, questi per legge deve convocare il paziente, visitarlo, e compilare una scheda, ma qui …

Non da ultimo, pare che alcuni medici non sappiano come dire ad un paziente che egli sta per morire, e che preferiscano distaccarsi, pure a priori, dal paziente piuttosto che affrontare la situazione, e che, anche vedendo un anziano poche volte, quelle le usino per far capire alcuni codici di comportamento, non si sa da chi inventati, con il risultato che giungono alle cure troppo tardi. Ma può anche accadere che un anziano possa venir ricusato dal medico di base senza che sappia nulla, senza che egli abbia detto nulla, e che il medico neppure lo avvisi di questo. Il mondo è bello perché è vario. Comunque io credo che i medici dovrebbero riflettere sui loro comportamenti e toni di voce, e sarebbe più che opportuno che, obbligatoriamente, ogni tot anni, partecipassero ad un corso mirato di psicologia e comunicazione, mentre ai pazienti in situazione di disagio o anziani in difficoltà, i medici di base e dei servizi di riferimento dovrebbero pazientemente spiegare, se del caso, che essi non sono abbandonati, e far seguire alla teoria la pratica. Infine ritengo che il medico debba sempre indossare il camice nell’esercizio delle sue funzioni, che non deve essere prerogativa di altre figure, debba avere un distintivo di riconoscimento e quello con il proprio nome, ed un ‘look’ adeguato al suo ruolo, come del resto gli infermieri, mentre si vede in giro di tutto un po’.

Altro è il caso di pazienti incazzosi e violenti, di quelli dall’ego smisurato e del ‘paron son mi’ … che pensano di soggiogare un sistema sanitario pubblico ai loro desiderata, con qualsiasi mezzo. Invece mi pare invero discutibile e balorda l’idea di tale Francesco Rocco Pugliese, presidente del Simeu, così esposta: «Bisogna togliere l’assistenza sanitaria ordinaria, esclusa l’emergenza, agli aggressori recidivi». (Daniele Erler, Emergenza aggressioni negli ospedali. Im medici si ribellano: “1.200 casi l’anno, in: Il Fatto Quotidiano, 24 maggio 2018). Intanto si deve chiarire la differenza tra un ‘paron son mi’ e un povero vecchio demente e/o con problemi circolatori e di salute, poi non si sa perché togliere l’assistenza ordinaria, dato che non pare vengano aggrediti medici di base ma in pronto soccorso e di continuità assistenziale, che non possono essere tolti. Inoltre se ad un drogato, od ad un etilista, od ad un anziano con grossi problemi di salute, od ad uno psicotico vengono tolti i servizi assistenziali ordinari, che permettono anche le cure farmacologiche, temo che potremmo andare incontro ad un aumento di casi di violenza sociale e di morte evitabile.  

Non da ultimo, si prega i medici di parlare con gli altri medici, non di prendersela con i pazienti per aspetti legati ai colleghi, perché detta mediazione è impossibile.  

SANITÀ E POLITICA.

Ringrazio il Ministro Grillo per aver sottolineato che «Vi è un problema che particolarmente temiamo, ed è quello delle nomine cosiddette politiche nella sanità. Il Ministro Lorenzin aveva modificato, come aveva fatto prima anche Balduzzi, la legge sulle nomine, ma rimane ancora, […] un grande potere della politica sulla sanità, e questo è un tema che i cittadini devono sapere». (Grillo: “Albo nazionale Dg Asl non sufficiente. Esiste problema di informazione su farmaci generici”, https://www.youtube.com/watch?v=Qezdim0KVFo, in: Quotidiano sanità, 20 giugno 2018).

Per quanto riguarda la nomina dei direttori generali, il decreto Balduzzi prevede che Le nomine dei direttori generali delle aziende e degli enti del SSR (Servizio Sanitario Regionale) vengano «sottoposte a una nuova disciplina che privilegia il merito e tende a riequilibrare il rapporto tra indirizzo politico e gestione delle aziende sanitarie. Le Regioni infatti dovranno provvedere alla nomina dei DG attingendo ad un elenco regionale di idonei costituito a valle di una procedura selettiva che sarà svolta da una commissione costituita da esperti indipendenti, procedura a cui potranno accedere solo coloro che documenteranno, oltre ai titoli richiesti, un’adeguata esperienza dirigenziale nel settore». (http://www.altalex.com/documents/news/2012/09/14/decreto-balduzzi-sulla-sanita-in-14-punti).

Successivamente è stato approvato il dsgl per il riordino della dirigenza sanitaria, che prevede l’istituzione, presso il Ministero della Salute, di un elenco dei soggetti idonei alla nomina di direttore generale delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere e degli altri enti del Servizio sanitario nazionale. Per poter esser posti in elenco bisogna aver conseguito la laurea, avere comprovata esperienza dirigenziale, almeno quinquennale, nel settore sanitario o settennale in altri settori definiti, possedere l’attestato di partecipazione ad un corso regionale di formazione in materia di sanità pubblica e di organizzazione e gestione sanitaria. Da ciò deriva che «Le regioni nominano direttori generali esclusivamente gli iscritti all’elenco nazionale dei direttori generali […]. La valutazione dei candidati per titoli e colloquio è effettuata da una commissione regionale, anche tenendo conto di eventuali provvedimenti di accertamento della violazione degli obblighi in materia di trasparenza. La commissione, composta da esperti, indicati da qualificate istituzioni scientifiche indipendenti che non si trovino in situazioni di conflitto d’interessi, di cui uno designato dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, e uno dalla regione, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, propone al Presidente della regione una rosa di candidati, non inferiore a tre e non superiore a cinque, nell’ambito dei quali viene scelto quello che presenta requisiti maggiormente coerenti con le caratteristiche dell’incarico da attribuire.

Nella rosa proposta non possono essere inseriti coloro che abbiano ricoperto l’incarico di direttore generale, per due volte consecutive, presso la medesima azienda sanitaria locale, la medesima azienda ospedaliera o il medesimo ente del Servizio sanitario nazionale». (http://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato3781307.pdf, allegato a “Nomine Direttori generali Asl. Arriva l’elenco nazionale. Via libera definitivo dal Governo. Lorenzin: “Per gestire la sanità selezioneremo i migliori manager sul mercato”, in: http://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=42121). L’elenco dei soggetti idonei alla nomina di direttore generale delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere e degli altri enti del servizio sanitario nazionale è stato pubblicato, il 9 luglio 2018, in formato pdf, su: http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pagineAree_4627_listaFile_itemName_17_file.pdf.

Questo modo di normare la materia tende: a togliere alle Regioni il potere delle nomine; a limitarle nel tempo, dato che l’albo nazionale degli idonei si deve rinnovare ogni 4 anni; a cercare di regolare i criteri di scelta dei direttori. Ma anche se qualche passo in tal senso è stato fatto, in ogni caso Giulia Grillo sottolinea come sia ancora grande il potere della politica in sanità, in un settore così importante per i cittadini. Ma detto potere non viene esercitato solo attraverso la nomina dei dirigenti delle aziende sanitarie. E comunque se la sanità è regionale in Fvg, spetta alla regione nominare i direttori generali al di fuori degli elenchi nazionali? Ma perché ci siamo impantanati in questa soluzione di regionalizzazione?

Infine Giulia Grillo ritorna ancora una volta sul tema delle ingerenze politiche in sanità, in particolare sul fatto che in Campania il presidente della regione voglia assumere anche la carica di commissario della sanità campana, sostenendo che: «La sanità è stata per troppo tempo, e lo è ancora […]  una sorta di terreno di scorribanda politica. Io sono – continua la Grillo- fortemente contraria a nomine politiche nella sanità perché si finisce che chi viene nominato non risponde al cittadino ma a chi l’ha nominato. Questo legame va scisso». E dice pure che: «Non si possono costruire ospedali e poi smantellarli». (http://www.ansa.it/campania/notizie/2018/07/11/g.grillogovernatore-commissariodico-no_a7a8e4e9-cdd4-488a-8409-1a4e081c1a83.html).

Ma a mio avviso ancora non ci si sofferma abbastanza su quanto la politica della chiesa cattolica condizioni l’agire medico, per esempio relativamente al rispetto della Legge 22 maggio 1978, n.194 – “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, quando nessuno obbliga un laureato in medicina a specializzarsi in ginecologia. Ed ora si profila l’obiezione di coscienza anche sul fine vita, e quella dei farmacisti per la pillola detta abortiva, e se si va avanti di questo passo sarà tutto un optional, parzialmente diretto da Santa Madre Chiesa. Si interessasse con tanto zelo della vita dei vecchi, biliosi, noiosi, dementi, che riempiono le case di riposo, penso tra me e me … o di quelli come il paziente cirrotico…

Ed ancora, nel merito dei finanziamenti alla sanità, così dice Grillo: «Abbiamo il tema del finanziamento sul quale questo Governo ha assolutamente intenzione di intervenire […] ovviamente senza fare i giochetti dei governi della vecchia legislatura che da una parte aumentavano di pochissimo il Fondo sanitario nazionale, e dall’altra inserivano invece degli articoli in legge di bilancio in cui toglievano fondi alle Regioni, per poi stabilire d’intesa su quale aspetto tagliare, ossia sempre la sanità e i servizi essenziali ai cittadini». (Ivi). In sintesi assessori e presidenti di regione insieme al Governo, davano briciole con una mano, e toglievano servizi con l’altra.  Ma senza risorse certe, ma frutto di un ballottaggio, certamente non si può avere una sanità che guardi al futuro. Grazie Ministro per averci detto anche questo.

Si è proceduto dalla legge Balduzzi in poi, dal 2012, a percorrere la via della deospedalizzazione del paziente, per risparmiare, in un’ottica tutta finanziaria di un servizio, unicamente per togliere sulla base dei costi, senza interessarsi della ricaduta sui pazienti – cittadini, sulla loro vita e salute. Ma cosa vuoi che sia … Poi ci si lamenta se uno sceglie la via del privato …

IL SOGNO DEL ROBOT CHE SOSTITUISCE L’UOMO.

Leggo le parole di Riccardo Riccardi, assessore alla salute Fvg, ai margini del convegno “Tecnica, tecnologia e formazione” dedicato alle tecniche chirurgiche mini-invasive. Credo che l’incontro fosse importante, ma era appunto dedicato alla chirurgia. Pertanto quando leggo la dichiarazione dell’assessore: «Oggi più che mai la salute è fortemente connessa al grado di innovazione tecnologica e da ciò dipende l’efficienza del servizio offerto al cittadino. A questo proposito ritengo che in Friuli Venezia Giulia il tema dell’innovazione tecnologica sia uno dei nervi scoperti e per questo motivo ci sono molte e importanti cose da fare, come segnalato dagli stessi operatori» (Salute: Riccardi, rafforzare innovazione tecnologica in sanità Fvg, in: Messaggero Veneto, 22 giugno 2018), ricordo che egli parlava solo del settore chirurgico, senza tener conto del robot da Vinci appena acquistato da urologia di Udine o dei macchinari di Cattinara, non so quanto recenti.  

Ma la medicina non è solo chirurgia, non è solo affidata alla robotica, che costa molto, ove i macchinari possono diventare obsoleti e che si devono ammortizzare. Ciò non significa che secondo me non si debba seguire la via della tecnologia applicata alla chirurgia mini-invasiva, che è molto importante, ma mi pare opportuno valutare ogni aspetto dell’area sanitaria per diagnosi e cure e relativa spesa. E se radiologia e chirurgia vanno a braccetto, vi è anche l’area centrata su analisi e farmaceutica che segna il passo, altrimenti i medici di base non servirebbero ed anche molti specialisti: per esempio i diabetologi. Inoltre le macchine hanno bisogno di una mano esperta che le guidi, e se i soldi non sono molti non si può avere una sanità per tutti ed investire dovunque in robotica di alta specializzazione. Ma sarebbe anche ora di smettere di tagliare in sanità, cosa in cui pare i politici siano espertissimi, perché in Italia vi sono mille rivoli di spreco su cui intervenire.  Non da ultimo un servizio a metà non si sa a cosa serva, forse a tamponare per un po’ le falle aperte che lo porteranno a morte certa.

Naturalmente Riccardi non ha detto solo questo, ha ipotizzato il ritorno all’Agenzia regionale per la sanità, soppressa nel 2009, e le cui funzioni vennero demandate alla Direzione Generale Salute (http://www.regione.fvg.it/rafvg/export/sites/default/RAFVG/MODULI/consulenze/strutture-old/Direzione_centrale_salute_integrazione_sociosanitaria_e_politiche_sociali/ALLEGATI/D_34_-_Grillone.pdf), reintroduzione di cui non conosco la portata, basta che non significhi aumentare dirigenti amministrativi; ha evidenziato, dopo l’incontro con i vertici dell’ass2, i limiti ancora presenti nel rapporto fra ospedali hub e spoke, che riporto perché credo riferibili in parte anche all’ aas3: «Due le criticità maggiori […] “un problema di carenza di omogeneità derivata dalla fusione di due aziende territorialmente molto diverse tra loro, che porta con sé la difficile definizione del rapporto tra i quattro ospedali spoke che insistono nell’azienda e gli ospedali hub di Udine e Trieste collocati fuori dall’azienda stessa» ed una forte demotivazione del personale, tema ricorrente, promettendo ‘ porte aperte’ all’ascolto. (http://ilpiccolo.gelocal.it/dalla-giunta/2018/07/03/news/sanita-riccardi-a-breve-la-norma-di-riordino-della-governance?id=finegil:messaggero-veneto.site:-1892790789).

La Corte dei conti, poi, riferisce che la spesa per il personale, in Fvg, è alta, ma questo potrebbe dipendere dai troppi dirigenti, dal personale amministrativo in eccesso, da contratti locali da rivedere su base nazionale, o da altri motivi, perché è sotto gli occhi di tutti che qui come là, in Fvg, il personale è ridotto all’ osso. Ed infatti Riccardi precisa poi che gli è stata fatta presente, nel corso della visita all’ass2, la carenza di personale medico e infermieristico. «Un punto quest’ultimo che […] contrasta con i rilievi della Corte dei Conti, che ha stigmatizzato una crescente spesa per il personale, a fronte di un palese disagio sottolineato più volte dagli stessi operatori rispetto alla difficoltà di garantire i turni di lavoro e quindi una efficace gestione dei servizi». (Ivi).

PRESIDIO GENERALE DI ASSISTENZA O OSPEDALE DI COMUNITA’: COSA SAREBBE?

Leggo con stupore, inoltre, della possibilità attuativa dei cosiddetti ospedali di comunità, (Allegato 9711070.pdf, a: ‘Sta per nascere l’ospedale di comunità: al medico la responsabilità clinica e all’infermiere la gestione e l’assistenza. Il documento del ministero trasmesso alle Regioni”, in: http://www.quotidianosanita.it/regioni-e-asl/articolo.php?articolo_id=63630), che non sono né carne né pesce. Essi sono figli di una imposizione dall’alto, senza uno straccio di studio, e quindi diventeranno problematici in ogni caso, soprattutto se affidati a soli infermieri ed un medico part-time. Per fortuna, penso fra me e me, in senso ironico, che sono stati previsti dalla Direzione generale della programmazione sanitaria- Ministero della salute! Ma cos’hanno programmato? Un presidio (termine orrido perché il vocabolo presidio si collega mentalmente e subito a ‘militare’ in quanto significa, pure: ‘contingente di truppe che è di stanza in un luogo) generale di assistenza, ma anche ospedale di comunità, creato con il D.M. 70/2015.  E qui mi perdo, oltre che esser presa dallo sconforto. Infatti a chi serve e per cosa, una struttura fra un ospedale e casa propria? A nulla, praticamente, forse tranne che a parcheggiare mezzi morti o mezzi vivi. Ma mi scuso subito per aver pensato così.  E primieramente: cosa significa ‘ assistenziale’ in questo contesto? Se uno è da solo e non riesce a badare a se stesso a domicilio, qualora abbia la cifra non certo di poco conto, deve cercare una casa di riposo, (strutture che si configurano anche come nuova fonte di business) o è affidato, bene o male, alla varia umanità che vaga fra paesi e periferie cittadine, sperando in un pasto caldo dalla caritas, o da un qualche servizio per indigenti, e pregando Dio di sopravvivere alla meno peggio grazie alle cure del medico di base, confidando che non si sia dimenticato di lui, e non può accedere ad un ‘ospedale di comunità’ che non è un ospizio per poveri, di cui si sente francamente la mancanza. Ed in ogni caso un ‘ospedale di comunità’ non può reggersi su un medico di base che dirige ed un solo infermiere, come si legge in: “Ecco come funzionerà l’ospedale di comunità, ‘ponte’ tra il ricovero e l’assistenza a domicilio. Diretto da un medico e gestito da un infermiere’, in: http://www.quotidianosanita.it/regioni-e-asl/articolo.php?articolo_id=59706, perchè è ipotesi che non sta nè in cielo nè in terra.

 

Se uno sta ancora male resta doverosamente in ospedale, perché né una giunta regionale di sinistra né una di destra possono porre dei limiti di tempo ad un ricovero ospedaliero, se necessario. Ma se ospedale si chiama sia quello di comunità che quello ‘hub’ e ‘ spoke? Allora non si capisce più nulla. Se invece detta nuova invenzione per riciclare ospedali che si sarebbero voluti chiusi, è un convalescenziario, (cioè un Istituto sanitario che accoglie chi ha bisogno di cure e assistenze particolari per il periodo di convalescenza) beh, allora la tipologia di struttura non può esser definita né ‘ospedale di comunità ‘né ‘presidio generale di assistenza, ma convalescenziario, tout court. Ma detto convalescenziario non si sa chi dovrebbe ospitare, se a pagamento o meno, ma neppure che funzioni avrebbe, e sarebbe centralizzazione di anziani, senza ripresa di vita attiva in contesto noto. Sapete, per ogni cosa, poi, in definitiva, ci vuole l’isee … Ma allora uno potrebbe anche dire che intende far a meno del convalescenziario. E poi dato che questi ospedali di comunità che presidiano, non hanno a che fare con i Lea, la cosa si complica maggiormente.  E così per fare ancora una considerazione: un medico ospedaliero di hub o spoke, perché spero ce ne siano anche negli ospedali di comunità, potrebbe liberare un letto del reparto (perché ormai gli ammalati sono visti dalla politica sanitaria solo come ‘occupanti di letto’ anche se i più hanno pedissequamente pagato contributi per la sanità per anni ed anni), pure perché per l’anziano paziente non c’è più nulla da fare. E allora lo mandiamo a morire nell’ospedale ci comunità o presidio generale di assistenza, trasformandolo in hospice, deprimente per chi invece è convalescente, come accade per le residenze sanitarie assistenziali? Ma queste dovrebbero venir soppresse, dato che già esistono o no? Infatti, almeno in Fvg, «attorno agli anni ’95-’97, in attuazione a quanto definito con la legge di revisione della rete ospedaliera regionale (legge regionale 13/1995, articolo 17)  la Regione FVG ha progressivamente sviluppato l’offerta di RSA di cui all’articolo 20 della legge 11 marzo 1988, n. 67 ed al DPCM del 22 dicembre 1989. Esse erano definite come strutture residenziali destinate a fornire assistenza continuativa ad elevato contenuto sanitario ed a prevalente indirizzo riabilitativo a soggetti anziani non autosufficienti e a soggetti temporaneamente non autosufficienti, esclusi i minori, nonché a soggetti affetti da handicap fisico e psichico.
Dopo l’iniziale sperimentazione e sviluppo delle attività, con la DGR n. 1487 del 25/5/2000 sono state emanate le linee guida per la gestione delle residenze sanitarie assistenziali che hanno definito le finalità, i rapporti con le strutture di riabilitazione, le funzioni, l’offerta, la durata della degenza, le procedure di segnalazione, valutazione, ammissione, dimissione e le forme di partecipazione dell’utenza.
Con la successiva delibera di approvazione del Piano regionale della riabilitazione, DGR n. 606/2005 sono stati definiti ulteriori criteri per l’inserimento di queste strutture nell’ambito della rete dei servizi intermedi e di riabilitazione. In particolare, la norma in oggetto ha stabilito che ogni azienda sanitaria, nell’ambito del Piano triennale della riabilitazione, deve definire il fabbisogno dell’offerta di RSA». (http://www.regione.fvg.it/rafvg/cms/RAFVG/salute-sociale/sistema-sociale-sanitario/FOGLIA8/).

E allora come la mettiamo? Inoltre, come il solito, in Italia siamo riusciti a fare una confusione indescrivibile tra RSA, RSSA e case di riposo, (https://www.coopincontro.it/cosa-sono-le-rsa-orientarsi-fra-rsa-rssa-case-riposo/), fra cui non è facile districarsi, come parrebbe nell’articolo citato, a causa della normativa a riguardo. Per esempio non è vero che una RSA sia una casa di riposo per non autosufficienti, che non implica, per inciso, la medicalizzazione degli ospiti, e la permanenza in RSA è limitata a 20 giorni, e quindi essa è il convalescenziario. Insomma questi nostri governi sia nazionali che regionali, pieni di laureati in legge e di ‘esperti in economia’, attenti forse alle elezioni future più che al governo del presente, sono stati molto creativi nel legiferare pure decisamente troppo, distaccando la norma dalla realtà e creando il caos primigenio.

DUE CONSIDERAZIONI SU DATI E LORO LETTURA.

Infine stop bagarre su dati statistici, che non si sa cosa volessero misurare, dato che gli indicatori sono ignoti per la stampa, (a meno che non si legga: ‘Bersagli e mappe di sintesi, Allegato6258258, a: ‘Ecco i nuovi “bersagli” della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Migliorano le performance di 6 Regioni su 10, solo il 27% peggiora’, in: http://www.quotidianosanita.it/regioni-e-asl/articolo.php?articolo_id=62423) così come i criteri di svolgimento della ricerca. E se è vero che l’Istituto Sant’ Anna è una scuola universitaria superiore privata, locata a Pisa, chi però ha fatto la ricerca è il settore menagement, cioè per la formazione dei manager, che valutano in un’ottica economicistica i servizi, mica sulla base del welfare! Inoltre i dati, ovviamente, sono riferiti al 2017. Ma è chiaro credo a tutti che la qualità dei servizi non deriva da indicatori discutibili di performance, ma da cosa dicono i cittadini. E per i cittadini italiani, dalla Sicilia alle Alpi, dal Molise fino alla Carnia, per quello che leggo e sento, la performance del sistema sanitario è ottima solo su tagli e disagi per gli utenti.

E per ora mi fermo qui, scusandomi per la lunghezza di questo mio, precisando che non voglio offendere alcuno ma porre solo dei problemi sul tappeto, in una società che è piena di bla bla bla giornalistici, politici, mediatici, più che di riflessioni serie e documentate. Naturalmente chi vuole esprimere pensiero contrario al mio o correggere in modo informato miei possibili errori, può liberamente farlo attraverso i commenti, o scrivendomelo. In più di un caso ciò che mi avete scritto è risultato per me prezioso. 

L’immagine che introduce l’articolo è tratta, solo per questo uso, da’: Ecco come funzionerà l’ospedale di comunità, “ponte” tra il ricovero e l’assistenza a domicilio. Diretto da un medico e gestito da un infermiere’, in: http://www.quotidianosanita.it/regioni-e-asl/articolo.php?articolo_id=59706.

Laura Matelda Puppini

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