Sulla virtualizzazione della medicina e sulla perdita del contatto umano medico-paziente.
Note introduttive all’argomento
Ho sempre sostenuto l’importanza del rapporto umano medico paziente per la cura. Una persona non è solo un corpo, e le sue abitudini ed suoi stili di vita molto dicevano, un tempo, ad un medico, ed ancora oggi possono dire. Quanti pazienti, per esempio, celano al medico di bere quotidianamente un bicchiere di troppo, quanti hanno riguardo nel parlare al medico di cose “intime” e magari del fatto che usano andare a cercare qui e là sesso in vendita, quanti non osano parlare di feci ed urina, di mal di pancia e meteorismo, quanti negano di avere il fiatone, per poi trovarsi cardiopatici? E di questi aspetti personali come di altri non si può parlare a medici diversi, ce ne vuole uno, ma ormai, nel nuovo corso, difficilmente tale compito assieme alla diagnosi e cura potrà essere svolto esclusivamente dal medico di base, con 1300 pazienti, e senza strumentazione diagnostica. E non si sa cosa potrà accadere, almeno inFvg, quando il medico di base sarà moltiplicato per quattro dalla riforma, che lo vede meramente come un copri-orario. Inoltre spesso gli ambulatori medici non hanno una anticamera, e chi è fuori sente tutto, vi sono infermieri/e presenti e magari noti/e, informazioni scritte e riservate potrebbero essere visibili su sistemi informatici … per loro stessa natura.
E bisogna fidarsi di uno, anche specialista, non si possono avere “mille” medici che dicono mille cose diverse. Poi ci sarebbe anche il discorso sull’iper-specializzazione, che è una specie di sciagura, perché determina visioni troppo fortemente parcellizzate di un problema, e può portare a diagnosi errate. Inoltre si rischia che un medico venga a perdere la capacità di formulare le diagnosi più ovvie per seguire quelle inquadrabili in un contesto più raffinato e connotate da ricerche particolari, moltiplicando i casi di malattie rare che non si sa neppure se siano tali o se siano, talvolta, situazioni create da errori diagnostici precedenti.
E con il medico si deve poter parlare, non ci si deve solo “presentare” ad una visita, pena la perdita di un rapporto curativo e umano, e la conoscenza di sintomi e possibili cause degli stessi da parte del professionista.
♦♦♦♦
Ma purtroppo la riforma sanitaria Fvg, e non solo, è un campione della disumanizzazione: il medico, lentamente, per politica volontà, si sta trasformando in un burocrate che applica possibilmente protocolli diagnostico – curativi, che si potrebbero leggere anche come strumenti difensivi per le ass, e abbassa/spesa sulla nostra pelle; non si sa più chi ti opererà tanto si deve credere, d’ufficio e per volontà politica, che i medici ed i chirurghi siano tutti uguali, ma vi garantisco che non è vero; si esaltano le carte, i fascicoli informatici che si lasciano scrivere, ed in cui i referti sono come le ciliegie: uno tira l’altro. Ma se il primo riporta diagnosi errata? Per inciso chi dovrebbe curare, per l’assessore Telesca e per il Ministro Lorenzin, cioè il medico di base, (in futuro i medici di base) non ha alcuna documentazione informatica, nè avrebbe il tempo per stenderla. Ed in Fvg, fra l’altro, pare che il sistema informatico regionale sia lento, lentissimo, ed è stato anche a me fatto notare, con enorme perdita di tempo per medici, operatori e pazienti, solo che qualcuno dovrebbe dirlo all’Insiel ed all’assessore Telesca.
Insomma questa sanità aziendale è una vera tragedia, perché raffredda, gela il rapporto umano, e va a finire che esso tende a non esistere, con possibilità altissima di errori e rischio di visite che si possono risolvere con l’applicazione di protocolli codificati e specie di situazioni teatrali, in cui il medico si preoccupa di “apparire come il medico” ed il paziente di “apparire come paziente”, con il finale di una incomunicabilità senza precedenti. Ben aveva descritto tali aspetti scenici, nelle visite psichiatriche, il grande Gregory Bateson, ipotizzando che l’incontro medico paziente si potesse risolvere, in alcuni casi, in un gioco dei ruoli, dimenticando la comunicazione reale e l’oggetto, cioè la situazione del paziente, la sua valutazione, la diagnosi e cura od il suo adeguamento.
Inoltre vi sono ulteriori problemi per gli anziani, che discendono dal loro modo di vivere un medico. Come non pensare all’importanza data da qualche anziano/a dei piccoli paesi montani e non solo, all’apparenza, nel rapporto medico paziente, al problema di “essi gaiat par la dal miedi”, ed al cercare di mettere a posto la casa, pur stando male, nel caso, sempre più solo ipotetico, che un medico ne varcasse la soglia? Infatti ormai pare si sia alla sanità “on the road”, per il paziente. E se non può guidare? Cosa vuoi che sia … E se persone con virosi trasmissibili si trovano in ambulatori pieni di anziani ed altri, con altissimo rischio contagio? Cosa vuoi che sia … E come non pensare alla paura di disturbare ed ai tempi ristretti, con gente in sala attesa che scalpita, nel caso del medico di base?
E questi chiari di luna, di disumanizzazione crescente del rapporto medico paziente, non soddisfano, giustamente, neppure i medici se leggiamo queste interessantissime righe. Laura Matelda Puppini.
♦♦♦♦
Virtualizzazione della medicina e sulla perdita del contatto umano: come è cambiato il rapporto medico-paziente.
«Come è cambiata la professione del medico negli ultimi decenni? Come si è trasformato nel tempo il rapporto tra medico e paziente, soprattutto negli ospedali? Un articolo apparso recentemente sul New England Journal of Medicine, firmato da David I. Rosenthal e Abraham Verghese, induce a una riflessione sull’evoluzione (o involuzione?) del complesso legame tra medico e paziente.
In un’epoca ormai passata il lavoro del medico ospedaliero veniva svolto principalmente al capezzale del letto del paziente, dove medici, assistenti e studenti si riunivano e si scambiavano impressioni e pareri. Il fulcro del rapporto medico-paziente risiedeva nel contatto umano, nella capacità del medico di esaminare un corpo anche attraverso i propri sensi, nella capacità della mano umana di toccare, diagnosticare, curare. Si trattava di una sorta di rituale, un messaggio chiaro che i medici trasmettevano ai pazienti. Si creava facilmente l’opportunità di conoscere i degenti nel corso dei ricoveri e le cartelle cliniche erano fatte di carta, anche se erano spesso indecifrabili.
La medicina moderna ha portato con sé una sorta di rivoluzione; sono cambiati gli orari e le procedure e allo stesso modo si è trasformata la natura della professione del medico. Le cartelle cliniche non sono più affisse al letto del paziente ma, dimorando all’interno di un computer, sono costituite da una raccolta di dati, sequenze di menu a tendina e campi di testo.
♦♦♦♦
L’avvento dell’era elettronica, che da una parte ha ridotto il tempo necessario per ottenere i risultati delle analisi o degli esami radiologici, dall’altra non ha aumentato il tempo trascorso con i pazienti. Stime recenti indicano che medici e studenti di medicina spesso trascorrono più del 40-50% della propria giornata di fronte allo schermo di un computer per compilare documenti o esaminare cartelle cliniche; gran parte del restante tempo è utilizzato per coordinare, magari al telefono, le cure con altri specialisti, farmacisti, nutrizionisti, uffici di assistenza primaria, familiari, assistenti sociali, infermieri, ecc. Pochi di questi incontri si verificano di persona e, sempre più spesso, dati i vincoli di tempo, il medico non visita i pazienti insieme al suo team.
Oggi la classica visita è sovente sostituita da un briefing attorno a un computer, durante il quale si esaminano immagini su schermi, lastre, referti, numeri, dati. Il nuovo medico tecnologico è spesso ridotto a mero prescrittore, che a volte effettua visite telefoniche o che fa diagnosi online. In poche parole, è venuto a mancare il contatto fisico tra medico e paziente: nonostante la retorica sulla centralità del paziente, questo rischia in realtà di non essere più al centro del sistema.
L’attenzione del medico è dunque spesso deviata dalle vite, dai corpi e dalle anime delle persone affidate alle sue cure, al punto che la figura del medico focalizzato sullo schermo anziché sul paziente è ormai un cliché culturale. Allo stesso modo, l’assistito è quasi diventato un’icona del paziente in veste “binaria”; Verghese ha coniato una parola per questa rappresentazione digitale del paziente: l’iPatient. Soprattutto negli Stati Uniti, l’intero sistema sanitario si basa su questa entità virtuale e fornisce incentivi per la sua creazione e il suo mantenimento; stando ai report sulla qualità degli ospedali negli USA, sembrerebbe che l’iPatient ottenga uniformemente ottime cure, ma le esperienze dei pazienti reali sono tutt’altra questione.
Anche le competenze apprese dagli studenti di medicina e dai medici di oggi non sono quelle tradizionali, necessarie per fare una buona anamnesi o per ricostruire la storia clinica del paziente, ma piuttosto quelle per apprendere l’arte di un buon esame bioptico, gestire documentazioni, accettazioni e dimissioni nell’era elettronica.
♦♦♦♦
Lo stesso paziente si è ormai convinto che il suo corpo coincida con le immagini che si ottengono dalle tecnologie diagnostiche e dalle successioni di numeri generati dagli apparecchi usati per analizzare il sangue. In questo modo pensa di tenere sotto controllo la propria salute sottoponendosi a prelievi, ecografie o risonanze magnetiche: si arriva a pensare che sia meglio avere a disposizione una buona radiografia piuttosto che un buon medico.
D’altra parte i medici sono sempre più insoddisfatti del proprio lavoro, spesso amareggiati per il troppo tempo utilizzato a trascrivere e tradurre informazioni da inserire in un computer e per il fatto che, in questo senso, il lavoro non si ferma mai. Lo studio RAND “ Factors Affecting Physician Professional Satisfaction and Their Implications for Patient Care, Health Systems, and Health Policy”, commissionato nel 2013 dall’American Medical Association (AMA) ha analizzato il fenomeno in sei Stati americani, mettendo in evidenza l’effetto negativo prodotto dalla gestione informatica delle cartelle cliniche sul morale di molti medici. Dallo studio sono emersi elevati livelli di stress tra i medici, in gran parte legati a un aumento di requisiti normativi, compiti amministrativi e adozione delle cartelle cliniche elettroniche. Secondo la survey, l’81% dei medici si era detto soddisfatto del proprio lavoro, ma il 47% lo aveva descritto come estremamente stressante e il 19% aveva parlato senza mezzi termini di burnout. Molti degli interpellati avevano sottolineato come il computer, invece di essere uno strumento di aiuto e semplificazione, sia in realtà diventato un ostacolo che toglie tempo alla cura dei pazienti.
Questi risultati sottolineano l’importanza di riflettere su ciò che la professione del medico era una volta, quello che è ora e quello che dovrebbe essere o rischia di diventare. Indipendentemente dal prestigio, nel passato quel lavoro è stato eseguito in condizioni e standard di qualità che sarebbero ora inaccettabili; oggi è praticato in un sistema sicuramente più sicuro ed efficiente, con risultati misurabili. Eppure, le aspettative sembrano in gran parte disattese.
♦♦♦♦
Se il significato della professione del medico deve essere ripristinato, sono necessari cambiamenti piuttosto complessi a livello globale, a partire dal ristabilire un dialogo che includa chi opera in prima linea nel campo della medicina. Forse la più grande opportunità per migliorare la soddisfazione professionale dei medici nel breve periodo risiede nel ricostruire le procedure tradizionali e gli spazi fisici al fine di promuovere il genere di connessioni umane realmente utili: tra medici e pazienti, tra medici e medici, tra medici e infermieri. Si dovrebbe tornare al rapporto diretto con i pazienti, dialogando con le loro famiglie e gli infermieri, ripensando l’interfaccia uomo-macchina e fondendo il paziente reale con l’iPatient.
La tecnologia certamente non può ristabilire la soddisfazione professionale dei medici; è necessario ricostruire il senso di lavoro di squadra, di comunità, rafforzando i legami che uniscono i medici come esseri umani e ripristinando alcuni rituali carichi di significato per medico e paziente. Le soluzioni non saranno semplici, dato che molti problemi sono intrappolati nell’alto costo delle cure sanitarie e negli ostacoli alle riforme dell’assistenza sanitaria. Ma si può iniziare ricordando l’originale scopo dei medici: essere testimoni della sofferenza degli altri, dare conforto e offrire cura. Quello rimane il vero privilegio della professione medica».
Pubblicato in: http://www.aifa.gov.it/content/virtualizzazione-della-medicina-e-perdita-del-contatto-umano-come-è-cambiato-il-rapporto-med
♦♦♦♦
Per riflettere su temi di importanza notevole per il nostro futuro e quello dei nostri figli e nipoti, in modo informato, senza offesa per alcuno. Laura Matelda Puppini
L’immagine che correda l’articolo è tratta, solo per questo uso, da: http://www.casentinopiu.it/la-lista-civica-poppi-libera-in-difesa-della-sanita-pubblica/, ed è stata elaborata a computer. Laura Matelda Puppini
https://www.nonsolocarnia.info/sulla-virtualizzazione-della-medicina-e-sulla-perdita-del-contatto-umano-medico-paziente/https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2017/02/no-rapporto-umano-Immagine1.png?fit=440%2C419&ssl=1https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2017/02/no-rapporto-umano-Immagine1.png?resize=150%2C150&ssl=1ECONOMIA, SERVIZI, SANITÀNote introduttive all'argomento Ho sempre sostenuto l’importanza del rapporto umano medico paziente per la cura. Una persona non è solo un corpo, e le sue abitudini ed suoi stili di vita molto dicevano, un tempo, ad un medico, ed ancora oggi possono dire. Quanti pazienti, per esempio, celano al medico...Laura Matelda PuppiniLaura Matelda Puppinilauramatelda@libero.itAdministratorLaura Matelda Puppini, è nata ad Udine il 23 agosto 1951. Dopo aver frequentato il liceo scientifico statale a Tolmezzo, ove anche ora risiede, si è laureata, nel 1975, in filosofia presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Trieste con 110/110 e quindi ha acquisito, come privatista, la maturità magistrale. E’ coautrice di "AA.VV. La Carnia di Antonelli, Centro Editoriale Friulano, 1980", ed autrice di "Carnia: Analisi di alcuni aspetti demografici negli ultimi anni, in: La Carnia, quaderno di pianificazione urbanistica ed architettonica del territorio alpino, Del Bianco 1975", di "Cooperare per vivere, Vittorio Cella e le cooperative carniche, 1906- 1938, Gli Ultimi, 1988", ha curato l’archivio Vittorio Molinari pubblicando" Vittorio Molinari, commerciante, tolmezzino, fotografo, Gli Ultimi, Cjargne culture, 2007", ha curato "Romano Marchetti, Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona, una vita in viaggio nel Novecento italiano, ed. ifsml, Kappa vu, ed, 2013" e pubblicato: “Rinaldo Cioni – Ciro Nigris: Caro amico ti scrivo… Il carteggio fra il direttore della miniera di Cludinico, personaggio di spicco della Divisione Osoppo Carnia, ed il Capo di Stato Maggiore della Divisione Garibaldi Carnia, 1944-1945, in Storia Contemporanea in Friuli, n.44, 2014". E' pure autrice di "O Gorizia tu sei maledetta … Noterelle su cosa comportò per la popolazione della Carnia, la prima guerra mondiale, detta “la grande guerra”", prima ed. online 2014, edizione cartacea riveduta, A. Moro ed., 2016. Inoltre ha scritto e pubblicato, assieme al fratello Marco, alcuni articoli sempre di argomento storico, ed altri da sola per il periodico Nort. Durante la sua esperienza lavorativa, si è interessata, come psicopedagogista, di problemi legati alla didattica nella scuola dell’infanzia e primaria, e ha svolto, pure, attività di promozione della lettura, e di divulgazione di argomenti di carattere storico presso l’isis F. Solari di Tolmezzo. Ha operato come educatrice presso il Villaggio del Fanciullo di Opicina (Ts) ed in ambito culturale come membro del gruppo “Gli Ultimi”. Ha studiato storia e metodologia della ricerca storica avendo come docenti: Paolo Cammarosano, Giovanni Miccoli, Teodoro Sala.Non solo Carnia
Rispondi