Sulle opere di Pier Arrigo Carnier, note metodologiche in particolare da Mons. Aldo Moretti.
Non so perché da anziana quale sono, devo passare le mie serate ancora una volta a leggere Pier Arrigo Carnier, ma forse è per espiazione di qualche mia manchevolezza. Non so perché Pier Arrigo Carnier, da anziano ben più di me, si ostini a scrivere senza adeguati approfondimenti e contestualizzazioni, ed a riproporre la sua visione personalissima del mondo resistenziale e della seconda guerra mondiale, chiusa in schemi preconcetti che non hanno, spesso, riscontro. Più volte, soffermandomi su una frase o sull’altra, lo confesso, mi sono chiesta: «Ma che scrive questo?» – ed invano sono andata, ora come allora, alla caccia di una nota che si possa definire tale, di un riferimento. Per esempio come fa nel suo: Pier Arrigo Carnier, “Cosacchi contro partigiani” Mursia 2016, edito di fresco, a scrivere sulla crisi di Pielungo senza aver letto pare nulla o quasi sull’argomento, e non evidenziando il problema interno sorto, in quel momento storico, fra la componente cattolica e quella azionista della Osoppo? Come fa a scrivere sulla Ippolito Nievo, senza aver letto pare nulla, o quasi, senza sapere neppure, almeno così pare, che era una brigata unificata? Come fa a scrivere, per esempio, che Giulio Contin andò in Urss e Jugoslavia, senza fonti, (Pier Arrigo Carnier, Cosacchi contro partigiani, op. cit., p. 22), quando esistono sia una nota biografia del Contin, curata dal dott. Alessandro Naccarato, che quella dell’Anpi, leggibili online, che non riportano questi dati, oltre che una sintesi della sua vita in: Archivio Centrale dello Stato, casellario politico centrale, busta 1457? Egli scrive, se ho ben capito, che il pubblico non apprezza le note che riportano le fonti, che appesantiscono la lettura, ma le note si possono collocare in fondo allo scritto. Non possono invece essere quelle prodotte in questo suo ultimo volume, per materia così vasta. Ed ancora: come fa a parlare di impegno ideale dei tedeschi, nella seconda guerra mondiale? (Ivi, p. 15). Come fa a giustificare le rappresaglie naziste con la Convenzione dell’Aia e di Ginevra (Ivi, p.16)? Avesse messo almeno una nota …No siamo all’Ipse dixit. Ma a questo volume se avrò tempo, se avrò voglia, dedicherò un articolo a parte. Sulle Convenzioni dell’Aia e di Ginevra chiamate da Pier Arrigo Carnier e Gianni Conedera, a difendere, giustificare, nefandezze nazifasciste, ho già risposto a Conedera in una mia lettera pubblicata dal Messaggero Veneto il 19 settembre 2014.
֎
Pier Arrigo Carnier è però diventato famoso pure per il suo volume “Lo sterminio mancato” che di fatto potrebbe apparire come una difesa, “arrampicata sui vetri” di Friederich Rainer, Commissario Supremo in Ozak, nel processo a fine guerra. Egli tentò una disperata resistenza delle forze naziste in Carinzia, ma fu preso prigioniero dagli americani e consegnato alla Jugoslavia, che lo processò per crimini di guerra, e lo condannò a morte. Friederich Rainer fu impiccato a Lubiana il 19 luglio 1947. (https://it.wikipedia.org/wiki/Friedrich_Rainer).
֎
Ma sentiamo cosa scriveva Mons. Aldo Moretti nel merito di “Lo sterminio mancato” di Pier Arrigo Carnier, critica ancora attuale perché è critica metodologica, e sull’arte pubblicitaria. Esistono diverse arti nel mondo, ed una è pure quella di vendere ipotesi di verità che altri dovrebbero prendersi la briga di sostenere o confutare. E mi pare che in certe parti di questo articolo di don Moretti, non manchi una certa ironia … e un certo sarcasmo. (Mons. Aldo Moretti, Pier Arrigo Carnier, Lo sterminio mancato,. La dominazione nazista nel Veneto Orientale 1943-1945,Milano, Ed. Mursia, 1982, pp. 419, in Storia Contemporanea in Friuli, n. 12, pp. 243-246).
֎
«Nella presentazione pubblicitaria del volume, si dice che “queste pagine sono frutto di anni di lavoro e di ricerche condotte in Italia, in Austria, in Germania, in Jugoslavia e fin altre oceano”. In realtà il lettore non stenta ad avvedersi che il Carnier ha fatto uso di una copiosa documentazione di prima mano da cui ha ricavato notizie interessanti ed anche del tutto nuove, talvolta riportate fino agli ultimi dettagli. Egli poi ha aggiunto anche gli intermezzi confidenziali, e meglio se piccanti, che rendono goloso il racconto già scorrevole, steso com’è con la penna di un giornalista che sa il suo mestiere.
Il teatro degli avvenimenti narrati va dalla Serbia alla Polonia, ma con l’epicentro nel Litorale Adriatico, ( che non si capisce per qual ragione venga chiamato nel frontespizio “Veneto Orientale”).
Quale l’argomento? Innanzitutto qui veniamo a sapere praticamente tutto, dalla nascita alla loro tragica morte, dei due personaggi che più hanno inciso sulla vicenda del Litorale Adriatico, cioè del Supremo Commissario Alois Friederich Rainer e dell’SS Gruppenfürher Odilo Globocnik. È poi diffusamente ed in più modi spiegato a qual tipo di “ordine nuovo” avevano il compito di preparare il Litorale Adriatico […].
È noto che i nazisti aspiravano a fare di Trieste l’Amburgo del Sud. Il Carnier dimostra che i tedeschi di Hitler non puntavano solo a quel porto; avevano intenzione di inglobare nel grande Reich anche una parte dell’Italia fedifraga, […]. Anzitutto contavano di recuperare città e province per secoli appartenute all’ Austria, da Lubiana a Trento e Bolzano. (…). Per congiungere poi l’ex-contea di Gorizia con il Süd Tirol e Trient, andavano annesse anche le province intermedie di Udine (che allora comprendeva anche il Pordenonese) e Belluno. Il Carnier non dice come essi potessero giustificare l’annessione del Bellunese (che non apparteneva all’ Adriatisches Küstenland ma al Voralpenland, cioè al Trentino Alto Adige).
Invece egli ha pagine nuove ed interessanti sulla motivazione storica ed etnica che i nazisti si preparavano ad addurre con speciali studi e ricerche e iniziative, per l’annessione della provincia di Udine, con aggiunto il mandamento di Portogruaro, che appartiene, in effetti, al Friuli storico.
Globocnik poi, con l’appoggio di Rainer, aveva ottenuto di attuare in Carnia un trapianto di popolazioni analogo a quello da lui realizzato in terra polacca, intorno a Lublino, (vedi pp. 30-42) solo che qui si trattò di cosacchi e di caucasici, non di tedeschi. (…).
Ma il fatto che dà anche il titolo al libro è “Lo sterminio mancato”.
Si tratta del grande merito che avrebbero i nazisti operanti nel Litorale, e primo fra essi Rainer, per non aver attuato in questi nostri paesi lo sterminio che da Berlino era stato ripetutamente ordinato. Così le persecuzioni degli ebrei (secondo Carnier ndr) sarebbero state ridotte al minimo, tanto per salvare le apparenze; la Risiera di Trieste non sarebbe stata per nulla trasformata in un “lager” di eliminazione e di sterminio come noi andavamo dicendo, il porto di Trieste non sarebbe stato fatto saltare, nonostante l’insurrezione finale, e ciò per esclusivo grande merito di Rainer… (…).
Non ho né la volontà né la competenza per riprendere in esame ciò che il Carnier dice di questi ed altri fatti. (…). Mi fermo ai problemi di metodo ed ad alcuni dei fatti che hanno riferimento diretto con il Friuli.
֎
Il Carnier ha una ricca documentazione per tutto ciò che scrive. […]. Nonostante questa copia di documenti, per quanto si riferisce alle cose italiane, di cui mi interesso, è praticamente totale l’assenza di documentazione che non sia nazista o filonazista. Se il Carnier avesse precisato sin dall’inizio che intendeva raccontare i fatti non come furono, ma come risultano dai documenti tedeschi, il suo lavoro sarebbe un contributo di indiscutibile valore. Tutti gli eserciti del mondo, infatti, tendono a presentare solo i lati positivi delle loro operazioni militari e tendono a minimizzare il positivo ed ad esagerare invece il negativo della parte avversaria. I loro politici, poi, attribuiscono le azioni disumane, gli stermini, gli eccidi, solo al nemico… (…). Ben vengano dunque i libri che la finiscono di vedere tutto il bene da una parte e tutto il male dall’altra.
Ma il nostro autore fa di più: egli accentua in via normale sempre e solo la versione tedesca dei fatti, ignorando, quasi non esistesse o non fosse per nulla degna di attenzione, una loro diversa versione italiana. (…). Anche la Osoppo ha un suo archivio, ben fornito e ben schedato, che il Carnier poteva consultare.
֎
Altro suo limite, che non è accettabile, è quello di dare più importanza al fatto singolo che al complesso degli avvenimenti.
Un primo esempio: molti singoli cosacchi e caucasici erano, e più le loro donne, i loro bambini, i loro pope, persone carine e molto spesso più simpatiche dei partigiani. Ma che serve parlare di singoli infelici come essi erano e come stavano per divenire, senza mettere in risalto l’inumana, gravissima offesa al diritto delle genti che il loro insediamento, intenzionalmente stabile e definitivo, voleva significare nel piano diabolico di Globocnik?
Altro esempio: efferata fu la reazione di alcuni partigiani e civili all’eccidio di Avasinis, dove truppe tedesche e collaborazioniste e avevano trucidato il 2 maggio 52 civili e ne avevano lasciati feriti altri 15. (v. pp. 211-224). Ma il Carnier questa reazione la doveva meglio inquadrare nella situazione locale. Avasinis era in quella zona, la Val del Lago, nella quale dal 30 giugno 1944, cioè da 10 mesi regnava il terrore e la disperazione. In quel giorno aveva avuto luogo una prima razzia ai danni di Avasinis ed Alesso. Po iera venuto il turno di Bordano, incendiata a fine luglio. Poi, nell’ottobre, non solo le case rimaste incolumi a Bordano, ma Interneppo, Braulins, Trasaghis e Alesso furono obbligate a sloggiare per cedere le case, ammobiliate e fornite com’erano ai cosacchi. (…). Nell’ aprile ’45, a caricare la dose, erano venuti gli aerei alleati, che avevano distrutto 59 abitazioni, e danneggiato un centinaio di altre. Ed ecco il 2 maggio l’eccidio. I superstiti, già precedentemente così duramente provati, potevano essere uomini calmi e misurati? Lo potevano dopo esser stati buttati all’ultimo, assurdo e crudele estremo di disperato dolore?
Terzo esempio.
Lo “sterminio mancato” è merito dei tedeschi, anche per quello che poteva avvenire e non avvenne nei giorni dello sfacelo finale. Il porto di Trieste non è saltato solo per merito di Rainer e di tre suoi uomini e per l’intervento del vescovo Santin. I partigiani non c’entrano per nulla. E merito di Rainer e dei suoi è che, salvo efferatezze singole ed arbitrarie, quali gli eccidi di Avasinis ed Ovaro, la ritirata dei tedeschi, in quei giorni fatidici non abbia provocato lo sterminio.
Io non ho alcun motivo per negare che Rainer, coll’acqua alla gola, abbia usato quella moderazione che fu di vantaggio per noi. Ma le sue decisioni singole vanno inquadrate nella situazione generale.
I nazisti avevano predisposto e già in buona parte realizzato ingenti opere di sbarramento e di fortificazione – opere affidate alla T.O.D.T. – per fare dell’intero Friuli, dal monte al mare, il baluardo meridionale di un “Ridotto alpino” (Alpenfestung).
Ne parla diffusamente il Carnier, e ne aveva già parlato il viennese K. Sthulpfarrer nel suo volume “Le zone di operazione Prealpi e Litorale Adriatico (recensito in questa rivista al n.10, pp. 417- 419). Se dello sterminio mancato non hanno nessun merito i partigiani, supponiamo che l’insurrezione partigiana, avvenuta da Ventimiglia a Gorizia e Lubiana, da Bologna a Milano e Como, non fosse esistita.
Le armate alleate avrebbero dovuto segnare molto di più il passo e la resistenza sarebbe stata più ostinata specialmente all’ avvicinarsi a questo Ridotto Alpino. La conseguenza sarebbe stata che lo sterminio i tedeschi ce lo avrebbero fatto fare dagli anglo-americani, dai loro bombardieri, dalle loro artiglierie.
Ma la storia non si fa con i se e con le ipotesi.
In quanto poi ai nazisti, essa è fatta sì anche di qualche sterminio mancato, ma è fatta in compenso di molti altri stermini tragicamente da loro effettuati; e questi non sono meno reali perché a compierne di stermini sono stati anche i loro avversari.
Concludendo, questo di Carnier è libro interessante, per la documentazione che porta, ma è libro fuorviante per certe interpretazioni che dà proprio a documenti e fatti di primo piano. Qui l’uomo comune, al quale il volume è destinato, essendo privo di tempo e di mezzi per fare le sue valutazioni e i suoi raffronti, è portato a prendere per vera la storia svisata. O dobbiamo dire, pessimisticamente che in questo mondo, specie per eventi troppo recenti, la storia vera non esiste?
Aldo Moretti.»
Ora, come allora, in questo ultimo lavoro di Carnier, “Cosacchi contro partigiani”, gli stessi limiti, gli stessi argomenti, con qualche variante tematica buttata qui e là, quasi che anni e anni di ricerche e pubblicazioni degli istituti per la storia della Resistenza e lavori pregevoli di singoli ricercatori non avessero valore alcuno. Ed in questo ultimo manca pure documentazione che si possa dire tale. Ma 35 anni dopo la recensione di don Aldo Moretti a “Lo sterminio mancato”, avrei da dire qualcosa anche su qualche documento, non di origine nazista, prodotto da Carnier in “Lo sterminio mancato”, e sull’interpretazione datane dall’autore, e mi riferisco in particolare a quelli provenienti dalla vedova Cioni ed al memoriale di Dionisio Bonanni, fratello di Katia, Gisella Bonanni, la sposa di Mirko, che io non avrei mai ritenuto fonte attendibile.
Pubblico precisando che nulla di personale ho verso il giornalista Pier Arrigo Carnier, che non conosco e di cui nulla so, se non che abita a Porcia e prima abitava in Carnia, da sue stesse dichiarazioni, e che non intendo in modo assoluto offendere la sua persona, ma solo entrare nel merito dei suoi scritti.
Laura Matelda Puppini
https://www.nonsolocarnia.info/sulle-opere-di-pier-arrigo-carnier-note-metodologiche-in-particolare-da-mons-aldo-moretti/https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2014/09/carnia7.jpg?fit=574%2C377&ssl=1https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2014/09/carnia7.jpg?resize=150%2C150&ssl=1STORIANon so perché da anziana quale sono, devo passare le mie serate ancora una volta a leggere Pier Arrigo Carnier, ma forse è per espiazione di qualche mia manchevolezza. Non so perché Pier Arrigo Carnier, da anziano ben più di me, si ostini a scrivere senza adeguati approfondimenti e...Laura Matelda PuppiniLaura Matelda Puppinilauramatelda@libero.itAdministratorLaura Matelda Puppini, è nata ad Udine il 23 agosto 1951. Dopo aver frequentato il liceo scientifico statale a Tolmezzo, ove anche ora risiede, si è laureata, nel 1975, in filosofia presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Trieste con 110/110 e quindi ha acquisito, come privatista, la maturità magistrale. E’ coautrice di "AA.VV. La Carnia di Antonelli, Centro Editoriale Friulano, 1980", ed autrice di "Carnia: Analisi di alcuni aspetti demografici negli ultimi anni, in: La Carnia, quaderno di pianificazione urbanistica ed architettonica del territorio alpino, Del Bianco 1975", di "Cooperare per vivere, Vittorio Cella e le cooperative carniche, 1906- 1938, Gli Ultimi, 1988", ha curato l’archivio Vittorio Molinari pubblicando" Vittorio Molinari, commerciante, tolmezzino, fotografo, Gli Ultimi, Cjargne culture, 2007", ha curato "Romano Marchetti, Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona, una vita in viaggio nel Novecento italiano, ed. ifsml, Kappa vu, ed, 2013" e pubblicato: “Rinaldo Cioni – Ciro Nigris: Caro amico ti scrivo… Il carteggio fra il direttore della miniera di Cludinico, personaggio di spicco della Divisione Osoppo Carnia, ed il Capo di Stato Maggiore della Divisione Garibaldi Carnia, 1944-1945, in Storia Contemporanea in Friuli, n.44, 2014". E' pure autrice di "O Gorizia tu sei maledetta … Noterelle su cosa comportò per la popolazione della Carnia, la prima guerra mondiale, detta “la grande guerra”", prima ed. online 2014, edizione cartacea riveduta, A. Moro ed., 2016. Inoltre ha scritto e pubblicato, assieme al fratello Marco, alcuni articoli sempre di argomento storico, ed altri da sola per il periodico Nort. Durante la sua esperienza lavorativa, si è interessata, come psicopedagogista, di problemi legati alla didattica nella scuola dell’infanzia e primaria, e ha svolto, pure, attività di promozione della lettura, e di divulgazione di argomenti di carattere storico presso l’isis F. Solari di Tolmezzo. Ha operato come educatrice presso il Villaggio del Fanciullo di Opicina (Ts) ed in ambito culturale come membro del gruppo “Gli Ultimi”. Ha studiato storia e metodologia della ricerca storica avendo come docenti: Paolo Cammarosano, Giovanni Miccoli, Teodoro Sala.Non solo Carnia
Ricordo che ancora nel 1995 avevo citato ampi stralci del commento di mons. Moretti a chiusura del libro “Novocerkassk e dintorni”, dopo aver elencato vari passaggi dove Carnier, nei confronti della occupazione cosacca e del movimento della Resistenza nella Val del Lago, faceva delle affermazioni non documentate. Una ulteriore riprova si ha nell’ultimo libro, quando parla delle uccisioni dei cosacchi di Avasinis senza citare che in precedenza c’era stato l’eccidio nazifascista del 2 maggio, causa prima della “vendetta” ai danni dei cosacchi…
Per caso, cercando altro, mi sono imbatutta in un testo firmato da Pier Arrigo Carnier e pubblicato sul Messaggero Veneto il 27 marzo 2008, intitolato: “Nel ’44 non fu Carlo Bellina ad attaccare malga Rattendorf”, in cui testualmente si legge: «All’inizio degli anni Settanta, vi fu nella valle del Gail un raduno ristretto di elementi d’élite ex appartenenti alla Wehrmacht (divisione Brandenburg) e unità di Waffen SS, Nord, Karstjäger eccetera, che operarono nell’ Adriatisches Küstenland e quindi in Carnia, a cui partecipai come referente, il che mi consentì di affrontare chiarimenti su varie azioni e circostanze e recepire preziose confidenze riservate». (http://ricerca.gelocal.it/messaggeroveneto/archivio/messaggeroveneto/2008/03/27/PN_19_LET100.html). Di chi era il referente Pier Arrigo Carnier, per partecipare ad un raduno di questo genere? – mi chiedo.
Inoltre il documento firmato da Carlo Bellina e Tranquillo De Caneva, a cui si riferisce Pier Arrigo Carnier, sempre sullo stesso articolo, quando scrive che esiste «un memoriale che fa parte del mio archivio, redatto nell’immediato dopoguerra dal Bellina assieme a Tranquillo De Caneva, quest’ultimo nella veste di comandante della Garibaldi-Carnia», (Ivi), credo proprio sia quello pubblicato da Gigi Bettoli nel suo: “Partigiani tedeschi tra Friuli ed Austria: il battaglione Garibaldi “Freies Deutschland””, in storiastoriepn.it, che ha come provenienza Anpi Udine e quindi non è nè misterioso, né in un cassetto, né non consultabile. Non da ultimo, detto materiale fu originalmente pubblicato in due articoli su “Patria Indipendente”, rivista dell’ANPI, la prima parte il 27 ottobre e la seconda 1° dicembre 1968. (Gigi Bettoli, op. cit.).
Infine Carnier dice che da detto testo si evince l’importanza strategica della valle del Gail per «saldare il movimento di resistenza della Carnia con il IX Corpus dell’Armata popolare jugoslava», ma questo è un tipico esempio di estrapolazione di frase da un contesto. Infatti dopo pagine in cui il De Caneva ed il Bellina spiegano il perché della loro azione in valle del Gail, essi scrivono anche che rinunciarono a continuare ad operare in quella zona per vari motivi anche se, ritenendo nell’estate 1944 che la vittoria sui nazifascisti fosse a due passi, sarebbe stato importante «Saldare i movimenti di resistenza armata austriaca esistenti a Nord Ovest con il nostro movimento ed il IX° Corpo dell’Armata Popolare Jugoslava a cavallo della Pontebbana e della Ferrovia Tarvisio – Vienna», (Carlo Bellina, Tranquillo De Caneva, Il Btg. “Freies Deutschland”, in: http://www.storiastoriepn.it/partigiani-tedeschi-tra-friuli-ed-austria-il-battaglione-garibaldi-freies-deutschland/, documento integrale p. 5). Dal contesto si evince chiaramente che essi avrebbero voluto fare una azione comune per liberare territori dai nazisti, il che era un obiettivo anche degli alleati (cfr. Patrick Martin Smith, Friuli ’44. Un ufficiale britannico fra i partigiani, Del Bianco ed., 1990), che collaboravano con l’esercito di liberazione jugoslavo in territorio sloveno,e che pure a metà dicembre 1944, sottolineavano l’importanza della lotta comune al nazifascismo in un incontro avente come oggetto dissidi tra osovani e garibaldini. LMP.
Da appassionato di storia nazionale quale sono, mi sento tirato per i capelli nella discussione sugli infausti fatti riportati in questi commenti, fatti che rappresentano un pezzo della storia italiana del 900. Ho letto diversi libri del Carnier, li ho apprezzati molto, sono libri coraggiosi e credo che lo stesso non avesse alcun interesse nell’affermare alcune cose, nessun interesse, ne economico, ne politico, ne ideologico. Capisco che lo scrittore e giornalista non sia a tutti piaciuto, e’ da poco scomparso, vuoi per le sue conoscenze, per le sue frequentazioni anche dopo la guerra, per le sue affermazioni. I fatti da lui riportati sono difficili da analizzare e la complessita’ storica e’ notevole. Mi esimio dal giudicare il Carnier sotto il profilo del metodo da lui usato nella ricerca storica, devo pero’ sottolineare che solamente lui ha potuto conoscere e frequentare, a suo rischio e pericolo, molti personaggi scomodi che nel Litorale hanno operato fra il 43 e il 45. Come non possiamo tenere conto di questa verita? Ancora: l’archivio storico in possesso del Carnier, ora in possesso degli eredi di famiglia, e’ ricco e abbondante, in materiale cartaceo, documenti, fotografie, interviste. Lei dice che la maggior parte della documentazione ha una provenienza germanica. Anche se cosi’ fosse nulla toglie al valore della documentazione. Anche nel recente passato, per altri fatti storici italiani, molti giornalisti per fare chiarezza hanno attinto a libri, prove e documentazioni, provenienti dall’Inghilterra, dalla Germania, dagli Stati Uniti. Ora, come le ripeto, non mi pongo nella posizione di giudizio nei confronti del Carnier e non voglio neppure criticare le vostre osservazioni rivolte a lui ma desidero solamente giungere ad una conclusione. E’ dovere di ogni giornalista professionista e di ogni scrittore, a maggior ragione di ogni storico, ricercare sempre la verita’, diffonderla e fare chiarezza sui fatti, senza alcun interesse di parte. Credo che su questi delicati fatti serva ancora fare ulteriore luce, una revisione ove possibile, crociare la ricerca fra i vari archivi di stato: Berlino, Mosca, Roma, Lubiana e Belgrado. Sarebbe auspicabile che l’archivio storico del Carnier non vada perso o disperso e si possa consultare. Insomma che resti in Italia, come paese legittimo proprietario. Se almeno in parte questa operazione metodologica di ricerca andra’ a buon fine forse potremo finalmente sapere quando e’ morto il Commissario Supremo del Litorale Rainer. Dove e’ seppellito il Generale Globocnik. Quante morti sono avvenute nella Risiera, quante persone sono state infoibate nel Carso e in Istria. Quali erano effettivamente le aspettative di Tito per una espansione territoriale in Italia dopo la guerra. Quanti nazisti sono transitati nel canale Carinzia-Ost Tyrol-Tyrol-Trento-Verona-Milano-Genova per approdare poi in gran parte in America. Quanti ufficiali nazisti sono stati eliminati dalla Jewish Brigade a cavallo fra il confine italo-austriaco nel Maggio-Giugno 1945 e dove questi sono stati seppelliti. Queste domande attendono ancora una risposta. Cordialmente Giuseppe Bellina