Ugo De Siervo a San Daniele sul referendum costituzionale. I grossi limiti di una riforma.
«Cos’è la Costituzione e di cosa stiamo parlando?
Se andrete ad ascoltare una qualche orazione sul dover votare sì, o sul dover votare no, al referendum sulla legge di modifica della Costituzione Italiana, potreste sentire parlare dei massimi sistemi, oppure dei massimi risparmi, o dell’amministrazione del paese. Invece le Costituzioni sono testi che determinano come funzionano le istituzioni, che peso hanno sulla gente, le coerenze e le incoerenze, tutto qui. Io credo che i cittadini italiani, con grande fatica, debbano cercare di capire bene cosa si sta modificando, non accontentarsi di slogan, perché qui è in gioco qualcosa di concreto ed importante, la regola della convivenza, la casa comune degli italiani.
Come mai alcuni giuristi, neanche più giovanotti, come io e tanti altri, ci siamo impegnati, ci siamo presi la responsabilità di far presente che questa grossa riforma costituzionale ha dei difetti seri e gravi?
Molti di noi sono vecchi professori universitari oppure giudici della Corte Costituzionale, provenienti da esperienze culturali, da vicende professionali molto diverse. Come dire, per esser chiari, di destra e di sinistra, laici e cattolici … Ma perché tanti giudici costituzionali improvvisamente hanno avuto il coraggio, insomma hanno sentito la responsabilità di pigliare una posizione ufficiale? Perché per noi la Costituzione non è una cosa vaga, generica, da affrontare solo con grandi discorsi ideologici e politici. Ed abbiamo capito che, con questa legge Boschi, non è vero che si semplifica, si razionalizza l’esistente, non è vero che si rimedia ai conflitti. Qui si pongono, esattamente al contrario, le premesse per una conflittualità permanente continua, per la complicazione dei rapporti. E poi ci sono degli aspetti fondamentali che non funzionano.
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Dico subito che alcuni aspetti buoni ci sono, in questa legge di riforma costituzionale, ma le modifiche della Costituzione non possono esser qualificate solamente da alcuni aspetti buoni.
Chi è che si oppone all’abolizione del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, che non ha mai fatto, fondamentalmente, nulla? Chi è che si oppone ad un tentativo di razionalizzare i decreti legge?
Ci sono delle parti che funzionano. Ma compreremmo noi una macchina che ha alcune parti buone,ma, al contempo, ha alcuni meccanismi che non funzionano, che possono produrre incidenti, che possono non far funzionare il motore? È evidente che il giudizio su una macchina come su una legge così importante come deve essere un giudizio complessivo, un giudizio in cui certi errori di un certo livello, non sono sopportabili.
Badate bene, non si tratta di un odio per le revisioni costituzionali. Le revisioni costituzionali, cioè la modifica parziale della Costituzione, è un modo per rendere a monte, se ben fatta, la Costituzione più vitale, più efficace, più moderna, se si rispettano i principi fondamentali della Costituzione, se la scelta è coerente.
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Nella realtà in Italia, a differenza di quanto si dice, si sono fatte modifiche costituzionali…
Nella realtà in Italia, a differenza di quanto un po’ si dice, si sono dal 1948 ad oggi, 36 modifiche della Costituzione e delle leggi Costituzionali, che però sono state, in genere, modifiche contenute, piccole, omogenee. Nel 2001 si è però modificata tutta la parte della Costituzione che riguarda il rapporto Stato-Regioni ed Enti locali, il cosiddetto Titolo V°, a cui molti, adesso, attribuiscono tante colpe che dovrebbero essere sanate dalla riforma attuale, il che ci fa capire che le modifiche costituzionali possono produrre anche danni. Il testo di modifica approvato nel 2001 si basava su dei principi di fondo condivisibili, come il tentativo di rivitalizzare, di rilanciare, il regionalismo italiano, ma poi, in concreto, aveva non pochi difetti, e noi, giudici, abbiamo avuto l’esperienza concreta delle liti tra Stato e Regioni alla Corte Costituzionale. Allora vennero modificati 19 articoli della Costituzione, poi, nel 2005, il governo Berlusconi propose di modificarne 56 su 139, ma per fortuna il corpo elettorale bocciò quella riforma.
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Adesso questa riforma tocca il come fare le leggi e il rapporto stato regioni …
Questa riforma costituzionale vuole modificare più di 45 articoli della Costituzione, ed è una riforma che tocca molti istituti, alcuni molto importanti. Per capirci: si vuole modificare il modo di organizzazione del Parlamento, cioè i rapporti fra Camera e Senato e quindi il cuore del potere, il come si fanno le leggi, che è una cosa molto importante. Dall’altra si vuole modificare, nuovamente, l’ordinamento delle Regioni, altro settore molto importante, ed in corrispondenza, si vanno a toccare altri organi che ne dipendono.
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Su quel nuovo Senato, che ad alcuni pare una scelta ottimale, ma ….
Ma fermiamoci sul nuovo Senato e su quanto viene meno sottolineato.
Innanzitutto il Senato non viene abolito ma viene sostituito da un nuovo Senato, che ha meno poteri del Senato attuale, ha una composizione molto più ristretta, ma è un organo che dispone di poteri notevoli, sul piano del controllo ed anche sul piano legislativo.
Il Senato non può esprimere più la fiducia al governo. Il governo, una volta nominato dal Presidente della Repubblica, entra in funzione se ha il consenso politico della Camera dei Deputati, non più del Senato.
Si dice che in tal modo vi è un’unica Camera rappresentativa, elettiva. Certo questo non è nulla di rivoluzionario: in altri ordinamenti addirittura c’è un solo ramo del Parlamento. Ma cosa incomincia qui a stridere? Che questo organo, che non ha il potere di nominare e revocare il Governo, ha il potere di fare molti controlli sul governo. Ma che senso ha controllare un organo che poi non puoi sanzionare, se fa cose non buone?
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Inoltre questo Senato mantiene potere legislativo solo in una quindicina di settori ma non di poco conto.
Per esempio l’assenso del Senato sarebbe indispensabile per i nuovi trattati europei. Cioè se l’Italia vuole, assieme agli altri paesi europei, ratificare trattati europei, il Governo tratta con gli altri governi europei, ed alla fine, se si trova un accordo, questo accordo deve essere approvato da tutti gli stati che compongono l’Unione Europea. Per approvare questo da parte dell’Italia ci vuole il consenso della Camera e del Senato. E se il Senato si mette di traverso? Se i senatori che sono magari rappresentativi di interessi territoriali, di interessi particolari, e che potrebbero avere un indirizzo politico diverso da quello della camera dei deputati, si rifiutano di approvare? L’Italia non aderisce più all’Unione Europea o rimane con i vecchi trattati? E qui sembra che il nostro legislatore non abbia ben pensato, perché il Governo non può porre la fiducia ed il Senato non si può neanche sciogliere, neppure se piglia posizioni estrose.
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Ma come è composto questo nuovo Senato?
I punti più discussi del nuovo Senato sono due: come è composto e come influisce sulla produzione delle leggi nazionali.
Come è composto? È composto in modo confuso. Si è fatta la scelta di mantenere il Senato e di trasformarlo in quella che noi chiamiamo “Camera delle Regioni”, nella Camera che dovrebbe rappresentare a Roma le esperienze di amministrazione locale. Una cosa ottima, in via di principio.
Un forte sistema autonomistico dovrebbe avere, come in molti stati, un Senato che, in un modo o nell’altro rappresenta le culture regionali, le esperienze regionali, onde evitare una lenta centralizzazione dei poteri.
Ma un Senato delle regioni dovrebbe poter “mettersi di traverso” ad un progetto del genere, e dovrebbe poter imporre alla Camera, ai governi, ai ministeri, alle burocrazie che stanno dietro al governo di lasciare alle regioni i propri campi di azione. Però questo presuppone una camera delle regioni autorevole, forte, e con adeguate competenze.
Ma il nuovo Senato dovrebbe essere composto da 100 senatori, di cui 5 non c’entrano nulla con i territori regionali, che sarebbero nominati dal presidente della Repubblica. Ma come fa un grande musicista od un grande scienziato che viene nominato per sette anni senatore della repubblica, ad avere la stessa visione delle cose del Sindaco di Forlinpopoli o del consigliere regionale umbro? Interessi e punti di vista potrebbero essere molto diversi… I restanti 95 senatori non si sa tuttora come saranno scelti. O meglio: si fissano due regole diverse, che non funzionano: vengono eletti dai consigli regionali pro quota. Il Friuli Venezia Giulia ne avrà solo due, quanti ne avrebbe la Valle d’Aosta che è assai meno popolosa. Ma al di là di questo, in un primo momento pareva dovessero venire scelti dai consiglieri regionali in carica, sia al loro interno che per quanto riguarda i sindaci. Ma poi nella riforma costituzionale è stato aggiunto che una legge futura dovrà garantire che questa scelta debba avvenire in conformità con i risultati elettorali. Ma come è possibile mettere insieme due cose così diverse?
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Inoltre i 95 senatori sono a tempo limitato e non retribuiti.
Che i nuovi senatori debbano essere a tempo limitato, significa che continueranno a fare i consiglieri regionali e i sindaci. Ora per fare seriamente i consiglieri regionali ed i sindaci, in genere, si occupa del tempo. Allora che dovranno fare? Dovranno lavorare nei fine settimana?
Perché, per esempio, quando ci sono le leggi di bilancio (le approvazioni dei bilanci dello stato n.d.r.) entro 15 giorni il Senato deve dare le sue proposte alternative alla Camera. Chiunque di voi abbia mai visto anche da lontano un bilancio dello stato, sa che è composto da alcuni volumi di centinaia di pagine.
Il Senato, in quei fine settimana, eserciterà davvero il potere di controllo e di indirizzo sul bilancio dello stato? È un po’ retorica la domanda, ma insomma … e questo solo per capirci.
In sintesi in questo nuovo Senato si dovrebbe lavorare un po’ episodicamente, e non retribuiti …
Anche qui: grande merito. Finalmente non paghiamo i senatori. Ma io ho paura di un organo collegiale in cui qualcuno è pagato 1000 euro al mese, qualcuno è pagato 10.000 euro al mese, perchè i sindaci dei piccoli comuni prendono molto meno dei presidenti di regione. Allora come è possibile che 100 persone possano fare lo stesso lavoro, però uno pagato in un modo diverso l’uno dall’ altro? È buffo, ma…
A livello legislativo, i senatori, poi vengono chiamati a dare un parere, non vincolante, su leggi statali, il che significa che, se anche un disegno di legge non piacesse al senato o questo proponesse delle modifiche, la Camera, preso atto di ciò, può fare ciò che vuole, può tenerne conto o meno, salvo per quelle 15 materie in cui ha potere deliberante. Ma soprattutto in queste quindici materie, non c’è alcuna materia in cui si decide cosa devono fare le regioni, e cosa deve fare lo stato, e cosa devono fare gli enti locali. Questo è il nodo vero.
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Autonomia regionale addio?
L’autonomia regionale e locale vive di sicurezze di ciò che deve e può fare. Se tutto questo, come vedremo dopo, è affidato al legislatore ordinario, alla legge ordinaria, cosa può avvenire? Può avvenire che il Parlamento, o meglio la Camera dei Deputati, restringa moltissimo il potere delle Regioni.
E il Senato che fa? Dà solo un parere. Chiunque abbia un po’ di esperienza di rapporti fra burocrazie nazionali e sistema delle autonomie, ha paura di una situazione in cui la Camera dei Deputati potrebbe risucchiare al centro moltissime decisioni. In più tutto questo sistema un po’ confuso ed un po’ complicato, tra Camera e Senato, dove la Camera fa certe cose ed il Senato ne fa delle altre entro termini perentori, è probabile che si originino un sacco di liti, un sacco di incomprensioni, un sacco di contrapposizioni.
Inoltre il rapporto fra la Camera e nuovo Senato potrebbe originare controversie e il Senato, od un avvocato di un interessato potrebbe chiedere il parere alla Corte Costituzionale. Così va a finire che si rischierà, diversamente da quello che si dice, di moltiplicare le liti, e di moltiplicare l’incertezza, sulla quale uno stato moderno e funzionale non può reggersi.
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Il rapporto stato e regioni ordinarie.
Uno dei temi più seri di questa riforma costituzionale è quello che riguarda proprio il rapporto fra lo stato e le regioni.
Le regioni sono state istituite legalmente nel 1948, e sono state una delle maggiori modifiche al nostro ordinamento precedente. Noi prima eravamo uno stato uniforme, accentrato, e invece, con il 1948, in mezzo a mille tensioni, si è deciso di istituire, sull’intero territorio nazionale, 20 regioni, la cui realizzazione è stata molto ostacolata. Prima si sono istituite solo alcune regioni a statuto speciale, poi, solo molto più tardi, a queste si è unito il Friuli Venezia Giulia, e poi, finalmente, nel 1970 si sono istituite le altre 15 regioni ordinarie. Queste regioni avevano competenza, grazie ad una norma della Costituzione, in alcuni settori, una ventina, tutti importanti, che andavano dall’agricoltura all’urbanistica ed all’assistenza sociale, mentre lo stato fissava i principi fondamentali. Le regioni a statuto speciale avevano ancora più potere, e soprattutto avevano più soldi, e più autonomia soprattutto nella gestione delle minoranze linguistiche.
Nel 2001 vi fu un tentativo di allargare molto l’autonomia regionale, e questo aspetto può esser visto come positivo, ma si son fatti anche degli errori clamorosi in questa lettura molto federalistica del nostro regionalismo. Le regioni non avevano regole e poi c’erano, nelle modifiche apportate alla Costituzione, delle norme errate, a cui la Corte Costituzionale ha cercato, in qualche caso, di porre rimedio. Il nostro Parlamento ora dice di togliere, con la nuova riforma costituzionale, tutti gli errori del 2001.
Ma questo non è vero. Il nostro Parlamento con questa riforma, non ha tolto gli errori, ha tolto la possibilità per le regioni ordinarie di fare le leggi, ha smassato tutte le competenze delle regioni ordinarie nel merito delle materie previste di loro competenza nel 1948, che poi erano diventate 25 nel 2001, e che ora sono rimaste due o tre minori. Tutte le grosse materie adesso spetterebbero allo stato centrale. D’ora in poi tutto il potere urbanistico spetterà allo stato, l’assistenza sociale spetterà allo stato, la tutela del paesaggio spetterà allo stato, tutta l’ecologia, la tutela ecologica, spetterà allo stato, sarannodi competenza esclusiva dello stato. Vi è una inversione radicale, si modifica alla radice quello che è il disegno regionalistico.
Può darsi che si pensi che il regionalismo sia sbagliato, sia superato nel tempo, ma io non credo sia superato per i tempi moderni, perché la Germania è uno stato federale molto efficiente e funziona, la Spagna è uno stato a forte regionalismo e funziona, l’Inghilterra è un paese dalla complicatissima amministrazione locale ma con fortissimi poteri locali. Quindi non e che la gestione dei poteri locali sia impossibile o non è moderna. Ma si tratta di disciplinarla per bene. Invece, purtroppo, la risposta dei nostri “ricostituenti” sembra essere quella di mandare il regionalismo a casa. Ma poi essi dicono, pure, che ridaranno parte del potere alle regioni ordinarie. Ma lo decide, di volta in volta, il Parlamento nazionale fatto dalla Camera dei Deputati.
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Cosa potrebbe accadere se accettiamo questa riforma della costituzione?
Per facilitare la comprensione di quanto vado dicendo, faccio un esempio. In materia di urbanistica lo stato dice: è mia competenza esclusiva fissare tutte le norme in materia di urbanistica. Questo vuol dire: Io sono libero di fissare quello che voglio, quello che reputo opportuno, per esempio un condono edilizio. Scusate se vi faccio un esempio brutale e banale, ma è perché me lo ricordo. La Corte Costituzionale Italiana, con grande fatica, nel 2003, ha fatto saltare, si dice, ma correttamente ha ritenuto incostituzionali, le norme che prevedevano un condono edilizio in tutta Italia, a prescindere dal fatto che le competenze in materia, allora, fossero delle regioni e degli enti locali. La Corte Costituzionale ha eccepito che lo stato non può improvvisamente, dopo aver dato l’autonomia urbanistica alle regioni ed agli enti locali, far finta di nulla e decidere un condono edilizio in cambio di qualche lira. Ma adesso potrebbe farlo. E questo non è un esempio banale, perché una scelta di questo tipo peserebbe sull’autonomia, sull’autogoverno delle popolazioni. E potrei fare esempi simili nel campo dell’assistenza sociale, oppure della sanità, di tutta la sanità. Il rischio è che, in nome della correzione degli errori del 2001, venga azzerata, di fatto, tutta la Costituzione del 1948, o la si possa azzerare. E questa è una conseguenza davvero pesante.
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Ma invece le Regioni a Statuto speciale …
Poi c’è una norma, forse un po’ provocatoria, che riguarda le regioni a statuto speciale, che sono 5: Sicilia, Sardegna, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Valle d’Aosta.
La “specialità” regionale è una cosa seria là dove risponde alle diversità culturali, territoriali, alle storie diverse. Ma però non possiamo dimenticare che alcune delle regioni speciali sono fra le più chiacchierate, sono alle cronache giudiziarie ma non il Friuli-Venezia Giulia. Altre di queste regioni hanno dei privilegi finanziari che le altre regioni si sognano.
In ogni caso lo Stato aveva pensato, creando le regioni ordinarie, anche al fatto che, con il tempo, con lo sviluppo economico, con la maggiore osmosi tra le popolazioni, le grandi diversità del 1946-47 andassero lentamente riducendosi.
Invece questa riforma riprende le disparità regionali attraverso una norma che dice che tutte le disposizioni in materia di regioni, non relative alla composizione del Senato, non si applicano alle regioni speciali ed alle province autonome di Trento e Bolzano. Si applicheranno quando si modificheranno i loro statuti, cosa che si farà con leggi istituzionali apposite “sulla base di intese con le medesime regioni e province autonome”.
Ma questo implica che al Parlamento non basta una legge di revisione costituzionale per modificare lo statuto siciliano, ma deve chiedere prima il permesso alla Sicilia, e così alla Sardegna e via dicendo. Voi capite che è molto improbabile che le regioni interessate accettino diminuzioni di poteri.
E nel caso specifico, un qualche problema di coerenza sullo sviluppo unitario del paese, c’è.
Ed io so che comuni del Veneto hanno chiesto di trasferirsi nel Trentino Alto Adige, o in Friuli Venezia Giulia, o comuni piemontesi improvvisamente hanno sentito l’esigenza di passare alla Valle d’Aosta. Ma perché? Perché ritengo abbiano visto che lì gli enti locali sono trattati meglio, la finanza è molto più ricca…
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Quale futuro per l’Italia?
Cosa implica, in prospettiva, un distacco sempre più marcato tra la Sicilia e la Calabria, o tra il Trentino Alto Adige ed il Veneto? Che ci saranno tensioni sociali, ci sarà polemica, ci sarà divisione tra la gente, e questo nessuno se lo augura, nessuno se lo deve augurare. In mezzo a tutti i problemi che il nostro paese ha, aggiungere una manciata di localismi contrapposti non è augurabile. Pensate che addirittura non si applicherebbe alle Regioni a statuto speciale neanche una nuova norma molto forte, prevista da questa riforma, che afferma che la legge dello stato può intervenire nelle materie proprie delle regioni quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica ed economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale. Si chiama clausola di supremazia, nel linguaggio tecnico.
Ma l’applicazione di questa clausola si fermerebbe allo stretto di Messina, perché non si applicherebbe alle regioni speciali, oppure di fermerebbe a Quincinetto, prima di entrare dal Piemonte in Val d’Aosta. Ma ha senso tutto ciò? Se c’è un interesse nazionale, se è davvero in gioco l’unità giuridica ed economica del paese, perché questa disparità?
E soprattutto sempre per le regioni speciali, ci vorranno certo modifiche sostanzialmente contrattate ai loro statuti speciali, ma da assumere entro un tempo ben definito, entro due o tre anni dalla riforma costituzionale e se non si consegue il consenso entro tre anni, provvederà il parlamento da solo.
Non si può, infatti, nel momento in cui si schiaccia così tanto l’autonomia regionale, mantenere queste cinque regioni sempre più lontane, perché non è più un sistema regionale, ma diventa cosa diversa.
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Forse di queste cose non ne avete mai sentito parlare, vi hanno solo detto: si risparmiano i soldi.
Forse di queste cose non ne avete mai sentito parlare nelle varie sparate che si sono fatte su questa riforma costituzionale, ma tutti dicono: “Si risparmiano i soldi”, “non si pagano i parlamentari e si riducono”… Beh, insomma, su questo lasciatemi solo dire che si sarebbero risparmiati assai più soldi abbassando del venti per cento la retribuzione dei vitalizi di deputati e senatori con una semplice legge ordinaria. Non raccontiamoci storie che si limita la spesa pubblica modificando la Costituzione ed il Senato della Repubblica. Quello che a me interessa farvi notare è che bisogna forse affrontare serenamente ma con decisione una valutazione di queste innovazioni, che possono risolvere qualche piccolo problema ma possono crearne molti di più. Tra l’altro, con questa riforma, alcuni diritti dei cittadini ed il buon funzionamento di alcuni organi di garanzia della nostra Repubblica rischiano di venire travolti. Tutti ci dicono e ripetono, a mo’ di pappagallo: si toccano solo norme organizzative, non si toccano i diritti delle persone. La prima parte della Costituzione è sacra ed inviolabile.
Quando la sanità dipenderà da un medico ufficiale dello stato, e non da organi rappresentativi delle popolazioni, il diritto alla salute sarà la stessa cosa? Quando l’urbanistica, per fare un altro caso concreto, venisse controllata ed orientata dal Ministero dei Lavori Pubblici e dei suoi uffici decentrati, e non dai consigli regionali e locali, con tutti i loro limiti, sarà la stessa cosa? Non vengono messi in gioco dei diritti?
Quando, nella nostra Costituzione, all’articolo 5, si trova scritto che la Repubblica è una ed indivisibile, e che riconosce e garantisce le autonomie territoriali, lo Stato può “segare a metà” l’autonomia delle Regioni ordinarie? Alcune situazioni soggettive, alcuni diritti vengono erosi, e questa è cosa di cui preoccuparsi.
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E poi vedete, quello che a me turba più di tutto, è che questa volta si chiede di modificare più di un terzo della nostra Costituzione, della nostra casa comune. E la modifica la maggioranza politica contingente…
E poi vedete, quello che a me turba più di tutto, è che questa volta si chiede di modificare più di un terzo della nostra Costituzione. È la nostra casa comune, i padri costituenti la definirono così, è ciò che unifica al di là delle diversità politiche, è il comune sentirsi. E la modifica la maggioranza politica contingente, che, poi, chiede un voto a favore. Questo è un modo pericoloso di instaurare i rapporti. Perché se ciascuna forza politica temporaneamente al potere fa cose del genere, il rischio è che, dopo un po’ di anni, non ci sia più Costituzione, ci siano solo i “dictat” di chi è temporaneamente al potere. In un momento in cui il paese ha molto bisogno di guida, di valori condivisi, di regole da tutti accettate, il rischio è che chiunque va al potere, pensa di essere temporaneamente egemone, si fa la sua“costituzione”. Questo modo di fare è di grande pericolosità, come pure il mettere i cittadini di una regione contro i cittadini dell’altra, e così si rischia di frantumare il nostro paese. La nostra Costituzione non ha nulla di eccezionale, ma è una buona costituzione, che storicamente ha aiutato il paese a svilupparsi. La nostra Costituzione è stata votata da oltre l’85% dell’Assemblea Costituente, in un contesto a dir poco pericoloso, di conflittualità politica interna ed internazionale altissima, ed è riuscita, malgrado tutto e non da sola, a tenere in piedi ed unito questo paese in anni complicati, duri, di grande sviluppo economico, di trasformazioni sociali incredibili. Poi è stata anche tradita, non è stata applicata, è stata messa da parte, tutto quello che volete, ma essa è stata un possente fattore di unità di questa comunità nazionale.
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Accettare una riforma non organica, un po’ abborracciata, che tocca due nuclei forti del modo di organizzazione del potere, e cioè come si fanno le leggi nazionali e come si divide il potere fra stato centrale e autonomie territoriali, non è cosa da prendere sottogamba.
Come si fa a dire ad un popolo sovrano che deve esprimersi su una proposta di revisione costituzionale, di accettare a scatola chiusa la cosa, perché così avverranno investimenti? Insomma, è una cosa inimmaginabile. Non è che si debba conseguire, su di una riforma costituzionale così importante, di nuovo l’85% dei voti a favore dei parlamentari, ma si sarebbe voluto, almeno, una procedura che avesse compreso allargamenti, coinvolgimenti, … altrimenti l’unico discorso è quello infelicissimo, che fanno alcuni centri della finanza internazionale oppure, molto infelicemente, l’ambasciatore di un paese amico, che vorrebbero imporre ad un popolo sovrano che deve esprimersi su di una riforma istituzionale, di accettare le modifiche a scatola chiusa perché così giungeranno investimenti.
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E vengono alterati anche alcuni organi di garanzia del nostro sistema democratico.
E vengono alterati, da questa riforma, anche alcuni organi di garanzia del nostro stato, ma nessuno ne parla. Incominciamo dall’organo meno importante: la Corte Costituzionale.
La Corte Costituzionale da questa riforma viene molto politicizzata, pericolosamente politicizzata. Essa giudica, pure, della legittimità costituzionale preventiva delle leggi elettorali, e questa è una buona in astratto.
Ma se … E faccio un esempio. In Parlamento si fa una vigorosa discussione sulla nuova legge elettorale. Non sono tutti d’accordo, tanto che una minoranza politica ricorre alla Corte Costituzionale in via preventiva, cioè prima che la legge venga promulgata. Immaginate il giudizio della Corte Costituzionale.
Io mi metto nei panni dei miei futuri colleghi, i quali si troverebbero a dover decidere se sia costituzionale o meno una legge appena votata da una maggioranza ma con una minoranza così contraria che è ricorsa alla Corte Costituzionale. Il suo giudizio sarebbe un giudizio inevitabilmente sottoposto ad un fuoco incrociato della polemica politica, della polemica giornalistica…
D’altro canto moltissime leggi, con questo tipo di modifica, sarebbero impugnabili, perché la Camera non ha rispettato i diritti del Senato, perché il Senato non ha rispettato i diritti della Camera, perché tutti e due non hanno rispettato certe norme generali scritte nella riforma… in sintesi la Corte sarebbe chiamata a giudicare di come ha operato il Parlamento. E non è facile…. A me è capitato di partecipare al collegio che ha deciso cose delicate, e vi garantisco che in certi contesti tu senti la pressione intorno.
In più al Senato, che ha pochi poteri, questa riforma costituzionale dà il compito di nominare due giudici della Corte stessa. Ma questi due giudici, con ogni probabilità, sarebbero espressione della sola maggioranza politica del Senato. Perché è facile che nel nuovo Senato si formino delle maggioranze di centrodestra, di centrosinistra, di centro, adesso non mi interessa di quale tendenza, superiore al 60%. Ed al Senato, fra i limiti imposti dalla legge elettorale, tra il ridotto numero di senatori, si rischia che vi siano solo due o tre partiti rappresentati. Allora è facile che la maggioranza possa eleggere due giudici costituzionali, il che non è una buona cosa. Non è una buona cosa sia per ragioni politiche, sia perché nessuno va a controllare la qualità degli eletti, dei neo giudici, sia perché questi entrerebbero alla corte con il bigliettino. partito “x” regionalista. E questo susciterebbe, negli altri, una reazione opposta e contraria: partito “y” stato centrale. Ma i membri della Corte Costituzionale, sinora, venivano sì da parti diverse ma poi, dopo qualche mese, lavoravano insieme, facevano squadra. Ma se si introduco nella Corte fattori di corporativizzazione, allora …
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Ed un altro rischio, di cui si parla poco, riguarda l’elezione del Presidente della Repubblica.
Abbiamo visto che, negli ultimi anni, il Presidente della Repubblica è diventato un organo che ha assunto dei poteri decisivi in certi momenti di difficoltà delle istituzioni repubblicane, ma per fare questo deve essere autorevole e stabile nella sua carica. Nel nuovo testo costituzionale si prevede che venga eletto da almeno i 2/3 dei deputati e senatori, in seduta comune. Qualora ciò non avvenisse dopo molte votazioni, il testo prevede di passare al 60% degli stessi. E fin qui … Perché il 60%? Perché si ha paura che con l’ “Italicum” il Governo superi il 50%, per cercare di avere un Presidente un po’ sopra le parti. E l’esigenza, di per sé, sarebbe buona. Salvo che, dopo tante votazioni, se io non trovo l’accordo, che succede? Non ho il Presidente della Repubblica. E allora chi è che ne farebbe le veci? Mentre ora il compito spetta al Presidente del Senato, secondo la nuova riforma il compito spetterebbe al Presidente della Camera dei Deputati, cioè di un organo più politicizzato, meno stabile, meno autorevole, con tutto il rispetto per i Presidenti della Camera… E questo cosa vorrebbe dire? Che il facente funzione di Presidente della Repubblica condiziona meno il Governo, cioè esattamente il contrario di ciò che ci si riprometteva. E infine, se non si riuscisse ad eleggere nemmeno con il 60% degli aventi diritto al voto il Presidente della Repubblica, che si farebbe? Si passerebbe al 60% del numero dei votanti. Il guaio qual è? Che non ci sia un Presidente della Repubblica o che ci sia un Presidente della Repubblica debolissimo. Altri sistemi cosa fanno? In casi del genere, dopo tante votazioni, si va al ballottaggio. Oppure, in Grecia, sciolgono le camere e rifanno le elezioni, ma questo non lo hanno scelto, chissà perché i nostri parlamentari…
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Io ricordo ancora che quando studiavo, ho letto gli atti della costituente, e vi ho trovato delle frasi molto belle, di un giovanissimo Aldo Moro, che aveva allora 30 anni, che diceva che le Costituzioni nascono nei momenti alti e duri, nei momenti alti e tragici, Cioè l’ordinamento di fondo di una convivenza sorge, non dico dalle sofferenze, ma passando attraverso una consapevolezza profonda da parte dei costituenti dei baratri che ci sono intorno.
Le classi politiche che hanno fatto la Costituente, erano diverse, diversissime fra loro, hanno avuto l’umiltà di discutere per due anni, di vedere, rivedere, far vedere i loro testi, eliminando qualche errore. I costituenti fecero persino rileggere la Costituzione da dei letterati perché la lingua fosse comprensibile. Questo testo di riforma non è invece comprensibile, molte delle disposizioni non sono comprensibili.
Nessun dramma, quindi, ma molta serietà nel decidere, prendendo coscienza che quest’ ultima riforma della Costituzione è molto criticabile, serenamente e duramente criticabile.
Cercate di informarvi bene perché siamo una popolazione libera e matura, che non ha bisogno di slogans.
Ugo De Siervo, docente di diritto pubblico in varie università italiane, a Salerno, a Sassari, a Firenze, prima giudice della Corte Costituzionale, poi vice – presidente, ed infine presidente della Corte Costituzionale.
(Testo ricavato dalla sbobinatura non corretto dall’autore. – Sbobinatura, trascrizione e divisione in paragrafi di Laura Matelda Puppini. La registrazione dell’ incontro è stata pubblicata in: http://www.festivalcostituzione.it/ )
L’immagine che accompagna l’articolo ritrae Ugo De Siervo mentre parla a San Daniele ed è pubblicata con il permesso di Paolo Mocchi di festivalcostituzione, solo per questo uso. Laura Matelda Puppini
https://www.nonsolocarnia.info/ugo-de-siervo-a-san-daniele-sul-referendum-costituzionale-i-grossi-limiti-di-una-riforma/https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2016/10/DSC4055_cr-1920x900.jpg?fit=1024%2C480&ssl=1https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2016/10/DSC4055_cr-1920x900.jpg?resize=150%2C150&ssl=1ECONOMIA, SERVIZI, SANITÀ«Cos’è la Costituzione e di cosa stiamo parlando? Se andrete ad ascoltare una qualche orazione sul dover votare sì, o sul dover votare no, al referendum sulla legge di modifica della Costituzione Italiana, potreste sentire parlare dei massimi sistemi, oppure dei massimi risparmi, o dell’amministrazione del paese. Invece le...Laura Matelda PuppiniLaura Matelda Puppinilauramatelda@libero.itAdministratorLaura Matelda Puppini, è nata ad Udine il 23 agosto 1951. Dopo aver frequentato il liceo scientifico statale a Tolmezzo, ove anche ora risiede, si è laureata, nel 1975, in filosofia presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Trieste con 110/110 e quindi ha acquisito, come privatista, la maturità magistrale. E’ coautrice di "AA.VV. La Carnia di Antonelli, Centro Editoriale Friulano, 1980", ed autrice di "Carnia: Analisi di alcuni aspetti demografici negli ultimi anni, in: La Carnia, quaderno di pianificazione urbanistica ed architettonica del territorio alpino, Del Bianco 1975", di "Cooperare per vivere, Vittorio Cella e le cooperative carniche, 1906- 1938, Gli Ultimi, 1988", ha curato l’archivio Vittorio Molinari pubblicando" Vittorio Molinari, commerciante, tolmezzino, fotografo, Gli Ultimi, Cjargne culture, 2007", ha curato "Romano Marchetti, Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona, una vita in viaggio nel Novecento italiano, ed. ifsml, Kappa vu, ed, 2013" e pubblicato: “Rinaldo Cioni – Ciro Nigris: Caro amico ti scrivo… Il carteggio fra il direttore della miniera di Cludinico, personaggio di spicco della Divisione Osoppo Carnia, ed il Capo di Stato Maggiore della Divisione Garibaldi Carnia, 1944-1945, in Storia Contemporanea in Friuli, n.44, 2014". E' pure autrice di "O Gorizia tu sei maledetta … Noterelle su cosa comportò per la popolazione della Carnia, la prima guerra mondiale, detta “la grande guerra”", prima ed. online 2014, edizione cartacea riveduta, A. Moro ed., 2016. Inoltre ha scritto e pubblicato, assieme al fratello Marco, alcuni articoli sempre di argomento storico, ed altri da sola per il periodico Nort. Durante la sua esperienza lavorativa, si è interessata, come psicopedagogista, di problemi legati alla didattica nella scuola dell’infanzia e primaria, e ha svolto, pure, attività di promozione della lettura, e di divulgazione di argomenti di carattere storico presso l’isis F. Solari di Tolmezzo. Ha operato come educatrice presso il Villaggio del Fanciullo di Opicina (Ts) ed in ambito culturale come membro del gruppo “Gli Ultimi”. Ha studiato storia e metodologia della ricerca storica avendo come docenti: Paolo Cammarosano, Giovanni Miccoli, Teodoro Sala.Non solo Carnia
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