Verso una ssn senza reparti ospedalieri, e con i nosocomi gestiti da infermieri, e su altre ‘quisquiglie’ locali.
Ormai sono così scettica sulla ‘nuova’ sanità Fvg e non solo, che pare nasconda, come politica vuole, i suoi limiti per mostrare virtù ignote all’ utenza, che mi pesa persino scrivere queste righe. Ma cercherò di farlo. Dividerò questo articolo in due parti: la prima relativa a problemi locali del nosocomio tolmezzino, la seconda sulla rivoluzione epocale, in Fvg, dell’organizzazione ospedaliera, che toglie i reparti o strutture o dipartimenti che dir si voglia, il che, secondo me, è pura follia, ed affida moltissimo agli infermieri, pare anche l’accettazione e le dimissioni, che però non possono firmare per legge, come le cure, facendo continuamente spostare gli ammalati, da un piano all’altro, senza che essi abbiano almeno per i pochi giorni di degenza, la stessa camera, lo stesso stipetto, lo stesso comodino, gli stessi compagni, e rischiando magari di star fermi per salire con un montacarichi/lettighe in una corrente d’aria. Ma ditemi un po’ voi … Speriamo almeno che nei corridoi mettano una segnaletica, visto che diventeranno elemento portante dell’ospedalizzazione!
PROBLEMI LOCALI TOLMEZZINI.
Venerdì scorso ho provato a fare alcuni esami presso il punto prelievi di Tolmezzo, perché ora, per noi utenti esterni, il laboratorio analisi si è ridotto di fatto a questo. Prelievo il 23 febbraio. Risposta il 27…. Ma ci sono il sabato e domenica di mezzo, mi sentirò rispondere, ma provi a vedere se la risposta è pronta lunedì sera, e via dicendo, mentre avevo già rinunciato alla possibilità di scaricare la risposta on -line per via che dovevo, essendo la prima volta che richiedevo tale modalità, se ho ben capito, compilare un questionario. Non ne posso più della burocrazia, dei questionari, e soprassiedo. Sono stanca e ho solo voglia di fare il prelievo e di tornare a casa. E mentre cammino verso il mio appartamento, sulla via del ritorno, penso a che senso abbiano prelievi il cui esito viene dato 4 giorni dopo!!! Una enormità, mi dico, sognando l’efficientissimo sistema privato di Casa di Cura Città di Udine, ove si riceve la risposta il pomeriggio dopo le 16, avendo fatto il prelievo al mattino. Del resto è chiaro che se una assessora ed una giunta regionale, senza un briciolo di studio sugli effetti di ricaduta che non siano sulla spesa, centralizzano tutto, magari tagliando il personale, va a finire che, dopo aver pagato 30 euro per due banali esami, ti ritrovi con una risposta 4 giorni dopo, essendo una esterna, ed ai confini dell’impero. E questo sperando che il trasporto sia fatto nei modi dovuti. E se facessi gli esami in ipotesi di infezione? Ah, mi si dice, il medico di base, sperando non sia la sua giornata libera, deve firmare l’urgenza. Ma chi è in infezione, come fa a fare anticamera dal medico di base, aspettando i suoi orari, per convincerlo a farsi prescrivere una analisi urgente? E nel punto prelievi fanno analisi urgenti da inviare ad Udine, magari una sola? E quanto costa all’ aas3? Inoltre se un dato dell’esame non è corretto, poi si deve far leggere la risposta al medico di base, che quindi decide ulteriori accertamenti o cure. Ma quanto tempo, intanto, è passato?
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Credetemi, così si può morire in sanità, soprattutto se anziani. E non perdo neppure il tempo per porre qui le mirabilie che ci avevano promesso Francesco Brollo, Debora Serracchiani, Maria Sandra Telesca e Cristiana Gallizia, spostando il laboratorio per tutta l’utenza che non occupa un posto letto ospedaliero, cioè per quasi tutti, ad Udine ed all’aas4, da cui dipende ora tutto il personale che era nostro! Non ci avevano detto, per esempio, che Udine funziona forse a metà, forse solo per gli interni, o che ne so nei fine settimana, non ci avevano detto che avremmo atteso 4 giorni, tolto quello del prelievo, una risposta, non ci avevano detto … E non ci hanno detto come vengono trasportati i campioni. L ‘impressione è che il laboratorio udinese abbia poco personale, o sia intasato, per l’arrivo, pure, da poco, dei campioni prelevati con ricetta ssn da strutture private, per esempio Casa di Cura città di Udine, come l’Assessora Telesca ha fortemente voluto sin dall’inizio, senza studiare i problemi che avrebbero potuto creare le sue scelte politiche, le ricadute, le criticità. Volli, fortissimamente volli, pare l’unico criterio di scelta, e il potere impositivo la modalità. E mi scusi l’assessore per queste parole.
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Un’altra cosa che mi ha stupito sia al punto prelievi tolmezzino, ove ora gli ambulatori si chiamano non si sa perché box, scatola in Inglese, dopo che l’ass3 aveva pedissequamente sostenuto l’uso del friulano, tanto da riempirci di cartelli bilingui, sia negli ambulatori sul ‘nido dell’aquila’ di ortopedia, è lo scarso numero di presenti. Un tempo la sala attesa analisi pullulava di gente, come l’ortopedia: ora sono luoghi quasi vuoti, a meno che ciò non sia accaduto solo quando c’ero io, come vuota è la nuova piazza XX settembre a Tolmezzo. Forse i medici di base non prescrivono più nulla? O la causa è un’altra?
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Mi sono sempre chiesta, poi, chi abbia avuto l’idea di porre gli ambulatori di ortopedia, oculistica e chirurgia vascolare, e la guardia medica, al secondo piano dell’ospedale vecchio tolmezzino, ma questa scelta precede la riforma, e quindi non è alla stessa imputabile. Ove si studia credo l’organizzazione degli spazi in modo più adeguato per l’utenza, si pongono a piano terra in particolare le ortopedie, o si pongono in un edificio dove vi è un ascensore che si possa dire tale, non una cosa a metà fra questo ed un montacarichi, che talvolta parte, se si ha la fortuna che parta, con un sobbalzo rumoroso tale da spaventare e che può far oscillare rischiando l’equilibrio. Va beh che ci sono le scale, ma magari chi ha problemi al sistema muscolo scheletrico, agli occhi o alle vene, forse non è in grado di fare i cento gradini prescritti dai foglietti fuori dagli ascensori dell’ala nuova del nosocomio carnico. E neppure chi ha un’ernia lombare. Inoltre pare che all’ospedale di Tolmezzo nessuno sia capace di notare le problematiche che sono sotto gli occhi di ogni paziente che lo pratichi, e che si vada sempre avanti aspettando che altri segnalino, se hanno il coraggio di farlo, e che la politica elargisca a scatola chiusa. E per quanto riguarda i sopracitati ambulatori, altro aspetto discutibile è il basso numero di sedie per l’attesa di persone con problemi magari a deambulare ed a stare in piedi molto tempo. Infine i gabinetti hanno un gradino che imbroglia uscendo, e si dovrebbe mettere un segnale adeguato, magari alla porta d’ingresso.
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E passiamo al pronto soccorso di Tolmezzo. Girano nel capoluogo carnico strane voci a cui non credo se non mi verranno confermate: il pronto soccorso di fatto non può fare nessun accertamento di notte, né inviare campioni analisi, né fare analisi, né raggi o altro. Sarà vero? E vorrei sapere, pure, se sia possibile lasciare il pronto soccorso dopo esser stati accettati, così senza firmare l’uscita, e se a qualcuno è accaduto di entrare con un braccialetto verde ed uscire con un codice bianco sul referto. Infine mi interesserebbe sapere, pure, se il pronto soccorso debba continuare con l’antico sistema in cui l’unico medico in servizio deve coprire anche i reparti ospedalieri di notte.
Inoltre sul funzionamento del riformato ospedale di Tolmezzo non si sa nulla di nulla, neppure che servizi eroghi e chi siano i medici che vi prestano servizio. Il portale dell’aas3 è deficitario, e dà informazioni su attività socio-culturali e sui dirigenti, poco utili per l’utenza, e sull’ amministrazione ed i procedimenti amministrativi in modo puntuale, ma dista anni luce dalla precisione di quello udinese o triestino per chi cerca un professionista e le prestazioni erogate sia in libera professione che no. E se erro mi scuso subito e correggetemi.
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LA NUOVA ORGANIZZAZIONE OSPEDALIERA VOLUTA DALLA RIFORMA. COME CREARE IL CAOS IN UN SISTEMA ORGANIZZATO EFFICIENTEMENTE.
Quindi vorrei soffermarmi su come si profila la nuova struttura interna degli ospedali, dove pare saremo affidati, dopo la fase acuta, ai soli infermieri, che chiameranno uno specialista ruotante, ed in base a chi chiameranno faranno loro la diagnosi. E con questo siamo alla frutta ed al caos primigenio!!! Ricorderemo certamente questa riforma epocale per fare soldini sulla nostra pelle, eccome la ricorderemo! E non ditemi che scrivo ora questo perché siamo vicini al 4 marzo. Ognuno è libero di votare chi gli pare, democraticamente, ma della salute e del sistema sanitario da cui dipende io mi sono interessata, mi interesso ed interesserò sempre, prima del 4 marzo, il 4 marzo, prima dell’8 marzo, festa della donna, l’8 marzo, dopo il 4 marzo, e dopo l’8 marzo, il 19 marzo, San Giuseppe, prima e poi.
E vediamo la rivoluzione epocale che dovrebbe iniziare da uno degli ospedali che funziona meglio e cioè Cattinara di Trieste. Così ce la racconta Walter Zalukar, dell’Associazione ‘Costituzione 32’, nel corso della trasmissione ‘Svegliatrieste’, andata in onda il 16 febbraio 2018. (https://www.youtube.com/watch?v=8_OM7HGZMtw&feature=youtu.be).
Il conduttore chiede al noto medico triestino, cosa accadrà con questa nuova rivoluzione rispetto alla degenza negli ospedali. Non si lavorerà più per reparti ma per intensità di cura. Che significa, cosa cambierà?
Zalukar: «È una spiegazione non semplicissima per i non addetti ai lavori. Perché si va a toccare, profondamente, tutta l’organizzazione degli ospedali che viene totalmente ribaltata rispetto a quella a cui siamo stati abituati. Attualmente ogni ospedale è diviso in strutture, che sarebbero i vecchi reparti ospedalieri. Quindi abbiamo una struttura di cardiologia, una di medicina d’urgenza, una di medicina interna, una di chirurgia, e così via. Cioè per ogni specializzazione, o disciplina che dir si voglia, quindi per la disciplina dell’urologia, per quella della chirurgia vascolare, per la neurochirurgia e così via, vi è un reparto in cui operano medici specializzati nella disciplina a cui afferisce il reparto, diretti da un primario che adesso si chiama direttore, anche lui specializzato nella disciplina.
Ovviamente per l’assistenza non medica ci sono gli infermieri, che non sono divisi in specializzazioni, se non in certi determinati campi, che però fanno un’esperienza notevole nel settore in cui lavorano, e quindi acquisiscono, con l’età e con gli anni di lavoro accumulati, una reale competenza nel genere di malati che si trovano nel reparto ove prestano la loro opera.
Infatti una cosa è assistere un malato chirurgico, una cosa è assistere un malato cardiologico, una cosa è assistere un malato neurologico.
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Finora c’era questo tipo di organizzazione, che permetteva, pure, il lavoro di equipe. Vi erano il primario, i medici, gli infermieri, ma anche gli operatori socio-sanitari, i cosiddetti oss, che, lavorando a stretto contatto, formavano una squadra.
E in sanità non è più il tempo del vecchio luminare, del medico singolo e così via: è l’equipe che vince, è l’equipe che cura e che fa risolvere i problemi. Il medico senza l’infermiere, o un infermiere che agisce senza un medico, sono minus nel sistema.
Detto questo, come la Regione intende, o meglio come ristrutturerà, perché la legge 17 parla chiaro, l’ospedale di Cattinara in funzione di questo nuovo assetto?
Non avremo più i reparti. Non esisterà più la cardiologia, non esisterà più la medicina d’urgenza, non esisterà più la neurologia, e via dicendo. E per vedere cosa accadrà farò l’esempio mostrando come si ristrutturerà una delle torri ospedaliere di Cattinara (che sono due, una per le specialistiche mediche ed una per le chirurgiche ndr). Invece di avere ogni piano un reparto, la divisione avverrà, per intensità di cure. Per esempio giunge una persona con una grave difficoltà respiratoria, magari per una forte broncopolmonite mal curata, e quindi in reale difficoltà. Il paziente viene condotto nella terapia semi – intensiva, che ora è rappresentata da dei letti nel reparto di pneumologia, o anche nel reparto di medicina d’urgenza. Attualmente, una volta superata la fase acuta, pazienti di questo tipo, quei pochi fortunati a cui bastavano magari solo due o tre giorni di degenza, o venivano dimessi o venivano mandati, se necessario, in un reparto di medicina non semi – intensivo. Ma andavano sempre da una equipe all’altra.
Adesso invece, i pazienti, quando richiedono meno intensità di cure ma sono sempre acuti, andranno al piano superiore, dove ci sarà un’altra equipe infermieristica, attenzione non più medica, perché con la riforma saranno le equipe solamente infermieristiche che terranno il piano, e quando il paziente starà ancora un po’ meglio, andrà al piano di sopra, e così via, sempre affidato ad infermieri. A questo punto uno mi potrebbe chiedere: «E i medici dove sono?»
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Se si tratta di un problema pneumologico, quando il malato arriva nel reparto si chiamerà il pneumologo, perché le strutture dal punto di vista della denominazione rimangono, ma rimangono solo come associate a delle persone, non ad un reparto. Per cui lo pneumologo andrà a vedere questo signore, come l’urologo magari il paziente accanto, e via dicendo, risolverà i problemi, lo rivedrà il giorno dopo. E quando il paziente starà meglio, andrà al piano di sopra, e l’infermiere chiamerà il pneumologo, ma non è detto che verrà sempre quello che ha già visto il paziente, potrebbe essere anche un altro pneumologo, MA DIPENDERÀ SEMPRE DALL’ INFERMIERE CHIAMARE O NON CHIAMARE IL MEDICO. Se il malato, poi, avrà un altro problema, per esempio potrebbe trattarsi di un malato cardiopatico, che oltre una forte broncopolmonite mal curata ha avuto anche uno scompenso cardiaco, causato dall’insufficienza respiratoria della broncopolmonite, arriverà il cardiologo, che farà la sua valutazione, darà le sue terapie. Ma quello che è da dire, è che questi due medici non si parleranno, pur avendo visto lo stesso paziente, E CHI FARÀ IL COLLETTORE DELLE VARIE CONSULENZE MEDICHE SARÀ L’INFERMIERE, E NON CI SARÀ PIÙ UN MEDICO CHE SEGUIRÀ QUEL PAZIENTE DALL’ INIZIO ALLA FINE DELLA DEGENZA OSPEDALIERA.
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Ed a questo punto voglio aggiungere una cosa importante: «Esperimenti di questo genere sono stati fatti in due regioni italiane, e qualcuno forse è ancora in corso: in Emilia Romagna ed in Toscana, e, da quel che sappiamo, perché non c’è tantissima documentazione, perché sono forme organizzative partite non da tanto tempo, pare che la sperimentazione non dia gli esiti sperati, anzi che stiano venendo fuori situazioni in cui il malato è abbandonato, praticamente, dal punto di vista medico, perché nessuno lo segue.
E io lo so perché ci sono state molte proteste anche a livello sindacale, di medici che si trovano spiazzati e dicono: «io sono responsabile di quel malato ma la vera responsabilità della degenza è dell’infermiere». E attenzione che NON È SOLO UN PROBLEMA MEDICO – LEGALE, È UNA QUESTIONE ANCHE ETICA. Cioè io che ho sempre lavorato perseguendo un determinato fine di salute per quei malati che mi sono stati affidati, MI TROVO IMPROVVISAMENTE A DOVER LAVORARE IN UNA ORGANIZZAZIONE CHE, PRATICAMENTE, MI INTRALCIA NEL FARE QUELLO CHE FACEVO DA SEMPRE. QUESTO È IL PROBLEMA GROSSO.
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Quindi una signora interviene nel corso del programma, dicendo che quattro anni fa era stata ricoverata in prima chirurgica, e si era trovata benissimo, anche perché le avevano programmato tutta una serie di esami e controlli. Ma ora, invece, per altra patologia, non è stato così, non vi sono state indicazioni per controlli periodici ed esami, ed ella deve arrangiarsi come può, utilizzando il privato.
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Ma continuando a parlare dell’assistenza ospedaliera per intensità di cure (si chiama infatti così, ove l’assistenza pare proprio venga prima della diagnosi, gravità e cura, (cfr. http://salute.regione.emilia-romagna.it/assistenza-ospedaliera/intensita-di-cura), detto modello organizzativo sicuramente è stato oggetto di convegni di vertici e politici, ma credo che i limiti si siano visti solo applicandolo, senza analizzarli prima. Si va per mode e risparmi, penso sconsolata. E mi domando pure se siano organizzati solo su equipe infermieristiche gli ospedali austriaci, tedeschi, o francesi.
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Le motivazioni portate dall’Ipasvi, associazione sindacale di infermieri, di Gorizia, poi, per sostenere l’inevitabilità del passaggio al modello per intensità di cure sono come minimo discutibili. (http://www.ipasvigorizia.it/allegati/attiECM/allegati/all109.pdf).
- Si parte dal fatto che la popolazione anziana, in aumento, ha patologie croniche e non acute, e già questa non si sa da dove venga fuori se non dai sostenitori della riforma, perché gli anziani muoiono spesso per problemi acuti non certo cronici, o per mancate cure, o per errori diagnostici. Altrimenti tutti gli anziani dovrebbero spegnersi lentamente, ammesso che arrivino ad una certa età, ma ciò non è vero. Si muore ancora di polmonite e di infezioni di vario tipo, di infarto e via dicendo.
- Si precisa che ormai è in corso un inarrestabile processo di deospedalizzazione, ritengo a causa del fatto che gli ospedali costano e il governo deve far cassa, ma l’Ipavsi non ne specifica il motivo, quasi fosse dato per scontato che sia così.
- L’ organizzazione per intensità di cura è di sicura attrazione per il policy marker, e segue un modello adatto all’ industria, il che, secondo me, non secondo l’autrice delle slides, non fa ben sperare.
- Si sottolinea che si devono superare le specialità mediche, che pare siano diventate un obbrobrio quando sono presenti in tutti i paesi civilizzati, come ciò fosse un nonnulla, cadendo così in una cinesizzazione del lavoro dove gli infermieri di fatto pare facciano i medici, orientando la diagnosi in base a quale specialista chiameranno, con caduta verticale e paurosa della scienza medica e della professionalità.
- Contrazione delle risorse per il welfare, il che è il primo ed unico motivo, secondo me, per riforme così prive di senso, che si sostengono con un mare di parole inutili, senza dimostrazione alcuna della loro verifica nel settore.
- Non vi sarà più gerarchia, aspetto che viene letto positivamente, ma che, invece, significherà il caos e la confusione di competenze. Inoltre un infermiere non può accettare un paziente né dimetterlo, senza esercitare la professione medica, ma allo Stato non interessa, basta spendere di meno, e non può dare indicazione terapeutica alcuna. Essere dimessi significherà, quindi, ora, solo liberare un posto letto che costa? Forse per Maria Sandra Telesca e Adriano Marcolongo, sì.
Questa rivoluzione epocale si chiama, e lo ripeto ancora una volta, secondo me e non solo, dato che il termine non è mio, “cinesizzazione della sanità”, il che potrebbe seriamente implicare possibilità maggiore di morte. Si chiama illudere gli infermieri di essere medici in quanto responsabili delle diagnosi se uno si sente male, delle cure, del collegamento fra specialisti, si chiama spostare continuamente un malato anche grave, con le sue cose, e via dicendo. Per fortuna che agli infermieri, come specificato dall’ Ipavsi, si affiancheranno ancora gli addetti alle pulizie. Il resto sono solo parole, parole, parole, e mi scusi l’autrice, Annalisa Pennini, che non conosco. Non voglio offenderla, ma solo entrare nel merito dei suoi scritti. E se erro correggetemi.
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Nel frattempo, dato che tutto dovrebbe ruotare intorno alla sanità – assistenziale, come non tenere in seria considerazione l’opinione di chi scrive ( e non sono io) che «è venuta meno quella figura fondamentale che era prima il medico condotto (ora di base)»? E che sottolinea pure come, secondo lei, «C’ è troppa burocrazia, meno assunzione di responsabilità e meno cultura sanitaria e presidio. (…). Ora ci sono problemi legati a varie criticità, non ultima quella della sinergia fra enti interessati?». E si vuole continuare a capovolgere tutto per far cassa?
Non lo so, ma è importante prendere coscienza di questi problemi. Senza voler offendere alcuno, scusandomi subito con chi si fosse risentito, ma per porre sul tappeto questioni pratiche e teoriche. Mi scusi pure l’aas3 per aver osato scrivere alcune criticità, ma l’ho fatto per chiedere informazioni e vedere se si possa migliorare il servizio, non certo per offendere l’azienda, dato che dell’ospedale non si sa nulla e tutti tacciono.
Laura Matelda Puppini
Vi invito pure a leggere i seguenti articoli miei già pubblicati us www.nonsolocarnia.info che si riferiscono alle problematiche qui esposte:
Sanità: sui risparmi e sulle competenze. Verso la “cinesizzazione” del lavoro nel ssn?
Sanità, salute, ambiente, società. A caccia di qualche dato e facendo qualche considerazione.
Sanità pubblica. Tra Stato e Regioni “fai da te”, dove si andrà a finire?
L’immagine che correda l’articolo è tratta, da: http://www.adriaticonews.it/tagli-sanita-ghiselli-cgil-marche-sono-insostenibili-siamo-gia-al-limite-della-sostenibilita/ ed è stata da me utilizzata per presentare l ‘articolo: Sanità, salute, ambiente, società. A caccia di qualche dato e facendo qualche considerazione, pubblicato semrpe su: www.nonsolocarnia.info.
Laura Matelda Puppini
https://www.nonsolocarnia.info/verso-una-ssn-senza-reparti-ospedalieri-e-con-i-nosocomi-gestiti-da-infermieri-e-su-altre-quisquiglie-locali/https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2018/02/sto-morendo-Immagine1.png?fit=410%2C410&ssl=1https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2018/02/sto-morendo-Immagine1.png?resize=150%2C150&ssl=1ECONOMIA, SERVIZI, SANITÀOrmai sono così scettica sulla ‘nuova’ sanità Fvg e non solo, che pare nasconda, come politica vuole, i suoi limiti per mostrare virtù ignote all’ utenza, che mi pesa persino scrivere queste righe. Ma cercherò di farlo. Dividerò questo articolo in due parti: la prima relativa a problemi locali...Laura Matelda PuppiniLaura Matelda Puppinilauramatelda@libero.itAdministratorLaura Matelda Puppini, è nata ad Udine il 23 agosto 1951. Dopo aver frequentato il liceo scientifico statale a Tolmezzo, ove anche ora risiede, si è laureata, nel 1975, in filosofia presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Trieste con 110/110 e quindi ha acquisito, come privatista, la maturità magistrale. E’ coautrice di "AA.VV. La Carnia di Antonelli, Centro Editoriale Friulano, 1980", ed autrice di "Carnia: Analisi di alcuni aspetti demografici negli ultimi anni, in: La Carnia, quaderno di pianificazione urbanistica ed architettonica del territorio alpino, Del Bianco 1975", di "Cooperare per vivere, Vittorio Cella e le cooperative carniche, 1906- 1938, Gli Ultimi, 1988", ha curato l’archivio Vittorio Molinari pubblicando" Vittorio Molinari, commerciante, tolmezzino, fotografo, Gli Ultimi, Cjargne culture, 2007", ha curato "Romano Marchetti, Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona, una vita in viaggio nel Novecento italiano, ed. ifsml, Kappa vu, ed, 2013" e pubblicato: “Rinaldo Cioni – Ciro Nigris: Caro amico ti scrivo… Il carteggio fra il direttore della miniera di Cludinico, personaggio di spicco della Divisione Osoppo Carnia, ed il Capo di Stato Maggiore della Divisione Garibaldi Carnia, 1944-1945, in Storia Contemporanea in Friuli, n.44, 2014". E' pure autrice di "O Gorizia tu sei maledetta … Noterelle su cosa comportò per la popolazione della Carnia, la prima guerra mondiale, detta “la grande guerra”", prima ed. online 2014, edizione cartacea riveduta, A. Moro ed., 2016. Inoltre ha scritto e pubblicato, assieme al fratello Marco, alcuni articoli sempre di argomento storico, ed altri da sola per il periodico Nort. Durante la sua esperienza lavorativa, si è interessata, come psicopedagogista, di problemi legati alla didattica nella scuola dell’infanzia e primaria, e ha svolto, pure, attività di promozione della lettura, e di divulgazione di argomenti di carattere storico presso l’isis F. Solari di Tolmezzo. Ha operato come educatrice presso il Villaggio del Fanciullo di Opicina (Ts) ed in ambito culturale come membro del gruppo “Gli Ultimi”. Ha studiato storia e metodologia della ricerca storica avendo come docenti: Paolo Cammarosano, Giovanni Miccoli, Teodoro Sala.Non solo Carnia
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