25 aprile 2023. L’antifascismo come valore fondante della Nazione anche in Romano Marchetti a cui è stata intitolata la sede Anpi di Tolmezzo.
Oggi, come previsto, a Tolmezzo si è ricordata la Liberazione dal nazismo e dal fascismo ed anche la morte del partigiano Renato Del Din (1), ufficiale degli alpini, caduto nella cittadina carnica per mano fascista. Era presente pure la sorella del ventiduenne morto per la nostra libertà, Paola Del Din, anche lei partigiana con nome di copertura ‘Renata’, ed al suo fianco, come sempre, la figlia Anna, discreta ed indispensabile figura femminile negli spostamenti e negli interventi pubblici della madre, oltre che autista. Ed anche a lei va il nostro grazie.
Contestualmente, è stata intitolata la sezione Anpi di Tolmezzo a Romano Marchetti, su cui ho tenuto un breve ricordo. Ma prima di incominciare, per collegarmi a quanto detto da Paola Del Din, ho rammentato non solo l’accorrere di popolo a quel funerale di un ‘bandito’ per i nazisti occupanti ed i fascisti collaborazionisti, ed ancora senza un nome, ma anche la nobile figura di Santo Arbitrio, calabrese e comandante della stazione dei carabinieri di Tolmezzo, che si era rifiutato di eseguire l’ordine datogli dai tedeschi di sparare sulla folla, facendo una strage. Chiamato a rapporto da questi e anche dalla Gestapo, fu trasferito di colpo in Veneto. Infine divenne generale dei Carabinieri. (2). Ma ora riporto qui quello che ho detto in sala consiliare per l’intitolazione della locale sezione Anpi, di cui anch’ io faccio parte, a Romano Marchetti.
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Bongiorno a tutti. Ringrazio l’Anpi per averni invitato a parlare; il Signor Sindaco di Tolmezzo ed il Presidente della Comunità di Montagna della Carnia per la loro presenza. Sono qui per dire due parole su Romano Marchetti a cui sono stata legata da profonda amicizia, ed a cui viene intitolata ora, più che giustamente, la sezione Anpi di Tolmezzo. Abbiamo girato la Carnia io e mio marito con Romano, e siamo andati in Friuli, a Monfalcone e fino in Austria a parlare di antifascismo, libertà, giustizia, diritti.
E la mia mente ritorna a lui: un signore nel vero senso della parola, un signore di altri tempi diremmo oggi, un uomo colto, elegante, riflessivo, ironico, arguto, buon osservatore ed amante delle arti, una persona che ha espresso un profondo amore per la sua Patria, per la sua Carnia e per la montagna tutta, e che ha sempre lottato per la giustizia e la fraternità, contro ogni regime ed ogni fascismo, riconoscendo un ruolo fondamentale all’educazione delle nuove generazioni ed alla scuola. Ed è stato un sostenitore della Costituzione nata dalla Resistenza, quella del 1948, che alzò ad Ampezzo, dicendo fieramente: “Io giurerò sempre su questa!” quando Berlusconi la voleva cambiare. Non taceva Marchetti il suo pensiero, e questo lo portò persino, nel primo dopoguerra, ad esser pedinato, poi sospettato di intelligenza con Tito, che non aveva mai visto, ed infine esiliato a Savona, a selezionare pure ciliegie per quadrare il bilancio e mantenere moglie e figli.
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Romano Marchetti, dopo la fine della seconda guerra mondiale, visse il suo ruolo e quello dei suoi fratelli e delle sue sorelle nella lotta partigiana come quello che le vestali rivestivano nell’antica Roma: le prime dovevano mantenere sempre acceso il sacro fuoco, i secondi mantenere alta la fiamma dell’antifascismo. E l’esempio è suo. Infatti il fascismo non è morto, e lo sapeva anche Romano che continuava a parlare di ‘Resistenza tradita’. Il fascismo sopravvive non solo nei suoi segni e nei suoi simboli, nel mausoleo di Affile e nei pellegrinaggi alla tomba del Duce, ma in particolare nella corruzione, nei pochi ricchi e tanti poveri, nel chiudere sempre più le porte alla democrazia, nella menzogna, nella sopraffazione, nell’umiliazione, nelle oligarchie, nella stampa sempre più inquinata dalla politica e sempre meno libera ed obiettiva, e si ripresenta nelle forme di lavoro schiavizzante, nei diritti dei cittadini che perdono terreno un giorno dopo l’altro, in una società che si va delineando sempre più come formata da pochi potenti che usano fondi pubblici e tanti clientes.
Basta leggere libri come quello di Piero Calamandrei “Il fascismo come regime della menzogna”, Laterza ed, 2014, per capire cosa fu il fascismo nella sua interezza. (3). Ma anche Romano non ha esitato a narrare episodi dove la speculazione e la sicumera fascista la facevano da padroni.
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Romano Marchetti, iscritto all’Anpi ed amico di Ercole Miani (4), mazziniano come lui, e di Galliano Fogar (5), fin dalla nascita dell’Istituto Regionale per la Storia del movimento di Liberazione, sorto ben prima di quello friulano, collaborò con lo stesso. Inoltre organizzò in Carnia incontri partigiani volti principalmente ad analizzare come migliorare la situazione catastrofica della montagna che sempre ebbe a cuore, ritenendolo un compito specifico per chi aveva lottato per la libertà della Patria. Ed egli accettò anche il confronto e la collaborazione con i garibaldini nel corso della lotta, e fu esonerato da qualsiasi incarico all’interno della Osoppo /Carnia di cui potremmo dire che fu il fondatore, nel febbraio 1945, a due passi dalla Liberazione, da don Ascanio De Luca che, occupando pare un ruolo non suo, lo invitò ad andare a casa a vedere della famiglia. E da allora egli stesso si definì un “cane sciolto”. Infatti agli occhi del prete egli aveva osato sostenere il secondo comando unico Garibaldi/Osoppo, mentre alcuni vertici osovani ed i cattolici in particolare volevano giungere all’insurrezione finale da soli, anche contro quelle che poi furono le direttive del Clnai.
Ma Romano era un ufficiale del Regio Esercito Italiano ed aveva comandato sul Golico in Grecia, e riteneva che la cosa migliore, in una guerra, fosse l’unione delle forze e la loro coordinazione unitaria. Inoltre, successivamente, ebbe modo di apprezzare, termine da lui stesso usato, l’efficientismo dell’organizzazione del Partito Comunista Italiano, e così scrive: «Dai comunisti ebbi […] segni di simpatia amichevole senza richieste di contropartite, benché conoscessero le mie idee che erano ben diverse dalle loro».
Pensa Laura, mi raccontava un giorno ridendo, era tale la mia amicizia con la Garibaldi, che mi ricordo di aver dormito assieme a Mario Lizzero e Fidalma Garroso, sua sposa, ammassati tutti e tre su di un unico giaciglio disponibile! Marchetti era solito, con le persone che gli erano familiari, unire il racconto di fatti generali con aspetti personali, anche narrandoli con ironia. E mi ricordo di aver riso più di una volta curando le sue memorie: quando egli descrive il suo arrivo a Savona, dove nessuno lo voleva, o quando narra fatti e personaggi trevisani, ma non solo. E quando mi parlò di Miriam, la principessa georgiana, mi disse d’ improvviso: «Sai era davvero tanto bella, ed anch’ io l’avrei desiderata», parole ovviamente da non scrivere. Era fatto così Romano Marchetti.
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Ed una cosa che non possiamo dimenticare è che Romano Marchetti era uno dei nostri, uno che aveva vissuto, bambino e ragazzetto, periodi bellissimi a Maiaso, un borgo carnico come tanti altri, con la sua chiesa, i campi, l’osteria, il prete, le donne, l’orologiaio, i socialisti ed i sorestanz, gli emigranti ed il campo di bocce. Nipote di Adamo Diana e Celestina Vaccaroni (6), cattolicissimi, apprese il loro rigore morale e l’amore per la giustizia. E in chiusura delle sue memorie, quasi profeticamente, così afferma: «Ed ancora: l’autorità e la legge; due parole che mi frullano per la testa in chiusura di questo scritto. Sempre più si fa presente, ed allo stesso tempo incomprensibile per la maggioranza, il come risolvere i problemi della vita. (…). Ed allora sono i più abili a vincere, non i più umani. [… ]. La legge diventa, allora, un’arma da usare […] contro chi ne dovrebbe fruire a questo mondo». In queste frasi si può ritrovare un’influenza biblica – ripresa di recente anche da Francesco I nel messaggio La cultura della cura come percorso di pace – secondo la quale, nella tradizione profetica, la giustizia si manifesta nel modo in cui una comunità tratta i più deboli al proprio interno. Ma in Marchetti adulto restarono solo pochi retaggi del cattolicesimo avito, perché poi egli sposò una propria religione civile, intrisa di mazzinianesimo, democrazia, europeismo e Rudolph Steiner.
Ma anche dalle testimonianze che ho raccolto emerge che molti partigiani, uomini e donne, divennero tali perché videro l’ingiustizia e la corruzione che regnavano sotto il fascismo, e vollero lottare contro un regime che faceva delle iniquità uno dei suoi assi portanti, e dell’umiliazione, della prevaricazione, dell’impoverimento, della tortura ed uccisione degli oppositori politici uno strumento di potere. Ed anche la marcia su Roma, che molti descrivono come una passeggiata, se si legge l’illuminante testo di Salvatore Lupo: “Il fascismo”, Feltrinelli ed. prima ed. 2000, terza 2013, (volume che consiglio vivamente) fu intrisa di morti e violenze, come tutta l’epoca del regime e della sua presa del potere.
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Ho più volte richiamato il percorso di crescita morale che portò Romano a diventare antifascista. Ma su alcuni aspetti mi vorrei qui soffermare: l’incontro con due operai sulla piazza di Maiaso che osteggiavano il fascismo; l’esperienza in Africa, dove aveva visto dominare, da parte italiana, individualismi, soprusi, razzismo, e dove non esisteva etica e morale alcuna; il comando sul Golico dove, improvvisamente, nell’atto di far sparare i suoi verso i Greci, si chiese se non fosse egli un assassino di patrioti; l’incontro con la figura di Andrej Manfreda; il rifiuto del suo compagno di banco al liceo di prendere la tessera obbligatoria del fascio “Perché mio padre non vuole”.
Poi la sua adesione al movimento antifascista non comunista formato da alcuni ufficiali aderenti al Partito d’ Azione e quindi il passaggio alla Osoppo fin dalla sua creazione, per diventare poi un organizzatore della resistenza armata in Carnia. E non lottò contro il nazifascismo con una rosa in mano Romano Marchetti, come non lo fecero coloro che, come lui, presero la via dei monti. Inoltre egli rappresentò pure la Osoppo, formazione in armi, nella Repubblica libera di Carnia e dello spilimberghese.
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E mi pare importante sottolineare queste frasi prese da un discorso di Paola Del Din, amica di Romano Marchetti: «Noi non abbiamo combattuto per vincere la guerra, per fare gli eroi, ma per affermare un principio. Eravamo il simbolo di un popolo che rompeva con il passato […], che si ribellava al sopruso, alla violenza di chi, con la forza, intendeva imporre le proprie idee, la propria volontà. In queste piane parole è rinchiusa l’essenza dell’unità della Resistenza: non nelle ideologie e nei partiti, che non conoscevamo, ma nella coscienza della dignità personale di ciascuno di noi stavano l’aspirazione e la speranza della rinascita dell’Italia. (…). La catastrofe che si era abbattuta sulla nostra Patria non era nei nostri animi, ma nel sistema politico nel quale la pusillanimità degli anni venti ci aveva fatto precipitare. (…).
Allora a noi sta doverosamente la ricordanza, affinché nessuno possa dire – come già succede ora in tanti casi – “noi non sapevamo”. E poiché […] la memoria è la presenza del passato, dobbiamo con coerenza togliere le sovrastrutture che la moda di questi decenni ha sovrapposto al nostro passato, rendendo così alla Libertà i suoi termini reali […]». (7).
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Ed ancora alcuni spunti da Romano, europeista, fedele alla costituzione repubblicana, per ottenere la quale tanti giovani e meno giovani erano morti, e che avversava qualsiasi accentramento, avendone ben chiari i limiti tra cui lo spopolamento della montagna, tema ancora attuale.
A favore delle periferie emarginate.
«La Costituzione Italiana è figlia della lotta di liberazione ed essa parla, all’articolo tre, di libertà e giustizia per i cittadini. Io credo, quindi, che i principi di libertà e giustizia, a livello territoriale, dovrebbero iniziare ad essere attuati presso le popolazioni più sofferenti, che sono, secondo me, gli “emarginati territoriali”, cioè coloro che abitano le periferie delle grandi città. Il segno, invece, che la sofferenza delle periferie è cresciuto, viene data dalla statistica che riporta i dati dello spopolamento delle zone non centrali ed allo stesso tempo registra il suo contrario, cioè l’aumento significativo di popolazione nelle città e capoluoghi di provincia».
«[…] la mia testardaggine perdurante nel credere in una vera democrazia, mi obbliga a proseguire questo discorso anche se so di correre il pericolo dell’irrisione altrui. Ma devo dire quanto perché credo, ancora, che la Costituzione avrebbe dovuto costringere, preliminarmente, a tradurre sé stessa in urbanistica mentre è avvenuto che l’urbanistica “abbia tradotto” la Costituzione. Ciò è potuto succedere a causa della disinformazione, sprovvedutezza, ignoranza della gente: cioè dell’antidemocrazia».
Il pensiero economico tra Smith e Marx.
«Ed ancora osservo: il pensiero, anche economico, deve essere sentimentale in negativo, non può essere neutro, deve essere, cioè, freddo e spietato, e così è quello di Adam Smith, che registra anche la morte delle aziende marginali; e così è quello marxista e materialista.
In ambedue le analisi economiche, quella di Smith che si basa sul libero scambio e quella accentrata in mano statale di Marx, si parla della società del XIX° secolo, però nel caso del marxismo si tratta di una giusta ripartizione dei beni materiali, mentre Smith parla solo della loro produzione e del libero scambio».
«Io credo che per la massima efficienza economica ambedue queste teorie comportino la necessità di disporrei aziende, nazionali o no, sempre più grandi e complesse: in ultima analisi di aziende-megalopoli. (…). Posso anche immaginare che il recente tragitto storico dell’uomo “civile e civilizzato” non potesse avere svolgimento diverso, ma io credo sia giunto il tempo di riprendere in esame tutto il problema insieme a quello della disinformazione culturale e dell’insufficiente acutezza mentale che insidiano, alla radice, la nostra società».
Sul consumismo, i mass media, lo strapotere dell’economia e della politica …
«Il risultato di questa società consumistica si vede ed è sotto gli occhi di tutti: da una parte vi è l’utilizzazione di esperti sino all’ultimo respiro della loro vita, dall’altra la disoccupazione giovanile con grande disdoro delle repubbliche “fondate sul lavoro».
«I mas media concorrono ad addormentare ogni coscienza Ed ormai la televisione, sempre più frequentemente, propone il lusso per tutti. La radio parla, razzisticamente, “sopra le teste” del popolo».
«A mio modesto e sprovveduto avviso l’esorcizzare il demone dell’efficientismo consumistico ormai insediatosi in ogni coscienza anche se proletaria o plebea del “mondo civile”, che si richiama tardivamente a morali metafisiche o partitiche, è difficilissimo problema».
«Nessuno più crede a nessun predicatore».
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«Forse si riuscirebbe a diffondere nuovamente un discorso di morale disponendo di una massa di altruisti, disposti all’esempio, in ogni più piccolo paese del globo. Ma questo io credo sia altrettanto utopistico quanto forse fu l’ideale, a suo tempo manifestato, dai veri resistenti».
«Per quel che vale il mio giudizio, io sostengo che il pan-economicismo è il peggior nemico dell’uomo, è lo strumento politico attraverso cui la giustizia viene paralizzata, la dialettica contestata».
«E riprendendo il filo del discorso mi chiedo: quale può essere quel “qualcos’altro” che possa bilanciare lo strapotere dell’economia e della politica? Mi viene il sospetto che le vere forze possano trovarsi in quelle manifestazioni che altrove vengono etichettate come: “sovrastrutture”, cioè nell’arte, nella scienza, nella religione».
«Io credo che si debba continuare a lottare per ottenere una pari dignità per tutti in ambito economico. Io credo che si debba lottare per la giustizia e per uno svincolarsi dell’ambito economico da quello del potere politico. Ma al di là di queste idealità, resta un problema concreto: evitare il peggio al pianeta battendo vie nuove. Infatti, nel mondo, non si è mai avuta una condizione come quella attuale, caratterizzata dal pendere continuo sulla testa di ogni uomo, del pericolo dell’incenerimento atomico». (8).
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Idealista, moralmente rigoroso, quasi profetico, questo fu Romano Marchetti, che sognava una Europa dei popoli e non della finanza; che plaudette alla creazione dell’Onu, a garanzia dei diritti umani per tutti; che pensava che la correttezza e la moralità nell’agire di ogni singola persona potessero concorrere alla formazione di uno spirito universale positivamente connotato; che sempre lottò contro le ingiustizie e l’emarginazione e per un mondo più giusto e dove la libertà, il libero pensiero ma anche il pane ed il lavoro fossero a tutti garantiti.
Nell’intitolare la sezione Anpi di Tolmezzo a lui, raccogliamone il testimone e manteniamo viva la fiamma dell’antifascismo facendo nostra la frase di Calamandrei: “ORA E SEMPRE RESISTENZA!”.
Laura Matelda Puppini – curatrice delle memorie di Romano Marchetti non biografa di Romano Marchetti. (9).
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(1) Sul partigiano ed ufficiale degli alpini Renato Del Din ed il suo sacrificio sono stati scritti vari testi, fra cui ricordo Fabio Verardo, Giovani combattenti per la libertà, Gaspari ed., 2013, Arturo Toso, Renato Del Din ‘Anselmo’ Barbacane libri. Cfr. pure su www.nonsolocarnia.info il mio: “Uomini che scrissero la storia della democrazia. Renato Del Din. Per il 25 aprile, festa della liberazione d’ Italia dal nazifascismo.
(2) Per la storia di Santo Arbitrio cfr. il mio, su www.nonsolocarnia.info: La storia di Santo Arbitrio, catanzarese, Capitano della Caserma dei Carabinieri a Tolmezzo ai tempi del funerale Del Din, che non ostacolò, perchè resti memoria.
Correggo qui una informazione sbagliata data ieri scusandomi con chi mi ha ascoltato: egli non fuggì da Tolmezzo ma fu dall’oggi al domani fu trasferito in Veneto. Poi qui fece ad un certo punto perdere le sue tracce, dopo esser stato congedato. E per la sua storia rifatevi al mio articolo. Sulla partecipazione dei carabinieri alla guerra di Liberazione, oltre ricordare pure il loro contributo e sacrificio per la difesa, a Porta San Paolo, della Capitale, con tanti altri, rimando pure all’ articolo: “Non tutti sanno che … Resistenza e guerra di Liberazione (I Carabinieri nella …) in: https://www.carabinieri.it/arma/curiosita/non-tutti-sanno-che/r/resistenza-e-guerra-di-liberazione. Inoltre la stessa arma dei Carabinieri ha pubblicato un volume intitolato: I Carabinieri nella Resistenza e nella guerra di Liberazione, di A. Ferrara, nel 1978.
(3) Alcune considerazioni tratte da questo volumetto di Piero Calamandrei sono state da me riportate nel mio articolo, pubblicato il 22 marzo 2016 su www.nonsolocarnia.info: “Fascismo”: così lontano così vicino?
(4) Ercole Miani nacque a Visigliano d’Istria nel 1893. Mazziniano e irredentista, allo scoppio della prima guerra mondiale espatriò dall’Impero Austro- ungarico e si arruolò nell’esercito italiano. Come Ardito partecipò alla battaglia della Bainsizza, fu promosso capitano sul campo e venne più volte decorato. Partecipò quindi all’impresa di Fiume. Contrario al fascismo, aderì a Giustizia e Libertà, il cui massimo esponente, in zona giuliana, era Gabriele Foschiatti,con cui collaborò attivamente. Per la sua attività antifascista fu arrestato e poi considerato un sorvegliato speciale. Dopo il 25 luglio 1943, aderì al Partito d’Azione e partecipò alla guerra di liberazione con nome di battaglia Villa. Nel 1945 fu arrestato dal famoso commissario di polizia Gaetano Collotti e torturato barbaramente. Venne lasciato libero solo per intercessione di alcuni fascisti. Dopo aver saputo che era stato concesso un riconoscimento militare alla memoria al suo torturatore, rifiutò la medaglia d’oro al valor militare concessagli. Nel 1953 fondò l’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione, che diresse fino alla morte. Morì a Trieste il 2 novembre 1968. Medaglia d’oro al valore militare per i meriti acquisiti durante la Resistenza, alla memoria. (it.wikipedia.org/wiki/Ercole_Miani).
(5) Galliano Fogar, nato a Trieste nel 1921, morto a Trieste il 19 dicembre 2011, partigiano militante nelle file di Giustizia e Libertà, e storico triestino. Dal 1945 al 1949 fu redattore del giornale del C.L.N. di Trieste: La Voce libera. Fondò, con Ercole Miani, Alberto Berti, Antonio Fonda Savio, Carlo Schiffer, nel 1953, l’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione, (inizialmente Deputazione regionale per la storia del movimento di liberazione italiano nella Venezia Giulia), all’interno del quale svolse la funzione di presidente dal 1985 al 1987, e per moltissimi anni quella di segretario e responsabile della rivista ‘Qualestoria’. Ha scritto libri e articoli fondamentali sulla Resistenza, sull’occupazione nazista della Venezia Giulia, sull’esodo istriano del dopoguerra, sulla tragedia delle foibe, sulle vicissitudini dell’antifascismo della classe operaia dei cantieri del Monfalconese, tenendo come riferimento la presenza di un fascismo che in queste terre mostrò il suo volto più virulento, razzista e imperialista e che cercò, in tutti i modi, di distruggere l’identità e la cultura slovena. Per quasi 30 anni Galliano Fogar, inoltre, si prodigò per promuovere la corretta informazione sui fatti resistenziali e del confine orientale presso i grandi quotidiani nazionali, presso la Rai ed esponenti del centrosinistra, trovando spazio per le sue denunce quasi quotidiane solo su: Il manifesto. (Cfr. it.wikipedia.org/wiki/Galliano_Fogar, Ultimo saluto della città a Galliano Fogar, in: www.triesteallnews.it, www.irsml.eu/7-notizie/330-galliano-fogar.html, MODER Matteo, Galliano Fogar, uno storico non revisionista, in: il Manifesto, 24 Dicembre 2011, in: dirittiglobali.it/ e it.wikipedia.org/wiki/Galliano_Fogar).
(6) Il nonno di Romano Marchetti si chiamava Adamo Domenico Diana ed era un piccolo possidente terriero avendo ereditato, tra l’altro, dal padre un’ingente patrimonio tra cui una tenuta agricola a Terzo di Aquileia. Adamo sposò, l’11 febbraio 1874, Celestina Vaccaroni, figlia di Angelo e Rosa. La famiglia ebbe 8 figli tutti nati a Maiaso, di cui tre andarono suore.
(7) Da: 25 aprile” Festa della Liberazione. Paola Del Din: Noi non abbiamo combattuto per fare gli eroi … in: www.nonsolocarnia.info.
(8) Per il pensero di Romano Marchetti cfr. anche: Per ricordare Romano Marchetti ad un anno dalla morte, in www.nonsolocarnia.info.
(9) Preciso che io sono la curatrice delle memorie di Romano Marchetti, impresa già ardua perché inizialmente erano scritte in terza persona, poi in alcuni punti non erano molto comprensibili, ed io le ho rese solo in un italiano, per alcuni tratti, più fruibile ed ho tolto alcuni aspetti ripetuti ma sempre rileggendole a lui, ed è stato un lavoro lungo. Ma sottolineo che sono state scirtte di suo pugno, ed ogni variazione è stata da lui riletta ed approvata, ed in certi casi ha corretto di suo pugno. Inizialmente scritte a mano su dei fogli riciclati di grandi dimensioni, furono poi da me battute a macchina ancora nei primi anni ’80 rendendole in prima persona, e da lui riviste e ricorrette. Quindi mi vietò la pubblicazione immediata per paura di ritorsioni verso la famiglia dandomi però una lettera che confermava che le aveva scritte lui e che mi dava il permesso di pubblicazione a sua morte avvenuta, ed infine, su mia richiesta, decise, anzianissimo, di permettere, lui vivente, la pubblicazione. Pertanto io non sono la biografa di Romano Marchetti, che preciso non era aderente al Partito d’Azione ma repubblicano, pur essendo vicino agli azionisti.
L’immagine che accompagna l’articolo ritrae Romano Marchetti. (Originale da Romano Marchetti). L.M.P.
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