Covid: sanità Fvg e nazionale: il sistema ha fatto boom?
Ricordava Antonio Padellaro il 6 maggio 2020, sul Il Fatto Quotidiano nel suo: “La pandemia, Silvio e i suoi scherani tribolanti”: «Saremo uguali, soltanto un po’ peggiori», citando una frase di Michel Holluquellebecq, che si riferiva pure a quanto affermato da alcuni, mesi fa, e cioè che dalla pandemia del Covid- 19 sarebbe uscito un mondo migliore.
Solo se usciremo vivi da questa debacle sociosanitaria, anche senza aver contratto il virus, penso tra me e me, queste diatribe potrebbero forse avere un senso, almeno qui, in Fvg, anche se da altre parti non credo proprio si stia molto meglio. Ma perché scrivo questo, mentre penso sempre più concretamente di andare a cercare la corona del rosario di mia nonna Anna, che forse, alla fin fine, potrebbe trasformarsi in una specie di amuleto protettivo, per pregare la Madonna della salute, che almeno non ha qualche impedimento? E non nego che sto scrivendo questo come provocazione.
Perché vorrei concretamente chiedere, a Riccardo Riccardi, l’architetto ora non eletto dal popolo, che mai prima di questa tornata regionale si è occupato, almeno mi pare, di sistemi sanitari, ma ha delega per far tutto in ambito sanità e salute in Fvg: «Se il virus persiste in regione per più di un paio di settimane, dopo il suo converti tutto in reparto covid, dove andremo a curarci le altre patologie?» mentre, dovendo stare il più possibile in casa a causa di quelli di “chi non beve in compagnia o è un ladro od una spia”, dei salutisti ad oltranza, dei no masch, dei pro Salvini e Meloni, di quelli del “chi se ne frega” e “paron son mi”, e di giovani vari, per nulla abituati a seguire qualsiasi regola, dei “baristi chiudi un occhio o due” rischiamo di far crescere enormemente, rinunciando ad una vita attiva e sociale, i trigliceridi, il colesterolo, e via dicendo, oltre che di far proliferare la conflittualità familiare e di non sapere più dove proseguire cure per altre patologie già iniziate.
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Il primo urlo, sui possibili effetti devastanti sulla popolazione italiana del taglio della sanità, di fatto, per correre a coprire il prevedibile trasformato, come al solito, in emergenza, dato dall’entrata nel nostro territorio nazionale del covid- 19, lo lanciarono, se ben ricordo i cardiologi che evidenziarono un calo del 50% di prestazioni fra il febbraio ed il marzo 2020, allora dovuto in particolare alla paura a varcare la soglia di un ospedale. (https://www.repubblica.it/salute/medicina-e-ricerca/2020/03/23/news/coronavirus_meno_ricoveri_per_infarto_si_teme_il_contagio-252070598/).
Ma ora non siamo meglio se, il 29 ottobre 2020, TgCom 24 intitolava un pezzo: “Covid: allarme cardiologi: con reparti chiusi si rischia la catastrofe (https://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/covid-allarme-cardiologi-con-reparti-chiusi-si-rischia-catastrofe_24807122-202002a.shtml), che riporta le parole della Società italiana di cardiologia. E il giorno precedente, il 28 ottobre, compariva un pezzo di Francesca Iachetti che riportava uno stralcio di quanto scritto dai medici del cuore e del circolo: «Blocco dei ricoveri programmati, differimento degli interventi in elezione, allungamento delle liste d’attesa, saturazione delle terapie intensive, riconversione dei reparti e anche, di nuovo, la paura del contagio in ospedale. Questo lo scenario che con la seconda ondata di Covid-19 mette a rischio la vita di un milione di italiani over 65, affetti da patologie strutturali dovute al deterioramento delle valvole cardiache. La denuncia arriva dalla Società Italiana di Cardiologia Interventistica che nel 41° Congresso Nazionale […], presenta il suo Manifesto per la tutela del paziente cardiovascolare». (https://ilritrattodellasalute.tiscali.it/notizie/articoli/covid-cardiologi-gise-allarme-rischio/).
Ma ad ottobre la situazione era già critica per il lockdown pregresso: «Una nostra survey su 130 Emodinamiche italiane che svolgono procedure di interventistica strutturale – riferisce Giuseppe Tarantini, presidente del GESE – confermava a metà ottobre una ripresa delle attività comunque sotto il 50% rispetto al periodo di pre-lockdown. Anche sul fronte delle angioplastiche nei mesi della “ripartenza” dopo la prima ondata di Covid-19 rispetto al periodo “pre-Covid” c’è stata un’analoga contrazione, tra il 50 e 75% per il 40% dei centri. Le barriere che hanno impedito la ripresa delle attività sono, per il 45% dei centri, organizzative (disponibilità di posti letto e del personale), per circa il 30% legate alla gestione delle liste di attesa, il 35% ha evidenziato anche un minore flusso di pazienti derivante da restrittive indicazioni di accesso in ospedale, infine circa il 30% ha segnalato la paura di un contagio ospedaliero da parte dei malati». (Ivi).
Quindi Antonio Gaudioso di Cittadinanzattiva, parlava dell’esigenza di intervenire comunque «con tempestività e appropriatezza», in caso di una emergenza per la salute, ma come si può fare, se anche posti di primo intervento sono stati chiusi in Fvg, intasando gli scarsi pronto soccorso, sopravvissuti ma ridotti all’osso, e mancano ambulanze, peraltro quasi sempre senza medico a bordo? (Ivi).
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Ed ora riprendono a parlare anche gli oncologi. E se il 22 maggio 2020, la Fondazione Veronesi avvertiva che sette reparti di oncologia su dieci avevano ridotto di poco o nulla l’attività durante il lockdown per il Coronavirus, ma che, in compenso, il 20% dei pazienti aveva rimandato un appuntamento, (https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/oncologia/oncologia-e-coronavirus-7-reparti-su-10-non-si-sono-fermati), il 18 settembre 2020 si poteva leggere, su Qui Finanza, che «pazienti affetti da covid hanno avuto la precedenza, in molti casi, su quelli affetti da altre malattie durante la pandemia. Questo è successo, per esempio, per molti pazienti oncologici, che hanno visto sospendere le loro terapie o i loro interventi perché gli ospedali erano in piena emergenza». (https://quifinanza.it/editoriali/video/covid-pazienti-oncologici-pandemia-1-milione-screening-in-meno/416557/).
E 5 giorni fa il grido di allarme del Cracking Cancer Forum: ««Non è vero che stiamo garantendo i percorsi oncologici», ha sostenuto Oscar Bertetto, direttore del Dipartimento Rete Oncologica Piemonte-Valle d’Aosta. (https://www.lastampa.it/cronaca/2020/11/12/news/oncologi-per-il-covid-saltano-le-cure-prossima-pandemia-sara-il-cancro-1.3953141). «I tumori purtroppo sopravviveranno al Covid e, nonostante decreti e documenti, non è vero che l’oncologia viene preservata perché si appoggia a radiologia, endoscopia e altri servizi che sono pesantemente influenzati» – ha precisato Pierfranco Conte, ordinario di Oncologia Medica dell’Università degli Studi di Padova e coordinatore della Rete oncologica del Veneto. (Ivi).
Ed a questo si aggiunge la previsione della possibilità di mortalità a causa di ritardi diagnostici e curativi, che si aggiungono ai pregressi. (Cfr.https://www.aboutpharma.com/blog/2020/11/13/tumori-e-covid-19-ogni-mese-di-ritardo-nelle-cure-puo-aumentare-la-mortalita/). «Oltre un milione di esami di screening in meno, per un potenziale incremento delle diagnosi di cancro prossimo alle cinquemila unità. È questa la faccia più subdola del Covid-19, che potrebbe aprire la strada all’aumento dei pazienti oncologici» (https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/oncologia/screening-oncologici-in-ritardo-a-causa-del-covid-19). E, per terminare, si viene a sapere che si sono persi un milione e mezzo di esami e il 50% degli screening, e che, spesso, «i letti che sono riservati in reparti covid non sono letti aggiuntivi». (https://www.quotidiano.net/cronaca/covid-ritardi-malati-oncologici-1.5628947).
Se a quanto si aggiunge la lettera di Filippo Anelli a Giuseppe Conte, che, per proteggere la classe medica, spesso sacrificata sul campo, ribadisce che «l’accesso libero agli studi dei medici di famiglia, dei pediatri di libera scelta e della continuità assistenziale dovrebbe essere inibito, lasciando ai medici la facoltà di decidere volta per volta sulla base del triage telefonico, l’opportunità della visita», (https://www.ordine-medici-firenze.it/modulistica-docman/varie/275-lettera-fnomceo-al-presidente-del-consiglio/file) ci rendiamo conto delle difficoltà presenti per i pazienti.
Così anche per coloro che saranno risparmiati dal coronavirus, o non se la saranno andati a cercare, la vita si presenterà ancora difficile, e fruire in tempi decorosi delle prestazioni sanitarie necessarie si sta trasformando quasi in un’utopia, mentre la popolazione, lentamente, si allontana sempre più dall’avere fiducia nei medici e nel sistema sanitario nazionale o regionale e potrebbe cadere in uno stato di depressione e torpore.
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Non da ultimo, coloro che, magari sul luogo di lavoro, si sono beccati il virus, rischiano di non sapere come fare a curarsi dato che, il tar del Lazio ha accolto il ricorso di un sindacato di categoria contro la Regione Lazio, sancendo lo stop dei camici bianchi a visite domiciliari a malati di covid 19, in barba al giuramento di Ippocrate. Il tribunale amministrativo ha decretato che devono essere le Usca ad interessarsi degli stessi, peccato che ne esistano ben poche, e solo nel Lazio «vi sono oltre 60 mila persone in isolamento domiciliare ed è tecnicamente impossibile gestirle unicamente con le usca». (https://www.corriere.it/cronache/20_novembre_16/tar-lazio-stop-visite-domicilio-malati-covid-medici-base-60566de6-2821-11eb-bf20-60a0f140fccc.shtml).
La motivazione è di tutto rispetto, ma implica un medico o cura i malati di covid – 19 o gli altri: infatti per il Tar i medici di base, in questo modo, verrebbero «pericolosamente distratti dal compito di prestare l’assistenza ordinaria, a tutto detrimento della concreta possibilità di assistere i tanti pazienti non Covid, molti dei quali affetti da patologie anche gravi». (Ivi).
Ma per Filippo Anelli, Presidente dell’Ordine Nazionale dei medici, essendo ogni paziente possibile portatore di covid, e, dato che i medici di medicina generale non hanno delle protezioni adeguate, possono anche decidere di non visitare. Ma così la reale attività di un medico potrebbe diventare forse un optional? E un medico di medicina generale riteneva che non fosse più suo compito visitare in una casa di riposo in cui vi erano stati ospiti ammalati di coronavirus, anche se già allontanati, ed infine affermava che avrebbe visto, bontà sua, i pazienti della struttura solo se gravi, cioè se gli veniva comunicato che non defecavano o urinavano da un giorno, ed avrebbe gestito praticamente il resto senza vedere, palpare, ascultare.
E i pazienti? Ma quelli tanto hanno un rosario o cattolico o buddista … oppure non stanno male e quando verrà verrà ….
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Inoltre molte regioni pare non abbiano più posti in ospedale né per casi covid – 19 né per gli altri ammalati; che l’intero sistema sanitario, strutturato in aziende, rette da manager, sulla base della governance, con l’obiettivo dichiarato della spending review, e su modelli regionali insostenibili, conflittuali, dispendiosi tagliando ai pazienti invece che offrire, sia imploso abbia fatto BOOM!!!!!
Pensate per esempio al caso Fvg, dato che è la regione dove abito. Esisteva, pare quasi un secolo fa, ma era solo il 2008, 2009, o forse 2010, una rete di ospedali di riferimento anche funzionali ai medici di base, che gestivano sia gli ambulatori che le acuzie, e dotati di un laboratorio analisi e di una radiologia. Ma poi Serracchiani e Telesca in primis hanno iniziato a destabilizzare questo assetto, che comunque rispondeva alle domande sia dei singoli che del territorio, ed hanno iniziato a tagliare ed a accentrare e modificare, con la benedizione di Matteo Renzi. E i cittadini hanno incominciato ad avere grosse difficoltà, mentre molti medici, se lo potevano fare, se ne andavano in pensione o cercavano altri lidi.
Quindi, questa situazione che già stava diventando quasi disperata, (cfr i numerosi articoli da me pubblicati dalla fine del 2014 su nonsolocarnia dedicati al sistema sanitario fvg) sotto Riccardo Riccardi, costretto a scegliere da solo, dopo averne avuto mandato, diventava insostenibile, complice pure il covid – 19.
Sospesa la normale attività anche negli ospedali che non avevano casi di coronavirus, non seguiva, nel luglio, una ripresa della stessa, ma molti reparti venivano chiusi per le ferie del personale, con la promessa di una riapertura in autunno. Ma poi sopraggiungeva la già prevista seconda fase del covid- 19, che andava a nozze tra no masch e amanti delle ammucchiate al bar, riprendendo forza nelle case di riposo, verosimilmente portato dal personale.
A questo punto Riccardi, pare preso alla sprovvista, ha pensato di sbaraccare di fatto gran parte degli ospedali spoke, per raccattare letti per i malati di coronavirus non da terapia intensiva, non avendo neppure una rete territoriale per il mantenimento a domicilio dei casi non gravi, ed essendo incerta la collaborazione dei medici di base, che tra l’altro oggi potrebbero dire sì e domani no.
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Così a Gemona si è tolto il punto di primo intervento e si è chiusa o si sta per chiudere l’rsa, trasformando di fatto il San Michele o la maggior parte di esso in un centro per affetti da coronavirus (Piero Cargnelutti, Gemona. Tensioni sul reparto Covid. Il sindaco: scelta d’emergenza, in: Messaggero Veneto, 5/11/2020) e parte dell’ospedale di Palmanova è stato riconvertito per i cittadini che contrarranno o hanno già contratto il virus, con l’ipotesi di togliere sale operatorie trasformandole in terapie intensive. (Monica Del Monte, Reparti Covid in ospedale. La minoranza: una priorità, in Messaggero Veneto, 5 novembre 2020).
L’ospedale di San Daniele è praticamente chiuso a causa dei casi di virosi presenti al suo interno e così si può leggere su: udinetoday: «Sono una trentina i positivi al covid all’interno dell’ospedale di San Daniele del Friuli: una ventina di pazienti e una decina tra il personale medico. Numeri destinati probabilmente a salire e che hanno costretto i vertici regionali a prendere la decisione di chiudere parzialmente il nosocomio. Sospesi i ricoveri, compresi quelli programmati e urgenti: l’ospedale accoglierà solo pazienti covid e gli altri pazienti saranno dirottati tra le strutture di Udine e Tolmezzo» (https://www.udinetoday.it/cronaca/ospedale-san-daniele-chiuso-reazione-salvatore-spitaleri.html).
D’altro canto anche a Cividale è stato chiuso il punto di primo intervento ed ha fatto la stessa fine il reparto di medicina interna, in quanto i suoi medici sono stati dirottati verso gli ospedali di Palmanova ed Udine, ove si sono allestiti altri tre reparti covid, che gestiscono i casi più gravi di coronavirus. (Cfr. Mattia Pertoldi, La sanità cambia per trovare altri posti letto, in Messaggero Veneto 10/11/2020). Sul fronte del Pordenonese, Sacile risulta riconvertito, mentre al Santa Maria degli Angeli l’assessore ha creato tre aree speciali per i malati di coronavirus, togliendo spazi al pronto soccorso ed alla pneumologia. (Pronte tre aree speciali al Santa Maria degli Angeli in Messaggero Veneto, 10 novembre 2020).
E dove non è giunto l’assessore, è giunta l’As Fo, che ha previsto una riduzione dell’attività chirurgica garantita, urgente e oncologica, la chiusura dell’area chirurgica di Spilimbergo, la chiusura del punto di primo intervento di Maniago, la riduzione dell’attività ambulatoriale del dipartimento di medicina, con la sospensione delle priorità. Questo per dirottare personale nelle aree covid o in altro pronto soccorso. (Ivi).
E i cittadini affetti da altre patologie, che faranno? Per cortesia, Riccardi e Fedriga, ce lo vorreste per cortesia dire? Perché magari potevate anche pensarci prima, secondo me e senza offesa per alcuno, progettando e non inventando all’ultimo momento. Perché il tacon potrebbe diventare davvero peggiore del buso, e ho già scritto che i cerchi non si quadrano. (Cfr. Il mio: La sanità regionale Fvg vista, in particolare, da pazienti paganti, in: nonsolocarnia.info).
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E mentre i politici dichiarano e contro dichiarano e fanno le solite scaramucce per un ospedale o l’altro, e finalmente Roberto Trevisan, la voce del Pd in questa materia, scrive qualcosa sulla situazione, che sta facendo infuriare i sindacati ma non pare poi molto, quello che sta accadendo nell’area Udine Pordenone a livello sanitario è sotto gli occhi di tutti, ed è il frutto ancora una volta dei tagli, della mancanza di personale, dell’improvvisazione di questa giunta e della precedente, dell’accentramento. Praticamente gran parte dei reparti ospedalieri non funziona per i pazienti non covid, ed alcuni ancora presenti non accettano priorità, e Udine e Tolmezzo si trovano a dover subire, con poco personale, un carico inusitato di lavoro, con i pronto soccorso che scoppiano.
Di qui l’accorato invito di una infermiera del pronto soccorso udinese, pubblicato dal Messaggero Veneto, a non recarsi lì se non serve, ma il malato non è un medico e non sa fare autodiagnosi. Quindi il 17 novembre, sempre sullo stesso quotidiano, è comparso, a firma di Tanja Ariis, l’elenco delle difficoltà dell’area di pronto soccorso e di emergenza di Tolmezzo, già, per spazi e per numero di operatori, non adatto a sopportare i carichi di lavoro enormi derivati dalla chiusura dei punti di primo intervento e di reparti. (Cfr. Tanja Ariis, Pronto soccorso intasato: dipendenti positivi in ospedale, in Messaggero Veneto 17 /11/2020). E, mentre l’ordine dei medici di Torino ha chiarito che, «L’attività specialistica ambulatoriale non deve essere sospesa neanche in questa fase di emergenza Covid, almeno nelle strutture territoriali in cui è possibile garantire le cure in piena sicurezza per pazienti e operatori sanitari», raccogliendo l’allarme lanciato negli ultimi giorni dagli specialisti ambulatoriali che guardano con grande preoccupazione al nuovo stop deciso per le prestazioni differibili e programmate» (https://www.lastampa.it/torino/2020/11/06/news/senza-ambulatori-i-malati-cronici-peggioreranno-l-allarme-dell-ordine-dei-medici-1.39508156), in Fvg quasi tutto tace mentre la sanità e la salute dei cittadini vanno verso il baratro ed il punto di non ritorno.
E sempre l’ordine dei medici della città piemontese ha sottolineato come: «L’esperienza del precedente lockdown e la limitazione delle prestazioni sanitarie a quelle urgenti e brevi ha provocato gravi conseguenze per i pazienti cronici e pluripatologici che hanno perso di fatto i punti di riferimento del loro percorso di cura per la maggior parte delle discipline specialistiche. Il risultato […] è stato l’aggravamento delle condizioni di salute di queste persone e al contempo l’accumularsi di migliaia di visite specialistiche ed esami diagnostici, il cui recupero non è stato possibile completare, con conseguente ulteriore allungamento delle liste d’attesa. Occorre dunque evitare il ripetersi di questa situazione, mantenendo l’attività specialistica ambulatoriale pubblica in ogni sede in cui sia possibile effettuarla in sicurezza, in analogia con quanto previsto per gli ambulatori privati convenzionati». (Ivi). Per cortesia qualcuno se la sente di dirlo a Riccardo Riccardi?
Per la verità anche a Udine qualche posto per i non covid è stato recuperato al Policlinico, struttura privata, ma è ben poca cosa. E mentre mancano pronto soccorso, ambulanze, ambulatori e diagnostica, e l’incognita medici di base, privi di mezzi e strumenti, rappresenta, a mio avviso, un grosso problema, qualcuno del Pd inizia a contestare a parole l’assessore, niente di più, e io temo che non si riuscirà neppure più a ritornare alla sanità tagliata e stratagliata di prima, perché sforbiciare e chiudere è facile, come disorganizzare un sistema ma riprendere è davvero molto più difficile. Gino Strada, se in Calabria non ti vogliono, potresti venire qui.
E tutto questo avviene mentre si legge su: https://www.kelyon.com/it/news/health-tech-2020-i-trend-del-nuovo-anno-e-del-nuovo-millennio, che «Con il 2020 si apre la decade in cui l’approccio ‘patient-centered’ (paziente al centro) tanto invocato da professionisti sanitari e cittadini-pazienti diverrà finalmente realtà: vedremo l’ascesa della diagnostica, medicina e prevenzione personalizzate, della cura ‘data-driven’, dell’assistenza virtuale e remota, e – rullo di tamburi – guadagneremo il controllo (totale?) dei nostri dati sanitari». Forse sarà meglio che qualcuno scenda verso la realtà.
Senza offesa per alcuno, ma solo per evidenziare alcune gravi criticità e l’implosione del ssr Fvg, secondo me, questo ho scritto.
Laura Matelda Puppini
L’immagine che accompagna l’articolo è una elaborazione di una famosa foto del 1918 che ritrae una crocerossina ai tempi dell’epidemia di spagnola, ed è tratta da: https://www.cri.it/27-08-2020-influenza-spagnola-ciclo-incontri-virtuali-cri-parallelismi-covid-19. LMP.
AGGIORNAMENTO.
«La paura dell’ospedale in epoca Covid ha tenuto lontano i pazienti con problemi cardiaci per un periodo troppo lungo durante la prima ondata. Risultato: triplicati infarti e ictus negli ultimi mesi. A Buongiorno regione l’appello del direttore del dipartimento cardiovascolare di Trieste, Gianfranco Sinagra», si può leggere su:https://www.rainews.it/tgr/fvg/video/2020/11/fvg-sinagra-trieste-aa9fdb87-3e88-49dd-a30b-8977d0fa533e.html?fbclid=IwAR0-Bp5vRSSU9_mlhAFOvITnshtO2AJCvsP6u8N1VRMJt-H0OQKV2iDQkxE, mentre al pronto soccorso dell’ospedale di Udine si contano 15 contagiati fra il personale: 7 infermieri, 5 medici e 3 operatori sanitari, e la dirigenza dell’ area di pronto soccorso ed emergenza ha dovuto rimodulare i turni ed il servizio, recuperando personale da altri servizi. (Chirstian Seu, Al pronto soccorso quindici contagiati: 7 infermieri, 5 medici e 3 operatori sanitari, in Messaggero Veneto, 18 novembre 2020). Inoltre questo accade mentre pure il pronto soccorso sopravvissuto in provincia di Udine, quello di Tolmezzo, è in sofferenza, con l’area di emergenza in crisi per arrivi di casi Covid in attesa di essere trasferiti, e, secondo Tanja Ariis i posti covid di Gemona e Palmanova sono già stati riempiti dai pazienti. (Tanja Ariis, Pronto soccorso intasato, dipendenti positivi in ospedale, Messaggero Veneto 17 novembre 2020).
Laura Matelda Puppini
https://www.nonsolocarnia.info/covid-sanita-fvg-e-nazionale-il-sistema-ha-fatto-boom/https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2020/11/influenza_spagnola.png?fit=373%2C362&ssl=1https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2020/11/influenza_spagnola.png?resize=150%2C150&ssl=1ECONOMIA, SERVIZI, SANITÀRicordava Antonio Padellaro il 6 maggio 2020, sul Il Fatto Quotidiano nel suo: “La pandemia, Silvio e i suoi scherani tribolanti”: «Saremo uguali, soltanto un po’ peggiori», citando una frase di Michel Holluquellebecq, che si riferiva pure a quanto affermato da alcuni, mesi fa, e cioè che dalla pandemia...Laura Matelda PuppiniLaura Matelda Puppinilauramatelda@libero.itAdministratorLaura Matelda Puppini, è nata ad Udine il 23 agosto 1951. Dopo aver frequentato il liceo scientifico statale a Tolmezzo, ove anche ora risiede, si è laureata, nel 1975, in filosofia presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Trieste con 110/110 e quindi ha acquisito, come privatista, la maturità magistrale. E’ coautrice di "AA.VV. La Carnia di Antonelli, Centro Editoriale Friulano, 1980", ed autrice di "Carnia: Analisi di alcuni aspetti demografici negli ultimi anni, in: La Carnia, quaderno di pianificazione urbanistica ed architettonica del territorio alpino, Del Bianco 1975", di "Cooperare per vivere, Vittorio Cella e le cooperative carniche, 1906- 1938, Gli Ultimi, 1988", ha curato l’archivio Vittorio Molinari pubblicando" Vittorio Molinari, commerciante, tolmezzino, fotografo, Gli Ultimi, Cjargne culture, 2007", ha curato "Romano Marchetti, Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona, una vita in viaggio nel Novecento italiano, ed. ifsml, Kappa vu, ed, 2013" e pubblicato: “Rinaldo Cioni – Ciro Nigris: Caro amico ti scrivo… Il carteggio fra il direttore della miniera di Cludinico, personaggio di spicco della Divisione Osoppo Carnia, ed il Capo di Stato Maggiore della Divisione Garibaldi Carnia, 1944-1945, in Storia Contemporanea in Friuli, n.44, 2014". E' pure autrice di "O Gorizia tu sei maledetta … Noterelle su cosa comportò per la popolazione della Carnia, la prima guerra mondiale, detta “la grande guerra”", prima ed. online 2014, edizione cartacea riveduta, A. Moro ed., 2016. Inoltre ha scritto e pubblicato, assieme al fratello Marco, alcuni articoli sempre di argomento storico, ed altri da sola per il periodico Nort. Durante la sua esperienza lavorativa, si è interessata, come psicopedagogista, di problemi legati alla didattica nella scuola dell’infanzia e primaria, e ha svolto, pure, attività di promozione della lettura, e di divulgazione di argomenti di carattere storico presso l’isis F. Solari di Tolmezzo. Ha operato come educatrice presso il Villaggio del Fanciullo di Opicina (Ts) ed in ambito culturale come membro del gruppo “Gli Ultimi”. Ha studiato storia e metodologia della ricerca storica avendo come docenti: Paolo Cammarosano, Giovanni Miccoli, Teodoro Sala.Non solo Carnia
Così si può leggere sul Messaggero Veneto di oggi, 20 novembre 2020, articolo: Maura Delle Case: “San Daniele. Raddoppiati i posti letto Covid vertice sul futuro dell’ospedale”: “Da struttura Covid Free a ospedale con ben 68 posti letto per positivi. Nell’arco di due settimane sono cambiate le sorti del nosocomio di Dan Daniele che si è ritrovato con un importante focolaio in pancia- un centinaio di contagi tra le file del personale e dei degenti – che ha causato dapprima il blocco dell’operatività della chirurgia, della medicina e dell’ortopedia, quindi la loro progressiva conversione in reparti covid”. Io a questo punto mi chiederei chi non ha fatto il tampone o non ha dichiarato i sintomi, per giungere a questa moria. Oggi, sempre secondo l’articolo, si terrà un incontro tra sindaci perché “L’ospedale di San Daniele serve tutto il territorio collinare, e la chiusura di alcuni reparti, così come lo spostamento degli interventi dunque dei pazienti ad Udine e Tolmezzo è una misura, forse necessaria, ma che impatta su tutti i cittadini del comprensorio, non solo su quelli di San Daniele”.
Sempre sul Messaggero Veneto del 20 novembre 2020, troviamo pure un articolo di Francesca Artico intitolato” Palmanova. Il sindaco scrive alla Regione “Ospedale senza personale”. In questo caso il sindaco non solo lamenta la carenza di oss, ma pure che “A Palmanova siamo arrivati già a 90 pazienti Covid in pochissimo tempo: con l’attuale andamento saremo un ‘super ospedale covid’ superando i 120 ricoveri annunciati occupando tutti i posti letto dell’ ex materno – infantile, i reparti di chirurgia e ortopedia e sospendendo quelle poche sedute di chirurgia programmata fino ad ora realizzate”. Ditemi un po’ voi dove si andranno a curare i pazienti dell’ ex aas3, con pure Gemona trasformata in punto covid. Ma forse paghiamo il fatto di aver voluto vivere alla periferia?
Ringrazio L.M.Puppini che, fra le altre cose, ha il merito di tenere metodicamente le fila della cronaca degli avvenimenti in seno alla Sanità locale e regionale in questi orribili tempi di pandemia, dato che personalmente riesco ad informarmi frammentariamente sui media.
La situazione è abberrante perchè la salute, che normalmente è il primo pensiero per chiunque, non riesce ad essere la priorità per chi ci amministra e ci governa, visto che è un diritto costituzionale. Ai cronici probemi di sempre, già di difficile gestione, si aggiuge ora il virus che della Sanità ha devastato l ‘impianto già precario. Cosa ci aspettavamo? Un miracolo? I nodi vengono al pettine, e sempre più aggrovigliati.
Non si può dire che la società occidentale, sia pur una delle più evolute, sia veramente civile.
Anche a Modena, tanto per fare un esempio … Modena «Noi medici di famiglia rischiamo il tracollo Oltre al Covid c’è altro» «Nella Commissione comunale si è parlato di assistenza territoriale La dottoressa Romani: «Non possiamo trascurare le altre patologie».
Oltre al Covid c’è una marea di patologie che non possono finire in secondo piano. A dirlo è la dottoressa Alessandra Romani, Medico di Medicina generale, che ieri è stata ospite della Commissione Covid del Comune di Modena durante la quale si è parlato di medicina territoriale. (https://gazzettadimodena.gelocal.it/modena/cronaca/2020/11/21/news/modena-noi-medici-di-famiglia-rischiamo-il-tracollo-oltre-al-covid-c-e-altro-1.39566081).