Dalla montagna perduta alla montagna risorsa.
Queste considerazioni sono tratte dallo studio del gruppo di lavoro del Trentino school Management e Centro Europa Ricerche composto da: Gianfranco Cerea, Stefano Fantacone, Petya Garalova, Mauro Marcantoni e Antonio Preiti, (a cura di Gianfranco Cerea e Mauro Marcantoni), intitolato: La montagna perduta. Come la pianura ha condizionato lo sviluppo italiano, Franco Angeli ed., suggeritomi ed inviatomi da Paolo Iussa, già sindaco di Enemonzo, che sentitamente ringrazio. Inoltre ho riportato qui il discorso tenuto il 9 febbraio 2016, da Pietro Grasso al Senato in occasione della presentazione del Rapporto “La montagna perduta – come la pianura ha condizionato lo sviluppo umano”.
Rileggere la montagna con occhi diversi.
Rileggere la montagna e le politiche per la stessa, è impresa non di poco conto, «in quanto l’immagine consolidata della montagna quale spazio residuale deve essere ribaltata, considerando che il territorio nazionale, in realtà, è prevalentemente montuoso e che tale condizione non comporta solo problemi e difficoltà, ma offre anche una quantità di risorse e di opportunità da individuare e cogliere a pieno», con il sostegno dell’innovazione delle politiche pubbliche, e ristabilendo il legame vitale tra popolazione e territorio montano.» (Bruno Zanon, Presentazione. Uno sguardo contemporaneo sulla montagna, p.7).
«Perché la montagna è un problema? Sicuramente vi sono delle differenze di condizioni di vita, di lavoro, di dotazioni civili rispetto ai territori di pianura e alle città maggiori. Ma questo è l’esito, relativamente recente, del confronto tra sistemi economici e sociali entro un quadro orientato di politiche pubbliche […]. In breve, il nostro sguardo sui territori di montagna è segnato dalle esperienze e dai valori della modernità, dalla consuetudine con le dinamiche proprie dell’età industriale e con gli effetti della concentrazione delle attività e delle persone nelle aree urbane. Sembra ovvio, quindi, qualificare la montagna con gli attributi della debolezza, della marginalità, dell’arretratezza. Certamente si tratta di un territorio “fragile”, dal punto di vista idrogeologico, economico e sociale, ma esso presenta, allo stesso tempo, un patrimonio di valori e risorse che, nella società e nell’economia contemporanee, non può essere assolutamente sottovalutato. (Ivi, p.8).
La modernità ha cambiato nel profondo il nostro rapporto con il territorio
«La modernità ha cambiato nel profondo il nostro rapporto con il territorio, vale a dire lo spazio attrezzato dalle comunità per vivere e abitare e, ancora prima, ha alterato il nostro rapporto con la terra. Per millenni l’uomo ha vissuto in uno stretto rapporto con il suolo fertile che gli forniva di che vivere, e questo ha comportato che le forme del popolamento fossero prevalentemente diffuse, mentre le città erano le eccezioni. È noto che da qualche anno la maggior parte della popolazione mondiale vive ormai nelle città, secondo un processo che nei paesi della prima industrializzazione è ormai consolidato.
L’urbanesimo ha ribaltato il rapporto millenario che richiedeva, da parte delle singole persone e delle comunità, la cura e la responsabilità di un tratto di suolo che forniva cibo e materiali utili per la sussistenza. Tali pratiche hanno richiesto l’elaborazione di conoscenze per interpretare le condizioni dei luoghi, individuare i materiali utili, incrementare la fertilità dei suoli, selezionare specie vegetali e animali. L’esito, non secondario, è consistito in un legame profondo con i luoghi, testimoniato dal senso di appartenenza e dai legami identitari. Il rapporto stretto con la terra ha richiesto inoltre l’elaborazione di regole per riconoscere i diritti di proprietà e per definire le modalità di uso delle risorse e dei luoghi, in particolare quando questi erano condivisi. Insomma, ritroviamo in tali relazioni le radici profonde della nostra società, della nostra cultura, della nostra economia. (Ivi, pp. 8-9).
In questo quadro, la montagna è stata per secoli uno spazio pienamente integrato con il resto del territorio e della società. (…). Inoltre, un territorio montano, caratterizzato da condizioni diverse entro distanze relativamente brevi, consentiva una agevole integrazione di prodotti e di culture differenti. Per non parlare dei vantaggi assicurati dal controllo dei corridoi di transito e delle posizioni strategiche dal punto di vista militare. (Ivi, p. 9).
Certamente vivere in montagna è sempre stata una sfida, che è stata vinta dagli individui e dalle comunità elaborando conoscenze e competenze appropriate e costruendo sistemi sociali ed economici basati sulla responsabilità nei confronti di un ambiente delicato e fragile e sulla solidarietà. I principi della sostenibilità li ritroviamo tutti, nella storia delle comunità alpine, preoccupate che i figli e i nipoti potessero trarre dalle risorse locali condizioni di vita analoghe – o migliori – di quelle delle generazioni attive.
Nel breve volgere di un paio di secoli la diffusione dell’economia industriale ha modificato questo quadro, affermando principi di concentrazione, di mobilità di persone e merci su grandi distanze, consentendo lo scambio delle conoscenze, delle esperienze e delle merci tra continenti diversi. La produzione industriale ha richiesto la concentrazione delle attività e delle persone nelle fabbriche, secondo una logica di economia di scala che ha riguardato anche altre attività, dai servizi pubblici alla produzione di beni immateriali. (Ivi, p. 9).
Le condizioni attuali della nostra società consentono di porre in una prospettiva diversa il problema
Le condizioni attuali della nostra società, ormai pienamente post-industriale, consentono di porre in una prospettiva diversa il problema e di assumere una nuova ottica, partendo dal riconoscimento della complessità dei processi territoriali in corso e della ricchezza delle risorse e dei valori delle aree montane. La fase attuale vede infatti, in modo esteso, fenomeni contradditori di concentrazione e di diffusione, di conservazione del ruolo della produzione di beni materiali e di incremento enorme del peso dei beni e dei servizi immateriali.
Gli esiti di questi cambiamenti li vediamo tutti i giorni nella forma del territorio metropolitano e siamo ormai abituati a misurare le distanze in ore di percorrenza, più che in chilometri, alla mobilità quotidiana dai luoghi di residenza a quelli del lavoro, del commercio e dello svago, a utilizzare beni prodotti nei quattro angoli del mondo.
I processi di contrazione demografica e di crescita hanno interessato in modo variegato anche le aree di pianura e i centri urbani con cicli di crescita, di suburbanizzazione, di declino delle aree urbane centrali, di ricollocazione delle funzioni produttive. (…). La differenza è che nei contesti urbani appare ovvio promuovere grandi progetti di riqualificazione e di rigenerazione urbana, sia dal punto di vista urbanistico che da quello economico-sociale. (Ivi, p. 10).
Per contro, uno sguardo attento ai territori di montagna evidenzia come non manchino certo casi importanti di sviluppo, di innovazione, di crescita. (…).
La prospettiva per la montagna non è certo quindi quella della conservazione, ma quella di una nuova progettualità, tenendo conto della ricchezza dei materiali e delle conoscenze a disposizione. Il compito tuttavia è impegnativo, in quanto si deve elaborare una visione attorno alla quale costruire un ampio consenso, tradurre le intenzioni in azioni, aggiornare regole giuridiche e procedure amministrative. Non si deve partire da zero, però, in questo percorso. (…).
Il caso del Trentino, in particolare, appare di grande rilievo. Qui, a partire dagli anni ’60 del ’900 è stato costruito un percorso di modernizzazione basato su alcuni principi eterodossi, in particolare il rifiuto della concentrazione urbana e della industrializzazione come uniche prospettive di crescita economica e di riscatto sociale. (Ivi, p. 11)
Lo sguardo contemporaneo sulla montagna può quindi partire dalla consapevolezza che si possono tracciare percorsi diversi da quelli dell’abbandono, purché si sappiano distinguere i problemi e i vincoli dalle risorse e dalle opportunità. Del resto, è ormai senso comune collocare nell’elenco dei valori collettivi la qualità dell’ambiente, la biodiversità, la molteplicità delle produzioni agricole, la varietà delle forme insediative e del patrimonio storico-culturale, così come diamo per scontato che siano risorse i panorami alpini, i sentieri di montagna, le vette dolomitiche, la neve e il freddo dell’inverno che consentono di praticare gli sport invernali.
Non si tratta, però di assegnare alla montagna il compito di riserva di valori naturali e sociali per compensare il degrado inevitabile dei contesti urbani. Come afferma Paolo Pombeni, non possiamo pensare alla montagna come ad un “Arcadia”, ma dobbiamo considerarla un “bene comune”. Ed è quello che viene affermato da documenti autorevoli, dalla Convenzione delle Alpi, al riconoscimento europeo di molte zone naturalistiche, alla individuazione delle Dolomiti quale “patrimonio dell’umanità” da parte dell’Unesco. (Ivi, p. 12).
Riconquistare un bagaglio prezioso di competenze e conoscenze creatosi nei secoli
Tali riconoscimenti comportano visibilità di parti importanti della montagna e assegnano alle comunità locali responsabilità di governo di beni di rilievo sovralocale. E questo riguarda un altro campo di risorse, quelle riguardanti le conoscenze e le competenze delle comunità di montagna. La vita in un territorio articolato e complesso ha non solo stimolato l’approfondimento delle condizioni di una natura straordinaria, ma ha richiesto l’elaborazione di una varietà di modelli insediativi che intrecciano capacità di adattamento alle condizioni del sito, tecniche agronomiche e costruttive appropriate, forme sociali ed economiche peculiari e, soprattutto, modelli amministrativi basati sull’autogoverno. Da questo quadro emerge il ruolo della cultura della responsabilità e della solidarietà. (Ivi, p. 12).
Lo spopolamento non dipende solo dall’ orografia ma anche dalle politiche pubbliche.
Lo spopolamento della montagna non è inesorabile… non dipende semplicemente dall’orografia, ma dipende dalle politiche, e precisamente dalle politiche pubbliche.
La montagna, territorio delle differenze e delle autonomie, può giocare un ruolo cruciale nella prospettiva di ripensamento del sistema di gestione dei beni comuni, dei servizi pubblici, delle attrezzature collettive, contribuendo a fornire risposte alla domanda estesa di nuove forme di governo dei territori e della cosa pubblica. La responsabilità locale da un lato e l’attivazione di reti di solidarietà e di cooperazione, dall’altro, appaiono le prospettive per consentire di integrare luoghi e persone, attività e sistemi economici, nodi e reti. I compiti si collocano quindi a livelli diversi e riguardano temi differenti. Sicuramente la formazione gioca un ruolo determinante. (Ivi, p. 13).
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Il 9 febbraio 2016, veniva presentato al Presidente del Senato, Pietro Grasso, il rapporto “La montagna perduta – come la pianura ha condizionato lo sviluppo umano”, ed egli così allora si esprimeva:
«Cari amici, gentili ospiti,
è per me un grande piacere ospitare in Senato la presentazione del Rapporto di ricerca:”La montagna perduta. Come la pianura ha condizionato lo sviluppo italiano”, occasione che ci permette oggi di riflettere insieme su una materia di straordinaria attualità non solo per l’Italia.
Ringrazio gli autori del rapporto e i relatori che a breve ci illustreranno i risultati di questa pubblicazione, frutto di una analisi puntuale e precisa che denota non solo una conoscenza approfondita della materia ma una nuova ed attuale consapevolezza che vuole restituire alla montagna un ruolo necessariamente primario e non più residuale.
Una nuova visone motivata non solo da ragioni ambientali ma anche da quell’insieme di valori che la montagna rappresenta, di affetti, di ricordi, di paesaggi, di storie. In una parola, si vuole e si deve preservare “l’anima” della montagna che il rapporto descrive in ogni suo aspetto.
La montagna svolge un ruolo fondamentale per la salute ecologica del mondo e il benessere delle persone, ma è stata a lungo abbandonata. L’avere trascurato questo habitat ha avuto ripercussioni non solo sulle comunità che vi abitano, ma sta avendo ricadute negative su molti aspetti del pianeta. Il territorio è estremamente fragile anche a causa degli effetti negativi dei cambiamenti climatici. Lo dimostrano i fenomeni sempre più frequenti di inondazioni, frane e valanghe. Le montagne si spopolano sempre di più in quanto molti sono costretti a migrare verso le città perché le opportunità diventano sempre più scarse e le risorse sono poco valorizzate. Le dimensioni demografiche dei comuni sono sempre più ridotte, l’età media della popolazione è cresciuta e alcune zone sono ormai da tempo abbandonate stante anche la mancanza di infrastrutture adeguate per le comunicazioni materiali, di carattere ferroviario e stradale. Ne sono un esempio, come si legge nel rapporto, le tante borgate completamente morte, che spesso si incontrano percorrendo le strade dei territori montani. Quale e quanta la ricchezza perduta!
Oggi bisogna attivarsi e recuperare questo immenso patrimonio e sensibilizzare sia le istituzioni sia la società civile ad un maggiore impegno per lo sviluppo sostenibile, in particolare nei confronti dei giovani in quanto saranno loro i futuri attori e fruitori dell’ecosistema mondiale. E’ sbagliato pensare alla montagna come ad un territorio a vocazione esclusivamente agricola o turistica perché anche nelle zone montane ci sono distretti produttivi e industriali molto importanti per l’economia del Paese. Ci sono risorse e opportunità da riconoscere e valorizzare nell’interesse dell’intero Paese e tra queste la montagna è certamente custode di risorse naturali, ambientali, paesaggistiche e culturali irripetibili. Queste risorse rappresentano senza dubbio un investimento per accrescere la competitività del Paese.
Si può ridurre l’impatto dei disastri ambientali approntando strategie di adattamento che riducano gli effetti negativi dei fenomeni naturali gestendo il territorio in modo più responsabile. Bisogna lavorare accanto alle comunità locali, dare loro maggiori strumenti, migliorare le loro condizioni di vita. Occorre fornire alle popolazioni montane il sostegno e i mezzi finanziari.
La montagna è un nodo strategico dell’economia verde e una risorsa su cui puntare per lo sviluppo del sistema paese. In una società che vede avanzare sempre di più una crisi idrica ed energetica, la tutela dell’ecosistema montano deve essere rispettata con adeguate politiche pubbliche che siano in grado di superare quelle condizioni di svantaggio che limitano quelle enormi e ancora non completamente sfruttate potenzialità. Grazie e buon lavoro».
(Presentazione del Rapporto “La montagna perduta – come la pianura ha condizionato lo sviluppo umano” Discorso pronunciato dal Presidente del Senato, Pietro Grasso, nella Sala Zuccari del Senato, 9 febbraio 2016, in: https://www.senato.it/4171?atto_presidente=394).
DISCUTIAMO ANCHE NOI DI QUESTI TEMI, DIVULGHIAMOLI E PORTIAMOLI NELLE SEDI DELLA PROGETTUALITÀ POLITICA PUBBLICA.
Laura Matelda Puppini
L’immagine che correda l’articolo è stata da me scattata negli anni novanta. Laura Matelda Puppini
https://www.nonsolocarnia.info/dalla-montagna-perduta-alla-montagna-risorsa/https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2016/03/per-elisabetta-MONTAGNA-IN-CARNIA-943.jpg?fit=1024%2C693&ssl=1https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2016/03/per-elisabetta-MONTAGNA-IN-CARNIA-943.jpg?resize=150%2C150&ssl=1ECONOMIA, SERVIZI, SANITÀQueste considerazioni sono tratte dallo studio del gruppo di lavoro del Trentino school Management e Centro Europa Ricerche composto da: Gianfranco Cerea, Stefano Fantacone, Petya Garalova, Mauro Marcantoni e Antonio Preiti, (a cura di Gianfranco Cerea e Mauro Marcantoni), intitolato: La montagna perduta. Come la pianura ha condizionato lo...Laura Matelda PuppiniLaura Matelda Puppinilauramatelda@libero.itAdministratorLaura Matelda Puppini, è nata ad Udine il 23 agosto 1951. Dopo aver frequentato il liceo scientifico statale a Tolmezzo, ove anche ora risiede, si è laureata, nel 1975, in filosofia presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Trieste con 110/110 e quindi ha acquisito, come privatista, la maturità magistrale. E’ coautrice di "AA.VV. La Carnia di Antonelli, Centro Editoriale Friulano, 1980", ed autrice di "Carnia: Analisi di alcuni aspetti demografici negli ultimi anni, in: La Carnia, quaderno di pianificazione urbanistica ed architettonica del territorio alpino, Del Bianco 1975", di "Cooperare per vivere, Vittorio Cella e le cooperative carniche, 1906- 1938, Gli Ultimi, 1988", ha curato l’archivio Vittorio Molinari pubblicando" Vittorio Molinari, commerciante, tolmezzino, fotografo, Gli Ultimi, Cjargne culture, 2007", ha curato "Romano Marchetti, Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona, una vita in viaggio nel Novecento italiano, ed. ifsml, Kappa vu, ed, 2013" e pubblicato: “Rinaldo Cioni – Ciro Nigris: Caro amico ti scrivo… Il carteggio fra il direttore della miniera di Cludinico, personaggio di spicco della Divisione Osoppo Carnia, ed il Capo di Stato Maggiore della Divisione Garibaldi Carnia, 1944-1945, in Storia Contemporanea in Friuli, n.44, 2014". E' pure autrice di "O Gorizia tu sei maledetta … Noterelle su cosa comportò per la popolazione della Carnia, la prima guerra mondiale, detta “la grande guerra”", prima ed. online 2014, edizione cartacea riveduta, A. Moro ed., 2016. Inoltre ha scritto e pubblicato, assieme al fratello Marco, alcuni articoli sempre di argomento storico, ed altri da sola per il periodico Nort. Durante la sua esperienza lavorativa, si è interessata, come psicopedagogista, di problemi legati alla didattica nella scuola dell’infanzia e primaria, e ha svolto, pure, attività di promozione della lettura, e di divulgazione di argomenti di carattere storico presso l’isis F. Solari di Tolmezzo. Ha operato come educatrice presso il Villaggio del Fanciullo di Opicina (Ts) ed in ambito culturale come membro del gruppo “Gli Ultimi”. Ha studiato storia e metodologia della ricerca storica avendo come docenti: Paolo Cammarosano, Giovanni Miccoli, Teodoro Sala.Non solo Carnia
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