Desidero continuare in un prossimo articolo, l’elenco delle vittime del Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, ma voglio qui, in primo luogo, ricordare le migliaia e migliaia di senza nome, per lo più civili, che furono uccisi, torturati, vessati dal nostro esercito quando vi erano il fascio e la Repubblica di Salò, e dai fascisti al potere. E non si deve dimenticare che uomini di ogni arma ebbero l’occasione in Jugoslavia come in Grecia, mentre erano militari, seguendo gli ordini impartiti dai vertici, di commettere soprusi, anche se in Grecia si sa, pure da Marchetti ma non solo, che vi furono italiani che, schifati da quanto dovevano fare, passarono con la resistenza ellenica già ai tempi dell’invasione. (Romano Marchetti, (a cura di Laura Matelda Puppini) Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona. Una vita in viaggio nel ‘900 italiano, Ifsml Kappa Vu ed., 2013, p.  73 e nota 17, p. 77). Ma in genere certe operazioni pare siano state più facilmente affidate ai militi  della Mvsn e poi dell’ Rsi. 

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E, fra giornata della memoria e quella del ricordo, su cui ora non saprei cosa scrivere di nuovo, voglio rammentare le migliaia,  ma forse centinaia di migliaia di persone: uomini, donne, bambini, civili che morirono per mano italiana in epoca fascista e fino alla fine della seconda guerra mondiale, che furono ridotti alla fame ed alla sete ed in preda alle malattie, senza cure, le donne che furono stuprate, tantissime, dai nostri soldati, maniaci ‘della verga eretta’ e della donna oggetto, i torturati in vario modo e coloro che furono messi arbitrariamente al muro, spesso anziani, e che resteranno senza nome, in Etiopia, nella penisola jugoslava, in particolare in Montenegro, in Grecia, mentre il genocidio palestinese si compie a Gaza e dintorni, non visto dalla stampa e dalla politica nazionale che pare quasi, così, approvi l’operato attuale ebraico, che non deve però far dimenticare quanto fecero non solo i nazisti ma anche i fascisti agli ebrei, che avrebbe dovuto restare di monito, anche per gli israeliani di oggi, a non comportarsi come i loro carnefici di un tempo. E ben 6806, dato che potrebbe essere in difetto a causa di soggetti catturati ma senza un nome reperito, furono gli ebrei che vivevano in Italia e furono, allora, arrestati e deportati. (Statistica generale degli ebrei vittime della Shoah in Italia, 1943-1945 – CDEC – Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea).

Inoltre molti antifascisti subirono, nel ventennio, soprusi da parte delle squadracce fasciste, torture, umiliazioni, distruzione dei beni, perdita del lavoro, l’affamare la famiglia fino alla morte. E ricordo che i sette fratelli Cervi non vennero condannati alla pena capitale da alcun Tribunale Speciale, ma semplicemente messi al muro dopo esser stati riempiti di botte dai fascisti locali, forse anche invidiosi della bella tenuta di padre Alcide, che perse con loro pure le loro braccia che portavano avanti il lavoro. Ma ai maschi si sostituirono le donne che continuarono, contro tutti, a coadiuvare il capofamiglia. E Lojze Bratuž fu catturato da fascisti e costretto a bere una mistura con olio di ricino e per macchina per aver diretto, in periodo natalizio, un coro di bambini che cantava canzoni tradizionali slovene, morendo fra atroci dolori. Ma sono solo due casi, quando potrebbero essere molti di più e soprattutto nelle zone poi dette dell’Africa Orientale Italiana, in Grecia, penisola jugoslava e chissà dove.  E sui crimini italiani ai tempi del fascismo vi consiglio nuovamente la visione del film “Fascist legacy”, in 5 parti su https://www.youtube.com/playlist?list=PL66270801F378C15F

Ma centinaia sono stati i casi, di cui si sa, di persone vessate, picchiate, ridotte alla fame, spedite al confino, dal fascismo. Solo in Carnia sono noti il caso di Romano Lepre, gestore della filiale della Cooperativa Carnica di consumo che, in quanto antifascista, non solo riceveva la visita periodica del maresciallo dei carabinieri, ma venne richiamato alle armi con arruolamento immediato ben lontano da casa, pur essendo non più giovane e non in salute, decisione sospesa all’ultimo momento solo perché sarebbe mancato il gestore della filiale della cooperativa alimentare del paese, il che avrebbe, presumo, creato ai fascisti più nemici che altro, ma che poi fu catturato dopo l’8 settembre 1943, e in cattive condizioni di salute, evitò di esser deportato in Germania grazie all’ intervento, pare, di Rinaldo Cioni.  (Romano Marchetti, op. cit., scheda alle pp. 397-398). E non mancarono in Carnia e Friuli le distruzioni di mobili ed i furti da parte di picchiatori fascisti a più famiglie fra cui ricordo quelle di Antonio De Cecco, socialista (Ivi, nota 17, p. 48), dello zio di Romano Marchetti Mario Agnoli poi suicida ad Udine (Ivi, nota 45, p. 25), della famiglia di Albino Venier a Zuglio (Albino, Luigi, Teresina Venier, Una famiglia unita nel turbine della guerra, Aviani Aviani ed., 2013, pp. 152-154), le case di antifascisti e partigiani bruciate in vari paesi, Forni di Sotto dato interamente alla fiamme. 

Ma per inciso non possiamo dimenticare però che carnici, d’ altro lato, erano sia il console della Milizia fascista Alberto Liuzzi, di famiglia ebraica e figlio del medico di Arta Terme, che perquisì pure la casa di Osvaldo Fabian (Ivi, scheda in nota 19, p. 48), sia Leopoldo Radina Dereatti, il primo responsabile, già nel 1923, dei gruppi fascisti carnici e, dopo la fine della guerra, segnalato dalla Commissione provinciale per le sanzioni a carico dei fascisti politicamente pericolosi con fascicolo personale relativo ai procedimenti per la sospensione dei diritti elettorali attivi e passivi 1945-1946 con il numero progressivo 483, (Archivio di Stato di Udine), ma poi rimasto tranquillamente al suo posto e diventato quasi un benemerito; e molti altri di cui abbiamo perso o dimenticato i nomi e le vicende, anche perché, presumibilmente, molti documenti vennero dati alle fiamme, distrutti in qualche modo. Infatti mi chiedo dove siano andati a finire tutti quelli relativi al ventennio  fascista della Carnia. E credo che non solo il carnico Osvaldo detto Aldo Fabian di Prato Carnico sia stato spedito dal Tribunale Speciale a Ponza, privando la famiglia del sostentamento che dava. (Ivi, scheda alle pp. 392- 393).

Ma, dopo questa ampia presentazione con note anche locali, vorrei riprendere ciò che narrano “Fascist legacy” ed altre fonti sulla politica del terrore imposto come mezzo per governare dal fascismo, e che fece una enorme marea di morti ammazzati, di torturati, di villaggi dati alle fiamme, di spenti uccisi dalla fame e dalla sete e via dicendo. E scusate se mi ripeto. 

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Cosa facemmo, come italiani, in Abissinia, ora Etiopia. 

In “Fascist Legacy”, documentario documentatissimo, si parla della carneficina degli etiopi per conquistare ed annettere la loro terra, definita “spaventosa”, e portata avanti con bombardamenti indiscriminati, gas tossici e iprite, contro una popolazione completamente impossibilitata a difendersi. Inoltre Angelo Del Boca parla della riconquista della Libia ad opera delle truppe guidate da Rodolfo Graziani, quello a cui poi, menti poco accorte e di ben scarsa cultura hanno dedicato un mausoleo ad Affile, che fu condotta con «durezza inaudita, soprattutto nella fase finale in Cirenaica, dove decimò e deportò intere popolazioni, per togliere alla ribellione ogni sostegno». (Ivi, parte 1).  Ma Graziani si comportò anche sul fronte sud dell’Etiopia «con la stessa spietatezza. Fu il primo generale ad impiegare, sistematicamente, i gas asfissianti e vescicanti». (Ibidem). E vennero anche fatte azioni militari, nel dicembre 1935, sempre dai nostri soldati italianissimi, contro 5 ospedali da campo della Croce Rossa Internazionale, considerata la responsabile della circolazione delle informazioni all’estero sull’uso da parte italiana di gas venefici. (Ibidem). E, dato che si trovava accanto al luogo dove le informazioni davano il ras dell’Abissinia, Graziani dette comunque l’ordine di colpire a volontà una zona, anche se poteva andarne di mezzo un ospedale da campo svedese, come accadde puntualmente, facendo, ivi, 29 morti e 50 feriti. Tanto chi se ne importa …Ma pare talvolta che la storia si ripeta ma con altri attori e mezzi militari. Ed il riferimento a quanto sta avvenendo a Gaza ed al popolo palestinese per mano ebraica mi pare calzante. Ma se erro correggetemi.

Poi la strage, iniziata il 19 febbraio 1937, a cui ho già accennato, causata dall’attentato a Graziani, di cui resta una chiara e precisa descrizione da parte di un medico ungherese, Ladislav Sava, che si trovava lì, di quanto accadde nel cortile del palazzo, dove vennero uccisi mendicanti, vecchi, poveracci, donne con bimbi, che nulla avevano avuto a che fare con l’attentato, e dei giorni seguenti, quando gli italiani compirono pure esecuzioni di massa. Infine vennero fucilati, per ordine di Graziani, 449 monaci conventuali a Debra Libanos, perché non potessero dare ospitalità a possibili partigiani locali, oltre migliaia di cantastorie ed indovini colpevoli di aver predetto la fine della dominazione italiana. Forse tra la conquista dell’Etiopia e la dominazione italica le vittime facenti parte della popolazione locale furono più di centomila. E ci furono italiani che si fecero fotografare con le teste mozzate degli uccisi in mano come un trofeo di caccia. (Fascist legacy parte 2 e Massacro di Debra Libanòs – Wikipedia). Alla fine della guerra i primi ad esser accusati di queste stragi furono Badoglio e Graziani, che non furono però mai processati, oltre ad altre centinaia di italiani, pure loro lasciati liberi.

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I fascisti nella Jugoslavia invasa dall’Italia ed occupata nel 1941.

Nell’aprile 1941, le forze dell’Asse invasero il Regno di Jugoslavia, sottomettendolo, e si spartirono la penisola e le isole. I nazisti si presero il nord est del paese, mentre all’ Italia toccarono alcune aree a sud ovest, ed il Montenegro, ove una parte della costa fu unita di fatto all’ Italia, che aumentò, pure ad est i suoi confini, annettendo la provincia di Lubiana. In queste terre, chi si opponeva alla italianizzazione sociale veniva deportato, spostato, ed intere famiglie lo furono, e vennero sostituite da famiglie italiane. Infatti si voleva fascistizzare ed italianizzare la popolazione tutta. E per rendersi conto di cosa fecero gli italiani in Jugoslavia, basta leggere il libro di Teodoro Sala, Il fascismo italiano e gli Slavi del sud, ed. IRSML, 2008, che riporta i documenti con gli ordini ed i proclami del generale Mario Roatta, a cui fu affidato il governo di quei territori, che creò una serie di campi di internamento per migliaia di jugoslavi ritenuti un pericolo per l’Italia. Egli agì in modo tale da esser definito dai suoi stessi uomini “la bestia nera”. (Fascist legacy parte 2). Anche lui nel dopoguerra non fu mai processato, pur avendo firmato la circolare 3C che permetteva di giustiziare gli ostaggi, di deportare famiglie intere, di distruggere case, fattorie, bestiame.

E le truppe di occupazione italiana compivano ogni giorno rastrellamenti, narra Giacomo Scotti, con arresti indiscriminati e saccheggi. (Ivi). Ma ad azioni partigiane di attacco a infrastrutture viarie, ponti o a gruppi di militari italiani, la risposta era più dura e gruppi di militari italiani procedevano a rastrellamenti feroci radendo al suolo villaggi e prendendo prigioniere tutte le persone che trovavano ed uccidendole anche sul posto o internandole in campi pure jugoslavi, ove i più noti sono quelli di Rab e Kampor. (Ivi).

Bambini ed anziani morivano dopo esser stati costretti a vivere in condizioni disumane, senza cibo, senza cure, senza vestiti, senza nulla di pulito, e tra gli escrementi ed il vomito. (Ivi, testimonianza).  E sono state accertate, dalla Commissione distrettuale per i crimini di guerra, migliaia di vittime nei 200 campi di internamento per jugoslavi. (Ibidem). Per quanto riguarda Ljubljana o Lubiana, poi, sulla cui situazione ho già parlato, essa fu circondata dagli italiani da filo spinato e trasformata così in un immenso campo di concentramento, da cui nessuno poteva uscire od entrare. Migliaia di persone vennero deportate nelle decine di campi di concentramento italiani, da Rab a Gonars, da Visco a Monigo, Renicci ed altri. E lì morirono migliaia di civili sloveni e croati, soprattutto bambini, donne e vecchi, senza colpa alcuna. Nel campo di Rab il tasso di mortalità medio risultò poi essere stato superiore a quello del campo di concentramento nazista di Buchenwald. (https://blog.triestelibera.one/archives/463. Per Lubiana cfr. anche Gemma Bigi, Lubiana la città circondata dalla memoria”, in: http://www.anpi.it/articoli/1069/lubiana-la-citta-circondata-dalla-memoria). E dei 360 mila abitanti di Lubiana ne furono internati 70.000 e fra loro gli intellettuali, gli studenti universitari, i professori. (Giacomo Scotti, Fascist legacy. Parte 4. Ma di studenti universitari internati a Gonars parla anche Vittoria Tempo in: Ricordo di Vittorio Tempo, ucciso dopo esser stato portato alla caserma Piave di Palmanova, e del campo di concentramento di Gonars, dalla voce di Vittoria Tempo Not. Per non dimenticare. Su: www.nonsolocarnia.info. Infatti, e questo lo dico io, i vari governi totalitari necessitano non di persone libere di pensare e colte, ma di manovalanza per lo più ignorante. E quello che fa più rabbrividire, è che i militari italiani erano quasi tutti cattolici.

Alla fine della seconda guerra mondiale, vennero ricercati circa 800 soldati italiani per crimini commessi in Jugoslavia fra cui pure Pirzio Biroli. Dovevano esser consegnati, secondo gli accordi, agli jugoslavi, ma non accadde nulla, da che so, tanto da parlare di una mancata Norimberga relativamente ai criminali italiani, da non scambiarsi, ora, per eroi.  Per quanto riguarda il generale Alessandro Pirzio Biroli, governatore italiano per il regno del Montenegro, egli fu l’autore della feroce repressione scoppiata ivi nel 1941, dopo l’invasione ed occupazione italiana e, nel gennaio 1942, ordinò che per ogni soldato ucciso o ufficiale ferito la rappresaglia avrebbe contemplato una proporzione di 50 ostaggi fucilati per ogni militare italiano e di 10 ostaggi fucilati per ogni sottufficiale o soldato ferito. Inoltre così diceva alle truppe da lui dipendenti: «La favola del buon italiano deve cessare […] per ogni camerata caduto paghino con la vita 10 ribelli. Non fidatevi di chi vi circonda. Ricordatevi che il nemico è ovunque; il passante che vi saluta, la donna che avvicinate, l’oste che vi vende il bicchiere di vino […] ricordatevi che è meglio essere temuti che disprezzati». (Alessandro Pirzio Biroli – Wikipedia). Ed ancora: ««Odiate questo popolo. Esso è quel medesimo popolo contro il quale abbiamo combattuto per secoli sulle sponde dell’Adriatico. Ammazzate, fucilate, incendiate e distruggete questo popolo.» (Ivi). 

Inoltre, sempre dagli italiani, vennero compiute stragi in Jugoslavia di cui quella più atroce a Podhum il 12 luglio 1942, atta a seminare il terrore per poter dominare. Ma accadde il contrario e cioè più gli italiani seminavano il terrore, più la resistenza aumentava, dando origine ad altre stragi per mano italica e dei collaborazionisti serbo croati, gli ustascia, guidati da Ante Pavelic. Una descrizione si presume realistica ma romanzata di come agissero gli slavi che collaboravano con gli occupanti si trova nel romanzo ‘Bora scura’ di Leandro Lucchetti, ed è agghiacciante. 

Inoltre gli italiani dettero ai cetnici, anche loro collaborazionisti, il dominio su intere zone meridionali del Montenegro, dopo un accordo con il governatore di quel territorio, Alessandro Pirzio Biroli. E furono ancora morti, stragi, torture. E termino questa parte con una testimonianza di Romano Marchetti, che ricorda, nelle sue memorie, come un suo giovane conoscente sloveno che era proprietario dell’osteria di Rakitenj, gli avesse narrato che «la ‘Banda Giunta’ prendeva i suoi connazionali e, nella caserma di Trieste, li trascinava legati per i coglioni». (Romano Marchetti, op. cit., p. 75).

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La Grecia invasa ed affamata e pure ‘stuprata’ sempre dagli italiani.

Infine come dimenticare quanto accaduto in Grecia, e quanto pagò quel popolo l’occupazione italiana a cui era fermamente contrario? (Per la volontà italiana di occupare la Grecia, cosa che riuscì solo con l’arrivo nazista, cfr. l’articolo semplice e chiaro Quando Atene disse “No” all’invasione italiana: la disastrosa campagna fascista di Grecia – il Dolomiti).    E Mattia Madonia nel suo: “Quando noi “italiani brava gente” bombardammo, torturammo e fucilammo i greci per occuparli”, in: https://thevision.com/cultura/occupazione-grecia-guerra/, ricorda che, dopo che Hitler aveva comandato i suoi di attaccare la Romania, anche per non essere da meno, Mussolini attaccò la Grecia da solo, ma fu un fiasco totale, ed incontrò la ferrea resistenza del popolo greco, anche se allora era guidato da una dittatura.

«Senza una preparazione adeguata e potendo contare soltanto sulle truppe stanziate in Albania, l’ingresso dell’Italia nel territorio ellenico, il 28 ottobre del 1938, presentò enormi difficoltà. La presunzione di poter ottenere una vittoria rapida si scontrò con la realtà di un esercito impreparato, che subì la resistenza della compagine greca, coadiuvata dall’aviazione inglese e che rimase impantanato al freddo nelle trincee. Mussolini reagì ordinando di bombardare e radere al suolo tutte le città con più di 10mila abitanti, esclusa Atene: “Occorre che l’aviazione faccia quello che non possono fare gli altri. Bisogna disorganizzare la vita civile della Grecia, seminando il panico ovunque”. I bombardamenti arrivarono, interi paesi furono spazzati via, eppure l’esercito italiano non riusciva ancora a sfondare. L’esercito greco cadde soltanto nell’aprile del 1941 e non sotto i colpi di quello italiano, ma perché intervenne la Germania». (Ivi).

«Fu questo il primo crimine degli italiani: l’esercito razziò interi villaggi sottraendo cibo e viveri agli abitanti. Esasperati perché impossibilitati a sopravvivere, tra i greci nacquero i primi moti di ribellione contro gli invasori. Per evitare rappresaglie, il regime fascista firmò ordinanze che prevedevano arresti, fucilazioni e deportazione nei campi di concentramento per ribelli. Nikolaos Bavaris, al vertice della polizia di Elassona, scrisse una lettera indirizzata all’Italia e alla Croce Rossa internazionale: “Vi vantate di essere il Paese più civile d’Europa, ma crimini come questi sono commessi solo dai barbari”. Come risposta fu torturato e poi internato». (Ivi).

«Come documentato negli scritti dello storico Angelo Del Boca, il regime fascista non intendeva soltanto occupare il territorio ellenico, ma voleva trasformarne i tratti identitari attraverso la stessa fascistizzazione attuata in Etiopia e in altri Stati africani durante il periodo coloniale. Per farlo, era necessario portare il popolo alla miseria e controllarlo attraverso azioni di violenza che servissero d’esempio. Così partirono le operazioni di rastrellamento. Bisognava mantenere l’ordine per mezzo della repressione. I soldati italiani incendiarono interi villaggi e il destino dei civili veniva deciso sul momento in base alle loro caratteristiche: le donne venivano stuprate e poi reclutate nei bordelli per soddisfare gli ufficiali dell’esercito, gli uomini trovati con le armi venivano fucilati sul posto, gli altri, compresi i bambini, finivano nei campi di concentramento». (Ivi).

«La Grecia giunse presto a una condizione di povertà insostenibile. Mancavano i viveri, l’occupazione italiana supportata dall’esercito nazista impediva al popolo di vivere dignitosamente. Fu inevitabile la nascita di alcuni gruppi di contestatori, i partigiani greci che tentarono di combattere contro i soprusi del fascismo. I loro tentativi di ribellione finirono però nel sangue. Nel febbraio del 1943, in Tessaglia, un gruppo di partigiani locali attaccò dei soldati italiani. Nove di essi persero la vita, e la reazione del regime fu inaudita. Nel villaggio di Domenikon, luogo dell’azione dei partigiani, l’intera popolazione maschile tra i 14 e gli 80 anni fu prelevata e portata via sui furgoni, pur non avendo colpe e non essendo partigiana, mentre l’intero villaggio fu distrutto. Il destino dei prelevati era finire internati in un campo di concentramento, ma durante il tragitto giunsero degli ordini dall’alto: uccideteli tutti. Le 97 persone furono fatte scendere dal furgone nel pieno della notte e furono fucilate sul momento». (Ivi).

Non fu un caso isolato, gli eccidi avvennero anche in altre zone della Grecia con gli stessi metodi brutali, e sempre coinvolgendo i civili. La regola per mantenere l’ordine era semplice, e abbiamo la testimonianza di una circolare del generale Carlo Geloso che riporta: “Per annientare il movimento partigiano vanno annientate le comunità locali”. Alcune porzioni di territorio greco erano in mano a tedeschi e bulgari, ma la maggior parte era sotto il controllo dell’Italia, che quindi fu la principale responsabile di una politica che condannava principalmente i civili, come dimostrato dalle crisi vissute in quegli anni. La principale fu collegata al crollo delle importazioni alimentari e della produzione agricola, che causò carestie e l’aumento di malattie tra la popolazione. «Per comprendere la portata delle angherie ai danni del popolo greco, basta ricordare che più di metà delle morti registrate dalla Grecia durante la seconda guerra mondiale, cioè oltre 360mila, non avvennero nei campi di battaglia, ma furono causate da malnutrizione, eccessiva povertà e da tutte le altre conseguenze di un’oppressione che portò il popolo allo sfinimento». (Ivi). Infine, una volta terminata la guerra, scrive sempre Mattia Madonia, «la Grecia denunciò alle autorità internazionali decine di ufficiali italiani che furono indicati come criminali di guerra. Come avvenne anche per altri crimini sotto il fascismo, i colpevoli furono in larga parte coperti. L’assenza di una Norimberga italiana è un peso tutt’ora inspiegabile». (Ivi).

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Fascisti in Alto Adige.

Ed è ancora da studiare cosa accadde in Alto Adige, dove, come ho già scritto, si sa che venne distrutto il contesto sociale cooperativo, vennero condotte alla miseria famiglie di oppositori al fascismo o presunti tali, furono occupati il Municipio e la scuola dedicata ad Elisabetta II a Bolzano, e gli squadristi, dopo aver distrutto e fatto i comodi loro, costrinsero la popolazione locale a dar loro cibo e bevande, privandosene. (Giorgio Alberto Chiurco, Storia della Rivoluzione fascista, Vallecchi ed., 1929, vol. IV, pp. 399-400). Ma questa storia è ancora da scrivere per la maggior parte.

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L’invasione della Russia e la strenua resistenza di Leningrado.

Nel 1941 al fianco dei nazisti noi italiani andammo pure ad invadere la Russia, sempre sull’ onda del pensiero imperialistico ed anticomunista che aveva preso piede in Italia come nel Terzo Reich che però ambiva pure alle fertili pianure nella zona sud dell’Urss. Milioni furono i russi fra militari e civili che persero la vita anche per causa nostra, e la situazione durante l’assedio di Leningrado, città di 3 milioni di abitanti che resistette fino allo stremo ai nazifascisti, comportò una perdita enorme in vite umane per fame e sete, e la cui situazione allora è rappresentata benissimo, con tutto il suo bagaglio di orrore, nel museo ‘Memorial’ di Caen in Francia, dedicato alla seconda guerra mondiale. E sicuramente detto assedio fece 1 milione di morti fra i civili. La resistenza del popolo russo a Leningrado è stata definita da Mikhail Gorbachev come una delle pagine più drammatiche, dolorose e più eroiche, oltre che più terribili, della guerra patriottica russa in difesa della propria terra. (Grandi battaglie. L’assedio di Leningrado. Rai Storia. Bing Video).  Ma certamente per quanto riguarda l’invasione dell’ URSS non possiamo solo contare le vittime dell’ orrore creato dagli invasori nell’ attuale San Pietroburgo, la città più importante dopo Mosca, la capitale.  

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Non potremo mai contare del tutto le vittime di questo orrore tutto italiano, che non avranno ormai più giustizia, ma almeno meritano un ricordo. 

È molto difficile, praticamente impossibile, calcolare il numero esatto delle vittime civili per mano italiana nel ventennio, né so se ce ne furono anche ai tempi dell’ invasione della Francia, nel 1940, perché morti furono sepolti in fosse comuni, ma vi è chi ipotizza che furono centinaia di migliaia e spesso senza nome. Ricordiamo anche loro, i grandi davvero dimenticati dalla storia in particolare italiana, che pare abbia, alla fine della seconda guerra mondiale, nascosto tutto sotto il tappeto. Eppure dove invademmo, i veri patrioti, per dirla alla Marchetti, erano coloro che si difendevano da noi. E non dobbiamo dimenticarlo. Tutti questi dimenticati davvero, meriterebbero una giornata nazionale che li ricordasse. 

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ORRORE, TERRORE, STERMINI, PREVARICAZIONI, INVASIONI DI TERRITORI ALTRUI ED ANNESSIONI DEGLI STESSI CARATTERIZZARONO L’ITALIA FASCISTA FACENDO CENTINAIA DI MIGLIAIA DI MORTI, I PIÙ RIMASTI SENZA NOME, POVERA GENTE, CIVILI PER LO PIÙ, CHE NULLA AVEVA FATTO, E QUESTO PER ORDINE DI MUSSOLINI. RICORDIAMOLO QUANDO SI PROIETTA UNA FICTION CHE PORTA IL SUO NOME E VOLTO SUGLI SCHERMI E SU INTERNET, DOPO LIBRI SU LIBRI A LUI DEDICATI, MA ANCHE QUANDO SI STRAVOLGE LA STORIA PER PORRE GLI ITALIANI ‘BRAVA GENTE’ PER DIRLA CON ANGELO DEL BOCA, QUALI VITTIME SACRIFICALI DI SLAVI E SLOVENI, CHE PERO’ GIUNSERO A TRIESTE E GORIZIA, PARE, PER ARRESTARE ALCUNI COLPEVOLI DI AVER ORDINATO NEFANDEZZE, DI CUI AVEVANO CUSTODITO I NOMI, DIMENTICANDO QUANTO NOI ITALIANI SIAMO RIMASTI CARNEFICI IMPUNITI.

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E invito chi non mi credesse relativamente al guidare, da parte fascista,  anche l’Italia con la paura, a ricordare che la popolazione italiana che non era fascistissima, nazista o spiona visse in quei periodi nel terrore, tanto che mio nonno Emidio invitava me e mio zio Umberto, anche quando ero ragazza negli anni sessanta, a non parlare mai vicino alle finestre che davano sulla strada, a voce alta. Indovinate voi perché.

Attendo vostri commenti, senza insulti gratuiti, altrimenti li cestinerò io, se non lo farà il sito. La storia è storia, non è opinione politica, come pare stia diventando oggi in Italia e deve esser conosciuta in ogni sia sfaccettatura.  Ci sono fotografie dei morti ammazzati dagli italiani, ma non che rendano tutto l’orrore di cosa facemmo. Per questo pongo solo come accompagnamento a questo testo una della strage etiope ai tempi dell’attentato a Graziani, tratta da: Strage di Addis Abeba – Wikipedia. Autore ignoto. 

Laura Matelda Puppini 

 

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