L’ascesa del fascismo e il contrasto alla corruzione ed alle violenze da parte di Giacomo Matteotti a cui molte vie e piazze sono dedicate, ma che pochi sanno chi sia stato.
L’inizio del fascismo con la Creazione del fasci di combattimento.
Correva l’anno 1919, ed era il 23 marzo a Milano, quando l’ex- socialista e maestro elementare Benito Mussolini fondava i fasci di combattimento, nella sala riunioni del Circolo dell’alleanza industriale. «Tra i fondatori troviamo persone di diversa estrazione sociale ed orientamento politico» e tra i primi aderenti ci furono anche cinque ebrei. (1).
Benito Mussolini prevedeva per i Fasci l’attuazione di uno specifico programma detto di San Sepolcro (dal nome della piazza in cui fu proclamato). I primi appartenenti ai Fasci si chiamarono appunto sansepolcristi, e si fregiavano di una fascia giallorossa. Gli squadristi semplici invece erano riconoscibili da una striscia rossa al polso della camicia nera. I locali della prima sede a Milano furono affittati dall’Associazione lombarda degli industriali presieduta da Cesare Goldmann, un industriale massone ed ebreo. La sede era ornata con i simboli degli Arditi che sarebbero divenuti comuni nell’iconografia fascista, come il pugnale, il gagliardetto degli arditi e il teschio. Il simbolo dell’organizzazione era il fascio littorio, che si rifaceva alla storia romana, così come molti altri segni del futuro regime. (2).
Ma qual era il programma della nuova organizzazione Mussoliniana? Sostenere le associazioni combattentistiche; opporsi all’ imperialismo degli altri popoli; portare all’Italia Fiume e la Dalmazia; sabotare con ogni mezzo le candidature dei neutralisti; creare una costituente nazionale come sezione di quella internazionale, abolire il Senato; volgere ad una Repubblica italiana con autonomia comunale e regionale, introdurre il suffragio universale per ambo i sessi. (3). Insomma nessuno poteva pensare che gli aderenti ai fasci di combattimento sposassero la non violenza, ed essi mostrarono subito il loro vero volto ed il loro progetto: annientare in ogni modo i socialisti ed i popolari bastonando, uccidendo, occupando, devastando.
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Milano 15 aprile 1919. L’assalto fascista alla sede dell’ ‘ Avanti’.
L’inizio di questa attività di pestaggio e distruzione delle organizzazioni operaie e contadine iniziò a Milano con la distruzione della sede dell’’Avanti’ il 15 aprile 1919. In quei giorni era stato proclamato uno sciopero generale con comizio socialista, ed erano già avvenuti scontri fra polizia e dimostranti in cui erano rimasti uccisi 13 degli stessi. Ad un certo punto un gruppo di fascisti, futuristi e studenti fiancheggiatori degli arditi mussoliniani attaccò la sede dell’‘Avanti’, la invase, la devastò e la incendiò, mostrando il vero volto delle squadracce fasciste. (4).
La scusa con cui dal 1919 in poi i fasci di combattimento distrussero, incendiarono, torturarono, umiliarono, uccisero, occuparono città e territori era quella di fermare l’idra il bolscevismo, che Mussolini definiva “la bestia ritornante”, creando un nemico propagandistico ma ben poco reale, quando i socialisti avevano già nell’esercito, nelle forze dell’ordine e nella magistratura istituzioni non certo neutrali nei loro confronti, ma che invece consegnarono allo squadrismo fascista le masse di lavoratori poverissimi. Ed allora «la scelta della violenza armata fu proposta come la strada obbligata della “sana” reazione al pericolo comunista» (5) ma come scrive Fabio Fabbri, tale «auto- rappresentazione del fascismo come diga “ecumenica” contro l’avvento dei Soviet e della dittatura proletaria ‘ è falsa» (6). Infatti contadini ed operai non miravano al potere assoluto ma a migliori condizioni di vita e lavoro per sé e le proprie famiglie, e non a caso Adrian Lyttelton ha sottolineato come «La violenza fascista fu prevalentemente una risposta alle forme più moderne di organizzazione del lavoro» (7) rammentando come a fine agosto 1920 «la disfatta dell’esercito rosso davanti a Varsavia aveva già segnato il riflusso dell’ondata rivoluzionaria nell’intera Europa» (8) e l’Urss, da che so, iniziava a soffrire per una gravissima carestia che avrebbe impegnato davvero ‘Soccorso Rosso’.
Inoltre Salvemini ha sottolineato pure come «i ‘bolscevichi’ non devastarono neppure una volta l’ufficio di una associazione degli industriali […] non bruciarono neppure una tipografia di un giornale; non saccheggiarono mai una sola casa di un avversario politico. Tali atti di “eroismo” furono introdotti nella vita italiana dagli ‘antibolscevichi’». (9). E non stupisce che in Italia una lettura fuorviante del pericolo rosso, come ancora esistente, introdotta con forza nel mondo politico in particolare da Silvio Berlusconi a fini elettorali, quando il socialismo era da tempo defunto come ideologia, abbia avuto presa su di una popolazione intrisa di ciò che aveva narrato anche la chiesa, che si lasciava trascinare, come anche ora, dalla propaganda e non sapeva riconoscere i propri interessi confondendoli con quelli degli imprenditori. (10).
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Sul biennio rosso ma soprattutto nero, e sulle prime elezioni del dopoguerra.
Ma ritorniamo ai fasci di combattimento, che avevano alla loro base la lotta violenta, l’annientamento dell’avversario e di qualsiasi pacifismo, che vennero creati a ridosso del cosiddetto biennio rosso che potremmo definire, riprendendo questo concetto anche da studiosi del periodo, come ‘biennio rosso – nero’ (11). Allora la realtà della sinistra, all’indomani della prima guerra mondiale, con la popolazione alla fame ed il sogno della Russia nel cuore di alcuni, si presentava composita, ed il socialismo era diviso ancora tra riformisti e massimalisti e incideva a livello produttivo, grazie alla rete cooperativa rossa, a cui si associarono, poi, le leghe bianche. Ma dopo la nascita dei fasci di combattimento, che devastarono città e campagne, il Partito Socialista Italiano, nel congresso di Bologna tenutosi dal 5 al,’8 ottobre 1919, sposava la linea massimalista, forse anche come risposta alla crescente influenza dei fasci mussoliniani, e sosteneva la proposta di adesione alla Terza Internazionale, mettendo in minoranza la linea riformista di Turati e Treves.
E si giungeva così alle elezioni politiche del novembre 1919, dove persino gli esiti della Commissione su Caporetto, che metteva in luce gli errori ed i problemi creati dai generali ai vertici della Esercito Italiano, veniva nascosta agli italiani per non portarli in massa verso il Partito Socialista Italiano. Inoltre furono le prime elezioni in cui potevano votare di tutti i cittadini maschi maggiorenni (analfabeti inclusi) e, tra i minori, tutti coloro che avevano combattuto in guerra, e furono le prime elezioni in Italia che seguirono il metodo proporzionale, introdotto con la legge n. 1401 del 15 agosto 1919. E queste elezioni sancirono, come si prevedeva, l’affermazione del Partito Socialista Italiano e del neonato Partito Popolare di don Sturzo, creando una situazione nuova rispetto alla pregressa che si muoveva, in modo altalenante, fra la destra e la sinistra liberale.
Così nel 1919, il Partito Socialista Italiano ottenne 156 seggi, il Partito Popolare 100, le liste (unite) di liberali, democratici e radicali 96, il Partito Democratico (sorto nel 1913 e di ispirazione socio – liberale) 60, l’Unione Liberale 41, il Partito dei Combattenti 20, il Partito radicale 12. Il Partito economico, creato da commercianti ed industriali torinesi in funzione antisocialista ottenne 7 seggi, il Partito Socialista Riformista assieme all’ Unione Socialista ne ottenne 6, Radicali, repubblicani, socialisti e combattenti 3, il Partito Repubblicano 4. (12).
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Nell’ottobre – novembre 1920 si tennero le prime elezioni amministrative del dopoguerra, con il sistema maggioritario, che interessarono tutti i comuni e le province del vecchio territorio nazionale, vinte per lo più dai partiti della sinistra e dai popolari.
Seguirono, nel maggio 1921 nuove elezioni politiche, che videro il presentarsi di un blocco nazionale (13) che comprendeva vari gruppi politici che si aggregarono ai liberali per tentare di fermare l’ascesa politica dei socialisti e che, di fatto, portò Benito Mussolini a diventare deputato. E In Italia nel maggio del 1921, alle nuove elezioni i Fasci di combattimento si presentarono forti del successo dello squadrismo nero, ricevendo, in tal modo, una sorta di legittimazione politica. Infatti ben 38 aderenti ai fasci di combattimento, tra cui Mussolini, furono eletti nelle liste del Blocco nazionale e iniziarono a sedere alla Camera come deputati. Nel frattempo, il 21 gennaio 1921, era stato creato a Livorno il Partito Comunista d’ Italia, mentre il Partito Nazionale Fascista fu fondato dopo le elezioni, e precisamente a Roma il 9 novembre 1921, nel corso del congresso dei Fasci di Combattimento, che vennero sciolti e sostituiti da un vero e proprio partito, che si preparò a marciare su Roma, mentre in precedenza i fascisti e loro simpatizzanti avevano marciato su Bologna e Ferrara, guidati da Italo Balbo, che aveva iniziato la sua carriera di guidatore di squadristi con le “spedizioni punitive”, a Porotto, San Biagio, Denore, ed altri centri (14), e che si ritiene sia stato il mandante dell’assassinio di don Minzoni, ucciso a suon di botte nel 1923.
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Dalle campagne i picchiatori fascisti passarono ad occupare le città della pianura padana ed infine marciarono su Roma senza mai essere fermati.
Nel biennio più nero che rosso, Balbo si distinse per la politica di occupazione delle città, dei centri della pianura padana, con ogni tipo di violenza e sopruso. Creato il Partito, «la primavera-estate del 1922 rappresentò un momento fondamentale nella presa del potere fascista: dopo anni di incursioni e spedizioni nelle campagne, lo squadrismo si mosse verso i grandi centri urbani sfruttando il diffuso appoggio di classi dirigenti e autorità. Fu nelle capillari violenze del maggio ‘22, […] che si inserirono alcuni episodi particolarmente significativi nel cammino verso la “rivoluzione” dell’ottobre di quello stesso anno». (15). L’occupazione delle città socialiste da masse di disoccupati che abitavano le campagne, guidati da Balbo, che compirono nefandezze di ogni genere inizia da Ferrara, la città natale del ras, sconvolgendola, seguita poi da “grosse spedizioni armate contro Bologna, Parma, Rovigo, Ravenna, Venezia, Modena, ove i fascisti ed i lor seguaci seminarono il terrore, senza essere, incredibilmente, fermati dalle forze dell’ordine. (16). Ma giustamente Mirco Carattieri si sofferma ampiamente sull’Emilia come culla sia del socialismo sia del crumiraggio agrario prima, del fascismo poi, sostenuto dai grandi proprietari terrieri come deterrente ai grandi scioperi ed in funzione antisocialista e in particolare contro le rivendicazioni dei braccianti. (17). E, come scrive Giulia Albanese, dal 1920 al 1922, l’azione capillare violentissima fascista permise alle classi dirigenti del paese di riprendere nelle loro mani la bilancia economica, sociale e politica della Nazione. (18).
E, preceduta da questo clima di violenza armata contro tutta una parte di popolazione che cercava di migliorare le proprie condizioni di vita, all’ indomani di una guerra disastrosa, avvenne la marcia su Roma, i cui esiti, sino in fondo, non furono chiari neppure a Mussolini stesso, che rimase ancorato al suo ufficio di Milano, in attesa della chiamata a Roma da parte del Re che, incredibilmente, si piegò ai voleri dei fascisti e nominò Mussolini Presidente del Consiglio dei Ministri illegalmente, lasciando pure sfilare i fascisti come un esercito vittorioso. Ed al tempo stesso non si può negare «la scarsa considerazione per questo evento politico (che) attraversò gran parte dell’arco politico parlamentare italiano, dai liberali ai socialisti». (19). E dato che esisteva, tra l’altro, un governo legittimo, questo si configurò come un vero e proprio colpo di Stato.
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E così Giulia Albanese riassume il periodo seguente: «Nei mesi successivi alla marcia, il fascismo mise in discussione il quadro dei diritti civili e politici degli italiani, anche dal punto di vista formale e operò trasformazioni profonde delle istituzioni del paese». (20). E Mussolini subito dopo aver raggiunto il potere, il 1° febbraio 1923 creò un proprio corpo armato personale la Milizia Volontaria di Sicurezza Nazionale (Mvsn), ove fece confluire tutto il vecchio squadrismo.
Nel 1923, con Mussolini ed il Partito Nazionale Fascista di fatto al governo, vennero rinnovati i consigli comunali e provinciali falcidiati dalle violenze dei picchiatori fascisti o commissariati da prefetti filofascisti, seguendo ancora una volta il sistema maggioritario che poneva due blocchi in antitesi quello formato da popolari liberali e fascisti, e quello che univa socialisti e comunisti. Il successo della destra, e in molte realtà principalmente dei fascisti, fu universale. (21).
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La legge ‘Acerbo’ e le elezioni politiche del 1924, che ebbero luogo in un clima di terrore e soprusi.
L’Italia si avviava verso le elezioni politiche del 1924, con un Partito Nazionale Fascista fortissimo e un movimento socialista falcidiato da botte, incendi devastazioni ed uccisioni, ed avvennero in un clima di paura e terrore, mentre veniva approvata una legge per la censura alla stampa che avrebbe poi portato al giornale unico Il popolo d’ Italia. Ma vi sono anche in questo caso alcune affinità con la stampa italiana attuale che si è adeguata ad un racconto per le folle, almeno così pare, politicamente connotato, a narrazioni predominanti, non solo ora, relativamente al Presidente del Consiglio in ogni salsa, si fa per dire, ed a eventi di facciata. Leggere La Patria del Friuli in quegli anni per capire cosa sto dicendo. Ma se erro correggetemi.
Poi, all’indomani della marcia su Roma, venne modificata la legge elettorale e dal proporzionale si ritornò ad un sistema maggioritario con ampio premio di maggioranza, a firma del fascista Giacomo Acerbo ma voluta da Bento Mussolini. (22). Cosa implicava questa nuova legge? Vediamolo insieme. «All’indomani della marcia su Roma, – si legge in: https://storia.camera.it/legislature/sistema-premio-maggioranza-1924 – fu varata una profonda revisione della legislazione elettorale, sfruttando le persistenti divisioni tra i partiti proporzionalisti ed i nostalgici del collegio uninominale. Al termine di un complesso iter parlamentare si giunse così all’approvazione della c.d. “legge Acerbo” (legge 18 novembre 1923, n. 2444), in seguito rifluita nel Testo Unico 13 dicembre 1923, n. 2694. La nuova legge elettorale conteneva due importanti innovazioni rispetto alla legge elettorale proporzionale in vigore dal 1919: la creazione di un collegio unico nazionale, diviso in sei circoscrizioni, e, soprattutto, l’attribuzione alla lista vincitrice di un di un assai cospicuo premio di maggioranza.
La nuova legge prevedeva in sostanza l’adozione del sistema maggioritario plurinominale all’interno di un collegio unico nazionale. […]. […] la lista vincitrice che avesse conseguito il 25% dei voti validi avrebbe ottenuto 2/3 dei 535 seggi; i residui 179 sarebbero stati divisi tra le altre liste, applicando, per ogni circoscrizione il sistema proporzionale secondo il metodo Hare o del quoziente. Nel caso in cui nessuna delle liste avesse superato il quorum del 25%, la ripartizione dei seggi sarebbe avvenuta su base proporzionale, secondo il metodo Hare.
L’elemento notevole, in questo ambito, era soprattutto la coincidenza tra il numero dei candidati ed il numero degli eletti della lista vincente. Si trattava sostanzialmente di un meccanismo di blocco, che enfatizzava il ruolo del vertice del Partito fascista a scapito di quello degli elettori.
Tra le innovazioni più rilevanti della legislazione elettorale del 1923 si segnala l’abbassamento dell’età per l’elettorato passivo alla Camera da 30 a 25 anni.
La “legge Acerbo” fu applicata nella sola tornata elettorale del 6 aprile del 1924, che segnò la decisiva affermazione delle liste del Partito Fascista (64,9% dei voti), grazie anche alla confluenza nella Lista Nazionale (c.d. “Listone”) promossa da Mussolini, di esponenti della Destra liberale e cattolica […]». (23). Queste righe fanno riflettere, perché ci indicano come il maggioritario porti più facilmente a forme di predominio assoluto di stampo oligarchico all’ interno del Parlamento.
Non solo la legge Acerbo (n. 2444 del 18 novembre 1923) fu approvata in un clima intimidatorio come dimostra il discorso di Filippo Turati, socialista riformista, tenuto il 15 luglio 1923: «Sotto l’intimidazione non si legifera; non si legifera tra i fucili spianati e con la minaccia incombente delle mitragliatrici […] Una legge, la cui approvazione vi è consigliata dai 300 mila moschetti dell’esercito di dio e del suo nuovo profeta, non può essere che la legge di tutte le paure e di tutte le viltà. Quindi non sarà mai una legge. Voi continuate a baloccarvi, signori del Governo, in quella quadratura del circolo che è l’abbinamento del consenso e della forza. Or questo è l’assurdo degli assurdi. O la forza o il consenso. Dovete scegliere. La forza non crea il consenso, il consenso non ha bisogno della forza, a vicenda le due cose si escludono.» (24).
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Poi, in un clima di terrore, denunciato successivamente da Giacomo Matteotti alla camera, e con una legge funzionale alla presa del potere assoluto da parte del Partito Nazionale Fascista, si svolsero sia la campagna elettorale che le elezioni politiche del 1924. «Il candidato socialista Antonio Piccinini fu ucciso, altri candidati di sinistra furono feriti, ovunque furono impediti i comizi, bruciati i giornali, impedita l’affissione dei manifesti, anche attaccando le stamperie, Vi furono brogli anche superiori alla media (alta) dell’Italia dell’epoca». (24). Inoltre sia la campagna elettorale che le elezioni furono segnate da un clima di intimidazione e da ripetute violenze da parte dei sostenitori del Partito Nazionale Fascista, denunciate nella seduta parlamentare del 30 maggio 1924 dal segretario del P.S.U. Giacomo Matteotti, che gli costò la vita.
Il discorso alla Camera di Giacomo Matteotti.
Il 30 maggio Matteotti prese la parola alla Camera dei deputati per contestare i risultati delle elezioni tenutesi il precedente 6 aprile. Mentre dai banchi fascisti si levavano contestazioni e rumori che lo interruppero più volte (un deputato fascista, Giacomo Suardo, abbandonò persino l’aula per protesta), Matteotti denunciò una nuova serie di comprovate violenze, illegalità e abusi commessi dai fascisti per riuscire a vincere le elezioni in un discorso che sarebbe rimasto famoso di cui riporto qui stralci ma leggibile in forma integrale come dattiloscritto all’ epoca, in: https://fondazionematteotti.altervista.org/wp-content/uploads/2015/01/Discorso-Matteotti-compressed.pdf.
Matteotti iniziava a parlare facendo presente che nessuno avrebbe potuto, in aula, ripetere i nomi dei nuovi eletti di cui egli ed altri avrebbero dovuto convalidare la nomina e neppure la stampa di fatto li conosceva. Inoltre egli diceva di opporsi a detta convalida in quanto la lista di cui facevano parte quei nomi non aveva ottenuto i voti attribuiti liberamente e, in sintesi, domandava di invalidare le elezioni in tutte le circoscrizioni in primo luogo in quanto il Governo aveva dichiarato anche agli organi di stampa che le elezioni non avevano che un valore assai relativo, in quanto il Governo stesso, in ogni caso, avrebbe mantenuto il potere con la forza, e questo era stato ripetuto dagli oratori fascisti in tutti i comizi.
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E continuava sostenendo che nessun elettore italiano si era trovato libero di decidere se approvare o meno la politica del governo o meglio del regime del Governo fascista. «Nessuno si è trovato libero, perché ciascun cittadino sapeva a priori che, se anche avesse osato affermare a maggioranza il contrario, c’era una forza a disposizione del Governo che avrebbe annullato il suo voto e il suo responso». (25). Dopo varie interruzioni e un invito del Presidente a attenersi all’argomento, cioè la convalida dei nomi dei nuovi deputati quasi tutti fascisti, Matteotti continuava dicendo che egli parlava di elezioni e quindi non era fuori tema. «Esiste una milizia armata… la quale ha questo fondamentale e dichiarato scopo: di sostenere un determinato Capo del Governo bene indicato e nominato nel Capo del fascismo […]». (26).
Ed ancora: «Vi è una milizia armata, composta di cittadini di un solo Partito, la quale ha il compito dichiarato di sostenere un determinato Governo con la forza, anche se ad esso il consenso mancasse. (E) mentre per la legge elettorale la milizia avrebbe dovuto astenersi, […] di fatto in tutta l’Italia specialmente rurale, abbiamo constatato in quei giorni la presenza di militi nazionali in gran numero… […]. Dicevo dunque che, mentre abbiamo visto numerosi di questi militi in ogni città e più ancora nelle campagne […], gli elenchi degli obbligati alla astensione, depositati presso i Comuni, erano ridicolmente ridotti a tre o quattro persone per ogni città, per dare l’illusione dell’osservanza di una legge apertamente violata» (27), mentre il presidente del Consiglio affidava ai militi fascisti la custodia delle cabine (elettorali). In sintesi Matteotti accusava Mussolini ed i suoi di aver mandato a votare anche i Balilla che non avevano però l’età per farlo, avendo fra i 14 ed i 18 anni, aspetto confermato da Farinacci che interrompeva Matteotti, e di aver posto a controllare i seggi elettorali le camice nere.
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Così una milizia a disposizione di un partito aveva di fatto impedito la libera espressione della sovranità popolare ed elettorale, inficiando le elezioni, ma vi erano stati anche altri fatti che avevano viziato le elezioni stesse, tanto da farle paragonare a quelle che avvenivano in Messico. Infatti ciascun partito doveva, secondo la legge elettorale, presentare la propria lista di candidati in ogni circoscrizione mediante un documento notarile a cui andavano apposte dalle trecento alle cinquecento firme a sostegno. «Ebbene – proseguiva Giacomo Matteotti – onorevoli colleghi, in sei circoscrizioni su quindici le operazioni notarili che si compiono privatamente nello studio di un notaio, fuori della vista pubblica e di quelle che voi chiamate “provocazioni”, sono state impedite con violenza». (28). E portava l’esempio di Menfi, il fatto che In Puglia fosse stato persino bastonato un notaio perché non svolgesse il proprio lavoro e che a Genova i fogli con le firme già raccolte erano stati portati via dal tavolo su cui erano stati firmati.
E continuava dicendo che i componenti della giunta delle elezioni avevano detto di non esser stati avvisati dell’accaduto «Ma voi sapete benissimo come una situazione e un regime di violenza non solo determinino i fatti stessi, ma impediscano spesse volte la denuncia e il reclamo formale. Voi sapete che persone, le quali hanno dato il loro nome per attestare sopra un giornale o in un documento che un fatto era avvenuto, sono state immediatamente percosse e messe quindi nella impossibilità di confermare il fatto stesso. Già nelle elezioni del 1921, quando ottenni da questa Camera l’annullamento per violenze di una prima elezione fascista, molti di coloro che attestarono i fatti davanti alla Giunta delle elezioni, furono chiamati alla sede fascista, furono loro mostrate le copie degli atti esistenti presso la Giunta delle elezioni illecitamente comunicate, facendo ad essi un vero e proprio processo privato perché avevano attestato il vero o firmato i documenti! In seguito al processo fascista essi furono boicottati dal lavoro o percossi […]. La stessa Giunta delle elezioni ricevette allora le prove del fatto. Ed è per questo, onorevoli colleghi, che noi spesso siamo costretti a portare in questa Camera l’eco di quelle proteste che altrimenti nel Paese non possono avere alcun’altra voce ed espressione». (29).
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Inoltre Matteotti sottolineava come in sei circoscrizioni le formalità notarili fossero state impedite con la forza, ed Reggio Calabria, per esempio, le sinistre avessero dovuto provvedere con nuove firme per supplire quelle che in Basilicata erano state impedite. Ma non si era trattato di un caso isolato.
Inoltre il noto segretario del Partito Socialista Unitario sosteneva che era stato impedito ai candidati della sinistra di esporre le proprie idee contro il programma del governo sia in pubblici spazi sia in locali privati. E «Su ottomila comuni italiani, e su mille candidati delle minoranze, la possibilità è stata ridotta a un piccolissimo numero di casi, soltanto là dove il partito dominante ha consentito per alcune ragioni particolari o di luogo o di persona. (Interruzioni, rumori). Volete i fatti? La Camera ricorderà l’incidente occorso al collega Gonzales”». (30). E Matteotti lo aveva pure descritto: all’ onorevole era stato impedito a suon di botte di parlare in occasione della campagna elettorale persino in luogo privato. Ma anche l’onorevole Amendola non era riuscito a parlare, a causa di comandanti di corpi armati, o meglio di bande armate, le quali erano intervenute in città, e analoga sorte era successa all’onorevole Bettini a Napoli. (31).
Invitato a parlare prudentemente dal Presidente della Camera, Matteotti diceva che egli non intendeva né parlare prudentemente né imprudentemente, ma parlamentarmente! (32).
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E così continuava: «I candidati non avevano libera circolazione […]. …. Non solo non potevano circolare, ma molti di essi non potevano neppure risiedere nelle loro stesse abitazioni, nelle loro stesse città. Alcuno, che rimase al suo posto, ne vide poco dopo le conseguenze. Molti non accettarono la candidatura, perché sapevano che accettare la candidatura voleva dire non aver più lavoro l’indomani o dover abbandonare il proprio paese ed emigrare all’estero. (…). Uno dei candidati, l’onorevole Piccinini, […] conobbe cosa voleva dire obbedire alla consegna del proprio partito. Fu assassinato nella sua casa, per avere accettata la candidatura nonostante prevedesse quale sarebbe stato […] il destino suo all’indomani. (…). Un’altra delle garanzie più importanti per lo svolgimento di una libera elezione era quella della presenza e del controllo dei rappresentanti di ciascuna lista, in ciascun seggio.
Voi sapete che, nella massima parte dei casi, sia per disposizione di legge, sia per interferenze di autorità, i seggi – anche in seguito a tutti gli scioglimenti di Consigli comunali imposti dal Governo e dal partito dominante – risultarono composti quasi totalmente di aderenti al partito dominante. Quindi l’unica garanzia possibile, l’ultima garanzia esistente per le minoranze, era quella della presenza del rappresentante di lista al seggio. Orbene, essa venne a mancare. Infatti, nel 90 per cento, e credo in qualche regione fino al 100 per cento dei casi, tutto il seggio era fascista e il rappresentante della lista di minoranza non poté presenziare le operazioni. Dove andò, meno in poche grandi città e in qualche rara provincia, esso subì le violenze che erano minacciate a chiunque avesse osato controllare dentro il seggio la maniera come si votava, la maniera come erano letti e constatati i risultati.». (33).
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In alcuni luoghi, continuava Matteotti, fu concessa un po’ più di libertà nel voto e, «strana coincidenza, proprio in quei luoghi dove fu concessa a scopo dimostrativo quella libertà, le minoranze raccolsero una tale abbondanza di suffragi, da superare la maggioranza – con questa conseguenza però, che la violenza, che non si era avuta prima delle elezioni, si ebbe dopo le elezioni. […] e, dove le elezioni diedero risultati soddisfacenti in confronto alla lista fascista. […] si ebbero distruzioni di giornali, devastazioni di locali, bastonature alle persone. Distruzioni che hanno portato milioni di danni …». (34).
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Infine, in che modo si votava? – continuava Giacomo Matteotti- «La votazione avvenne in tre maniere: l’Italia è una, ma ha ancora diversi costumi. Nella valle del Po, in Toscana e in altre regioni che furono citate all’ordine del giorno dal presidente del Consiglio per l’atto di fedeltà che diedero al Governo fascista, e nelle quali i contadini erano stati prima organizzati dal partito socialista, o dal partito popolare, gli elettori votavano sotto controllo del partito fascista con la “regola del tre”. Ciò fu dichiarato e apertamente insegnato persino da un prefetto, dal prefetto di Bologna: i fascisti consegnavano agli elettori un bollettino contenente tre numeri o tre nomi, secondo i luoghi […] variamente alternati in maniera che tutte le combinazioni, cioè tutti gli elettori di ciascuna sezione, uno per uno, potessero essere controllati e riconosciuti personalmente nel loro voto». (35).
Inoltre «durante le elezioni, i nostri opuscoli furono sequestrati, i giornali invasi, le tipografie devastate o diffidate di pubblicare le nostre cose» (36). E «i poveri contadini sapevano inutile ogni resistenza e dovevano subire la legge del più forte, la legge del padrone, votando, per tranquillità della famiglia, la terna assegnata a ciascuno dal dirigente locale del Sindacato fascista o dal fascio». (37).
Inoltre- sosteneva Matteotti – “lo posso documentare e far nomi. In altri luoghi invece furono incettati i certificati elettorali, metodo che in realtà era stato usato in qualche piccola circoscrizione anche nell’Italia prefascista, ma che dall’Italia fascista ha avuto l’onore di essere esteso a larghissime zone del meridionale; incetta di certificati, per la quale, essendosi determinata una larga astensione degli elettori che non si ritenevano liberi di esprimere il loro pensiero, i certificati furono raccolti e affidati a gruppi di individui, i quali si recavano alle sezioni elettorali per votare con diverso nome, fino al punto che certuni votarono dieci o venti volte e che giovani di venti anni si presentarono ai seggi e votarono a nome di qualcheduno che aveva compiuto i 60 anni. (Commenti) Si trovarono solo in qualche seggio pochi, ma autorevoli magistrati, che, avendo rilevato il fatto, riuscirono ad impedirlo». (38).
E così Matteotti concludeva: «Coloro che ebbero la ventura di votare e di raggiungere le cabine, ebbero, dentro le cabine, in moltissimi Comuni, specialmente della campagna, la visita di coloro che erano incaricati di controllare i loro voti. Se la Giunta delle elezioni volesse aprire i plichi e verificare i cumuli di schede che sono state votate, potrebbe trovare che molti voti di preferenza sono stati scritti sulle schede tutti dalla stessa mano, così come altri voti di lista furono cancellati, o addirittura letti al contrario. Non voglio dilungarmi a descrivere i molti altri sistemi impiegati per impedire la libera espressione della volontà popolare. Il fatto è che solo una piccola minoranza di cittadini ha potuto esprimere liberamente il suo voto: il più delle volte, quasi esclusivamente coloro che non potevano essere sospettati di essere socialisti. I nostri furono impediti dalla violenza; mentre riuscirono più facilmente a votare per noi persone nuove e indipendenti, le quali, non essendo credute socialiste, si sono sottratte al controllo e hanno esercitato il loro diritto liberamente. A queste nuove forze che manifestano la reazione della nuova Italia contro l’oppressione del nuovo regime, noi mandiamo il nostro ringraziamento.
Per tutte queste ragioni, e per le altre che di fronte alle vostre rumorose sollecitazioni rinunzio a svolgere, ma che voi ben conoscete perché ciascuno di voi ne è stato testimonio per lo meno […] … per queste ragioni noi domandiamo l’annullamento in blocco della elezione di maggioranza. (…). Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni». (39).
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Così terminava il suo discorso Giacomo Matteotti, avvocato, di famiglia agiata, socialista, contro l’intervento nella prima guerra mondiale e per questo richiamato alle armi nonostante soffrisse di una malattia che non lo rendeva idoneo e quindi confinato in Sicilia, e quindi oratore eccelso in Parlamento anche nel denunciare soprusi. Alla fine della seduta «Ai colleghi di partito che si congratulavano con lui avrebbe detto che ora dovevano prepararsi a fare la sua commemorazione funebre». E Salandra riferì questa frase di Mussolini, che aveva seguito dai banchi del governo il suo intervento: “Quando sarò liberato da questo rompic… di Matteotti?». (40).
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Poi non fu più visto e di lui si persero poi le tracce, ma dopo il 10 giugno le perse anche la famiglia. Quindi qualcuno avvisò di aver visto, quel giorno, che era stato malmenato e caricato a forza su di una macchina, allontanatasi a gran velocità, sul Lungotevere Arnaldo da Brescia, poco lontano dalla sua abitazione. Infine il suo corpo fu ritrovato, il 15 agosto, in un bosco non lontano da Roma. Onde evitare popolari manifestazioni di cordoglio e contro il fascismo, il suo corpo fu portato a Fratta, nella casa natale, e quindi sepolto. (41).
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E chiudo questo testo che fa riflettere, con una considerazione di Pietro Gobetti, altro martire del fascismo, picchiato fino a provocarne la morte, che a Matteotti aveva pure dedicato un volumetto. Di lui si inizia a parlare con la morte, di cui si assume la responsabilità Mussolini in persona, e si rischia di arenarsi lì, conoscendo ben poco della sua vita.
«All’eccezionale figura di Matteotti è accaduto lo strano destino di essere sempre affrontata dalla fine, cioè a partire dal suo brutale assassinio per mano fascista. Sul delitto, infatti, c’è ormai una cospicua bibliografia e la cornice storica in cui si è consumato è chiara e consolidata. Rimane più spesso in ombra la personalità di Matteotti e il significato della sua vita politica». (42). Neutralista e contrario e poi critico verso la guerra di Libia, era stato richiamato alle armi benché afflitto da una malattia che gli impediva di essere ‘abile ed arruolato’. «La sua opposizione alla guerra, la sua avversione alla perversa retorica dannunziana gli faranno scontare l’astio di molti interventisti. Dopo il suo arruolamento, fu internato a Campo Inglese dove «tra la solitudine, il sospetto e le persecuzioni il carattere di Matteotti si rivela nella sua impassibilità. Assisteva alle consegue delle sue azioni come un buon logico. Era il tipo d’uomo che univa profonde idealità a capacità concrete di analisi economiche e amministrative, lontano dal linguaggio “da sagra” che permeava anche certo socialismo italiano, linguaggio fatto di roboante oratoria e che sarà persino alimento del nascente fascismo italiano. La lingua di Matteotti era chiara e precisa, senza vanità stilistiche, senza retorica, così lontana da quella che sarà, invece, quella del suo maggior nemico, Mussolini. Nei suoi articoli sulla rivista Critica Sociale esprimeva i suoi pareri sui bilanci comunali e statali “con dati precisi, con numeri evidenti, preferibilmente senza polemiche, senza scandali”. Segretario del Partito Socialista Unitario, scriverà quell’atto d’accusa implacabile che è Un anno di dominazione fascista. Gobetti sostiene che quel pamphlet è “un atto d’accusa completo, fatto alla luce dei bilanci, e insieme una rivolta della coscienza morale”. Consapevole di essere in pericolo fino a temere della propria vita, era – concludeva Gobetti – un «volontario della morte», morte dovuta alla sua rettitudine e alla sua “ferma coscienza morale”, ritenuta da Matteotti la virtù preliminare e necessaria per contrastare il fascismo». (43).
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Questo era Matteotti, un esempio di rettitudine morale, una persona che aveva un profondo senso dello Stato, una persona rispettosa delle idee altrui, tanto che egli, laico e socialista, aveva sposato una donna profondamente cattolica. Forse dovremmo riflettere davvero un po’ di più sulla sua vita invece che sulla sua morte, in un periodo in cui di certi esempi avremmo davvero bisogno ma anche di riflettere su come il fascismo andò al potere.
Invito poi chi non lo avesse fatto a leggere su www.nonsolocarnia.info ““Fascismo”: così lontano così vicino? che riprende alcune considerazioni, da me pure commentate, dal volume: “Il fascismo come menzogna” di Piero Calamandrei.
Laura Matelda Puppini
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1) – https://it.wikipedia.org/wiki/Fasci_italiani_di_combattimento
2)- Ivi.
3)- Luigi Salvatorelli, Giovanni Mira, Storia d’ Italia nel periodo fascista, Einaudi ed. sesta ed. 1954, pp. 58-59.
4) – Ivi, p. 60.
5) Fabio Fabbri, Alle origini dello squadrismo fascista. Etimologia del “biennio rosso”, in AA.VV., “Marcia su Roma e dintorni”. Dalla crisi dello Stato liberale al fascismo, (a cura di Claudio Natoli), Viella ed., 2024, p.73.
6) – Ibidem.
7) – Ibidem.
8) – Ibidem.
9) – Ivi, p. 72.
10) – Cfr. su www.nonsolocarnia.info il mio: Mode storiche resistenziali e non solo: via i fatti, largo alle opinioni, preferibilmente politicamente connotate.
11) – Il biennio rosso caratterizzato da una serie di lotte operaie e contadine, che raggiunsero il loro culmine e la loro conclusione con l’occupazione di alcune fabbriche nel settembre 1920. Nel corso di questo biennio si susseguirono, soprattutto nell’Italia centro-settentrionale, scioperi e picchetti, manifestazioni operaie, mobilitazioni contadine, tumulti contro il caro vita, occupazioni di terreni e tentativi di autogesione delle fabbriche, che furono soffocati e repressi dalla violenza squadrista. ((https://sapere.virgilio.it/scuola/superiori/letteratura-storia-filosofia/letteratura-del-novecento/cos-e-il-biennio-rosso-e-quanto-e-durato). Sempre più spesso vi sono però studiosi che contestano la dicitura di ‘biennio rosso’ dato a questi due anni italiani. (Cfr. per esempio, “Steven Forti, Ripensare i bienni rossi del Novecento? Linguaggio e parole della politica, in: https://journals.openedition.org/diacronie/1736. E non a caso Claudio Natoli intitola un suo scritto: “Tra rosso e nero. Politica e società dalla crisi del primo dopoguerra all’avvento del fascismo”, in: VV., “Marcia su Roma e dintorni, op. cit., pp. 43-62.
12) – https://it.wikipedia.org/wiki/Elezioni_politiche_in_Italia_del_1919.
13) – Il Blocco Nazionale o i Blocchi Nazionali fu un’aggregazione politica italiana di destra creata in occasione delle elezioni politiche del 1921. Comprendeva i liberali, l’Associazione Nazionalista italiana di Enrico Corradini, i Fasci italiani di combattimento mussoliniani, e altre forze di destra, oltre democratici e occasionalmente alcuni popolari a livello locale. L’alleanza si riproponeva di coalizzare le forze considerate “costituzionali” e i fascisti contro l’ascesa dei partiti di massa, cioè dei popolari dei socialisti e dei comunisti. La lista ottenne il 19,1% dei voti alle politiche e un totale di 105 deputati, di cui 35 fascisti tra cui Benito Mussolini e 20 dell’Associazione Nazionalista Italiana. Il Blocco fu un espediente liberale per sfruttare le forze fasciste contro le sinistre, ma ben presto la componente estremista sfuggì di mano ed egemonizzò la vecchia classe dirigente moderata. Parte degli eletti del Blocco Nazionale sostenne poi il governo Mussolini che si insediò, senza che nessuno di fatto si opponesse, anzi con il placet de Re, il 31 ottobre 1922, dopo la marcia su Roma. e che fino al 1924 contenne anche esponenti non fascisti. (https://it.wikipedia.org/wiki/Blocco_Nazionale). (1921).
14) – https://www.treccani.it/enciclopedia/italo-balbo_(Dizionario-Biografico)/.
15) – Davide Leveghi, Dagli attacchi ai lavoratori alle marce sulle città: le violenze fasciste del maggio 1922, in: https://www.ildolomiti.it/societa/2022/dagli-attacchi-ai-lavoratori-alle-marce-sulle-citta-le-violenze-fasciste-del-maggio-1922.
16) – Ivi, e https://www.treccani.it/enciclopedia/italo-balbo_(Dizionario-Biografico).
17) – Mirco Carattieri, La formazione del blocco agrario fascista: il caso dell’Emilia Romagna, in: AA.VV., “Marcia su Roma e dintorni”, op. cit. pp. 121- 149.
18) – Giulia Albanese, La marcia su Roma: inizio della dittatura fascista, in: AA.VV., “Marcia su Roma e dintorni”, op. cit. p. 67.
19) – Ivi, p. 63.
20) Ivi, p. 68.
21) – https://it.wikipedia.org/wiki/Elezioni_amministrative_in_Italia_del_1923.
22) – https://it.wikipedia.org/wiki/Legge_Acerbo; e https://storia.camera.it/legislature/sistema-premio-maggioranza-1924.
23) – Ivi.
24) – https://it.wikipedia.org/wiki/Elezioni_politiche_in_Italia_del_1924.
25) – in: https://fondazionematteotti.altervista.org/wp-content/uploads/2015/01/Discorso-Matteotti-compressed.pdf.
26) – Ibidem.
27) – Ibidem.
28) – Ibidem.
29)- Ibidem.
30)- Ibidem. Il riferimento è ad Enrico Gonzales, sempre del Partito Socialista Unitario, che, il 27 gennaio 1924, a Genova, all’apertura della campagna elettorale per le elezioni politiche era stato bastonato da un gruppo di squadristi, finendo in ospedale per una decina di giorni. (https://it.wikipedia.org/wiki/Enrico_Gonzales).
32) – Ibidem.
33) – Ibidem.
34) – Ibidem.
35) – Ibidem.
36) Ibidem.
37) – Ibidem.
38) – Ibidem.
39) – Ibidem.
40) – https://www.casamuseogiacomomatteotti.it/biografia/.
41) – Ivi, ed alcune informazioni da un programma televisivo recente si Giacomo Matteotti.
42) – Irene Barichello, Il futuro martire Piero Gobetti al martire Giacomo Matteotti, in: https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/librarsi/il-futuro-martire-piero-gobetti-al-martire-giacomo-matteotti/.
43)- Ibidem.
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L’immagine rappresenta la copertina del volume di Giacomo Matteotti Un anno di dominazione fascista, ed è tratta da: https://www.senzacolonnenews.it/citta/item/mistificare-la-verita-documenti-e-testimonianze-sulla-propaganda-razzista.html. L.M.P.
https://www.nonsolocarnia.info/lascesa-del-fascismo-e-il-contrasto-alla-corruzione-ed-alle-violenze-da-parte-di-giacomo-matteotti-a-cui-molte-vie-e-piazze-sono-dedicate-ma-che-pochi-sanno-chi-sia-stato/https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2024/07/MATTEOTTISchermata-2022-04-23-alle-07.26.28.png?fit=260%2C305&ssl=1https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2024/07/MATTEOTTISchermata-2022-04-23-alle-07.26.28.png?resize=150%2C150&ssl=1Senza categoriaL'inizio del fascismo con la Creazione del fasci di combattimento. Correva l’anno 1919, ed era il 23 marzo a Milano, quando l’ex- socialista e maestro elementare Benito Mussolini fondava i fasci di combattimento, nella sala riunioni del Circolo dell'alleanza industriale. «Tra i fondatori troviamo persone di diversa estrazione sociale...Laura Matelda PuppiniLaura Matelda Puppinilauramatelda@libero.itAdministratorLaura Matelda Puppini, è nata ad Udine il 23 agosto 1951. Dopo aver frequentato il liceo scientifico statale a Tolmezzo, ove anche ora risiede, si è laureata, nel 1975, in filosofia presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Trieste con 110/110 e quindi ha acquisito, come privatista, la maturità magistrale. E’ coautrice di "AA.VV. La Carnia di Antonelli, Centro Editoriale Friulano, 1980", ed autrice di "Carnia: Analisi di alcuni aspetti demografici negli ultimi anni, in: La Carnia, quaderno di pianificazione urbanistica ed architettonica del territorio alpino, Del Bianco 1975", di "Cooperare per vivere, Vittorio Cella e le cooperative carniche, 1906- 1938, Gli Ultimi, 1988", ha curato l’archivio Vittorio Molinari pubblicando" Vittorio Molinari, commerciante, tolmezzino, fotografo, Gli Ultimi, Cjargne culture, 2007", ha curato "Romano Marchetti, Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona, una vita in viaggio nel Novecento italiano, ed. ifsml, Kappa vu, ed, 2013" e pubblicato: “Rinaldo Cioni – Ciro Nigris: Caro amico ti scrivo… Il carteggio fra il direttore della miniera di Cludinico, personaggio di spicco della Divisione Osoppo Carnia, ed il Capo di Stato Maggiore della Divisione Garibaldi Carnia, 1944-1945, in Storia Contemporanea in Friuli, n.44, 2014". E' pure autrice di "O Gorizia tu sei maledetta … Noterelle su cosa comportò per la popolazione della Carnia, la prima guerra mondiale, detta “la grande guerra”", prima ed. online 2014, edizione cartacea riveduta, A. Moro ed., 2016. Inoltre ha scritto e pubblicato, assieme al fratello Marco, alcuni articoli sempre di argomento storico, ed altri da sola per il periodico Nort. Durante la sua esperienza lavorativa, si è interessata, come psicopedagogista, di problemi legati alla didattica nella scuola dell’infanzia e primaria, e ha svolto, pure, attività di promozione della lettura, e di divulgazione di argomenti di carattere storico presso l’isis F. Solari di Tolmezzo. Ha operato come educatrice presso il Villaggio del Fanciullo di Opicina (Ts) ed in ambito culturale come membro del gruppo “Gli Ultimi”. Ha studiato storia e metodologia della ricerca storica avendo come docenti: Paolo Cammarosano, Giovanni Miccoli, Teodoro Sala.Non solo Carnia
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