Laura M. Puppini. Uomini che scrissero la storia della democrazia: Rinaldo Cioni. In memoria. 2 maggio 2020.
Per il 2 di maggio, non potendo neppure partecipare ad Ovaro alla S. Messa per i morti nella strage di Ovaro, (ma ai cattolici rammento che si può pregare anche in casa, chiedendo perdono a Dio e affido a lui, senza proporre di forzare la mano solo per voler andare a tutti i costi insieme in chiesa), desidero ricordare un uomo, un ingegnere, che è morto proprio quel lontano due di maggio, ed è Rinaldo Cioni di Empoli, un toscano mandato qui a dirigere la miniera di Cludinico di Ovaro, e che fu anche mediatore fra popolazione e finanziatori della resistenza da una parte ed i partigiani, in particolare Ciro Nigris, del comando garibaldino, dall’altra. (1).
E così si poteva leggere sul periodico “Lavoro” in data 15 settembre 1945: «A pochi è nota la perigliosa e saggia opera svolta dall’ingegner Cioni nel periodo di occupazione tedesco – cosacca per salvare da rappresaglie le innocenti famiglie della vallata di Gorto e dei patrioti. Bisognerebbe scrivere un libro sulla sua opera». E come dimenticare il suo coraggio, quando andò, con l’ingegner Franz Gnadlinger e con il segretario comunale di Paluzza, Virgilio Candido, dal comando nazista ad Udine per raccontare gli orrori di malga Promosio?
Rinaldo Cioni. Immagine pervenutami dall’ing. Emilio Cioni, figlio di Rinaldo.
Rinaldo Cioni era nato ad Empoli il 1° giugno 1911. Sua madre si chiamava Maria Oliva Mazzantini, il padre Emilio, ed era un fotografo. Maria Oliva morì presto e Rinaldo, che aveva pure un fratello, Leonardo, anch’egli ingegnere, che poi salvò dalla deportazione, ed una sorella, Desdemona detta Denda, poi sposa ad un noto fascista, rimasto orfano di madre fu allevato da un sacerdote, don Chiarugi, che sicuramente lasciò traccia nel suo comportamento e nella sua sensibilità, sia per quanto riguarda il rispetto della persona, sia per quanto riguarda lo spirito di servizio ed aiuto verso il prossimo. (2).
Studente di ingegneria a Torino, fu chiamato al servizio militare nel 1931, mentre studiava. Nel 1932 fu ammesso quale allievo ufficiale presso la scuola Allievi Ufficiali di complemento del genio di Pavia, specialità minatori, terminando gli studi come sottotenente. Quindi venne inviato in Africa Orientale, in Eritrea, con il genio militare.
Nel 1936, avendo partecipato alla campagna d’Africa, 1935-36, ricevette un encomio per aver dato prova di abnegazione ed alto sentimento del dovere, superando gravi difficoltà e per aver contribuito, con mezzi spesso insufficienti, alla costruzione di centinaia di chilometri di strade in brevissimo tempo in un terreno aspro ed impervio, dando così un grande apporto alla risoluzione del grave problema dei rifornimenti alle truppe del 1° corpo d’armata. Per questo veniva decorato con croce al merito di guerra.
Nel 1938 gli venne conferito il grado di tenente, il 1° gennaio 1943 quello di capitano. Nel 1941 fu congedato dal Comando difesa territoriale d’Albania – Tirana. (3).
Quindi risulta facente parte della divisione partigiana Osoppo btg. Carnia, a tutti gli effetti, dal 1°gennaio 1945 alla morte, (Stato di Servizio militare) ed antecedentemente della Garibaldi, come aiuto alla resistenza ed operativo sul terreno. (Lettera autografa sottoscritta da Ciro Nigris Marco e Elio Martinis Furore).
Rinaldo Cioni, con la sigaretta fra le labbra, in Africa. Immagine pervenutami dal figlio ing. Emilio Cioni.
Ciro Nigris, nome di battaglia Marco, Capo di Stato Maggiore della Divisione “Garibaldi Carnia”, descrive l’amico Rinaldo Cioni come: «intelligente, generoso e valoroso collaboratore dei partigiani osovani e garibaldini», e ricorda non solo l’epistolario tra lui e l’ingegnere, ma anche che era il Presidente del C.L.N. Val di Gorto per il Partito d’Azione. L’ultimo incontro fra i due avvenne a Mione il 14 aprile 1945, e, nel corso dello stesso, essi procedettero ad un «esame generale della situazione della zona in vista della prossima fine della guerra». Poi non si rividero più, e quindi Marco apprese della morte, per mano cosacca, dell’amico nella strage di Ovaro, il 2 maggio 1945.
Gian Carlo Chiussi ricorda che Rinaldo Cioni portava i baffetti ed indossava un basco blu, Bruno Lepre scrive che Cioni andò con lui e Mario Zuliani ad Albona, ove c’era una grande miniera, a prelevare carichi di tritolo che servivano per la miniera di Cludinico ma anche per le esigenze della lotta clandestina partigiana.
Comunque, per tornare alle vicissitudini che accompagnarono l’ingegnere Rinaldo Cioni come direttore della Miniera di Cludinico, con l’arrivo in Carnia dei tedeschi, la miniera era stata dagli stessi requisita e posta sotto la supervisione dell’ingegnere Franz Gnadlinger, che comunque cercò anche, da che si sa, di aiutare Cioni e la popolazione.
Nel maggio 1944 partigiani del Gruppo Val Degano, poi battaglione osovano Canin, che agivano in loco comandati da Rinaldo Fabbro Otto, friulano, presero contatto con gli operai della miniera ed alcuni partigiani vennero assunti o fatti assumere come lavoratori, con il compito di sabotare l’invio agli stabilimenti di guerra di carbone, che veniva parzialmente sostituito da materiale sassoso. Inoltre si incominciarono a produrre, nell’officina dello stabilimento, anche tubi d’acciaio, che poi venivano riempiti di esplosivo ed utilizzati dai partigiani. Ma successivamente qualche partigiano osovano, stando alla documentazione, iniziò ad agire di testa propria, senza accordo.
Il 5 giugno 1944, essendo già liberata Cludinico, il Comandante del Gruppo Miniera di Cludinico, sigla utilizzata sempre da Otto, chiedeva agli altri osovani che la miniera non venisse più toccata senza suo permesso e senza accordo con il Direttore della stessa, cioè Cioni; garantiva che quanto indispensabile ai partigiani sarebbe stato dato; chiedeva un permesso da rilasciarsi a Rinaldo Cioni perché lo stesso potesse muoversi con la macchina dell’Azienda targata M 10104 UD, senza che la stessa venisse requisita; chiedeva la restituzione del camioncino dell’Azienda, targato UD 11535 Ab I, sottratto da un gruppo della Brigata Osoppo; assicurava che detto mezzo, una volta reso, sarebbe rimasto a disposizione dei partigiani per effettuare passaggi dalla zona occupata a quella libera.
Infine viene menzionato un accordo tra Rinaldo Cioni, quale Direttore e responsabile della miniera di Cludinico, facente parte dell’Azienda Carboni Italiani, e non ben identificati gruppi partigiani della zona. Detto accordo viene riportato senza data e con una generica intestazione ‘Comitato Liberazione Nazionale’, e quindi non so, obiettivamente, che valore dare allo stesso. (4).
Cludinico, i minatori e Rinaldo Cioni, Da: Alberto Buvoli, Ciro Nigris, Percorsi della memoria civile.
La Carnia. La Resistenza, ed. Ifsml, 2004.
Dall’epistolario tra Cioni e Nigris, traspare non solo il patriottismo di Rinaldo Cioni, ma anche il suo interessarsi alla popolazione, lamentando la situazione, anche a lui segnalata, venutasi a creare in comune di Ovaro alla fine dell’ottobre e primo novembre 1944, sia a causa dei cosacchi sia a causa dei partigiani, il suo impegno per la lotta di Liberazione, pure assumendo compiti rischiosi, oltre che la sua nostalgia per Firenze. «Forse in quel tempo non ci sarò perché ho una grande nostalgia della mia Firenze ma vorrà dire che gli Italiani liberi di allora si ricorderanno di me in quel tempo». (5). Ma a Firenze non ritornerà mai più, ed in Toscana, ad Empoli, ritornerà da morto.
Si sa che Rinaldo Cioni era stato individuato come collaboratore dei ribelli dal Comando Adler nel febbraio 1945, (grazie, pare, alla soffiata di D.B., prima partigiano garibaldino, e quindi collaboratore con i tedeschi), perché forniva documentazione di copertura a partigiani. Infatti egli faceva figurare come minatori giovani che erano alla macchia.
Ma pare anche che il Commissario Repubblicano dell’Azienda Carboni Italiani al Nord, il prof. Federico Carnevali, avesse avuto il sospetto che Rinaldo Cioni aiutasse la resistenza, tanto che inviò ad Ovaro, come condirettore della miniera, l’ingegner Tagliolato, che però si dimise ben presto dall’incarico. La miniera fu pure chiusa per un periodo, ed all’ing. Cioni venne pagato uno stipendio di miseria, se raffrontato con quello degli ingegneri spostati, dall’Azienda Carboni, dal nord al sud, e di ciò Rinaldo Cioni si rammaricava. Infine il prof. Carnevali, Commissario Repubblicano, chiese alle autorità della provincia di Udine il completo rastrellamento dei partigiani della Carnia e la protezione armata delle miniere. Il 28 aprile 1945 i tedeschi si recarono ad Ovaro per arrestare Rinaldo Cioni, ma l’arresto non fu eseguito perché egli era assente.
Ma già prima Cioni, forse avvisato di qualcosa da qualcuno, così aveva scritto a Ciro Nigris: «Non so come si andrà a finire… in caso pessimo lascio a te la cura di tutti i miei: volevo io educare i miei figli nello spirito di italianità ma se non mi sarà permesso sono certo dell’Amicizia di questo anno di lotta. Speriamo bene: dirai che ho idee nere ma con quello che ti spiegheranno credo che ho ben diritto di averle: in ogni modo finché sarò sulla breccia sarò sempre pronto ad usare la mente oggi ed il braccio al momento che ve ne sia bisogno». (6).
Il 2 maggio 1945, quando Udine era già stata liberata, avveniva la battaglia di Ovaro, innescata da leggerezza nel procedere e da errore tattico di Alessandro Foi, Paolo, comandante della Divisione osovana Pal Piccolo Carnia, dell’area cattolica e imposto dai vertici della formazione nel febbraio 1945. Egli, infatti, voleva forzare la resa del presidio cosacco e, senza valutare la situazione, ordinò ad Otto ed al btg. Canin dallo stesso comandato di far saltare la caserma di Chialina, dando il via alla strage. (7). Quindi, come ci ricorda Marchetti, pur non gravemente feriti, ma solo con qualche graffio, Foi, comandante di Divisione, ed Otto comandante del Canin, si recarono a Tolmezzo per curarsi, evitando la strage ed abbandonando il comando. (8).
In detta battaglia perse la vita anche Rinaldo Cioni. Un solo colpo, alla testa … Non pareva neppure vero, alla giovane vedova, con bimbi piccoli … che egli fosse morto … Le pareva fosse ancora vicino a lei, ed invece il risveglio la riportò alla triste realtà. (9).
Documento redatto dal medico Luigi Covassi di Ovaro per l’Istituto Nazionale delle Assicurazioni relativamente alla morte dell’ingegnere minerario Rinaldo Cioni, deceduto il 2 maggio 1945, di anni 34, coniugato, e la cui morte era stata certificata il 3 maggio 1945. Causa della morte: ferita da arma da fuoco al cranio: foro di entrata orbita destra, foro uscita alla nuca. Morte istantanea. A p. 2 del certificato (qui non riportata) si può leggere: “Massacrato da militari cosacchi in azione di rappresaglia. Data della copia: 28 pare VIII cioè agosto 1945. (Documento dall’ingegner Emilio Cioni, figlio di Rinaldo).
Così ricorda Emilio, allora bimbetto, suo padre morto: “sorridente, beato, non rabbioso”, ma aggiunge che poteva essere anche il ricordo di un bambino piccolo, che distorce la realtà. Ed aggiunge che, quello che rammenta benissimo, era che suo padre era composto nella falegnameria dove avevano portato i corpi degli uccisi di quella casa, ed era stato messo a sinistra dell’ingresso, dietro una colonna, con i piedi rivolti a nord, e che egli, in braccio alla madre, dovette girare il capo per guardarlo. E ricorda anche benissimo il foro netto del proiettile che uccise suo padre, che si trovava nella parte superiore destra della fronte, da cui usciva un piccolo rigagnolo di sangue secco che scendeva verso il sopracciglio. E fra quei morti vi era anche Attilio Rossi, fornaio, nonno di Emilio, che aveva abbandonato Empoli e si era rifugiato in Carnia per fuggire ai bombardamenti.
Rinaldo Cioni, quel primo maggio, aveva fatto preparare alla moglie «la tavola con la tovaglia più bella, con i fiori, i bellissimi fiori di montagna, e con una bottiglia di spumante tenuta gelosamente, da tanto, per festeggiare la fine della guerra» e «Stavamo per andare a cena, quando vennero a prenderlo; c’erano dei pericoli al passaggio delle truppe Russe verso il confine […] …», racconta Rossana. Ella, allora, rimasta sola, mise a letto i bimbi e si recò dal padre, che stava preparando il pane, ma quando una pallottola si conficcò in camera, vicino ai lettini dei bimbi, scappò in cantina con il genitore, Giberto detto Attilio Rossi, fornaio di Empoli. Ma egli poi, volle recarsi a vedere che il pane, infornato, non bruciasse, andando incontro alla morte. (10).
«Di questa regione so molte cose e se vi sarò quando sarà necessario le farò presenti». (11). – scriveva Cioni a Nigris. Ma non poté mai raccontarcele, ed è un vero peccato.
Dopo aver riposato nel cimitero di Ovaro, dove fu sepolto, il corpo di Rinaldo Cioni fu traslato ad Empoli, la sua città, nella sua Toscana, dove riposa in pace. Aveva 34 anni Rinaldo Cioni, quando morì, lasciando la giovane moglie e due bimbi. E sarebbe importante almeno porre nuovamente una lapide che lo ricordi ad Ovaro. Una era già stata posta ma poi è andata perduta.
Foto del bracciale di Rinaldo Cioni che definiva la sua appartenenza al Cln Val di Gorto.
A causa del mondo variegato delle “opinions”, però, vi è anche chi ha cercato di leggere l’operato di Cioni in modo distorto mettendone anche in dubbio la fulgida figura, riportando stralci di lettere dell’ingegnere, avute dalla moglie che certamente non sapeva l’uso che ne sarebbe stato fatto, e interpretandole nel vero senso della parola, a modo proprio, ed è Pier Arrigo Carnier, che pare spesso maestro nell’insinuare senza dimostrare. A p. 130 del suo “Lo sterminio mancato”, Mursia ed., 1982, egli scrive, sul nulla, che Cioni aveva con Gnalinger «Incontri riservati […] dal tono cospirativo», interpretando a modo suo una frase di una lettera di Cioni a Gnadlinger, nel programmare un loro incontro, che così recita «Vi pregherei però di starvene defilato al tiro sotto la curva, alla solita ombra della macchina» quando il 23 settembre 1944, data della stessa, qualsiasi persona non stupida in Carnia, chiusa fra i partigiani e nazisti, si sarebbe tenuta defilata, per non ricevere una pallottola o dagli uni o dagli altri, e Carnier che allora era giovane lo avrebbe dovuto sapere. Ma non basta. Da questa sua interpretazione arbitraria, deduce che «L’obiettivo dell’intesa consisteva nel cercare di tranquillizzare la zona Carnia e quindi di comprimere delle volontà partigiane estremiste di carattere rivoluzionario». E ancora «Il Cioni era, a sua volta, elemento e portavoce di una coalizione che cercava di imporre moderazione sul fronte partigiano» (Ambedue le citazioni: Ivi, p. 131). Ma sono solo sue ipotesi senza fondamento. Però Carnier è così: anche se ha fonti le usa per dar corso ai suoi pensieri, non per ricercare la realtà dei fatti. E Dio solo sa da dove abbia tratto l’esistenza di detta coalizione moderata, di cui nessuno ha mai saputo nulla. E ancora sempre a p. 131: «Attraverso l’intesa Gnadlinger – Cioni avvennero scambi di prigionieri». Fonte? Nessuna. Quindi a p. 132 dello stesso volume ipotizza cosa pensava Gnadlinger senza nulla a riprova, unendo con volo pindarico qualcosa da lui reperito sul diario della Garibaldi Carnia (edizione?) con un riferimento alle “troppe corbellerie” che avrebbero potuto fare “i Signori della Carnia”, che non si sa chi siano. I tedeschi infatti chiamavano i partigiani “Banditi”, e la Zona Libera di Carnia era in mano sia a Garibaldini che ad Osovani, rappresentati da Romano Marchetti. Comunque ora non posso dilungarmi su Pier Arrigo Carnier, che non meriterebbe una riga, anche se è riuscito ad accreditarsi, presso chi poco sa, come un esperto, ma dato che l’epistolario di Cioni l’ho anch’io, (per gentile concessione dell’ing. Emilio Cioni che me lo ha inviato) vedrò di pubblicare le lettere che egli spedì ad altri, in particolare relative al suo stipendio ed alle necessità sue e della sua famiglia, quando avrò un attimo di tempo e se la salute mi assiste.
PER ORA SOLO GRAZIE E ONORE A RINALDO CIONI, CHE CON LA SUA VITA SIGLÒ IL SUO IMPEGNO PER GLI ALTRI E PER LA SUA PATRIA CHE TANTO GLI STAVA A CUORE, RICORDANDO CHE ERA UN CAPITANO DELL’ESERCITO ITALIANO.
PER NON DIMENTICARE I MORTI DEL 2 MAGGIO AD OVARO PER MANO COSACCA.
Laura Matelda Puppini.
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- Il carteggio Cioni – Nigris è stato pubblicato da Laura Matelda Puppini nel suo: Rinaldo Cioni – Ciro Nigris: Caro amico ti scrivo … in: Storia Contemporanea in Friuli, n.44, 2014, pp. 213-248, da cui questo articoletto prende spunto e ove potete trovare anche la bibliografia di riferimento.
- Informazioni dall’ing. Emilio Cioni, figlio dell’ing. Rinaldo Cioni.
- Note dallo Stato di Servizio Militare.
- Cfr. in particolare: Giannino Angeli, Tarcisio Venuti, Pastor Kaputt, Chiandetti ed., 1980.
- 7. Lettera dattiloscritta di Rinaldo Cioni a Ciro Nigris, non firmata, datata 11.2.1945, in: Laura Matelda Puppini, op. cit., p.235.
- n. 12. Lettera dattiloscritta di Rinaldo Cioni a Ciro Nigris, siglata e datata 26.3.1945, in: Laura Matelda Puppini, op. cit., p. 245.
- Storia. Quel maledetto 2 maggio 1945 ad Ovaro. Ricostruzione dei fatti dai documenti originali. In: Nonsolocarnia.info.
- Romano Marchetti, Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona. Una vita in viaggio nel Novecento italiano (a cura di Laura Matelda Puppini), ed. Ifsml, Kappa – Vu, 2013, nota 16, p. 172.
- Rossana Rossi Cioni. Eppure la guerra era finita … Ma … 1-2 maggio 1945. L’inferno di Ovaro. In: www.nonsolocarnia.info.
- Ivi.
- n. 12. Lettera dattiloscritta di Rinaldo Cioni a Ciro Nigris, siglata e datata 26.3.1945, in: Laura Matelda Puppini, op. cit., p. 245.
L’immagine che accompagna l’articolo è quella già posta qui e tratta da: Alberto Buvoli, Ciro Nigris, op. cit. LMP.
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Sollecitata da un commento di Brunetti Remo, anche qui preciso che il dare la colpa ai partigiani per le rappresaglie nazifasciste e cosacche è questione vecchissima ed è un cavallo di battaglia degli antipartigiani. Ma sia come sia, la causa è sempre di chi spara e uccide, e questo lo hanno sancito anche i tribunali militari, leggete almeno su nonsolocarnia quanto detto ad Udine da Marco De Paolis. (http://www.nonsolocarnia.info/intervento-di-marco-de-paolis-ad-udine-processi-ai-nazisti-per-le-stragi-in-italia-ed-uccisero-donne-e-bambini/). Perchè ragionando come gli antipartigiani, la causa della morte di una donna da parte per esempio del marito è sua, perchè se l’ è andata a cercare (lasciandolo, denunciandolo per violenze domenstiche e via dicendo) non dell’assassino che magari ha comperato la benzina per dar fuoco alla donna o l’ha strangolata e via dicendo. Ma questo modo di pensare non esiste nella legge e nella vita. Chi spara e uccide è l’assassino, senza se e senza ma, altrimenti si potrebbe giustificare ogni omicidio.