Il visc e i lops.

Anche ai tempi dei Celti, secondo questo racconto, si usava raccogliere il vischio l’ultimo giorno dell’anno (1) con un cerimoniale religioso. Il druido, che sarebbe stato il loro sacerdote, e la popolazione al seguito andavano nel bosco a cercare “i roi e lis lapariis”, dove cresce il vischio, e lo toglievano cantando. Chi faceva la raccolta non poteva toccare terra con i piedi, per non contaminare le virtù di quella pianta simbolo di vita nella stagione morta, di speranza, forza e resistenza, e conosciuta per le sue doti curative.

Le giovani portavano mazzetti di vischio ai loro fidanzati, legati con i loro capelli, e questo gesto era seguito da un piccolo pasto per tutti i familiari, per il clan, e quindi tutti si passavano le bianche bacche del vischio di mano in mano, e le mangiavano con l’augurio di amore e di fecondità per gli uomini, gli animali, la terra.

Questo era invece il ritornello che accompagnava la questua della fine dell’anno, (ove per siop si intende dono fatto in quel contesto e genericamente epifanico): «Siops, siops, siops, – coculas e lops, –  lops a non d’è,  – daimi ce ca l’è». «Donatemi, donatemi, donatemi –  noci e mele – e se non ne avete – datemi ciò che avete».

E così si canta ed ancora si canterà per la fine ed il principio dell’anno, in questo nostro caro Friuli. (“Tradizions milenaris celtichis e furlanis. Il visc e i lops”, in: Il Cjavedâl, prime anade, n.1-2, 1952, p. 2).

(1) Attenzione però che l’anno celtico iniziava il 1° novembre. Lmp.

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In genere la questua è collegata alla coscrizione, rito di passaggio all’età adulta, come a Rigolato, ed alla usanza della “buina man”, presente anche nella montagna veneta. A Rigolato, per esempio, i coscritti gridano, per far capire che hanno raggiunto una casa, il nome del capofamiglia, per farsi aprire e poi la frase di rito:  «Bon finiment e bon prinzipi, la buina man a mi, la buina man a ti, dait o no dait in paradis lait.» (Fonte Alido Candido).
Il rito della buona mano è comune alla montagna anche Veneta:«Bon dì, bon àn… …a mì la bòna man!» (ANA Salce Belluno) e trentina, (http://www.museosanmichele.it/apto/schede/bon-di-n-bon-an/) con numerose varianti, per ottenere un dono, un po’ di denaro con cui far festa o cibo da scambiare. Ricordo che dare la buonamano significa dare una mancia.

E quindi vi era la festa di Belen e del pignarûl.

Il Dio più considerato dai Celti- si narra – era il Dio Belen, il sole, ed in suo onore si facevano feste e sacrifici, in particolare in autunno/ inverno, perché l’accorciarsi delle giornate e la poca forza dei raggi solari facevano pensare al popolo che il dio sole, Belen, fosse diventato vecchio, senza forze ed ammalato.

Allora tutti i capi del villaggio si riunivano e nominavano un capo, Bren, che avrebbe comandato il popolo per tutto l’anno, quindi si iniziava la festa del fuoco. Su tutti i colli venivano predisposte tasse di legna, ed in basso mucchi di fieno e mede che, quando il druido dava il via, venivano incendiate.  
Intanto sulle mede si cucinavano arrosti per la cena rituale, e la gente incominciava a cantare:

Belen Belen, parce nus bandonistu? –  La tiare a è muarte, e scurtade la zornade. – I tiei rais no scjaldin plui – Su coragjo Belen cumo ti judarin a scjaldati – Fantaz faseit fuc par scjaldâ Belen!
Belen Belen, perché ci abbandoni? – La terra è morta, la giornata accorciata. I tuoi raggi non scaldano più. Su coraggio, Belen, noi ti aiuteremo a scaldarti. Su giovani, fate fuoco per Belen!

E la gioventù più gagliarda prendeva legna tra le braci, tizzoni, e li tirava su, in alto, verso il cielo, per arrivare il più vicino possibile al sole e riaccendere Belen. (Belen e il pignarûl, in: Il Cjavedâl, prime anade, n.1-2, 1952, p.2).  

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Può darsi che questo rito fosse realmente di origine celtica, e celtico è sicuramente il dio Beleno. Successivamente, con l’avvento del cristianesimo, si dette al fuoco, al pignarûl, altro significato, legato ai Re Magi, come falò acceso dai pastori per indicare il percorso ai “Tre Re venuti dall’Oriente”, oggetto di altra tradizione sicuramente in Carnia. I Tre Re, vestiti alla buona e come possibile, percorrono, con la stella in mano, il paese, cantando cantilene tipiche, all’Epifania. 
(Nel merito cfr. I. Balot, Epifania del fuoco a Osoppo, in: Giornale del Friuli (Giornale di Udine), sabato 1 gennaio 1927, ove si legge che si sarebbe ripetuta, il 6 gennaio,  l’usanza del grande fuoco sul colle di Osoppo, fatto con rovi, stecchi e canne di granoturco che «secondo la leggenda cristiana, rischiara la via ai Re Magi […]. (…). Esso ricorda – continua l’articolista- i bivacchi dei pastori arii, la fede dei celti, la preghiera dei Carni».).  

Inoltre il testo dei due articoletti è scritto in friulano e l’ho tradotto, ma non sapevo il significato per le piante definite: “i roi e lis lapariis” che ho lasciato in friulano, e che prego di aiutarmi a definire, come vi prego di aiutarmi a definire le varianti delle usanze e riti qui descritti.

Ancora Buon Anno a tutti, anche se non so invero se sarà un anno fautore di maggior benessere e salute per gli italiani, ma la speranza è l’ultima a morire. Laura Matelda Puppini

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 L’immagine che correda l’articolo è tratta, solo per questo uso, da: http://lisoladeifavolosi.forumfree.it/?t=59543334. Laura Matelda Puppini 

 

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