Laura Matelda Puppini “Porzûs” – Topli Uorch. E se fosse stato un atto solitario, frutto di tensioni, senza mandante alcuno? Confutazione documentata di alcune tesi.
Vorrei riprendere, in questo mio contributo, quell’ “E se…” relativo alla carneficina di Porzus, compiuta da Giacca e dai suoi. L’ultimo articolo da me pubblicato si intitola “Ancora sulla strage di “Porzûs”, sui contesti internazionali, sulle chiavi di lettura di alcuni documenti”. Ivi riprendevo l’ipotesi di Galliano Fogar, che si fosse trattato di «una tragedia italiana, un “fratricidio” (partigiani italiani che uccidevano loro compagni di lotta)» e che quanto accaduto a “Porzûs” andasse letto «alla luce delle tensioni politiche, ideologiche e nazionali accumulatesi in una zona di incontro fra la resistenza italiana e quella slovena in una fase di grave crisi della resistenza italiana dopo i violenti attacchi nazisti in Friuli dell’autunno-inverno 44-45». (Laura Matelda Puppini, Ancora sulla strage di “Porzûs”, sui contesti internazionali, sulle chiavi di lettura di alcuni documenti”, in www.nonsolocarnia.info). Ora vorrei analizzare la tesi che il mandante della strage fosse il IX° Corpo d’Armata dell’Esercito di Liberazione sloveno, per confutarla.
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Alberto Buvoli, nel suo “L’eccidio di Porzûs: ipotesi interpretativa” in S.C. in F.n.32, pp. 9- 24, dà una grande importanza a due parti di documenti della Divisone Garibaldi Natisone. La prima è inserita in un rapporto intestato: «Corpo Volontari della Libertà – I^ Divisione d’assalto Garibaldi Natisone – Comando» indirizzato «Al comando del IX° Corpo d’armata – Sua sede», datato: «Zona, lì 6 dicembre 1944» e protocollato con il n. «23/40». Dopo aver trattato altri temi, all’ultimo punto del documento, il n. 5, si legge: «Infine a proposito della “Osoppo”. Non appena avremo regolato la questione d’Intendenza, cioè riceveremo sufficienti viveri dall’intendenza per poter nutrire anche la 156^ Brigata, questa Brigata la faremo passare da questa parte e così potremo liquidare questa perniciosa questione. Anzitutto si deve tener conto dell’esteso territorio in cui opera la Brigata “Osoppo” per spiegare la necessità del dispiego di una Brigata. E la soluzione bisogna che sia simultanea. In quanto alla Missione Inglese noi agiremo come d’accordo con il Vice- Comandante compagno Skala». Il verbale è firmato da Virgilio/Albino Marvin, Capo di Stato Maggiore della Divisione Natisone. (Archivio IFSML Udine – Fondo Lubiana, busta 5 fascicolo 56, documento 4). Si noti che l’aggettivo: “pernicioso” significa che “porta grave danno”.
Il testo non dà riferimenti precisi, e quindi risulta piuttosto nebuloso. Inoltre dallo stesso si può evincere, a mio avviso, che accordi potevano venir fatti con un compagno, Skala (Peter Stante, secondo “Primo Cresta, Gorizia e la sua lotta di Liberazione”, in AA.VV., I Cattolici isontini nel XX secolo, III, Il goriziano fra guerra, Resistenza e ripresa democratica, (1940-1947), a cura dell’Istituto di Storia Sociale e religiosa, Gorizia 1987, p. 251), che non risulta essere uno dei comandanti del IX° Corpo d’Armata jugoslavo, (I generali che comandarono il IX° Corpo d’Armata jugoslavo, risultano essere: Lado Ambrožič “Novljan” [22.12.1943 – 30.8.1944], Stane Potočar “Lazar” [30.8.1944 – 5.1.1945] e Jože Borštnar [5.1.1945 – 8.5.1945], secondo https://it.wikipedia.org/wiki/IX_Korpus) senza che essi fossero stati discussi in altri luoghi, probabilmente pure per le distanze e le difficoltà di comunicazione. Inoltre quando si parla ora di IX° Corpo d’Armata jugoslavo, che era una grossa realtà militare, bisognerebbe non fare “di tutte le erbe un fascio” e precisare, se possibile, di quale persona si sta parlando, divisione, brigata, battaglione o reparto di appartenenza della stessa, grado militare, e, quando si parla di accordi, si dovrebbe precisare fra chi stipulati, se essi fossero scritti od orali, se frutto di chiacchiere o formali.
Non si sa perché in detto contesto si menzioni la Missione Inglese, ma pare poi di capire, da altro documento (Documento intestato: “Corpo volontari della libertà – Divisione d’assalto Garibaldi Natisone – 157a brigata “G. Picelli”. Comando, ha il numero di protocollo 171, datato “Zona, lì 15. XII. 1944”, indirizzato “Al Comando della Divisione d’assalto Garibaldi “Natisone” ed “Alla Delegazione Triveneta delle Brigate d’assalto Garibaldi”, in: Archivio IFSML Udine – Fondo Lubiana, busta 3 fascicolo 64, documento 19) che si ritenesse che la stessa potesse fare “politica” anche se, nell’ incontro del 15 dicembre, gli Inglesi precisano che non era assolutamente vero, trovandosi in zona la Missione Inglese solo per aiutare le formazioni partigiane esistenti. (Ivi). .
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Un’altra parte a cui Alberto Buvoli dà grossa importanza è quella che si trova nel rapporto del Comando della Divisione d’assalto Garibaldi-Natisone al Comando del IX° Corpo d’Armata, datato Zona, lì 12 dicembre 1944, e firmato da Vanni, Virgilio e Sasso. (Archivio IFSML Udine – Fondo Lubiana, busta 3 fasc. 56, documento 6).
In esso si legge, in chiusura, «In quanto alla “Osoppo” che noi interessa e la missione Inglese, la sua liquidazione dipende dalla nuova situazione creatasi. La puntata nemica dell’8 c.m. ci ha impedito di portare la cosa a buon termine. Inoltre abbiamo altri documenti raccolti ieri, e cioè una dichiarazione di un Osovano, che li accusa in pieno. Non appena la sua situazione si chiarirà la questione verrà risolte dalla 157^ Brigata.
Nulla possiamo dire a proposito della mobilitazione, in quanto mancano i dati necessari a causa dei collegamenti. Appena si chiarirà la situazione ed avremo nuove notizie, che interessano codesto comando, invieremo un nuovo rapporto».
Ma questo punto viene dopo una serie di altri ben più importanti, quali il funzionamento dell’intendenza e la situazione difficile in cui si trovava la Divisione Natisone, da me già citati nel mio: La Divisione Garibaldi Natisone alla fine della Zona libera, fra fame, nemico, e spazio ristretto, in: www.nonsolocarnia.info.
Come si può vedere, il Comando della Natisone non ha ancora deciso, deve informarsi meglio, ma su cosa non è dato capire solo da questo documento. Sappiamo invece, dallo stesso, che ne verrà interessata la 157^ Brigata, comandata da Gino Lizzero, Ettore, fratello di Mario Lizzero, Andrea.
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Possibili cause di screzi all’interno della resistenza.
Può darsi, verosimilmente, che alla base di questi screzi fra Osovani e Garibaldini, che interessavano pure il IX° Corpo e la Missione inglese, stesse l’atteggiamento degli osovani, dopo il passaggio della Natisone sotto il comando operativo del IX° Corpo dell’Esercito di Liberazione Jugoslavo. E ciò si evince, pure, da un documento presente in Archivio Istituto Gramsci – Roma, ove si legge che l’Osoppo aveva creato una campagna diffamatoria che aveva avuto riflessi sino in sede di CLNP. Si andava dicendo che i garibaldini si erano venduti agli sloveni, tradendo gli interessi italiani; che, da comunisti, favorivano l’Urss; che depauperavano di generi alimentari la zona per inviarli agli sloveni, che i garibaldini facevano azioni rischiose atte a favorire rappresaglie. La Natisone rispondeva a questa accuse chiarendo che non aveva tradito alcuno, perché l’Esercito di Liberazione Jugoslavo era esercito Alleato, e che lottava accanto ad un popolo fratello, in unione di forze; che ai garibaldini della Natisone era spesso venuto a mancare il necessario per vivere, dato loro dagli sloveni; che nessuno aveva mai negato loro l’esposizione della bandiera italiana, e che loro lottavano mentre la Osoppo aveva assunto un atteggiamento attesista. Il diffondersi di queste tesi atte a screditare la Garibaldi Natisone, avevano avuto ripercussioni nei rapporti con la popolazione e la prima Brigata Osoppo. (“Relazione sul passaggio della Divisione Garibaldi Natisone sotto il Comando Operativo del 9° Corpo d’Armata sloveno e la situazione creatasi in questa zona in seguito a tale avvenimento”, indirizzata: Al Corpo Volontari della Libertà, Alla Delegazione Triveneta Brigate Garibaldi, Al Comitato si Liberazione Nazionale Alta Italia, Al Comitato di Liberazione Nazionale Provinciale, datata 21 dicembre 1944, in: Archivio storico della Resistenza, Veneto- Friuli – Divisione Natisone, Fondo BG Sez. IX, Part. 2, Fasc. 5, in: Archivio Istituto Gramsci, pp. 09508 – 09509).
Pertanto una delle vie scelte dal Comando della Divisione Natisone era stato quello, dopo il colloquio con la Missione Inglese da parte di Ettore e Bruno, avvenuto il 15 dicembre 1944, (Documento cit., in: Archivio IFSML Udine – Fondo Lubiana, busta 3 fascicolo 64, documento 19) unicamente di informare di quanto accaduto gli organi superiori, avendo ben altri problemi di sopravvivenza da affrontare.
Più tardi sarebbe stato affidato a Gensis, responsabile culturale, ed ad Elio, responsabile stampa e propaganda, il compito di creare un giornale divisionale, perché «avendo lasciato la Furlanìa ed una zona mista senza nostre formazioni, abbiamo bisogno, pure da lontano, di una attiva propaganda, che miri a sventare le mene della propaganda avversaria, che dopo la nostra partenza, ha colto l’occasione per sviare la natura del nostro passaggio in seno al NOV, e per suscitare discordie di carattere sciovinistico fra italiani e sloveni». Il giornale doveva puntare al diffondere la fratellanza e la comune lotta antinazista. (Documento intestato: “IX° Corpo d’Armata. – Divisione d’assalto Garibaldi “Natisone” – Comando – Sezione Cultura stampa e propaganda” protocollato con il numero 0066, datato 27 gennaio 1945, avente come oggetto: “Giornale di Divisione” ed indirizzato “Al compagno Saša, responsabile stampa e propaganda presso il IX Corpo Nov in Pcj e per conoscenza al compagno Commissario del IX Corpo d’Armata. – Loro sedi”. Archivio IFSML Udine – Fondo Lubiana, busta 3 fascicolo 58, documento 7).
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In sintesi quello che poteva innervosire realmente il IX° Corpo ed il Comando della Divisione Natisone era quella propaganda antigaribaldina, antislovena ed antislava da parte di soggetti della Osoppo, fatta su vasta scala. E non si può non rammentare quanto deleteria potesse essere, in quanto andava ad alimentare l’antibolscevismo ed antislavismo, vissuti come fossero la stessa cosa, potentemente diffusi dal fascismo nella popolazione del Litorale Adriatico. (Enzo Collotti, Il Litorale Adriatico nel Nuovo Ordine mondiale, Vangelista ed., p. 67). E che alcuni soggetti della Osoppo fossero ferocemente antisloveni, e che una propaganda antislovena fosse iniziata dopo la fine della Zona Libera del Friuli Orientale, viene narrato pure da altre fonti: anche Fabio Vander, per esempio, ricorda come gli osovani avessero iniziato, dopo il passaggio della Divisione Natisone alle dipendenze operative del IX° Corpo, a considerare i garibaldini di detta divisione dei venduti agli sloveni. (Fabio Vander, Porzûs. Guerra totale e reistenza nel Nord- Est, Leg 2015, p. 101).
Inoltre nel documento che verbalizza l’incontro del 15 dicembre 1944 tra la Missione Inglese e Bruno (Brillo Bertolaso, rappresentante del P.c.i.) ed Ettore, Gino Lizzero, comandante della 157^ Brigata, e fratello di Mario Lizzero, si legge che «la responsabilità di piccoli banali incidenti verificatisi in questi ultimi tempi non deve ricadere sulle proprie unità ma piuttosto sulle unità osovane, le quali dopo l’adesione della Divisione Garibaldi Natisone al 9° Corpo hanno iniziato una sistematica azione diffamatrice nei riguardi dei garibaldini e delle formazioni slovene». (Documento cit., in: Archivio IFSML Udine – Fondo Lubiana, busta 3 fascicolo 64, documento 19).
Infine “manifestazioni scioviniste” cioè di nazionalismo esagerato, si erano avute pure nella Brigata italiana “Trieste”, per le quali vi erano state formali proteste del Partito Comunista Sloveno a quello italiano, come si evince dalla risposta dello stesso. (Lettera indirizzata alla “Direzione del Partito Comunista Sloveno, e per conoscenza al compagno Kristof (Edvard Kardelj n.d.r.), datata 16 agosto 1944, firmata: “La direzione del Partito comunista italiano”, in IFSML).
La posizione degli Inglesi, in quel dicembre 1944 in Venezia Giulia, viene precisata da Raoul Pupo che sottolinea come gli inglesi avessero, all’epoca, posto come priorità, alle loro Missioni nella Venezia Giulia, quella di non intromettersi in «possibili conflitti, anche armati, fra schieramenti politici locali contrapposti». (Raoul Pupo, Il contesto internazionale delle vicende giuliane, in in AA.VV., I Cattolici isontini, cit, p.45). E anche Galliano Fogar precisa che il comando generale alleato del Mediterraneo ordinò a tutte le missioni in Friuli e nella Venezia Giulia di non farsi assolutamente coinvolgere nei contrasti etnico -nazionali e fra forze partigiane comuniste e non comuniste locali e di non favorire la formazione di schieramenti in opposizione agli jugoslavi, e detto comportamento fu mantenuto e osservato anche dopo la tragedia di Porzûs quando i capomissione alleati si preoccuparono soprattutto che la Osoppo riorganizzasse i suoi reparti e continuasse i sabotaggi contro i tedeschi». (Galliano Fogar, La tragedia di Porzus, cit., pp. 138-139). E vedremo che proprio la Missione Inglese cercherà di porre un calmiere alla situazione di tensione creatasi fra Osoppo da una parte e Garibaldi- IX° Corpo dall’altra.
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Ma questo non era il solo problema. Vi era anche il fatto che alcuni della Osoppo, personaggi di un certo spessore, si muovevano per conto proprio.
La terza Brigata Osoppo aveva come commissairio politico Vico, Giovanni Battista Carron, (Giorgio Gurisatti, Nel verde la speranza, ed. A.P.O., Udine, 2003, p. 137),che appare propenso a contatti con il nemico, non solo cosacco ma anche tedesco, se si crede a Marco Cesselli. Egli scrive che Vico, nell’ autunno 1944, aveva incontrato un maggiore tedesco, per accordarsi, secondo Candido Grassi, Verdi, su una zona libera per partigiani in cambio della non belligeranza e nell’ottica di una sostanziale pacificazione, con esito negativo ; inoltre, il patriota Livorno (l’osovano Giuseppe De Monte, sempre della terza brigata Osoppo, (Ivi, p. 56), aveva favorito e quindi avuto contatti, assieme a Vico, con i cosacchi onde permettere il passaggio indolore dei suoi lungo la strada Colle-Pinzano; infine, il 10 novembre 1944, nella frazione di Colle era avvenuto un nuovo incontro fra Miro, Giorgio Simonutti, comandante prima del Btg. Giustizia poi della Terza Brigata Osoppo (Ivi, p.137 ), Vico ed altri con il Comandante del presidio Cosacco a Pinzano, presente un ufficiale SS, con invito a pranzo del nemico da parte dei partigiani. Questo ulteriore incontro permise ai partigiani osovani di passare liberamente sul ponte di Pinzano. (Marco Cesselli, Porzus. Due volti della Resistenza, Aviani& Aviani seconda ed., 2012, pp. 40-41. Per altri incontri di osovani con il nemico, si leggano ivi anche pp. 42-43).
Cino Boccazzi il Tenente Piave, ma anche solo Piave, poi, catturato dalla X Mas il 14 dicembre 1944 (messaggio di Nicholson del 21 dicembre 1944, in: Mario Candotti, Lotta partigiana tra Meduna, Arzino e Tagliamento: i rastrellamenti del 1944, in Storia Contemporanea in Friuli, n. 12, nota 185, p.103), era stato liberato ed aveva favorito l’incontro tra Candido Grassi Verdi, uomo importante nella Osoppo, e il capitano Morelli della X Mas, presente Cino Boccazzi, che aveva come oggetto il fronte comune antisloveno ed anticomunista. «I colloqui con il nemico si svolsero dunque – scrive Cesselli – tra il novembre 1944 e il marzo 1945 […]. (…). Quei ripetuti incontri tra Osovani e Nazi – Fascisti, di cui la “Osoppo” non si preoccupava di informare la “Garibaldi” non potevano non sollevare pesanti sospetti tra i Garibaldini». (Marco Cesselli, cit., p. 45).
Questi contatti che alcuni pensano avessero alla base la posizione della Chiesa, che temeva ritorsioni sulla popolazione, e che non era certo favorevole a comunisti, garibaldini e partigiani sloveni, nella realtà appaiono più come strumenti per salvarsi la pelle ed avere cibo, abiti e un letto, in attesa della fine della guerra, mettendo in difficoltà, secondo me, non solo i garibaldini ma anche altri della Osoppo rimasti con il mitra in mano, come per esempio il capitano Francesco De Gregori.
Infine il presidio misto di Ravosa indicava come soggetti osovani, ma anche garibaldini, forse potessero accordarsi con fascisti in funzione anti cosacca ed anti tedesca, in nome della salvaguardia della popolazione ma anche forse per salvaguardare se stessi. (Ivi, pp. 45-46).
Nel merito però bisogna ricordare quanto scriveva il comandante osovano Francesco De Gregori, Bolla, ufficiale effettivo del R.E.I., abituato a valutare molti aspetti anche della sua truppa. «Nelle nostre file esisteva molta zavorra. Gente senza ideale che vedeva nelle formazioni partigiane soltanto la possibilità di evitare il servizio militare o il lavoro obbligatorio in Germania». (Bolla, Relazione sui fatti d’arme di Faedis – Attimis – Nimis, dal 27/9/44, in: Archivio storico della Resistenza, Veneto- Friuli – Divisione Natisone, cit., p. 09369).
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E c’ è un documento che pone invero dei problemi, relativamente alla Osoppo, dove pare che spesso uno facesse, l’altro dicesse … senza coordinamento. Inoltre poi ci si è dimenticati che chi comandava l’Osoppo non era Verdi, esautorato dopo Pielungo, ma Mario, Manlio Cencig. Vediamo cosa dice questo documento che si trova in “Copia conforme all’originale” all’ IFSML. Esso è firmato Spartaco.
«20 gennaio 1945 – Oggetto. Relazione.
Recentemente i patrioti Miro, e Vico, qualificatisi rispettivamente per Comandante e Commissario della 3^Brigata Osoppo reduci dalla montagna a seguito dei noti rastrellamenti, si presentarono al Comando della btg. Silvio Pellico, ove dichiararono:
- di non riconoscere in veruna guisa la costituzione, autorità e la competenza del “Comando Unico della pianura friulana”, le cui forze, secondo il loro parere, dovevano invece ritenersi come soggette alla loro dipendenza, e di riservarsi pertanto, con ogni mezzo ed a costo di qualsiasi conseguenza, piena ed assoluta libertà di azione, di organizzazione e di controllo nella zona.
- Di considerare completamente divergenti i loro punti di vista da quelli delle formazioni garibaldine per quanto concerne la situazione politica contingente, specie nei riguardi di una ventilata collaborazione con le forze partigiane slovene, alle quali – secondo essi – dovrebbesi opporre invece una decisa ed ostile resistenza.
- Parlarono in termini poco chiari di un “eventuale armistizio con i tedeschi” chiedendo quale sarebbe in tal caso il pensiero e il comportamento dei Garibaldini.
- Alle esortazioni di usare tutta quella maggiore prudenza e riservatezza richiesta dalla differenza di ambiente e di condizioni tra la montagna e la pianura, onde evitare sicure persecuzioni e retate, risposero di non temere granché, date le loro “alte protezioni”. Soggiunsero anzi essere ormai noto che i tedeschi puniscono con la morte i Garibaldini mentre per i componenti della “Osoppo” si limitano tutt’al più alla deportazione in Germania.
In un successivo tempestoso colloquio con il Comandante del Btg. Silvio Pellico, il patriota Miro si espresse in termini alquanto imperiosi, dichiarando che a qualunque costo, e senza badare a spargimento di sangue, egli avrebbe condotto e propagandato la più accanita lotta contro il “pericolo comunista slavo”. Spartaco».
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Non si può negare, però, che gli osovani che cercavano contatti con il nemico fossero sempre gli stessi, riconducibili ad alcuni capi filo – cattolici, (collegabili anche alla crisi di Pielungo), Verdi, e pochi altri, e come gli osovani non dimostrassero un agire unitario. Inoltre forse da allora essi vennero da alcuni definiti, non senza qualche motivo, “fascisti”, e comunque nessuno credo abbia mai definito Maso, o in Carnia Terenzio Zoffi Bruno “fascista”, come tanti altri osovani che lottarono con onore anche al fianco dei garibaldini.
Le varie anime della Osoppo, la scarsa organizzazione della formazione non garibaldina, il protagonismo di alcuni ed il desiderio di salvarsi di altri, il vedere e pensare al dopoguerra con il nemico in casa, pregiudizi ideologici in persone vissute sotto il fascismo per un ventennio, giocarono il loro ruolo nelle difficoltà della fine 1944 ed inizio 1945. Ma non si può leggere tutta la resistenza osovana in Friuli – Venezia Giulia solo attraverso le azioni di Verdi, Vico e Miro, Piave, Goi, e qualche altro, e in un’ottica definita cattolica, su cui mi soffermerò in un prossimo articolo.
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Vi erano poi stati fatti, non di poco conto, che avevano ulteriormente inasprito gli animi della Natisone verso gli osovani, come il prelievo di farina e pasta preparata per i Garibaldini, da parte di osovani, (Archivio storico della Resistenza, Veneto- Friuli – Divisione Natisone cit., documento p. 09513), l’uccisione di Alighieri, Dante Castenetto, garibaldino della Picelli, da parte di tale De Silma osovano, (Archivio storico della Resistenza, Veneto- Friuli – Divisione Natisone, cit. documenti p. 09511 e p. 09514, Giovanni Angelo Colonnello, Friuli Venezia Giulia, zone jugoslave, guerra di Liberazione, Ud, 1965, p. 335) non si sa perché, e la riferita (da parte di Furore, responsabile sul terreno della Brigata Anita Garibaldi che lo aveva appreso da altri) uccisione, nel novembre 1944, di altri 4 garibaldini da parte di Goi, Rainero Persello, comandante del Btg. Montenero della Osoppo, di cui due freddati senza processo con l’accusa di essere spie. (Archivio storico della Resistenza, Veneto- Friuli – Divisione Natisone, cit., documento p. 09515. Per Mario Candotti, Lotta partigiana tra Meduna, Arzino, cit., p. 105, Goi era però il comandante del btg. Italia).
Per quanto riguarda il prelievo di generi alimentari, su ordine del Comando, da parte della 157^ Brigata, così riferivano Banfi ed Ettore l’1 dicembre 1944 tramite una missiva intestata “Corpo Volontari della Libertà – Divisione d’assalto Garibaldi Natisone- 157^ Brigata “Garibaldi “G. Picelli”, ed indirizzata al Comando della I Brigata Osoppo – Sua sede – e per conoscenza al Comando della Divisione d’assalto Garibaldi “Natisone” – sua sede – Al Comando Regionale Veneto – Al Comitato di Liberazione Nazionale. Loro sedi”. «Dopo attente e minuziose indagini, in relazione al fatto lamentato da Codesto Comando si precisa quanto segue: il Btg. “Manin”, incaricato da questo Comando di provvedere al ritiro di un quantitativo di generi alimentari depositato nell’abitato di Cortale per conto di questa Brigata, veniva ivi a conoscenza che detta merce, la notte del 23 u.s., era stata asportata con la forza da elementi osovani, che avevano bloccato il paese, trasportandola successivamente a Subit. Dalle dichiarazioni in possesso di questo Comando, risulta che gli elementi osovani hanno compiuto l’operazione di cui sopra essendo stata notificata la legittima proprietà dei generi in questione». Si sa, poi, che il Comando Btg. Manin, di sua iniziativa, aveva deciso di riprendersi quanto sottratto, prelevandolo dal luogo ove si trovava. Il Comando Brigata, quindi, pur non approvando l’operato del Btg. Manin, anzi riservandosi di prendere i provvedimenti disciplinari del caso, riteneva di non rendere le derrate alimentari essendo di legittima proprietà della Natisone, ed anzi reclamava la resa di 47,60 quintali di farina e di 15 chilogrammi di pasta, sottratti e non reperiti dal Btg. Manin, e mancanti all’appello. E si aggiungeva: «Alfine di non turbare ulteriormente i rapporti esistenti fra le rispettive formazioni si sorvola sui termini poco corretti usati da codesto comando». (IFSML, Fondo Lubiana, busta 3 fasc. 64, documento 7), il che fa capire come la Osoppo si permettesse pure di usare un frasario poco adeguato verso altri partigiani.
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Motivi di attrito fra garibaldini ed osovani non mancavano, in quel novembre – dicembre 1944, ma non vi è documento che dica che il IX° Corpo, e chi per il IX°Corpo, abbia dato l’ordine a Giacca, che non dipendeva da lui, e neppure dalla Divisione Natisone in quel momento né successivamente, di uccidere Bolla. E poi una azione così grave non avrebbe potuto non esser approvata dai comandanti del IX°Corpo, e non apparteneva ad un modo di agire di eserciti in guerra. Ed infatti il Comando della Natisone aveva deciso di interessare alla risoluzione del problema del rapporto con gli osovani la 157^ Brigata. E lo fa. Ed ora vediamo che fanno Bruno Brillo Bertolaso, rappresentante del P.c.i., inviato per fare azione politica di partito, (Cfr. Laura Matelda Puppini, La Divisione Garibaldi Natisone alla fine della Zona Libera, fra fame, nemico e spazio ristretto, in www.nonsolocarnia.info) ed Ettore, Gino Lizzero, comandante della Brigata e fratello di Mario Lizzero. Essi, che si trovano ancora fuori dalla zona libera slovena, accettano un incontro con la Missione Inglese.
Il terzo documento. – La mediazione Inglese.
E prendiamo in considerazione, in maniera analitica, un terzo documento. Esso è intestato: “Corpo volontari della libertà – Divisione d’assalto Garibaldi Natisone – 157a brigata “G. Picelli” – Comando”, ha il numero di protocollo 171, è datato “Zona, lì 15. XII. 1944” è indirizzato “Al Comando della Divisione d’assalto Garibaldi “Natisone” ed “Alla Delegazione Triveneta delle Brigate d’assalto Garibaldi” e risulta firmato: “CVL – Comando Div. d’Assalto Garibaldi Natisone 157° Brigata G. Picelli. F.to Ettore. F.to Bruno (senza firma autografe).
E così vi si legge:
«Dietro richiesta del Maggiore capo della Missione Inglese in zona, si è tenuta oggi una riunione con l’ intervento del maggiore stesso e il suo aiutante tenente Tajlor ed i rappresentanti della Divisione Gar. Natisone Compagni Bruno ed Ettore.
Il maggiore inglese ha iniziato la conversazione, rilevando che la seduta odierna era da considerarsi come il seguito di quella avuta precedentemente con il Comando della Divisione Garibaldi nella quale detto Comando aveva richiesto alla Missione aiuti in armi e materiali per la continuazione della lotta, secondo le promesse più volte fatte al riguardo dal maggiore capo dell’attuale Missione e dal suo predecessore.
Ha proseguito dicendo che le formazioni Garibaldine hanno sempre avuto il dubbio che la missione inglese in zona non avesse un compito puramente militare, ma che si interessasse anche di questioni politiche.
Questo è da escludersi in quanto la Missione è in zona solamente per aiutare solo le formazioni partigiane esistenti e per concretare il programma organico di azione secondo la forza e la consistenza delle varie formazioni armate. Ha soggiunto che tale programma, per quanto lo riguarda, comprendeva azioni di sabotaggio da compiersi con piccoli gruppi della brigata “Osoppo” ed azioni militari in grande da effettuarsi con le formazioni Garibaldine, essendo queste le più forti ed addestrate.
Ha rilevato poi, a malincuore, che dal giorno del passaggio della Divisione Garibaldi “Natisone” alle dipendenze operative del 9° Corpo d’Armata sloveno, si sono verificati frequenti incidenti fra le formazioni della “Garibaldi” e dell’”Osoppo”, i quali hanno fatto sorgere in lui l’impressione che le formazioni garibaldine intendono assumere un atteggiamento ostile nei confronti degli osovani: se tale impressione risultasse vera, ciò servirebbe unicamente a favorire il nemico.
Ha soggiunto di essere a conoscenza delle divergenze politiche che esistono fra le formazioni osovane e garibaldine, ma che queste devono essere assolutamente rimandate a dopo la vittoria ed in ogni caso non devono intralciare le operazioni militari. Il maggiore, continuando a dichiarare di aver fatto le stesse raccomandazioni al Comando della brigata Osoppo, con l’autorità che gli deriva dal fatto che l’Osoppo si è messa alle direttive dipendenti del “Comando Supremo Alleato”. Concludendo l’ufficiale ha chiesto ai garibaldini una collaborazione anche passiva, rimandando al dopoguerra tutte le questioni interne, ribadendo il principio che, conformemente agli accordi internazionali, basati sulla libertà, gli Alleati non si interesserebbero delle questioni politiche interne di ogni singolo Paese.
Qualora i garibaldini non si sentissero di dare la collaborazione richiesta, il maggiore dovrebbe naturalmente riferire ai suoi superiori la situazione creatasi che renderebbe praticamente impossibile la realizzazione del programma fissato, nel qual caso si sospenderebbero automaticamente gli aiuti da parte degli alleati e si dovrebbero richiedere delle formazioni paracadutiste per l’attuazione del programma stesso.
Con la collaborazione di tutti i partigiani della zona, tuttavia, si potrebbe togliere al Comando Alleato questo peso non indifferente. In caso di accettazione la Missione sarebbe disposta a dare il massimo appoggio alle formazioni partigiane garibaldine. Come conclusione il capo della Missione Alleata ha proposto la costituzione di un comando di coordinamento sloveno – garibaldi – Osoppo per l’attività di tutte le formazioni partigiane assistenti nella zona compresa tra il Natisone ed il Tagliamento.
Ha terminato chiedendo l’assicurazione formale che non si intraprenderanno iniziative dirette ad impedire l’attività militare di altre formazioni, di poter contare sulla collaborazione dei garibaldini per il momento dell’attacco finale che sarà ordinato dal Comando Alleato.
Al finale dell’esposizione del capo della Missione Inglese, i rappresentanti delle formazioni garibaldine hanno fatto notare che la responsabilità di piccoli banali incidenti verificatisi in questi ultimi tempi non deve ricadere sulle proprie unità ma piuttosto sulle unità osovane, le quali dopo l’adesione della Divisione Garibaldi Natisone al 9° Corpo hanno iniziato una sistematica azione diffamatrice nei riguardi dei garibaldini e delle formazioni slovene. In ogni caso è stato precisato che gli incidenti non hanno ritardato in alcun modo le azioni militari, in quanto – al di fuori di qualche azione di sabotaggio, – si fa sempre più largo in quelle formazioni una mentalità opportunistica, già denunciata del resto dalla circolare della Delegazione Triveneta delle Brigate d’assalto Garibaldi “Opportunismo e lotta”». (Archivio IFSML Udine – Fondo Lubiana, busta 3 fascicolo 64, documento 10, già citato).
Quindi Brillo Bertolaso e Gino Lizzero ponevano delle domande ai rappresentanti della Missione inglese, per cercar di capire la loro posizione.
Essi domandavano al Maggiore Inglese che pensasse dell’Esercito di Liberazione comandato dal Maresciallo Tito, ed ottenevano come risposta che egli lo considerava «alla stesa stregua degli eserciti alleati»; domandavano se riconoscevano la zona ove si trovavano come zona di operazione del IX° Corpo, e ne ottenevano risposta negativa, in quanto gli inglesi ritenevano che, per «esigenze tattiche si debba limitare all’ Isonzo, ed anche il fatto che la Divisione Garibaldi dipenda dal 9° Corpus non modifica la situazione», il che significava, in sintesi, che la Natisone, se continuava a dipendere dal 9° Corpo doveva passare l’Isonzo; essi chiedevano se il Maggiore sapesse che essi avevano dovuto, pur essendo i garibaldini ben più numerosi degli osovani, recuperarsi anche le armi, essendo stati privati di qualsiasi aiuto. Il Maggiore rispondeva che il 30% di quanto inviato con i lanci per gli osovani doveva andare ai garibaldini, e non sapeva cosa fosse accaduto, pertanto si sarebbe informato nel merito. Inoltre Brillo Bertolaso e Gino Lizzero precisavano al Maggiore Inglese, qualora non ne fosse stato a conoscenza, che i garibaldini avevano sempre operato per l’unità della lotta contro il comune nemico, e che quindi non sarebbero stati certo loro ad ostacolare iniziative per il rafforzamento della lotta comune. Quindi i due garibaldini facevano notare come le passate divergenze tra le due formazioni Osoppo e Garibaldi non avessero impedito, su iniziativa della Garibaldi, una stretta collaborazione, che poteva continuare solo se gli osovani si fossero adeguati ai principi democratici «per cui si combatte».
Quindi domandavano come si sarebbe potuto concretamente realizzare il comando di coordinamento sloveno- garibaldino – osovano. Doveva comprendere un comandante per formazione, ed ufficiali in base ai contingenti esistenti in zona? E quali sarebbero stati i compiti del comando? Veniva risposto che i compiti dovevano essere esclusivamente militari come: coordinare le azioni, suddividere le aree di competenza, suddividere il rifornimento viveri, dirimere questioni politiche che potessero sorgere fra le formazioni.
Bruno ed Ettore sottolineavano, in chiusura, inviando il documento pure alla Delegazione Triveneta delle Brigate d’assalto Garibaldi, come primo punto il fatto che gli aiuti fossero rimasti sempre a livello di promessa, e quindi come, a loro avviso, il Maggiore inglese, con le sue dichiarazioni, avesse tentato di porre «in stato di accusa» i garibaldini, senza risultato, mentre si era sottolineata l’intangibilità degli osovani, «dipendenti dal Comando Supremo Alleato». Inoltre si sottolineava come, in precedenza, gli osovani avessero detto che non avrebbero mai accettato la dipendenza operativa dal 9° Corpo, «per ragioni di nazionalità».
Infine si proponeva, dato che nuove forze osovane e garibaldine erano giunte dalla Carnia, una volta esclusi (non soppressi n.d.r.) elementi reazionari, di creare il Comando di Coordinamento proposto dagli Inglesi, a condizione, però, che «le forze osovane marcino veramente nel vero spirito democratico per cui tutti lottiamo in questo momento». Quindi si prometteva l’invio della documentazione sui fatti accaduti fra le due formazioni. (Archivio IFSML Udine – Fondo Lubiana, busta 3 fascicolo 64, documento 10).
In sintesi ciò che infastidiva i garibaldini e gli sloveni erano i distinguo degli osovani, il porre problemi nazionalistici prima che di lotta comune, le posizioni antislovene, e quanto appariva poco democratico.
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Ma poi l’inverno e le necessità impellenti, (vedasi la richiesta di Vanni, datata anch’essa 15 dicembre 1944, al IX° Corpo per prelevare subito 1000 paia di scarpe, 1000 divise e 1000 cappotti, come da documentazione in : Archivio storico della Resistenza, Veneto- Friuli – Divisione Natisone, cit., p. 09496) la Osoppo che aveva ridotto le sue file aderendo totalmente al Proclama Alexander, avevano disegnato altri scenari, ove si era fatta, secondo me, di necessità virtù.
Le divergenze fra Osoppo e Garibaldi erano, comunque, pure alimentate ad arte dai fascisti e dai tedeschi, che utilizzavano una politica di screditamento dell’uno agli occhi dell’altro, ora “Adverso” uno, ora “Adverso” l’altro, per seminare zizzania, come scrive Rinaldo Cioni a Ciro Nigris. (Lettera di Rinaldo Cioni a Ciro Nigris, datata 22 febbraio 1945, in: Rinaldo Cioni, Ciro Nigris, Caro amico ti scrivo … (a cura di Laura Matelda Puppini), Storia Contemporanea in Friuli, n. 44, 2014, pp. 237-238).
Inoltre anche i repubblicani, a cui era noto l’avvicinarsi della fine della guerra, cercavano dei contatti, degli approcci, e non si sapeva come si sarebbero mossi i tedeschi.
Così il 29 gennaio 1945, Gondola, che redigeva i rapporti informativi per il Comando della Natisone, scrive alla 1 divisione (Illeggibile) Natisone. Comando (Illeggibile) : «Come già annunciato Pavolini, capo delle brigate nere, si è recato in varie località del Friuli e a Trieste. Si è incontrato con i vari comandanti tedeschi, e Berachter- L’oggetto delle discussioni svoltesi riguarda l’imminente arrivo, nella zona friulana, di reparti repubblicani ed il probabile trapasso dell’amministrazione della provincia di Udine alla cosiddetta Repubblica Sociale Fascista. Si ha notizia che i tedeschi stanno sgomberando dall’Italia settentrionale. Circola voce che il fronte italiano verrà ritirato sul Po e più indietro». (Archivio Ifsml, Udine. Fondo Lubiana. Busta 3 Fascicolo 60. Documento n.9).
Chi dava per scontata la sopravvivenza della Repubblica Sociale? – mi chiedo. Questo per dire che, in quei primi mesi del 1945, quando la fine dei nazisti era sicura, voci sul poi si ricorrevano, e molti cercavano di salvarsi la pelle, sfruttando, pure, i noti limiti altrui, le note ripicche, le note divergenze, spesso alimentate ad arte.
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Ma ritorniamo a Giacca ed al suo gruppo. Innanzitutto mi preme precisare che non ho trovato, nella documentazione sita in: Archivio Gramsci – Archivio storico della Resistenza, Veneto- Friuli – Divisione Natisone, cit., 09462, 09543, 09564, ove si trovano anche gli elenchi delle azioni gappiste della I Brigata Gap 13 Martiri di Feletto Umberto composta da 250 elementi anche non del Pci, notizie circa Giacca, Mario Toffanin ed il suo gruppo che pare quindi disaggregato, solitario, in quel momento. Alberto Buvoli, poi, dice che Mario Toffanin non aveva aderito al P.ci. (Fabio Vander, cit., nota 132 p. 82) ma aveva mantenuto la tessera del Pci croato, e quindi non si sa perché il Pci avrebbe dovuto affidargli una missione importantissima e dai risvolti non di poco conto, per poi lasciarlo andare, direi eclissarsi, in zona libera slovena. Ma non si capisce umanamente neppure perché gli avrebbe dovuto affidare una missione di tale portata e rilevanza un gruppo Gap a cui non apparteneva, o la Divisione Natisone che aveva preso le sue decisioni e di cui non faceva più parte, e comunque aveva trattato con gli Alleati, o il IX° Corpo. Insomma, più leggo i documenti originali, più l’azione di Giacca, che Alessandra Kersevan mi conferma esser stato, dopo la fine della Zona Libera del Friuli Orientale in Bosco Romagno, mi appare una azione solitaria, non coordinata da alcuno, non ordinata da alcuno, fatta sulla base di alcune informazioni avute chissà da chi, ma senza avere i dovuti contatti, e in una situazione difficilissima a più livelli. E fu portata a termine da coloro che stavano con lui e forse da altri racimolati qui e là sull’onda emotiva.
Questo ovviamente non giustifica Toffanin ed i suoi, ma forse aiuta maggiormente a capire. Io non credo, sulla base di quanto ho letto sinora principalmente su fonti orginali, che problemi di altro genere, come la delimitazione del cosiddetto confine orientale o i rapporti tra Pci e Partito comunista sloveno, o il passaggio della Divisione Natisone alle dipendenze operative del 9° Corpo d’Armata dell’ Esercito di Liberazione Jugoslavo, abbiano potuto avere parte alcuna nella storia dell’eccidio detto di Porzûs, e che, sull’onda dei processi e di una chiave di lettura errata non si sia riusciti a leggere in modo diverso la situazione contestuale.
Inoltre non basta leggere un documento per cercare di capire.
Laura Matelda Puppini
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COME RICHIESTOMI: INTEGRAZIONE FONTI 20 NOVEMBRE 2016. Laura Matelda Puppini
A riprova della tesi che Giacca abbia agito senza ordine alcuno, mi preme sottolineare quanto dichiarato da Mario Toffanin, Giacca nel 1998, nel corso di un’intervista concessa poco prima di morire, e riportata in: Intervista al comandante Giacca. La verità su Porzus, in: http://www.cnj.it/documentazione/varie_storia/ComandanteGiacca.pdf.
Mario Toffanin narra la sua vita, e dice di essersi trovato a Trieste, dove fu nominato responsabile dei Gap, dopo esser sfuggito al campo di concentramento per la sua attività partigiana a Zagabria. Individuato, si era spostato da Trieste ad Udine, dove aveva comandato 6 brigate Gap, da Udine a Monfalcone, ma non indica in modo preciso il periodo che potrebbe essere quello precedente al suo arrivo nella Zona Libera del Friuli Orientale. Dice di esser stato un comandante gappista anche ai tempi di Porzûs, e che i gappisti avevano come referente Ostelio Modesti, ed afferma anche di aver avuto dei contrasti con la Divisione Natisone.
Dice ancora che l’ultima volta che aveva visto Bolla, prima di “Porzûs”, era quando il suo gruppo gappista aveva distrutto una fabbrica di un ricco borghese di Udine, e Bolla si era lamentato con lui perché quell’industriale sovvenzionava l’Osoppo. (Intervista al comandante Giacca, cit., p.13). Afferma solo che Bolla era un monarchico, un ufficiale dell’esercito italiano degli alpini.
Narra che uno dei motivi di contrasto con la Osoppo era stato generato da un certo Marcon Guido, nome di battaglia Wolf, che diceva di aver fatto parte, prima, della Brigata Osoppo, che era giunto ai gap nel gennaio 1945, e che si era scoperto, poi, essere una spia al soldo nei nazi-fascisti. Questi aveva narrato di partigiani garibaldini presi dai nazisti grazie a lui ed altri osovani. (Nella realtà Wolf era un altro partigiano ucciso dal nemico nel dicembre 1944, di cui la spia aveva preso il nome. Ma in Marco Cesselli, cit., p. 117, Guido Marcon ha come nome di battaglia Brontolo. Ma su questi personaggi io non sono esperta e rimando ad Alessandra Kersevan, Porzûs, Dialoghi sopra un processo da rifare , Kappa Vu, 1995, anche pp. 89-90). Guido Marcon fu giustiziato alla fine di gennaio del 1945. (Intervista al comandante Giacca, cit. pp. 14-15). Lamenta inoltre che a loro giungessero solo vecchi fucili usati in Abissinia, latte in polvere e sigarette, e che si fossero formati presidi misti fra repubblichini e osovani. (Ivi, p.14).
Dice poi che ai primi di febbraio gli era giunta notizia che due gappisti operanti in pianura erano stati uccisi da fazzoletti verdi. Era una cosa gravissima che andava chiarita subito, secondo Giacca. Così mentre gli altri andavano a compiere l’azione alle carceri di Udine, «decisi di andare con 30 uomini su in montagna a chiedere a Bolla come mai aveva mandato qualcuno ad uccidere i due gappisti». (Ivi, p. 15).
Così andò da Bolla e vide la Turchetti. Afferma, poi, che tre furono uccisi subito ed altri portati via per avere informazioni. Due passarono nelle file garibaldine, e indicarono ove potevano trovare cibo ed armi. «Questo è stato Porzus». (pp. 15-16). Poi i due passati nelle file gappiste, vennero inviati a fare una azione e non si videro più. (p.17).
Non so umanamente che valore dare a questa testimonianza di Giacca, che ne aveva date in precedenza altre, ma sono propensa a credere che abbia agito senza ordini superiori, e solo con quel vago “Va fai e fai bene” di Ostelio Modesti. Anche Lino Zocchi afferma che ci furono degli episodi che concorsero a creare motivi di discordia, ma che non riteneva che quanto accaduto a Porzûs fosse collegabile a fatti specifici. (Marco Cesselli, cit. p. 52). Una dichiarazione a Marco Cesselli di Mario Toffanin su Porzûs si trova sempre in Marco Cesselli, cit., pp. 61-62, ma non dice molto. Ed anche Vanni Padoan, dopo aver sentito la notizia, il 10 – 11 febbraio 1945, era propenso a credere si trattasse di un colpo di testa di Giacca. (Ivi, p. 76).
Lo stesso Fabio Vander, scrive nel suo: Porzûs, cit. (nota 132 a p. 81 non numerata) «A titolo informativo va segnalato che il responsabile diretto della strage, Mario Toffanin (Giacca), ha da ultimo dichiarato di aver agito di sua iniziativa: “nessuno, mai nessuno mi ha dato l’ordine. Neppure un consiglio. Niente.”
Infine vorrei porre l’attenzione sul “vuoto” relazionale che la Divisione Natisone lasciò con il suo passare in Zona libera slovena, non potendo fare altrimenti, dato che era elemento mediatore fra la Osoppo ed il 9° Corpo. Inoltre tutto si svolse in pochi mesi.
Laura Matelda Puppini
Ringrazio veramente l’istituto Gramsci e l’IFSML., per la documentazione. Vietata la riproduzione. Permesse solo citazioni brevi con riportato autore, titolo dell’articolo e sito di pubblicazione. L’ immagine che accompagna questo articolo rappresenta Francesco De Gregori con il fazzoletto partigiano, ed è tratta, solo per questo uso, da: http://www.ritamascialino.com/cms/storiografia/il-capitano-francesco-de-gregori-in-una-memoria-della-figlia-anna/. Prego avvisare se vi sono veti alla pubblicazione della fotografia. Questa immagine a me piace tantissimo, e l’ho posta per cercare di far riacquistare al comandante osovano il ruolo principale che ebbe nella Resistenza, cioè quello di persona che lottava, da comandante qual era, come altri di diversa estrazione sociale, scuola, ideologia, per la libertà. PER NON DIMENTICARE. Laura Matelda Puppini
P.S. 18 DICEMBRE 2016. In data odierna dopo aver studiato il caso Cip, che risulta ancora oscuro, ed aver pubblicato sempre su questo sito www.nonsolocarnia.info il mio: “Resistenza e contatti con il nemico. Una strana storia tra un processo ed un volume. Ma si può sapere cosa accadde veramente e chi era il partigiano Cip?” ho cancellato il riferimento allo stesso in questo articolo, attendendo di trovare maggiori informazioni. Laura Matelda Puppini
https://www.nonsolocarnia.info/laura-matelda-puppini-porzus-topli-uorch-e-se-fosse-stato-un-atto-solitario-frutto-di-tensioni-senza-mandante-alcuno-confutazione-documentata-di-alcune-tesi/https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2016/11/de-gregori-P1000638.jpg?fit=768%2C1024&ssl=1https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2016/11/de-gregori-P1000638.jpg?resize=150%2C150&ssl=1STORIAVorrei riprendere, in questo mio contributo, quell’ “E se…” relativo alla carneficina di Porzus, compiuta da Giacca e dai suoi. L’ultimo articolo da me pubblicato si intitola “Ancora sulla strage di “Porzûs”, sui contesti internazionali, sulle chiavi di lettura di alcuni documenti”. Ivi riprendevo l’ipotesi di Galliano Fogar, che...Laura Matelda PuppiniLaura Matelda Puppinilauramatelda@libero.itAdministratorLaura Matelda Puppini, è nata ad Udine il 23 agosto 1951. Dopo aver frequentato il liceo scientifico statale a Tolmezzo, ove anche ora risiede, si è laureata, nel 1975, in filosofia presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Trieste con 110/110 e quindi ha acquisito, come privatista, la maturità magistrale. E’ coautrice di "AA.VV. La Carnia di Antonelli, Centro Editoriale Friulano, 1980", ed autrice di "Carnia: Analisi di alcuni aspetti demografici negli ultimi anni, in: La Carnia, quaderno di pianificazione urbanistica ed architettonica del territorio alpino, Del Bianco 1975", di "Cooperare per vivere, Vittorio Cella e le cooperative carniche, 1906- 1938, Gli Ultimi, 1988", ha curato l’archivio Vittorio Molinari pubblicando" Vittorio Molinari, commerciante, tolmezzino, fotografo, Gli Ultimi, Cjargne culture, 2007", ha curato "Romano Marchetti, Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona, una vita in viaggio nel Novecento italiano, ed. ifsml, Kappa vu, ed, 2013" e pubblicato: “Rinaldo Cioni – Ciro Nigris: Caro amico ti scrivo… Il carteggio fra il direttore della miniera di Cludinico, personaggio di spicco della Divisione Osoppo Carnia, ed il Capo di Stato Maggiore della Divisione Garibaldi Carnia, 1944-1945, in Storia Contemporanea in Friuli, n.44, 2014". E' pure autrice di "O Gorizia tu sei maledetta … Noterelle su cosa comportò per la popolazione della Carnia, la prima guerra mondiale, detta “la grande guerra”", prima ed. online 2014, edizione cartacea riveduta, A. Moro ed., 2016. Inoltre ha scritto e pubblicato, assieme al fratello Marco, alcuni articoli sempre di argomento storico, ed altri da sola per il periodico Nort. Durante la sua esperienza lavorativa, si è interessata, come psicopedagogista, di problemi legati alla didattica nella scuola dell’infanzia e primaria, e ha svolto, pure, attività di promozione della lettura, e di divulgazione di argomenti di carattere storico presso l’isis F. Solari di Tolmezzo. Ha operato come educatrice presso il Villaggio del Fanciullo di Opicina (Ts) ed in ambito culturale come membro del gruppo “Gli Ultimi”. Ha studiato storia e metodologia della ricerca storica avendo come docenti: Paolo Cammarosano, Giovanni Miccoli, Teodoro Sala.Non solo Carnia
Che il IX Korpus non avesse dato nessun ordine riguardo al fatto delle malghe di Topli Uorch, dette di Porzûs, sono d’accordo. Quello che scrivi su Mario Toffanin “Giacca”, invece, non corrisponde alla documentazione esistente. Il fatto che il suo nome non ci sia nei documenti dell’archivio Gramsci, non significa che non ci sia in altri documenti. Per scrivere su Porzûs bisogna ricercare molto di più e non si dovrebbe avere fretta di esternare le proprie idee in merito, maturate su letture limitate.
Alessandra Kersevan
Hai ragione, Alessandra.
Per cortesia, Alessandra, dato che io costruisco ipotesi citando per esteso le fonti, mi potresti dire in quale si trova l’appartenenza di Giacca alla Brigata gappista 13 Martiri di Feletto nel periodo di Porzus? Marco Cesselli scrive che esistevano due brigate gappiste, la “13 Martiri di Feletto” e la “Sterminio dei Nazi- Fascisti” ambedue comandate da Mario Toffanin, Giacca, ma non cita la fonte. (Marco Cesselli, Porzus, due volti della resistenza, Aviani e Aviani ed. 2015, pp. 22-23). Laura Matelda Puppini
Ha ragione Alessandra Kersevan
La premessa è che nell’inverno 1944-1945 si svolsero una serie di colloqui segreti tra la direzione dell’Osoppo, che aveva rifiutato di inquadrare nelle formazioni jugoslave i propri uomini operanti a cavallo del confine, e il comando delle SS, e almeno in un caso tra l’Osoppo e la famigerata X MAS di Junio Valerio Borghese: da parte nazifascista l’intento era quello di contrastare l’avanzante “slavocomunismo” costituendo un fronte che comprendesse anche i partigiani anticomunisti.
Vi era, però, un’ordinanza del Comando Volontari della Libertà che a livello di direzione Italia Nord nell’ottobre 1944 qualificava come “tradimento” – che in tempo di guerra prevede una sola condanna: la fucilazione – ogni trattativa con il nemico (direttiva ripresa dal CVL del Triveneto nel novembre 1944). Quindi queste iniziative dell’Osoppo, o di taluni suoi esponenti, erano oggettivamente un atto gravissimo.
Cecchini, ho scritto altri articoli su Porzus, sempre su http://www.nonsolocarnia.info, in cui cito l’incontro tra Verdi e X Mas. Inoltre bisogna citare le fonti, altrimenti sono opinioni. Se Alessandra Kersevan poi vuole pubblicare un volume su Porzus con altre ipotesi nessuno glielo vieta.
Ho aggiornato questa mia ipotesi con altre fonti. Laura Matelda Puppini
Laura carissima,
ho letto con interesse la tua articolata requisitoria a sostegno dell’ipotesi che “Giacca” si sia mandato alle Malghe per l’operazione che sappiamo. Non ho documenti, nuovi o non, da aggiungere alla tua attenta collezione, tutti ben noti ma il cui richiamo risulta sempre utile. Piuttosto posso riferire quanto, in occasione di due interviste concessemi, cui mi ero avviato, per evitare fraintendimenti, accompagnato da due amici, mi venne detto dallo stesso “Giacca” e da “Franco” (Ostelio Modesti).
“Giacca”, (luglio 1997) da cui mi ero recato con la scusa di trasmettergli l’invito di Martinelli alla prima del suo film “Porzus”, recitando io (noi) la parte dei perfetti, ma curiosissimi tonti (ignoranti delle note vicende), ci concesse una chiaccherata di ben 3 ore, in quel di Škofije. Fummo accolti con grande simpatia dalla signora (tant’è che dissi a Martinelli che con la figura della moglie di Geko non c’aveva proprio preso), che ci mise a nostro agio, ci offrì the e caffè e ci tirò la volata con Toffanin. Bene, “Giacca”, apparentemente lucidissimo”, molto prolisso e puntuale nel descrivere i propri tratti biografici, ogni qualvolta si entrava nel merito della missione a Topli Uorch diveniva fumoso e sistematicamente contraddittorio. Se si eccettua alcune considerazioni su “Enea”, fatte nel bel mezzzo e alla fine (che tralascio), riusci a parlare per ore senza, in sostanza, dire nulla di interessante, che non fosse ricca propaganda di sè e del suo progetto politico/ideologico.
Molto meglio andò con “Franco”. Persona squisita, in grado di suscitare forte ammirazione, che mi ebbe a pranzo il 31 maggio 1998. Ben consapevole del mio interesse, non si sottrasse ad alcuna domanda, e mi disse che da qualche tempo “Giacca” aveva insistentemente posto il problema degli Osovani di “Bolla”, tanto che lui stesso aveva sentito il bisogno di consultarsi con “Andrea” nel merito, e che al termine della riunione di Orsaria, dopo sviluppati i dettagli operativi per l’attacco alle Carceri, Toffanin gli si parò di fronte deciso e gli impose una decisione sulla questione. “Franco”, messo alle strette (mi mimò anche la circostanza), espresse l’assenso per una missione di controllo, e “Ultra” avrebbe vergato seduta stante il famoso biglietto (che citi e di cui “Giacca” parlò con Cesselli). A commiato, aggiunse che inviare “Giacca” come controllore fu un errore, e che lo stesso lasciava trasudare una fortissima motivazione e grande impazienza, “come se fosse pressato dall’alto”. “Franco” si aspettava, in caso di riscontri positivi, un arresto di tutto il gruppo, e per questo la forza in azione era stata organizzata di tale consistenza numerica. L’uccisione di “Bolla”, “Enea” e “LIvia” (e quella fallita di “Centina”) rappresentò la frittata, e il paniere dovette poi fare i conti con le uova rimaste.
Dario Iaiza di Pozzuolo, partecipante alla spedizione, mi confermò la consistenza del gruppo in circa un’ottantina e mi raccomandò di riflettere sulla circostanza: un tale dispiego di forze poteva solo significare il preciso intento di sequestrare uomini e mezzi, noncerto di condurre una semplice indagine.
“Vanni”, ma ciò è ben noto, negli ultimi anni testimoniò ripetutamente di aver avuto testimonianza di un movente/mandante titino. Ma, si sa, con tutto l’affetto, ricambiato, che ho sempre provato per lui, potrebbe anche aver detto “pro domo sua”.
A mio avviso, la presenza della Turchetti era ben nota a “Giacca” e giocò una parte ininfluente nella sostanza. La volontà degli Sloveni del IX Korpus “o con (sotto) di noi, o contro di noi” era già stata (Kardelj al P.C.I. del 09 settembre 1944, “Vittorio” alle Federazioni PCI 24 settembre 1944) chiaramente espressa, assieme alla necessità dello sgombero a qualsiasi costo delle zone rivendicate da elementi non allineati.
Spero che il mio contributo possa risultare utile alla discussione.
Affettuosamente, Paolo Strazzolini
Mi fa piacere che tutte le fonti da me citate fossero note ed arcinote, solo che no so perchè, allora, nessuno ne abbia mai citate alcune importantissime prima di me. Io poi ho letto i documenti originali negli archivi, e da sola ho chiesto di vederli, come metodo impone, ma spesso qui, e scusami Strazzolini sto parlando in generale, si fanno tanti bla bla, ma non si cerca nulla, guai fa fadie. E si sposano linee di lettura senza verificarle. Modesti non risulta che abbia contattato Andrea per Porzus, e se tu ritieni che così ti abbia detto Modesti stesso, per cortesia porta copia della registrazione all’ifsml, che verificate le voci, con qualcuno che ha conosciuto Modesti, se ancora esiste in vita, non da parte mia, perchè non ho mai conosciuto Modesti, verificherà le frasi in questione, il contesto in cui sono inserite e se risposta a domande quali siano state le stesse. Sai intervistare richiede metodo, come gli antropologi ed i sociologi sanno. Ma questo posso farlo anch’io, dopo verifica di voce Modesti. Scusa ma il metodo è uno. Naturalmente devi anche dire quando è stata fatta la registrazione dove, ecc. Comunque Marco Cesselli porta una testimonianza di Modesti a p. 59 del suo volume. Andrea era in Carnia in quei giorni, sceso dal bunker, forse la grotta Zagolin, ove aveva svernato, a cercare di formare il secondo comando unico Osoppo – Garibaldi Carnia con Romano Marchetti, e rientrò in Friuli dopo il 7 febbraio. (Cfr. storia di Gianna, ed. Publicoop ed., 2007, p. 48, ma lo stesso fatto è narrato anche in altra fonte, forse da Mario Candotti solo che la devo cercare). Può darsi egli abbia fatto recapitare, dalla Carnia, una lettera sulle difficoltà e fallimenti nella costruzione di un comando unico, ma non un ordine per uccidere Bolla, senza motivo alcuno, dato che chi bloccò il comando unico in Carnia era don Ascanio De Luca, Aurelio, e si sapeva. Poi sai Strazzolini, e scusa se te lo dico, “io penso che” “io credo” in storia non esistono, se non con pezze giustificative e documentarie chiare. Sarebbe come un medico dicesse al paziente, senza esame diagnostico alcuno e visita,”Secondo me hai questo”. Cioè se tu dici che Giacca sapeva che c’era la Turchetti devi dimostrarlo, se scrivi che il 9° Corpo così e colà devi dimostrarlo, se scrivi che Andrea fece a o b devi dimostrarlo. Insomma tu dici, tu parli come hanno fatto tanti, ma bisogna avere documenti in storia per scrivere. Senza voler offendere alcuno, ed affettuosamente. Laura
Buongiorno Laura,
ti ringrazio per la lezione di Storia e di metodo. Molti dei documenti di cui parli, il sottoscritto e altri Colleghi li hanno a casa in fotocopia: in quegli anni, ormai lontani, in cui tu eri evidentemente in altre faccende affaccendata, si poteva fare, una sorta di “selfie” culturale, e li ricordo come un’avventura fantastica. Scorrerie negli archivi e fotocopie a mano libera, e poi le notti a leggere.
Tu insegni di come vadano svolte le interviste: scusa, ma anche questo è ben noto. E’ altresì noto che i mezzi tecnici di allora non permettevano “candid” incursioni (e, aggiungo, sarebbe stato anche scorretto, in particolare da parte mia verso persone che stimavo).
Quindi non ho registrazioni a riguardo e, se proprio, nemmeno Marco Cesselli le aveva. Nè Vanni. Ti ho raccontato quel che ho vissuto, semmai potesse risultarti utile.
Del resto, anche i documenti cui tu dimostri “staliniana” devozione hanno i loro “vizietti”. Quindi, forse, l’uso del cervello e del ragionamento restano l’ultima risorsa. E forse non bastante comunque. A riguardo, ti invito a consultare una recensione pubblicata sull’ultimo quaderno dell’Istituto-UD da Claudio Zanier e da me. E’illuminante riguardo la cautela da usare nella consultazione documentale… Il tempo per leggere e scrivere vedo che non ti manca: a me resta ancora un po’ per la pensione. Dopo, forse, avrò più tempo anch’io da dedicare. Se mi resterà la voglia di farlo.
E, approposito, “scusa se te lo dico, “io penso che” “io credo” in storia non esistono, se non con pezze giustificative e documentarie chiare”. Appunto.Rileggi attentamente il titolo del tuo ultimo pezzo.
Un saluto carissimo. PaoloS
Purtroppo Strazzolini, non uso intitolare i miei articoli “L’ultima verità” e non uso tenere documenti nel cassetto. Con affetto e ti attendo in Carnia od ad Udine per bere qualcosa insieme. Laura
Ciao Laura,
sul bicchiere ci puoi contare!
Quanto alle mie osservazioni, mi piacerebbe ne cogliessi il contesto. Purtroppo ho maturato la convinzione che la verità, la quale non sarà MAI L’ULTIMA, in Storia come in Scienza (ma bensì “solo” sino a prova contraria), debba essere sostanziata ma anche verosimile. Rispondere, cioè, a una qualche logica.
Documenti: ci hanno da poco dimostrato (ma Galliano Fogar fu un pioniere in tal senso) come gli stessi possano essere elegantemente contraffatti. Tipicamente “ora per allora”. In ogni caso, spesso i contenuti si lasciano a interpretazioni diverse.
Memoriali e Testimonianze dirette: ci si dovrebbe fare atto di fede, per rispetto se non altro, ma, è logico, anche i protagonisti sono liberi di giocare la loro partita, e fino alla fine.
Testimonianze indirette: beh, oltre a esporsi al vulnus di non essere state documentate o documentabili, comportano comunque tutti i rischi di cui sopra.
Quello che gli studiosi, a qualsiasi titolo, possono fare, è lavorare sodo per intrecciare il più possibile gli elementi a disposizione (senza eccezioni, direi), e continuare ad elaborare il quadro di risulta secondo una logica/verosimiglianza.
Per questo motivo, il lavoro che stai conducendo è degno del massimo apprezzamento.
Alla prossima. PaoloS
Non è però Paolo tutto così relativistico. In teoria documenti di carattere storico possono esser contraffatti, ed anche molto abilmente, (cfr. per esempio i falsi diari di Hitler, http://www.mirorenzaglia.org/2012/05/giorgio-galli-con-trucco-e-con-inganno-la-vera-storia-dei-falsi-diari-di-hitler/) ma ci sono anche degli indicatori che permettono di comprendere la realistica veridicità di un documento. Insomma un documento deve venire anche analizzato, tenendo conto del contesto in cui viene reperito, ecc. e io ritengo quelli che ho citato in questo articolo veri, (attenzione che la veridicità del documento non implica quello del contenuto) sino a prova contraria da altri prodotta. Inoltre per verificare alcuni contenuti, ove possibile, si cerca di incrociare le fonti e di tener conto dei contesti. Infatti se un documento partigiano dice che i partigiani avevano fame, non serve uno studio di mesi per credere realistico il contenuto. Comunque io per esempio, quando ho curato le memorie di Romano Marchetti, per sottolineare la veridicità di alcuni fatti, ho incrociato, per la parte resistenziale, in nota quanto scritto da Romano Marchetti con quanto scritto da Mario Candotti ed altri e collimano. Ma ricostruire quadri storici è anche un agire simile a costruire un puzzle, ed implica rigore morale nell’esercizio della professione di storico. Ed è lavoro scientifico e di pazienza. Per quanto riguarda le fonti orali, rimando al mio: “Lu ha dit lui lu ha dit iei. L’uso delle fonti orali nella ricerca storica. La storia di pochi la storia di tanti”, in. storiastorie.pn.it, che riporterò anche su http://www.nonsolocarnia.info con una integrazione da lettera su stesso argomento al Messaggero Veneto. Infine l’alterazione di un documento storico, (e scrivo questo perché vi è anche alterazione di documenti di identità e vi fu in periodo resistenziale, e vi può essere alterazione di documenti contabili ecc.), o la produzione di un documento falso devono avere una motivazione.
Ho letto la lettera di Andrea Zannini pubblicata oggi, 23 novembre 2016, sul Messaggero Veneto, intitolata: “Basta liti. E’ ora di consegnare Porzus alla storia”. In essa si legge che la strage di “partigiani della Osoppo” fu compiuta da “partigiani della Garibaldi”. Ma qui ho un piccolo problema. Quando compì la strage, Giacca ed il suo gruppo facevano parte della Garibaldi o no, erano partigiani della Garibaldi o gappisti o? Se qualcuno potesse aiutarmi a risolvere questo piccolo problema gli sarei grata. Inoltre, anche se fossero stati affiliati alla Garibaldi, si potrebbe certamente dire che la strage fu fatta da partigiani della Garibaldi, ma non in quanto tali. Mi spiego con un esempio. Ipotizziamo che tre amici, che militano nello stesso partito, per es. il Pci o la Dc o il Psi, e sono iscritti alla stessa sezione, decidano di fare una azione insieme (sia positiva che negativa) da soli, senza ordine alcuno da parte della sezione Pci, Dc, Psi. Possiamo dire che l’azione è stata fatta da tre democristiani, comunisti o socialisti, ma sarebbe fuorviante perchè la militanza politica non c’entrerebbe nulla, ma forse invece un comune sentire.
Mi metto nei panni di qualcuna/o che legga per la prima volta cose sulla Resistenza, e parta da discussioni come queste (o le tante altre che da decenni girano attorno alla duplice vicenda – innegabile nel suo “link geopolitico & ideologico” – Porzus/”foibe”): che idea può farsene? E’ facile prevedere un moto di distacco, se non di fastidio. Così, in una sorta di storia militare degradata a chiacchiericcio complottardo, non si fa storia della Resistenza, sia nella breve prospettiva delle scelte di vita e della vita concreta dei “pesci” partigiani e di quel vasto “mare” in cui nuotarono, sia sul lungo periodo, che va dal sorgere dei movimenti popolari nell’Italia liberale fino alla costruzione della Repubblica e del “trentennio glorioso” dello sviluppo e del welfare keynesiano (quello che oggi un ducetto demoberlusconide cerca di “rottamare” definitivamente).
Alla fin della fiera, non si riesce ovviamente ad andare oltre la corretta sintesi citata da Laura Matelda all’inizio del suo scritto: “”” l’ipotesi di Galliano Fogar, che si fosse trattato di «una tragedia italiana, un “fratricidio” (partigiani italiani che uccidevano loro compagni di lotta)» e che quanto accaduto a “Porzûs” andasse letto «alla luce delle tensioni politiche, ideologiche e nazionali accumulatesi in una zona di incontro fra la resistenza italiana e quella slovena in una fase di grave crisi della resistenza italiana dopo i violenti attacchi nazisti in Friuli dell’autunno-inverno 44-45» “””. Ovviamente: perché questo è il dato storico inoppugnabile, ed il resto è attardarsi su questioni secondarie, se non giustificazioni politiche di parte, se non ancora tentativi di nascondere le proprie responsabilità (da parte di alcuni protagonisti).
Che l’Osoppo fosse nata su un’ipotesi di resistenza nazionalista italiana, e la Garibaldi fosse una difficile sintesi di internazionalismo comunista e di togliattiana politica di unità nazionale, è noto da tempo. E che i contrasti ci fossero, anche a livello molecolare nei reparti, è cosa nota, a dispetto della lettura politica da “unità nazionale” della Resistenza, affermatasi nel dopoguerra, e cementata a lunga distanza dal disgusto per il revisionismo ed il degrado politico della “seconda repubblica”.
E che poi tutto ciò fosse complicato dalla stratificazione su diversi piani, dovrebbe essere ovvio. Sul piano militare, il passaggio della Garibaldi-Natisone ha il suo senso; sul piano politico dell’internazionalismo, pure; sul piano della politica e della stessa presenza militare della Resistenza in Friuli magari un po’ meno. Ma le cose non possono essere lette in modo semplicistico (e strumentale): tutti i reparti rimasti in Friuli hanno in gran parte disarmato, per evidenti motivi di sopravvivenza, durante l’inverno 1944-1945, e questo a prescindere dalle indicazioni del proclama Alexander. In montagna ci sono rimasti – in condizioni estreme di sopravvivenza – solo i comandi, i militari stranieri e meridionali ed i pochi noti che erano segnalati a fasci e nazi. La Natisone, passando nel territorio sloveno, ha invece potuto mantenere i suoi ranghi compatti, in un quadro di “guerra popolare prolungata” che era della Jugoslavia in lotta da 4 anni e non dell’Italia giunta molto più tardi alla insurrezione antifascista.
Similmente per la Osoppo, che non può essere letta solo con la logica del poi (è da lì che nasce Gladio? purtroppo si), ma anche tenendo conto del magma di quel momento: tra democristiani, militari monarchici e la galassia giellina: e non è un caso che dove quest’ultima prevalesse, come nella Valcellina di Maso, i rapporti unitari della Resistenza fossero più avanzati, pur tra infiniti scazzi e polemiche. Ma, con la logica del poi, allora dobbiamo tener conto della storia di tutti quei giellini che hanno continuato in politica a sinistra: sia i socialdemocratici schierati con il centrismo Dc (si tende sempre ad ignorarli, ma questo in Friuli ha significato non confrontarsi con i motivi dell’emarginazione della sinistra di classe; ed il discorso riguarda anche il repubblicano Marchetti, tanto caro a Laura Matelda, lui che nel Psi arriva solo negli anni ’60 del centrosinistra organico) sia i socialisti “nenniani”, occhieggianti all’operaismo, rappresentati in primo luogo da Fermo Solari.
Che in campo nazionalista italiano ci siano stati approcci, tra osovani e fascisti, è ormai acclarato. Ma alla fine non si va oltre il dato di un trattamento talvolta differenziato riservato dai fascisti ai partigiani catturati. Le alleanze, se ci furono, accaddero dal 25 aprile in avanti, con il “reclutamento” di reparti saloini nelle file osovane: ma ormai è storia del dopoguerra. La realtà delle trattative, per altro, non fu molopolio degli osovani: almeno nel caso di Andreis citato da Laura Matelda, fu un battaglione garibaldino, il “Mario Betto” di Cip, a trattare con i fascisti una breve tregua, conclusasi per altro con il rientro “in linea” del reparto. Nulla più di una “pausa respiro”, che però aveva già messo in allarme, con la decisione anche di un intervento disciplinare sanguinoso, se necessario, gli altri reparti garibaldini della Valcellina-Valcolvera. Non so dove L.M. abbia trovato la notizia che si trattasse di osovani: in ogni caso, il diario del parroco di Andreis don Rino Pellin, autore della mediazione, e quello – ancora inedito – del garibaldino “Innominato-Mario Bettoli” chiariscono il contrario.
Insomma, in sintesi mi sono fatto questa idea. Che Giacca ed il suo numeroso Gap fossero comunisti (e quindi garibaldini) mi pare difficilmente negabile. Che fosse autonomi – se fosse vero – confermerebbe solo che la Resistenza era un fenomeno in buona parte spontaneo, non inquadrabile del tutto nella tela direttiva dei partiti appena risorti ed ancora in formazione. Come accade in ogni movimento sociale, da che mondo è mondo: le tessere vengono dopo, e non è detto che rappresentino il meglio. Che le responsabilità comuniste fossero oggettive, e gli effetti negativi della strage abbiano pesato (e pesino ancora…) sulle sfortune del Pci friulano e dei suoi eredi, è evidente come un macigno. Chi gli abbia dato gli ordini, eventualmente, è ormai difficile da capire, visto il pesante manto di disinformazione (anche per motivi oggettivi, sia giudiziari che politici) steso sulla vicenda. Ma continuare a schizzare gocce di cacca su altri (ad esempio i comandi sloveni) in mancanza di prove risolutive – come ha iniziato a fare negli ultimi anni il presidente dell’IFSML Alberto Buvoli, “figlio legittimo” della coppia Mario Lizzero/don Lino Moretti: i massimi dirigenti di Garibaldi Friuli ed Osoppo – mi pare che abbia un solo patetico senso: quello di voler allontanare le responsabilità dei comunisti e comandanti garibaldini italiani. Da cosa? Da quello che, comunque lo si rigiri, è stato un errore politico catastrofico, di dimensioni storiche, di quelli che si pagano fin che si vive. E tutto il resto è noia…
Caro Gigi, per Cip commissario osovano e ciò che fece ribadisco la fonte: Mario Candotti, “Seconda fase dell’offensiva tedesca contro la Zona Libera della Carnia e del Friuli. Operazioni militari nella destra orografica del Meduna nell’alta Val Meduna e nelle Prealpi Carniche occidentali, Storia Contemporanea in Friuli, n. 8, note 18 e 19, pp. 216-217. In particolare che egli fosse osovano lo si trova nella nota 19 nella parte a p. 217. Essa risulta informazione riportata, tratta dal volume di G. A. Colonnello , Guerra di Liberazione, Ud, pp. 176-177.
Inoltre non risulta che l’appartenenza di un soggetto alla Garibaldi automaticamente comportasse che egli fosse comunista, lo stesso Ciro Nigris, comandante garibaldino, in un’intervista videoregistrata nel 2000 se non erro, afferma che nessuno gli chiese una tessera di partito per aderire alla Garibaldi, e che molti garibaldini non avevano idee politiche, tanto che si faceva l’ora di educazione politica proprio per questo. Qui, in Carnia, i giovani aderirono alla formazione Garibaldi od Osoppo seguendo qualcuno noto del paese, come avveniva per l’emigrazione, od unendosi al gruppo più vicino, perchè restare isolati era pericolosissimo. Così gli Ampezzani furono tutti garibaldini, quelli di Zuglio tutti osovani, come quelli di Sutrio, quelli di Formeaso, frazione di Zuglio, tutti garibaldini, e così via. Naturalmente quando scrivo tutti lo scirvo in generale ma ci potevano essere delle eccezioni. Ma fu un’eccezione anche Lupo, osovano, Giovanni De Mattia, il cui valore nella guerra di Liberazione è da Romano Marchetti ampiamente sottolineato, (e che ebbe, il 6 novembre 1944, il fratello ucciso dai Nazisti e la madre internata), che divenne, nel dopoguerra, segretario credo di sezione del P.c.i.. Lo stesso Bruno Cacitti, l’osovano Lena, in una intervista a me concessa nel lontano 1978, sottolineava come essi fossero stati educati nel ventennio fascista, e come ben pochi avessero qualche idea politica. Vi era stato, insomma un vuoto di vent’ anni dove si era sentito parlare di un solo partito, di una sola ideologia, e non c’era diritto di voto. (Intervista di Laura Matelda Puppini a Bruno Cacitti – Venzone, 24 aprile 1978).
Questo sottolinea bene il Cacitti: “Attenzione che sotto il fascismo non si votava.” E anche Annibale Tosolini, della Garibaldi Natisone, andò partigiano per sfuggire all’invio in Germania per lavori per i tedeschi, come da sua stessa ammissione, pertanto quello che l’ufficiale Bolla scrive sulla sua truppa, che una parte della stessa voleva sfuggire al lavoro coatto per i tedeschi, può essere credibile anche per alcuni degli arruolati nella Natisone e nella Garibaldi, anche se i motivi non furono solo questi.
Per quanto riguarda quello che tu scrivi su Alberto Buvoli, che motiva la sua tesi e non aveva allora un sito ove esporla, non si possono ipotizzare a mio avviso i motivi per cui ha scritto “a” o “b”, aspetto che, tra l’altro, poco importa nella discussione di fatti, l’importante è confutare quanto pubblicato in modo documentato. Non nego per esempio di essermi stupita leggendo di come si ipotizzasse che chi diceva che la strage di Porzus era stata fatta senza ordine alcuno, e di testa propria da Giacca, non fosse stato creduto, senza motivazione esplicita ( Marco Cesselli, cit. in articolo, pp. 134-135). E molta letteratura partigiana è piena di ipotesi sugli intenti non suffragate, quasi si trattasse di un gossip e non di storia. E così alcune interviste sono piene più che delle informazioni date dalla persona intervistata, dello spirito dell’intervistatore, che le interpreta. (Cfr. mio commento all’articolo sull’incontro per percorsi della memoria, su storiastoriepn.it, il 23 ottobre 2013 sui problemi dati dall’intervista Roberto Covaz, Nicola Comelli, “Gorizia al tempo della guerra, memorie di Silvino Poletto “Partigiano Benvenuto, Biblioteca dell’ Immagine, 2010, che ripubblicherò come articolo su http://www.nonsolocarnia.info fra un po’).
E per concludere se Giacca ed i suoi si possono definire comunisti, non so se allora fossero affiliati alla Garibaldi, e se da affiliati alla Garibaldi fecero la strage, perchè se non vi fu ordine lo fecero di propria iniziativa, come i tre tesserati alla Dc o al Psi o al Pci di cui parlavo nel mio esempio. Laura Matelda Puppini
Replico, fedele a quanto sopra sostenuto, solo per precisione sull’appartenenza di “Cip” e del suo reparto. Che fosse osovano non l’afferma Candotti, ma G.A.Colonnello, che Candotti appunto cita in nota 19 nel suo saggio del 1977. Lo stesso Candotti, nel suo saggio di due anni dopo (“La lotta partigiana in Valcellina”, pure in Storia Contemporanea in Friuli), non utilizza più come fonte al proposito Colonnello – il primo storico della Resistenza friulana, talvolta impreciso evidentemente, come tutti i precursori che non hanno molta letteratura su cui basarsi – e, basandosi sulla testimonianza del comandante garibaldino “Diego” (Italo Mestre) definisce “Cip” comandante di un distaccamento del btg. garibaldino “Bixio” (SCF, n. 10, 1979, pp. 197 e 201). Onore al merito critico di quel grande comandante e storico militare che fu Candotti: preciso come pochi e, grazie al suo tecnicismo, alieno da scivoloni nel politichese. Di Cip parla estesamente don Rino Perlin nel suo diario, che è alla base della prima parte del libro di Maria Pia Valerio “Un prete scomodo”, Pordenone, L’Omino Rosso, 2015. Narra la vicenda dello strano accordo tra quel reparto garibaldino distaccato in Andreis e la Xa Mas, con la mediazione di don Perlin, Mario Bettoli – allora commissario politico di un altro btg. garibaldino della zona, il “Buzzi”, nella sua storia della brigata “Ippolito Nievo”, inedito del 1946 che sto studiando e sarà presto pubblicato su “lastorialestorie”.
In effetti Mario Candotti nel suo “La lotta partigiana in Valcellina” in S.C. in F n.10, a p. 197 scrive che “A Natale ’44 il “Bixio” si raccolse completo alla Malga Bachet. Causa un incendio in cui perdette quasi tutto il materiale, il battaglione si spostò a Col dei S’ciors, poi in Cansiglio dove entrò a far parte integrante della Brg. Ciro Menotti della Nino Nanetti. Il gruppo di 15 uomini del Bixio, al comando di Cip, e Stella rimase ad Andreis fino al febbraio ’45, poi rientrò al battaglione”. E quanto risulta dalla testimonianza di Italo Mestre. Pertanto Mario Candotti che ha evidenziato, da fonte riportata, Cip come osovano, poi lo evidenzia, da altra fonte, come garibaldino. Qualora il fatto che Cip fosse garibaldino sia presente in altra fonte, sarebbe errato definirlo osovano, e quindi va inteso come garibaldino e correggerò precisando che per necessità anche i garibaldini facevano accordi con il nemico. Ma si trattava del battaglione garibaldino “Mario Betto”, di cui Cip era comandante, come da un commento di Gigi Bettoli o era un gruppetto comandato da Cip del battaglione Bixio, come da Mario Candotti? C’ è qualcuno che può aiutarmi a capire? Gigi, cosa scrive in proposito Mario Bettoli?
Mi interesserebbe sapere cosa dice Mario Bettoli perchè poi, in: Mario Candotti, La resistenza partigiana nella destra Tagliamento, in Antifascismo e resistenza nel Friuli Occidentale, ed. Provincia di Pordenone, 1985, a p. 100 si legge testualmente: “La Brigata Unificata Ippolito Nievo A non esisteva più […]. Delle forze della Brigata erano rimasti compatti il Btg. ‘Ferruccio Roiatti’, che nell’ultima decade di ottobre era stato aggregato alla Brgt. ‘Garibaldi Tagliamento’, e il Btg. ‘Nino Bixio’ che si era spostato a Malga Bachet verso l’altipiano del Cansiglio”. Può darsi qui non si tenga conto di un manipolo di uomini guidati da Cip, ma ‘compatto’ vuol dire ‘compatto’.
Per quanto riguarda la definizione di “partigiani garibaldini” da darsi, secondo Andrea Zannini, al gruppo che agì a Topli Uorch e commise la strage, (Andrea Zannini, lettera pubblicata il 23 novembre 2016 sul Messaggero Veneto, intitolata: “Basta liti. E’ ora di consegnare Porzus alla storia”) io credo che per ora correttamente detto gruppo si possa definire solo “una formazione di GAP, comandata da Giacca” come in: Mautino Ferdinando, (a cura di), Guerra di popolo, storia delle formazioni garibaldine friulane, – Un manoscritto del 1945 – 1946, Feltrinelli, 1981, p. 173. Ivi si legge pure: “Tali fatti, evidentemente non considerati come una azione di guerra, ma come il tragico frutto di un lungo dissidio interno alla Resistenza, non erano registrati in nessuno dei diari serviti per la parte documentaria di ‘Guerra di popolo'” che è testo relativo alla storia delle formazioni garibaldine friulane.
Per quanto riguarda Giacca, e l’essere egli o meno a capo della Divisione gappista 13 Martiri di Feletto Umberto, così scrive Alessandra Kersevan nel suo: “Porzus. Dialoghi sopra un processo da rifare, Kappa Vu, prima edizione 1995, seconda edizione 1997, a p. 84, dopo aver visionato la documentazione al processo di Brescia: «Ostelio Modesti, il segretario della Federazione del P.C.I. di Udine, […] interrogato su questo argomento al processo di Brescia rispose: “Giacca chiamava divisione la sua formazione […]”».