Leo Zanier poeta festeggiato: in onôr in favôr -ahimè non in Carnia. La cultura non abita più qui?
Sabato sera, con qualche giorno di anticipo, è stato festeggiato, presso l’agriturismo Colonos a Villacaccia di Lestizza, non in Carnia, l’ottantesimo compleanno del poeta carnico ed ormai un po’ zurighese Leo Zanier, che si è anche trasformato in momento di incontro conviviale.
Non descrivo qui la serata, interessante e bella, perché musica e poesia non possono esser affidati ad un gelido reseconto.
Il romano, veneto, cosmopolita Francesco Cecchini, il giorno prima, mi aveva chiesto cosa pensassi della poesia di Leo Zanier. Gli avevo risposto che la conosco, che ne apprezzo i contenuti ed il sentire, che mi ricordo come il poeta, comunista, avesse avuto difficoltà a pubblicare qui le sue poesie, ed avevo aggiunto che non tutto Leo Zanier mi piace.
Ho pure scritto a Cecchini che è molto difficile, per chi non conosce il friulano, leggere Zanier in lingua originale, perché scrive nella parlata carnica di Comeglians, ma che in certi casi le traduzioni possono essere discutibili ( e questo non vale solo per Leonardo Zanier).
Per esempio “Sboradura e sanc” venne tradotto, nell’edizione Guaraldi del 1981 e successivamente: “Seme e sangue”. Ma come si fa? – mi chiedo io – a non sapere il significato di “Sborrare” e “Sborratura” (in italiano con doppia “r” in veneto con una “r” sola)?
Contaminazione cattolica, da Tertulliano e dintorni, nella traduzione, ignoranza, o che? E come ha fatto Leo ad accettare simile traduzione?
Carnici, veneti, italiani, sanno che “sboradura” e “sboro” significano sperma non seme, e che seme e sperma non sono sinonimi, e che “sborare” significa eiaculare.
La traduzione di detto termine con “seme” va a mio avviso a discapito della comprensione della poesia, perché, secondo me, “sboradura e sanc” parafrasa “lacrime e sangue”, che figurativamente, preceduto talvolta dal verbo “sputare”, rappresenta la fatica: qui la fatica dell’emigrazione, del lavoro, del vivere all’estero. Almeno io ho capito così.
“Sboradura” e “sanc” sono due parole di forte impatto emotivo, saggiamente unite, e a me hanno trasmesso questa sensazione di fatica del vivere, per guadagnarsi il pane.
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Ho scelto quindi alcune poesie per Francesco, per chiarire cosa mi piacesse di Zanier.
La prima è quella dedicata a Tranquillo De Caneva, il commissario e poi comandante garibaldino Ape, lavoratore in miniera, poi sindacalista e consigliere regionale, uomo di rigore che osò firmare un paio di denunce contro partigiani traditori. La poesia si trova su una lapide in memoria, posta nel comune di Lauco, e non so se sia mai stata pubblicata, ed è stata da me tradotta con l’aiuto di mio marito e di Giacomo Cimenti.
A TRANQUILLO DE CANEVA
Âf ma pignau
Cêt ma saeta
Cjaniva cença gâters,
voji sença cjermins
vorelas par to int,
das vals di lauc
tal mont
par ducj
a sfendi trois
fasint dai mistirs
il plui trement
inventâ ubidint
e nô ta tô val
vué e pai timps a vigni
nô tiei paisans
tiei fradis, tô sôrs
tiei compagns
t’impensin e onorin
onorant cun tè
il vivi e il scombati
di ducj i cjargneji.
Ape ma poiana/ tranquillo ma saetta/ cantina senza inferriate/ occhi senza confini/ orecchie per la tua gente, / dalle valli di Lauco/ nel mondo/ per tutti/ ad aprire sentieri/facendo, fra i mestieri, / il più tremendo/ inventare ubbidendo/ E noi nella tua valle/ oggi/ e per i tempi a venire/ noi tuoi paesani/ tuoi fratelli, tue sorelle/ tuoi compagni/ ti ricordiamo ed onoriamo/ onorando con te/ il vivere ed il battagliare/ di tutti i carnici.
Lauc, 23 gjugn 1984 Leonardo Zanier
Qui Leonardo Zanier gioca sapientemente con nomi, parole, significati, in contrapposizione.
Âf, fa riferimento al nome di battaglia di Tranquillo De Caneva, “Ape”. De Caneva era “Ape” ma nella realtà era una poiana, era Tranquillo, ma nella realtà era una saetta, era “De Caneva”, ma la sua era una caneva, cioè cantina, senza inferriate, a dimostrare la sua apertura al mondo. Inoltre era “compagno” di lavoro, lotte e comunista.
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La seconda poesia, scelta è: “HAN ROBÂT COPÂT.”
HAN ROBÂT COPÂT…
las veras pa PATRIA
no ses han tornadas
né i cancei
las ringhieras
(fintramai las filiadas)
seadas a ôr dal mûr
par ordin dal duce e dal re
par fâ l’IMPERO
né i cjaldîrs
las cogumas
las frisorias
e i cops di ram
puartâts vaint
e jodûts a sbusâ
sgomberâ
trai ‘tar un grum
su la plaza
pa VITTORIA
né las piôras
tratas four dal cjôt
dopo vê viert
a sclopetadas la puarta
e cuetas interias
dai nazi-cosacs
‘tas cjalderias dal formadi
par RAPPRESAGLIA
né las gjalinas
las vacjas
requisidas (robadas)
dai nazi-todescs
e dai republichins nostrans
par fan e par fâ dam
…cence contâ
i oms picjâts
torturâts depuartâts
i paîs brusâts
…
nissun s’impensie?
S’impensais però
dai partigjans:
“…han robât
copât…”
ma cui erino?
Gori, Carlo e Santina dal Negro
Min da Tea
Madio di agna Miuta
Tilio da Rigulât
i fis di Esterina
Berto di Paschina
Cragnul Anastâs di Zuviel
Barbacet Mario di Cjampiei
…
Centenârs e centenârs
di cjargnei
miârs di fantats
la vuesta mularia
la nesta zoventût.
HANNO RUBATO AMMAZZATO…
le vere: per la PATRIA/ non ve le hanno restituite/ né i cancelli/ le ringhiere/ (perfino le reti metalliche)/ segate a filo del muro/ per ordine del duce e del re/ per fare l’IMPERO/ né i secchi/ i bricchi/ le padelle/ i mestoli di rame/ portati piangendo/ e visti bucare/ sgomberare/ sbattere in un mucchio/ sulla piazza/ per la VITTORIA/ né le pecore/ strappate fuori dalla stalla/ dopo aver aperto/ la porta a fucilate/ e cotte intiere/ dai nazi-cosacchi / nelle caldaie del formaggio/ per RAPPRESAGLIA/ né le galline/ i maiali/ le vacche/ requisite (rubate)/ dai nazi-tedeschi/ e dai repubblichini, nostrani, / per fame e per danno/ … senza contare/ gli uomini impiccati/ torturati, deportati/ i paesi bruciati/ … / nessuno si ricorda?/
Vi ricordate però/ dei partigiani:/ “hanno rubato/ ammazzato …” / ma chi erano?/ Gori, Carlo e Santina Dal Negro/ Min di Tea/ Madio di zia Miuta/ Attilio da Rigolato/ i figli di Esterina/ Berto di Paschina/ Anastasio Cragnul da Zovello/ Barbacetto Mario da Cjampiei/ … / Centinaia e centinaia/ di carnici,/ migliaia di ragazzi/ i vostri figli/ i nostri giovani.
LEONARDO ZANIER ( Leonardo Zanier, Che Diaz …us meriti, Circolo Culturale Colavini Aiello, 1976, pp. 62-63).
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Per dialogare, in quattro righe, con Francesco su Leo Zanier poeta, ho scelto ancora:
PROJEKT FÜR EINEN GRABSTEIN AL PASS DI MONT DI CROS.
JOSEPH Schneider von Mauthen
Ch’a ven a stai sartôr
e BEPO di Lanudesc muradôr
ex emigrant in Austria
si son sbugjelâts
sul Fraikofel
cjocs
par difindi la patria.
che DIAZ … us al meriti.
LEOARDO ZANIER
(Leonardo Zanier, Che Diaz, op. cit., p. 40).
PROGETTO PER UNA LAPIDE AL PASSO DI MONTE CROCE CARNICO .
JOSEPH Schneider da Mauthen/ Che faceva il sarto/ e Bepo di Lanudesc, muratore, / ex emigrante in Austria/ si sono sbudellati/ sul Fraikofel/ sbronzi/ per difendere la patria. che DIAZ … gliene renda merito.
LEOARDO ZANIER (Leonardo Zanier, Che Diaz, op. cit., p. 40).
Joseph e Bepo hanno lo stesso nome anche se scritto in diverse lingue. Schneider è cognome presente a Mauthen paese in territorio austriaco, come a Sauris, paese in territorio italiano ove si parla un dialetto tedesco. Molti carnici, nel 1700, emigravano per fare i sarti, e quindi nessuno sa se Joseph Schneider fosse stato uno di questi fermatosi là o il ceppo originale della sua famiglia fosse di Mauthen, comunque al momento della guerra era austriaco. Bepo era di Lanudesc, località carnica con nome di derivazione tedesca, ed era stato a fare il muratore in Austria, come molti carnici prima della prima guerra mondiale, ma, all’ inizio del conflitto, gli emigranti erano stati ricacciati indietro, ed avevano dovuto rientrare. Joseph sarto e Bepo emigrante muratore, si sono sbudellati, (spesso nella prima guerra mondiale vi erano degli assalti alla baionetta, mancando munizioni), sbronzi (davano da bere grappa a coloro che andavano in prima linea) per difendere la patria ( che non sapevano cosa fosse). Che Diaz gliene renda merito, (perché nessun altro può farlo, sottinteso).
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Ed ancora una poesia che ha il senso di “Libers di scugni lâ”. Si cresce come i capretti, accanto alla madre ed in libertà, ma, diventati ragazzi, si deve andar via, a cercare lavoro.
MA LA INT NAS DISTES.
Da nô
no’nd è ce fâ
ma la int
nas
distes
cussì si cres
como zocui
in libertât
tra las cotulas
das maris
e las risclas
dai peçs
e cuant
ca si capìs
bisugne lâ.
Ma la gente nasce lo stesso. / Da noi/ non c’è lavoro/ ma la gente/ nasce lo stesso/ così si cresce/ come capretti/ in libertà/ tra le gonne/delle madri/ e gli aghi degli abeti/ e quando/ non si è più bambini/ bisogna andare.
LEONARDO ZANIER (Leonardo Zanier, Libers…di scugnî lâ, ed. La biblioteca del Messaggero Veneto, 2003, p. 46).
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Infine una delle poesie di Zanier più belle che abbia letto: DOMAN .
DOMAN…
doman…
no è una peraula
doman
a è la sperança
o vin che jê
doprìnla
fasìnla devetâ
mans
vôi e rabia
e i vinçarin la poura.
Domani/ domani…/ non è una parola/ domani/ è la speranza/ abbiamo solo lei/ adoperiamola/ facciamola diventare/ mani/ occhi e rabbia/ e vinceremo la paura/.
LEONARDO ZANIER (Leonardo Zanier, Libers…di scugnî lâ, ed. La biblioteca del Messaggero Veneto, 2003, p. 124).
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Chiudo queste mie righe, ricordando che alcune poesie di Leonardo Zanier sono state musicate e vengono cantate dal bravissimo “Canzoniere di Aiello”, e che anche Emma Montanari, accompagnata dal suo gruppo, canta Zanier in modo egregio. Inoltre ieri sera, a Colonos, ho visto un Gigi Maieron, davvero in ottima forma, colloquiare con Leo Zanier.
Infine mi chiedo come si faccia a festeggiare Leo Zanier, il nostro Leo Zanier, a Colonos – Villacaccia di Lestizza, e non in Carnia. Mancano forse gli agriturismi? Mancano forse gli spazi? Non abbiamo una sala, una “corte” ove mettere delle sedie, non abbiamo più una lira? Era o è ancora comunista, e allora … O … dimenticandoci che Leo Zanier è tradotto anche in arabo?
Ma questa è altra storia.
Laura Matelda Puppini
(La foto che correda l’articolo è di Laura Matelda Puppini ed è stata eleborata dall’autrice).
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Temo che a mancare non siano le risorse materiali, ma, ed è triste constatarlo, quelle immateriali.
Ho ricevuto da Francesco Cecchini questa precisazione: “I concetti sono importanti. Cosmopolita è chi si sente cittadino del mondo. Io non mi sento cittadino di questo mondo. Per esempio non mi sento cittadino dell’India o degli Stati Uniti, dove dopo alcuni mesi ho chiesto di essere trasferito perché allergico alla way of life americana. Quindi non mi sento descritto da questo termine. Come non mi sento veneto.
Ho viaggiato senza alcuna identificazione dove ho lavorato e vissuto.
Ad Aleppo- Siria al Baron Hotel, mi colpì l’immagine di 4 inglesi che leggevano giornali arabi, senza perdere le loro caratteristiche di inglesi, vestiti, atteggiamenti. Etc., etc..
Sono convinto, lo dico e lo scrivo, che nessun essere umano dovrebbe essere considerato clandestino o straniero in nessun luogo della terra. Questo però non è un concetto cosmopolita, ma comunista che richiede la trasformazione di questo mondo”.
Francesco Cecchini, da che mi è parso di capire, si sente e considera romano.
Grazie. Vivo bene nel Nord Est ma mi sento romano. A Roms ho vissuto intensamente il 1968. Valle Giulia. Sono anche romanista. Una sola precisazione. La trasformazione di questo mondo richiede la rivoluzione comunista.