Migration. Europa: un gigante dai piedi di argilla
E’ il 19 settembre 2015, sono rientrata ieri dalla Germania, dopo un viaggio di ritorno allucinante. Treni internazionali, tra cui quello prenotato, soppressi prima della partenza, confine tra Baviera e Salisburghese presidiato da ambo le parti. La Germania pare permetta solo transiti ferroviari interni al suo territorio.
DB, le ferrovie tedesche, ci garantiscono solo il percorso fino a Fierlassing, su di un locale. Un signore dell’ufficio informazioni DB segna sul mio piano viaggio alternativo, dato solo su richiesta, la presenza di una corriera per passare il confine tedesco – austriaco.
Dopo aver sperato nel pullmann previsto, ma che pare non giunga mai, io e mio marito passiamo il confine, dopo Fierlassing, assieme a due giovani udinesi che provengono da Belino ed ad una giovane donna che pare viva a Salisburgo, che ha contattato un taxi e che ci aiuta. Il confine è pieno di camionette miliari e di polizia; su di un ponte, in parte austriaca, dormono molti migranti stesi a terra. Se questi sono i confini aperti … penso …
Poi, per me e mio marito, ore di attesa alla stazione austriaca di Salisburgo, con il piazzale antistante pieno di polizia e militari che vigilano e presidiano. Fa freddo in quella maledetta stazione, la sala d’aspetto è piena zeppa di migranti che riposano come possono, così cerchiamo un distributore di benzina, segnalatoci, che ha un piccolo punto vendita ed un caffè caldo. Poi dopo ore ed una notte in bianco e quasi all’addiaccio, riprendiamo il viaggio.
Al mio ritorno a casa, molto addormentata ed un po’infreddolita, apro distrattamente la posta elettronica, e leggo, fra l’altro, un comunicato di Amnesty International.
«Iraq: crisi umanitaria senza precedenti!
L’Iraq sta vivendo una crisi umanitaria senza precedenti.
La violenza settaria ha raggiunto livelli mai visti dal 2006-2007, il periodo peggiore della guerra civile nella recente storia del paese.
Da una parte lo Stato islamico, che si è reso responsabile di uccisioni di massa, rapimenti, stupri e distruzioni.
Dall’altra le milizie sciite, che, per rappresaglia, attaccano le comunità sunnite con l’appoggio del governo. Oltre 3.1 milioni di persone hanno dovuto lasciare le loro case. (…).» (Da newsletter 17 settembre 2015 di Amnesty International).
Più volte ho pensato, riflettendo sulle migrazioni attuali, a quella guerra del Golfo, seconda, agli interessi americani e di altri per il petrolio e per le vie del petrolio, alla politica di Israele, all’appello lacerante di Hosni Mubarak, allora presidente dell’Egitto, in prevista visita ufficiale in Italia, nel lontano 2003, a non destabilizzare il medio – oriente, ed a lavorare per la pace, ( Cfr. Antonio Ferrari, La lunga crisi in Medio Oriente. Intervista a Mubarak. Mubarak: «Per servire la pace potrei andare a Gerusalemme», in: Corriere della Sera il 9 settembre 2003). Ma penso anche al governo italiano sempre presenzialista e poco attento, pare, agli interessi del suo popolo, e sempre pronto ad aggregarsi al carro degli U.S.A, senza neppure soppesare i possibili vantaggi per la Nazione.
Mubarak, preoccupato per la situazione israelo- palestinese, e per le pretese e l’agire dello Stato di Israele, nonché per quanto era accaduto e stava accadendo in Iraq, a causa della politica americana di Bush, alzava la sua voce in favore della pace. «[…] vorrei che fosse chiara una cosa: – affermava – non si possono chiudere le fonti di finanziamento ai gruppi terroristici in nessun posto al mondo. Infatti, ricevono denaro non dai governi ma da individui e simpatizzanti. Come fermarli? La strada migliore è la pace, nient’altro che la pace, se si vuole stabilità nel mondo. Altrimenti, il terrorismo si diffonderà dappertutto». (Ivi).
Ed ancora: «La violenza non si è placata da nessuna parte: tra israeliani e palestinesi, in Iraq, in Afghanistan, in Cecenia, nel Kashmir. C’è bisogno di una conferenza che si concluda con una risoluzione, adottata e rispettata da tutte le nazioni, senza eccezioni e senza violazioni di ciò che si è deciso». (Ivi).
Eravamo allora ai tempi in cui ancora si credeva ad una risoluzione del conflitto ebraico palestinese grazie alla road map americana, sostenuta, pure, da Unione Europea, Russia e Nazioni Unite. Inoltre la scelta russa di ritirarsi dall’Afganistan, negli anni ottanta, pareva avesse limitato il terrorismo, mentre ora l’Italia ha scelto di restarvi con gli Usa (Umberto Giovannelli, Renzi in Afghanistan accontenta Obama: “Rimarremo ancora”. La stabilità è lontana, gruppi radicali in crescita, 1/06/2015, in: http://www.huffingtonpost.it/).
Ma non tutti i presidenti intendono l’amicizia come sudditanza.
«Siamo ottimi amici degli Usa, – precisava allora Hosni Mubarak – e quando si è amici bisogna parlare chiaro e offrire consigli. Ho detto che bisognava capire la psicologia di popoli diversi. In questa parte del mondo parliamo la stessa lingua ma vi sono differenti sensibilità: un egiziano è diverso da un siriano o da un iracheno. Gli iracheni non sono gente semplice. E avevo paura della guerra perché poteva generare un nuovo tipo di terrorismo. Il problema dell’Iraq si risolverà soltanto quando gli iracheni potranno controllare il loro Paese. Leggete la storia, e giungerete alle mie stesse conclusioni». (Antonio Ferrari, op. cit.).
«Distinguiamo tra parametri e principi. –continuava- I parametri sono diversi, perché i Paesi non sono uguali. Possiamo dire che la democrazia americana è uguale a quella europea? No, ci sono delle differenze. Sappiamo invece che la democrazia ha dei principi che possono essere adottati da tutti». (Ivi).
Lette 12 anni dopo, a me le affermazioni del presidente egiziano sembrano di estremo interesse e profetiche. Non a caso così si scrive di lui, nell’articolo citato: «capo dello Stato del più grande Paese arabo da oltre vent’ anni, conosce la regione come pochi, e soprattutto gli sono familiari i pregi e i difetti di tutti i protagonisti: grandi e piccoli».
Poi la fine della politica di mediazione internazionale, l’escalation della guerra in terra altrui, Israele che erige muri mentre quello di Berlino cade, un nuovo mondo che si prospetta all’orizzonte, in mano agli interessi di pochi e con la povertà dilagante, con fondamentalismi, violenza e nuove barbarie che avanzano e la democrazia che si sta perdendo anche negli Stati che volevano esportarla, almeno come pretesto per andare in casa altrui.
Ha inizio qui e così quella migrazione dalla guerra, dalla povertà e dalla distruzione, che oggi mostra il suo volto, davanti ad un’Europa dapprima distratta, poi spaventata, che non ha organizzazione, dati, risposte, almeno così pare, perché è incapace di pensare, organizzare, decidere. Si spera in un incontro, si va al summit, ma non si leggono idee, progetti, proiezioni, da proporre allo stesso, risoluzioni che non siano frammentarie, che tengano conto di cause e contesti.
Il mondo cattolico e non solo, approva la mobilitazione delle forze del volontariato e della Protezione Civile, per far fronte ad un problema di questa portata, ma per quanto ciò sarà possibile? Se lo chiedeva anche un articolista di Il Fatto Quotidiano, pochi giorni fa.
Perché quei migranti vogliono stare in Europa, avere un futuro per i loro figli, e non possono e non vogliono ritornare indietro. Ma anche i “nostri figli”, i giovani italiani, che non credono più nell’Italia e nei politici, e si sentono, spesso, buggerati e presi per i fondelli, che non trovano lavoro e che se lo trovano sanno che è precario e in condizione di deregulation, cercano la via dell’estero, della Germania, dell’Inghilterra, dei paesi nordici… cercano, in Europa, le stesse mete dei migranti. E ciò dovrebbe far pensare i nostri politici, i nostri ministri: per esempio Boschi e Lorenzin che idee hanno nel merito?
R. sta benissimo a Zurigo, ove è volata a cercar lavoro dopo la laurea, P. e F. hanno “messo su casa” in Finlandia, M. e la sua amica sognano Berlino, e via dicendo. Qui siamo sempre più poveri e il lavoro scarseggia, quello stabile pare ormai sempre più una chimera, mentre il premier Renzi vola in America a vedere una tennista, vuol davvero bene al suo papà, sempre indaffarato ed oggetto di cronaca, twitta, lancia strali ai poveri gufi, e sta preparando uno stato totalitario, con lui al comando, almeno così pare.
Gli stati dell’Est, del patto di Varsavia, che l’Europa credeva volgessero verso la democrazia grazie alla fine dell’egemonia sovietica, si stanno dimostrando estremamente nazionalistici, come le componenti dell’ ex jugoslavia dopo la morte di Tito, ed interessati solo al proprio tornaconto.
Così accade che oggi in Europa, quando molti migranti bussano alle porte, l’Ungheria alzi muri, la Slovacchia ponga in 200 il numero di rifugiati che accetterà, tutti e solo rigorosamente cristiani, la Lettonia non abbia ancora deciso nel merito, la Polonia non intenda accettare più di 2000 migranti provenienti da Italia e Grecia, (Vittorio Giorgetti, “Rifugiati, le porte chiuse del gruppo di Visegrád”, in East Journal, 27 luglio 2015), e via dicendo.
«Un problema inventato, quando tutta l’Europa centrale ha un numero di immigrati estremamente basso, e ancora meno di popolazione di fede musulmana – neanche lo 0,2% sui 5 milioni di slovacchi. – scrive Davide Denti su East Journal – Nel 2014, la Slovacchia ha concesso asilo politico in tutto a 14 (quattordici) persone – il valore più basso sul totale dell’UE – pur riconoscendo altre forme di protezione internazionale (protezione sussidiaria e per motivi umanitari) a circa il 60% dei richiedenti. La vicina Ungheria di Orban, invece, ha visto quintuplicare rispetto al solito le richieste d’asilo nel 2013 (4.545) e 2014 (5.445), e ne ha respinte il 90% – la quota più alta dell’intera Unione. (…). […] a 26 anni da quel “picnic paneuropeo” che il 29 agosto 1989 aprì la cortina di ferro ai rifugiati tedesco-orientali che passavano dall’Ungheria all’Austria, l’Europa centrale è passata ad innalzare le proprie cortine e le barriere.»
(Davide Denti, “Slovacchia: Rifugiati siriani? Prendiamo solo i cristiani, grazie”, in: East Journal, 3 settembre 2015). E non si tratta di posizioni prese dai governi, ma prese e sostenute – secondo Vittorio Giorgetti- «dai polacchi, dagli ungheresi, dai cechi e dagli slovacchi, che vogliono chiudere il più possibile il loro territorio allo straniero, chiedendo politiche di protezione nazionale.». (Vittorio Giorgetti, op. cit.).
Inoltre il flusso migratorio non si arresterà, finchè non si arresteranno le cause che lo generano. E l’Europa pare un gigante dai piedi di argilla che ha perso credibilità in quella notte in cui decise l’autodeterminazione di ogni stato sul numero di migranti da accettare, per poi andare in vacanza. Problemi di questo tipo dovrebbero tenere svegli i nostri politici ogni notte, per incontri summit, ecc. e far andare a piedi fino a Gerusalemme, come disse di voler fare Mubarak, se ciò poteva risultare utile per la pace. (Antonio Ferrari, op. cit.).
Ed ora? L’ Europa finanziaria pare non sia interessata al problema dei migranti, l’Europa politica ha deciso in una sera, praticamente. «Inquieta – scrivevo nel giugno 2015 – che in Europa stati dell’Est, prima nella sfera sovietica, e con componente fortemente nazionalistica, pongano in Consiglio di Europa la possibilità per uno Stato di non accettare ora migranti, o una loro accoglienza su base volontaristica, perchè o gli stati che compongono l’U.E. accettano regole comuni anche in questo campo, o è finita non l’idea di Europa di alcuni paesi, ma l’ Europa stessa». (Laura Matelda Puppini, commento alla presentazione dell’ incontro: “Migrazioni di ieri e di oggi. Nuove emergenze e un dialogo necessario”, su http://www.storiastoriepn.it/).
Tra l’altro, allora si prevedevano 60.000 rifugiati in Europa, senza tener conto che, come narratomi da chi vi si era recentemente recato, gli stati nordici non accettano migranti e profughi, che la Germania dice di accogliere ma poi non si sa, dato quello che ho visto io … che l’Austria scoppia, che la Croazia permette il transito ma non il fermarsi, ecc. ecc. E l’Italia? Ah, non si sa. Il premier è a vedere tennis trasmesso anche dalla tv, e si interessa di prendere il potere, zittendo le minoranze ed i poveri gufi; Debora Serracchiani, che però non è il premier, attraverso il Messaggero Veneto, cerca di tranquillizzare, come una buona mamma, e spera nel governo e nell’Europa, ma almeno qualcosa dice (d.pe, “Serracchiani: regole uniche per i richiedenti asilo”, in: Messaggero Veneto 19 settembre 2015); la polizia austriaca, e non solo, pensa ad una rotta che dai Balcani prosegua verso l’ Italia ad Est, Torrenti, assessore regionale, teme allarmismi. Pare, però, ci si renda anche conto della situazione venutasi a creare ai confini con la Slovenia, ove la Croce Rossa attende molti più arrivi del previsto. (Domenico Pecile, Allarme rosso in Fvg per le rotte dei profughi, in: Messaggero Veneto 19 settembre 2015).
Infine Massimo Fini, su Il Fatto Quotidiano di oggi, 19 settembre 2015, ricorda che donna Merkel, che per lui resta la migliore in Europa, cerca almeno di ripristinare il diritto di rifugio per chi scappa dalle guerre, ma si chiede come fare a discriminare chi si presenta perché fugge dalla fame, come gli africani. E ricorda che i danni, in “Africa nera” li hanno fatti la finanza e la cultura occidentali, che ormai non si può tornare indietro a causa dei processi di desertificazione ed abbandono in atto e perdita di cultura locale relativa ai metodi tradizionali di coltura, nonché alla fine di un sistema di collaborazione tra popolazioni autoctone, che permetteva di mangiare a tutti. Inoltre la Cina si sta comprando l’ Africa a pezzi. E se si muovono gli africani ora affamati, si muovono milioni di persone. Cosa fare? – si chiede Fini. (Massimo Fini, “Comodo dire “migranti economici”, in:Il Fatto Quotidiano, 19 settembre 2015).
È secondo me superficiale pensare solo all’emergenza attuale, prevedibile se si imparasse a valutare i contesti geo-politici, senza prospettare ed ipotizzare, anche organizzativamente, il futuro. E la responsabilità della situazione attuale in Medio Oriente è anche americana ed israeliana, (Cfr. Antonio Ferrari, op. cit. e per il ruolo di Israele nella seconda guerra del Golfo: J.J. Mearsheimer e S.M. Walt, “La Israel lobby e la politica estera americana”, pagine da 279 a 319, riportate in: http://www.ossin.org/press-room/download/dossier-bush/14-mearsheimer-walt/file), ma Israele non prende mezzo profugo, l’America è lontana. E senza patti chiari con Obama ed Israele, che pare continui a fare i fatti suoi, bombardando anche bambini innocenti, e mantenendo muri sempre più lunghi ed alti, sarà difficile dare risposte a vasto raggio e di spessore. Inoltre, per quanto riguarda l’Italia, non so chi sia ormai un politico a livello nazionale credibile e di garanzia. Infatti non basta immagine per esser credibili e creduti.
Vorrei chiudere queste mie righe, che esprimono il mio pensiero, ma possono esser discutibili e discusse, con il messaggio di Mubarak, che disse che senza la pace in medio oriente non è possibile avere una situazione vivibile qui. Le migrazioni sono effetto di scelte politiche ed economiche. Come Italia andiamo via dalle guerre, che nulla di buono ci hanno portato: incominciamo almeno da questo. Così si aiutano le persone a vivere a casa loro. Inoltre facciamo, come Europa, la voce grossa con gli Usa, invece di inchini a destra e manca. Gli Usa, in un modo o nell’altro, hanno lo stesso vizietto di Israele, di cui sono soci: pensano a fare i fatti propri. Per esempio quanto abbiamo perso per “l’embargo” alla Russia?
Ho voluto parlare di questi argomenti volutamente intitolando questo mio articolo: migration, e non profughi o migranti. Infatti il problema è il movimento di persone, in primo luogo, le cause che lo hanno originato e la sua quantificazione.
Ho intitolato questo articolo: Europa: un gigante dai piedi di argilla, perché è così che appare oggi ai miei occhi, a meno che non la si voglia paragonare ad una torre di Babele.
Laura Matelda Puppini
L’immagine, senza autore, e solo per l’utilizzo in questo articolo, è stata tratta da: www.kidsdiscover.com. Laura Matelda Puppini
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La questione delle migrazioni e’ immensa e’ ha cause diverse che possono essere individuate nelle guerre d’ ingerenza, in primis, e nelle drammatiche condizioni di alcuni paesi africani. In queste riflessioni manca un riferimento all’ ISIS e all’ islamismo, che sono in questo momento, una delle ragioni della fuga di gente dalla Siria, dalla Libia e da altri paesi, quali la Nigeria.
Ho accennato al fondamentalismo ed al terrorismo, che vi sono ora con l’Isis ed altri e vi erano allora con Al-Qāʿida ed altri. E non si può dimenticare l’attentato alle torri gemelle dell’ 11 settembre 2001, pare a matrice saudita. E saudita era Osama bin Laden. Ma mi chiedo se non avesse ragione Mubarak nel dire che solo sposando la pace in medio oriente si sarebbe riusciti a vincere il terrore ed il terrorismo od almeno a migliorare la situazione. Mi ricordavo delle parole di Mubarak per averle lette allora, e mi erano rimaste impresse. Rileggendo quell’intervista mi sono chiesta se non valesse la pena riflettere ancora su quanto detto dal presidente egiziano. Altri due problemi, a cui accennava allora Mubarak, mi paiono ancora attuali: la mancanza di veri leader politici capaci di mantenere la pace in Iraq, dopo la seconda guerra del golfo, nonostante i tentativi anche americani di sostenere un governo legittimo e credibile, la fine di Yasser Arafat, pare poco amato da Israele, come leader palestinese, morto nel 2004, e la sua sostituzione con il pare più gradito Abu Mazen, meno carismatico del primo. (Cfr. Antonio Ferrari, op. cit.). Ma qui mi addentrerei in ben altre tematiche internazionali, che dovrei approfondire e che non riguardano l’argomento trattato.
Le migrazioni sono fenomeni prima di tutto biologici: ogni vivente cerca le condizioni ambientali migliori per la sua sopravvivenza. Se a questo aggiungiamo le crisi di diversa intensità dovute a guerre, carestie e crisi economica (anche oggi migliaia di giovani italiani migrano per mancanza di lavoro) si ha una giustificazione più ampia del fenomeno. Credere che tutto si possa fermare ripristinando condizioni accettabili nei luoghi di partenza e’, a mio modo di vedere, pura illusione. Occorrerebbe saper sviluppare politiche dell’integrazioni, il che richiede capacita’ in coloro che hanno il mandato di governare e intelligenza nei popoli che li eleggono.
Elementi che oggi – purtroppo – scarseggiano, così come il tasso di democrazia.
Siria. Anche qui è principalmente una questione di petrolio ed idrocarburi. Matteo Zola, nel suo “Russia: L’intervento in Siria e il piano di Mosca per il Mediterraneo”, in East Journal, 16 settembre 2015, ritiene che, in Siria russi, iraniani, turchi e americani cerchino di sostenere i propri interessi anche se diversi, in particolare nell’ ottica che il paese si smembri. «Tutti intendono influenzare le decisioni sul futuro del paese, tutti vogliono la loro parte della torta» – scrive- precisando l’interesse per la fascia costiera, da Latakia a Tartus, che i russi vorrebbero restasse in mano alla dinastia alawita. Infatti al largo delle coste vi è la presenza «di un enorme e ricchissimo giacimento di idrocarburi. E’ il cosiddetto Bacino del Levante che si estende nelle acque del Mediterraneo orientale tra Cipro, Israele, Siria ed Egitto. Diviso nei campi di Tamar e Leviathan, si calcola possa produrre 600 milioni di barili di petrolio, senza contare i giacimenti di gas. Tutti nella regione ambiscono a metterci le mani: i turchi, che sfruttano il controllo di Cipro Nord, gli israeliani, i greci, e ovviamente i russi». Così i russi, sempre secondo Matteo Zola, hanno ora deciso di appoggiare in Siria al-Assad. Il problema fondamentale delle guerre Medio Orientali pare essere proprio e sempre il petrolio.
Gino Strada: Via la guerra dalla storia.
Sulle migrazioni attuali Gino Strada osserva che basta vedere i paesi da cui vengono i profughi per pensare alla guerra come causa: «Basterebbe scorrere l’elenco dei Paesi da cui provengono i profughi – osserva –. Siria, Afghanistan, Iraq. Tutti teatri bellici. E quando non lo sono in senso stretto, come in Nigeria, il terrorismo fa il resto e la guerra è dietro l’angolo».
Questo significa «Che negli ultimi quindici anni l’opzione bellica è stata la più esercitata, difesa, praticata e osannata dai governi delle nazioni più potenti del mondo. Possiamo prendere come discrimine l’11 settembre 2001, anche se si tratta di una scelta molto approssimativa. Fatto sta che prima abbiamo esportato la guerra e adesso ne importiamo le conseguenze».
«In molti Paesi, oggi, le condizioni di vita sono terribili e i diritti umani individuali pressoché inesistenti. Le persone scappano, certo: che cosa dovrebbero fare? Durante la Seconda guerra mondiale anche i nonni scappavano dai bombardamenti, ma ormai ce ne siamo dimenticati, non ci ricordiamo più che mezzo secolo fa gli sfollati eravamo noi. Le migrazioni di cui siamo testimoni in questo momento sono un fenomeno inarrestabile. Sarebbe stupido illudersi di fermare flussi di questa entità. Ma ancora più stupido è sostenere che questi stessi flussi abbiano un’influenza negativa sulle nostre società. Semmai, è vero il contrario: quello dei migranti è un contributo positivo, anche dal punto di vista economico».
E se in Europa si alzano muri è «Segno che l’Europa resta una bella idea, ma all’atto pratico emergono ancora atteggiamenti di gretto nazionalismo. Di recente ci sono stati anche molti episodi di solidarietà e accoglienza, per fortuna, ma questa volta i protagonisti sono stati i cittadini d’Europa, non i loro governi. Ed è a questa Europa dei cittadini che i politici dovrebbero dare ascolto. In caso contrario, continuerà a prevalere la logica della paura e, quindi, della guerra».
Strada spera «Che l’umanità riesca a fare finalmente il grande salto culturale che molti attendono ormai da secoli. Scacciare la guerra dall’orizzonte della storia, ecco quale dovrebbe essere il nostro obiettivo. Perché la guerra non produce nulla, se non nuove povertà e nuove discriminazioni. La mia speranza sarebbe questa, ma confesso di non essere troppo ottimista.»
E per l’Anno Santo della misericordia dice: ««La misericordia è un atteggiamento su cui credenti e non credenti dovrebbero trovarsi in piena sintonia. Per me è il corrispettivo di quello che Bertrand Russell e Albert Einstein scrissero nel 1955 alla fine del loro Manifesto : “Ricordatevi della vostra umanità e dimenticate il resto».
«La globalizzazione ha galoppato, il divario tra i pochissimi ricchi e i moltissimi poveri è ulteriormente peggiorato e la Terza guerra mondiale, nei fatti, è già cominciata. Proprio per questo, però, e proprio perché i cittadini sono sempre meno rappresentati, non si può rinunciare a far sentire la propria voce. Bisogna impegnarsi a favore delle generazioni future, investendo sempre di più sulla formazione e sulla sensibilizzazione. Seminare, seminare nonostante tutto, anche nella consapevolezza che non saremo noi a vedere i frutti. Abbiamo bisogno di una cultura diversa. Anzi, no, mi correggo: abbiamo bisogno di cultura. L’alternativa è la barbarie che abbiamo davanti e alla quale non possiamo arrenderci».
Alessandro Zaccuri, “Intervista. Strada: Via la guerra dalla storia”, in: http://www.avvenire.it/ 23 settembre 2015.