Cercando qui e là ho collezionato queste informazioni che mi hanno davvero impensierito. Preciso, per chi non lo sapesse, che Novj Matajur è un periodico della cosiddetta Slavia friulana, che fa parte del cividalese. 

Da Novj Matajur 25 marzo 2020.

Pronto soccorso e guardia medica, cosa dicono i sindaci.

«C’è l’emergenza coronavirus, e l’Azienda Sanitaria Universitaria Friuli Centrale (AsuFc) ha riorganizzato la funzione di alcuni servizi. Lo scorso 13 marzo, con una nota, la Regione ha annunciato il trasferimento di sei medici, dieci infermieri e tre operatori del Punto di primo intervento di Cividale all’Ospedale Santa Maria della Misericordia di Udine e alla messa in sicurezza della postazione ambulanza di Cividale e San Pietro al Natisone».

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Da Novj Matajur 5 febbraio 2020.

 Ambulanza a San Pietro, facoltà di ricorrere ai privati.

La gestione delle postazioni di soccorso è in capo alle singole aziende, è loro facoltà, quindi, ricorrere anche a soggetti privati per il mantenimento del parco ambulanze. Ha risposto così l’Assessore Riccardo Riccardi, durante la seduta al Consiglio Regionale a Trieste lo scorso 30 gennaio all’interrogazione della consigliera del gruppo ‘Cittadini’ Simona Liguori che, con un’interrogazione, aveva chiesto precisazioni circa la possibilità che il servizio di ambulanza di San Pietro al Natisone venisse privatizzato. Su San Pietro Riccardi ha quindi precisato di non avere elementi per confermare o smentire la possibilità che l’Azienda opti per l’affidamento a privati».

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Da Novj Matajur 12 febbraio 2020.

Ospedale e ambulanza si muove la lista civica di San Pietro. 

«È stata la lista civica, opposizione a San Pietro al Natisone, la prima a rompere il silenzio nei comuni delle valli del Natisone, rispetto ai possibili effetti della riforma sanitaria regionale sul Presidio ospedaliero di Cividale. L’ha fatto con una mozione dello scorso 6 febbraio, che verrà discussa nel primo consiglio comunale utile».   

 

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Da Novj Matajur 22/4/2020.

Ambulanza a S. Pietro, ecco i numeri.

Dopo le drastiche decisioni delle scorse settimane – con i puntuali distinguo della Regione rispetto alle decisioni del governo centrale – tese a garantire il distanziamento sociale, unica arma di difesa contro la diffusione del Covid – 19 il dibattito si è spostato sulla fase 2. Appiattita la curva dei contagi, alleviato il peso dei ricoveri sul sistema sanitario (che è stato vicino al collasso in Lombardia), si pensa a graduali aperture. Fra indiscrezioni e ‘fughe in avanti’, il discorso politico è tutto incentrato sulle attività produttive. Detto che il lock-down totale, di fatto, non c’è stato nemmeno in Regione (mille le imprese rimaste sempre operative in provincia di Udine in tutto questo periodo), la crisi sanitaria, per la Slavia, ha determinato un taglio dei servizi… sanitari: la chiusura del Punto di primo intervento di Cividale e il trasferimento della postazione di Guardia medica da San Pietro alla città ducale. Quest’ultima scelta, nelle intenzioni dell’Azienda sanitaria universitaria Friuli centrale e della Regione, dovrebbe essere definitiva. Voci sempre più insistenti, nel campo del centrodestra, sostengono ora che anche la condizione della postazione dell’ambulanza di San Pietro al Natisone debba essere ridiscussa. Argomentazione principale, al netto di alcune motivazioni poco convincenti come la necessità di garantire l’incolumità fisica degli operatori dagli episodi di violenza da parte degli utenti (zero episodi del genere a San Pietro), è – nemmeno a dirlo – quella dei numeri. Gli amministratori locali hanno rimandato ogni discussione sulle scelte di Azienda e Regione ad emergenza finita.

In previsione dell’attesissima fase 2 dunque, scriviamo qui i numeri che siamo riusciti a raccogliere. E che per qualcuno potrebbero essere sorprendenti. L’ambulanza di San Pietro non esegue ‘due o tre’ interventi a settimana. Gli interventi sono, in media, 70 al mese, con picchi di 90. Con una percorrenza media di 35 km ad intervento e dunque circa 3000 km al mese. Una delle proposte, in epoca pre-crisi, era quella di affidare la gestione della postazione a privati. Motivo: la carenza di personale. Eppure nel 2019 l’Azienda ha accolto la mobilità di tre autisti arrivando ad avere personale sufficiente per coprire il servizio di 24 ore ‘in house’. Sempre in tema di numeri, qualora il servizio venisse affidato a privati, il costo complessivo giornaliero di autista, infermiere e mezzo (a carico, ovviamente del pubblico) sarebbe, in media, di 82 euro all’ora (1968 al giorno). Contro quello della gestione diretta che è ora di 39 euro all’ora (936 al giorno), meno della metà. 

Anche il calo degli accessi al Punto di primo intervento con cui si è motivata la scelta di chiudere il servizio fino a fine emergenza (lo scorso 16 marzo) era in linea con il calo complessivo registrato in tutti i pronto soccorso della Regione nei primi giorni dell’emergenza Covid-19.  Oltre al Ppi, val la pena ricordare, che a Cividale sono attualmente chiusi anche il day hospital, la piastra chirurgica e la maggior parte degli ambulatori. Mentre ci segnalano diversi casi di utenti che, ignari della situazione, si recano ancora nei locali di San Pietro in cerca della Guardia medica e al Punto di primo intervento, chiuso, di Cividale».

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 E pensare che nel 2014 si parlava dell’ospedale di Cividale come ospedale transfrontaliero.

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Ma tranquilli: quelli delle Valli del Natisone pare siano in buona compagnìa, infatti così si legge su ‘Cronache Nuoresi’: «Equipaggi delle ambulanze del 118 ridotti in piena emergenza. È difficile persino crederci E invece è quanto accaduto in Sardegna in piena emergenza Covid. In questi giorni in cui i soccorritori delle autoambulanze stanno facendo grandi sacrifici per rispondere alle numerose richieste di aiuto, l’assessore alla sanità Nieddu provvede d’urgenza a tagliare di un terzo il numero standard dei componenti di ciascun equipaggio». Questo per mancanza di dispositivi di sicurezza Covid. (https://www.cronachenuoresi.it/2020/04/02/covid-19-tagli-agli-equipaggi-delle-ambulanze-inaccettabile-operare-in-questo-modo/).

E questi ulteriori ridimensionamenti accadono su di un terreno già falcidiato. Infatti, come si può leggere per il 2017 su: Negli ultimi 10 anni quasi 1 milione di accessi in meno, tagli ad ambulanze, strutture e ricoveri, ma più posti letto di rianimazione. Ecco come sono cambiati i Pronto soccorso italiani, di Luciano Fassari, in: https://www.aogoi.it/notiziario/: «Nel 2007 il Ssn pubblico poteva contare su 334 Dipartimenti di emergenza-Urgenza e 530 pronto soccorso. Ebbene 10 anni dopo la dieta è stata drastica: 49 Dea sono stati tagliati (-14%) e 116 Pronto soccorso non ci sono più (-22%).
 Ma il taglio più evidente è sulle ambulanze, sia quelle di Tipo A (emergenza) che quelle di Tipo B (Trasporto sanitario). Nel 2017 abbiamo quelle di Tipo A si sono ridotte del 4% rispetto a 10 anni prima mentre quelle di Tipo B si sono dimezzate (-52%).
 Da notare anche come siano diminuite drasticamente le ambulanze con il medico a bordo: nel 2007 il dottore era presente nel 22% dei veicoli, mentre nel 2017 appena nel 14,7%.
 Tagliate del 37% anche le Unità mobili di rianimazione (erano 329 nel 2007, sono 205 nel 2017). La stretta ha riguardato anche le case di cura accreditate che in ogni caso hanno molte meno strutture e ambulanze rispetto agli ospedali pubblici». Ed era il 2017. Qual è la situazione attuale? Perché se mancano le ambulanze, o se non hanno personale sufficiente, i pazienti gravissimi, quelli che dovrebbero giungere velocemente alle terapie intensive non ci giungeranno più.

Ma cosa è accaduto anche in Liguria, secondo il sindacato Uil FpL? La giunta regionale ha deciso di «interrompere l’assegnazione del rimborso specifico per le ‘ambulanze Covid-19’, ovvero quelle esclusivamente dedicate al trasporto di pazienti positivi o sospetti, sospendendone di fatto il servizio in tutto il territorio regionale». E così si è espresso nel merito il sindacato: « Riteniamo inaccettabile che in piena emergenza sanitaria la protezione e la tutela della salute dei cittadini sia di fatto trasferita dalla Regione, non in grado di occuparsene e farsene carico, alla Croce Rossa e alle pubbliche assistenze che, al contrario, con grande senso di responsabilità hanno invece comunicato l’intenzione di continuare a provvedere a loro spese alla necessaria sanificazione dei mezzi ed alla dotazione di idonei dispositivi di protezione individuale dei militi, utilizzando ambulanze idoneamente allestite per il soccorso e il trasporto di pazienti Covid-19 positivi con il vano sanitario isolato dal vano guida” aggiungono». https://www.ivg.it/2020/05/basta-rimborso-alle-ambulanze-covid-uil-incomprensibile-e-imprudente-la-scelta-della-giunta-regionale/).

E a Caserta, nel 2019, la situazione era la seguente: «demedicalizzazione delle ambulanze. Si trovino presto soluzioni”. Da tempo il servizio 118 di Caserta lotta con problemi di organizzazione e mancanza di personale, dovuto alla precarizzazione del servizio, ai tagli e l’esternalizzazione che ha creato nel tempo solo confusione.
Nella rimessa delle ambulanze sostano due mezzi, solo su uno vi è un medico costantemente, sull’altra non vi sono medici fissi.
Il resto del servizio di soccorso è affidato alla Misericordia di Caivano con il compito di coprire i turni vuoti a causa della mancanza di personale dell’ospedale, creando in tal modo una forte precarizzazione che non va a favore del cittadino.
La Regione Campania, con i suoi numerosi problemi, i tagli alla Sanità, la mancanza di personale, è diventata un incubo per chi usufruisce dei servizi offerti.
Non di meno dunque, è il 118, in quanto primo soccorso, a soffrire di disservizi che portano a lunghe code nei pronti soccorsi, ad una degenerazione dei servizi resi, ad una turnazione dei medici e degli infermieri i quali sono costretti, spesso, a restare in servizio oltre l’orario per coprire turni vacanti. Richieste di soluzioni mai arrivate». (https://www.teleradio-news.it/2019/01/25/caserta-sanita-ambulanze-senza-medici-a-bordo-per-insorge-la-ugl-sanita/).

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E in Carnia la situazione com’è? Perché qui non si sa nulla e tutto tace. E per ora mi fermo qui. Che dire? Che fare? Speriamo che il governo Conte, con i fondi dell’Europa, cerchi di risolvere anche questi problemi non di poco conto, sentendo anche professionisti ed i rappresentanti dell’utenza. La nostra salute non può essere gestita aziendalmente ed in modo ‘politico’.

Aggiornamento per la Carnia. 6 giugno 2020. 

Dall’articolo di Piero Cargnelutti, Le sale operatorie non aprono attività sospese fino ad ottobre. – Interventi in day surgery bloccati durante l’emergenza e urgenze dirottate altrove. I sindacati: «servono altri operatori».  Il sindaco punta sul centro di riabilitazione, in Messaggero Veneto, 5 giugno 2020, si apprende che, all’ospedale di Gemona, dopo il lockdown, l’Azienda sanitaria di Udine ha deciso di sospendere le attività di day surgery fino ad ottobre, benché non si siano fatti tutti gli interventi programmati a causa del coronavirus, per permettere al personale di andare in ferie.

Oggi, 6 giugno 2020, sempre il Messaggero Veneto pubblica un articolo di Tanja Ariis intitolato “Ferie da fare e personale all’osso rischio paralisi in vari reparti” in cui si legge che l’Asu Fc ha deciso di ridurre anche l’attività operatoria negli ospedali di Udine e San Daniele, dopo aver azzerato quella di Gemona. Ed il rischio è che il funzionamento dei due ospedali resti ingessato anche nel corso della fase 3. In particolare l’attività prevista per l’ospedale di Tolmezzo è ridotta a 12 interventi in tutto a settimana, 2 al giorno domenica esclusa, quella per San Daniele è ridotta a 10 interventi alla settimana. Ridotti nel periodo estivo, qui come là, pure i piccoli interventi, e preventivata la possibilità di modificare l’attività ambulatoriale ospedaliera. Intanto cittadini segnalano difficoltà di accesso alle cure anche ora, talvolta neppure prenotabili. Con questi chiari di luna, il sindaco di Tolmezzo Francesco Brollo ha scritto all’Assessore Riccardo Riccardi chiedendo un incontro per discutere i problemi di salute della popolazione della Carnia ed il ruolo dell’ospedale di Tolmezzo. Infatti non si è mai sopita l’impressione che si tenda ad un declassamento dell’ospedale carnico. Inoltre già è difficile riprendere dopo il lockdown, ma proseguire sulla via dei servizi ospedalieri a rilento in tutta la montagna e pedemontana potrebbe porre grossi problemi all’utenza, vista anche la possibilità che molti turisti optino per la montagna.   

Che dire? Avevo forse torto quando scrivevo che nella sanità friulana la palla è al centro? Queste notizie impensieriscono parecchio. E queste riduzioni e sospensioni di attività hanno avuto una programmazione non solo sulla base di costi e ricavi, o è sempre la politica di tirare la tovaglia già corta? E che effetti avrà questo modus operandi sulla salute dei cittadini? Chiediamocelo. E se il ‘pubblico’ non funziona, dovremo giocoforza se possibile, ricorrere al ‘privato’? Ma il privato qui offre al massimo una attività ambulatoriale, nulla di più, e gli urologi non hanno, che sappia, neppure un catetere o dei calibratori uretrali in dotazione, e la gran parte dei privati sono distanti anni luce dai servizi che dà un nosocomio, non hanno tutte le attrezzature di un ospedale né il personale né l’organizzazione. E poi esistono anche gli aspetti psicologici del paziente, che non è l’uomo di marmo, si fa per dire. Non da ultimo, i referti dei privati non vengono caricati sul ssr. Ma poi i nostri ospedali non erano Covid, ed allora di che personale stiamo parlando? Forse di quello del Santa Maria della Misericordia spostando i medici o di che? Boh, sarò io che non capisco … Scusatemi, sarà l’età …

Senza voler offendere alcuno ma per riportare dei problemi sul tappeto.

Laura Matelda Puppini

L’immagine che accompagna l’articolo è tratta, solo per questo uso, da: https://www.globalproject.info/it/in_movimento/la-clinica-dei-tagli/10277. LMP.
 

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