Premessa.

Voglio qui ricordare due caduti nella resistenza italiana, che facevano parte delle forze partigiane osovane in Carnia, perché oggi andremo a deporre una corona al monumento che li ricorda.

 La notte fra il 24 ed il 25 luglio per alcuni, e fra il 26 e 27 luglio per altri, del 1944, cadevano uccisi dal nemico, in una delle prime azioni del battaglione osovano ‘Carnia’ comandato da Livio detto anche: Barba Livio (1), due giovani partigiani: Marcello Coradazzi di Caneva di Tolmezzo e Cosmo Valeriano di Formia. Erroneamente, secondo Romano Marchetti e Gian Carlo Chiussi (2), la loro morte è collocata il 27 luglio 1944, ed essi sostengono che i due partigiani furono uccisi il 25 luglio ed i loro corpi furono lasciati sotto il sole all’entrata del ponte di Caneva come monito ad altri che avessero voluto diventare ‘banditi’. Infatti così allora erano considerati i partigiani. Ma poco importa per la loro storia.

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Bisogna però fare una premessa di tipo militare alla difficoltà a compiere le prime azioni in particolare da parte di partigiani osovani, ma non solo, guidati da ufficiali che erano stati del R.E.I. «Non è difficile rilevare – scrive Tranquillo De Caneva riferendosi alla battaglia di Pani – […] che chi dirige l’azione è ancora largamente influenzato dagli studi e dalle esperienze militari vissute durante il secondo conflitto mondiale». (3). Ed ancora: «La questione del “salto di qualità” nella guerra partigiana in Carnia ha sempre interessato i nostri Comandi. Si avvertiva che dalla “guerriglia” si stava passando alla “guerra -di – guerriglia”, più che nella elaborazione teorica, nei fatti». (4).

Queste considerazioni di  Ape, poi Mauri, garibaldino e commissario politico, sono importanti perché ci mostrano le diverse strategie e tipologie di lotta armata a cui dovettero abituarsi e con cui dovettero confrontarsi i comandanti partigiani e le loro truppe, formate pure da soggetti provenienti dalle disciolte forze armate, passando dalla  guerra di massa applicata sotto l’esercito italiano, alla guerriglia – molto difficile perché presupponeva il muoversi veloce di piccoli gruppi in azione ed il loro rientro, alla guerra- di – guerriglia, cioè ad una guerra vera e propria però impostata ed eseguita da un esercito guerrigliero, ben diversa dalle altre due.

Inoltre si erano arruolati sotto le forze partigiane anche giovani pieni magari di ardore ma senza alcuna esperienza militare, il che comportava ulteriori problemi pure per la sicurezza. Ma questo non è il caso di Valeriano Cosmo Alfa, e neppure di Coradazzi Marcello, Lazzarino, che aveva svolto regolare servizio militare in fanteria, prestandolo sicuramente in Friuli, per poi essere istradato verso la Russia. Però non raggiunse il fronte perché fu richiamato indietro essendo caduto, da militare, suo fratello. Così mi ha raccontato, al volo, stamane, 29 luglio 2023, alla commemorazione ufficiale dei due caduti, la figlia Marcella, nata quattro mesi dopo la morte del padre, che mi ha promesso pure, in un futuro, di essere più precisa ed una foto di suo padre, da porre in questo articolo. 

 

Foto di Cosmo Valeriano. Avanti e retro della medaglia emessa a ricordo. Da: Il formiano Cosmo Valeriano morto per la libertà dell’Italia, in: https://www.facebook.com/ComeEriBellaFormia/photos/a.438243042905954/893771424019778/?type=3. 25 aprile 2006. 

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Ma chi erano, innanzitutto, i due caduti?

Cosmo Valeriano, Alfa.

Il fratello Ottavio, cosi ricorda Cosmo, nato a Formia il 3 novembre 1944.
“Sono Ottavio Valeriano, ultimo di otto figli. Mio padre era mastro muratore e lavorava saltuariamente perché non aveva voluto iscriversi al Partito Fascista. Poi per mantenere la famiglia e lavorare dovette iscriversi. A quel tempo due miei fratelli erano già in guerra, uno imbarcato su di un cacciatorpediniere come fuochista e l’altro era carrista. Cosmo, che non aveva l’età per essere chiamato alle armi, lavorava nella fabbrica di laterizi Tiberina/D’Agostino da noi comunemente chiamata Temberina. Nel 1941 si arruolò nella giovane Italia, la GIL (5), e fu mandato come Alpino a Tolmezzo. Io ricordo che venne parecchie volte in licenza. Una volta, per puro caso, si ritrovò con gli altri due fratelli anch’essi in licenza.

L’ultima volta che venne fu nell’Agosto del ’43. Partì di leva 10 giorni prima dell’8 Settembre. Da allora non avemmo più notizie. Dopo l’armistizio fummo sfollati sulle montagne di Formia, lasciando tutto, portando con noi solo il necessario. Nel Maggio del ’44 gli alleati ci liberarono dai Tedeschi e scendemmo a Formia, trovandola completamente distrutta. Nel frattempo era morta una mia sorella colpita durante un bombardamento navale mentre il marito era stato fucilato dai Tedeschi mentre tentava di fuggire durante un rastrellamento.

Nel Luglio del ’44 morì mio fratello maggiore a causa della malaria. Intanto di Cosmo non si avevano notizie. Dopo la “Liberazione” vennero a casa dei miei genitori i carabinieri per informarli della morte di Cosmo. Nel 1947, arrivò un pacco dal Ministero della Guerra e dall’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia. In quel pacco c’erano gli indumenti che mio fratello indossava da partigiano: una camicia militare macchiata di sangue, un pantalone coloniale corto e un paio di scarpe fatte di corda. Nel pacco c’era anche una medaglia di bronzo al Valore Militare ed una lettera di poche righe che recita: “Cosmo Valeriano, nato a Formia il 3 Novembre 1924, caduto in combattimento contro i nazifascisti sul ponte di Caneva per la Libertà dell’Italia.”

“Caneva di Tolmezzo si trovava al confine della zona libera della Carnia e nell’estate del 1944 ospitava un presidio fascista, proprio all’imbocco del ponte sul torrente But, contro il quale venne decisa un’azione partigiana. L’attacco avvenne nella notte del 27 luglio 1944, in due riprese; ma alla seconda furono colpiti a morte due partigiani della Osoppo- Friuli: Marcello Coradazzi di Tolmezzo e Cosmo Valeriano di Formia». (6)

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Marcello Coradazzi, Lazzarino.  

Stranamente, per Marcello Coradazzi ho reperito in rete meno informazioni che per Cosmo Valeriano, forse per le inveterate tendenze, qui in Carnia, a ben poco ricordare i morti partigiani per la libertà della Patria, in lotta contro i fascisti ed i nazisti occupanti; a scindere militari e partigiani come fossero due categorie diverse, dimenticando lo scioglimento di fatto delle Forze Armate, la fuga del Re e di Badoglio ed altri sotto la protezione anglo-americana, obbligando i giovani e meno giovani, che non volevano arruolarsi nelle forze armate tedesche o lavorare per i nazisti nella Todt, a prendere la via dei monti; a soprassedere sul fatto che qui, dopo l’8 settembre 1943, eravamo in Ozak (Operationszone Adriatisches Küstenland), non più in Italia; e rischiando di rasentare, così,  una lettura dei fatti intercorsi nella seconda guerra mondiale a matrice nazifascista.

Invece due ricordi di Lazzarino si trovano sul periodico Carnia diretto da Romano Marchetti, uno posto sul numero del 16 giugno 1945, uno sul successivo e cioè su quello del 23 giugno dello stesso anno, in occasione del suo funerale ‘ufficiale’.

Marcello Coradazzi, nome di battaglia Lazzarino, era nato a Caneva di Tolmezzo nel 1914, ed era fratello di Riva, Angelino Coradazzi, maestro elementare e democristiano. Marcello aderì alla Osoppo, come altri giovani del suo paese, appena si formò in loco il primo battaglione non garibaldino: il “Carnia”, guidato da Romano Zoffo, Livio, ufficiale effettivo delle disciolte Forze Armate. E, come già scritto, anche il Coradazzi aveva prestato per anni servizio militare.

Romano Zoffo, Livio. Foto dal nipote Enrico Mengotti, figlio della sorella di Livio Rita, che ringrazio. Diversamente da quanto qualcuno pensa e che una foto in b/n farebbe ipotizzare, Livio era biondo, e aveva carnagione ed occhi chiari, mi pare azzurri. La foto è stata scattata mentre prestava servizio sotto il R.E.I..

Così il Coradazzi viene ricordato sul periodico Carnia, numero datato 16 giugno 1945, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, da V. d B.: «Lasciava il paese, la moglie e i suoi due bambini e raggiungeva, oltre un anno fa, il Comando della Brigata Osoppo in quel di Pielungo.

Carnico, desideroso di offrire il suo braccio e la sua opera nella nostra zona, vi ritornava assieme ad un gruppo di patrioti che si stabilirono sui nostri monti, iniziando quell’azione metodica e costante che avrebbe dovuto sconcertare i piani del nemico e in collaborazione con gli altri nuclei di patrioti rendere libera gran parte della nostra regione.
Disinteressato, di animo aperto, risoluto, ardito, partecipò in varie riprese al disarmo dei repubblichini e ad azioni militari contro posti di blocco nemici.

La notte del 26 luglio lo vide partecipe attivo alla trama combinata contro il fortino del ponte di Caneva. Barba Livio l’aveva concepita e, con il suo pugno di uomini, stava eseguendo l’azione contro quel gruppo di venduti che volevano assicurare la città della Carnia ai tedeschi, e opponevano resistenza a quegli italiani che, dai monti, scendevano per combattere il nemico. L’azione era già riuscita e l’armamento ivi esistente al completo era trasportato in luogo sicuro.

Senonché bisognava occupare e tenere il fortino momentaneamente lasciato libero. Lazzarino assieme ad altri era comandato a ciò. Ma una pattuglia di militi riuscì ad infiltrarsi nel fortino, pronti a reagire ad ogni eventuale assalto dei patrioti. Nel tentativo, pallottola mortale colpì il nostro Lazzarino che, percorsi pochi passi, girò su sé stesso. Salutò un suo compagno e cadde.
“Perde la vita chi visse per sé: vive in eterno chi amando la diè”.

L’indomani tutti han potuto ammirare, disteso ai lati della strada presso il fortino, un giovane cui il cappello alpino copriva il volto pacato e sereno. Un’ ombra di tricolore spiccava sulla salma» (7).

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Questo testo preannuncia un trasporto della salma di Lazzarino dalla tumulazione originale in Tolmezzo al cimitero del paese natìo, con funerale ufficiale e con nuova sepoltura, avvenuto il 17 giugno 1945. E forse anche i resti di Cosmo Valeriano furono resi al suo paese, come avvenne del resto anche per quelli di Rinaldo Cioni, prima sepolto ad Ovaro e poi traslato ad Empoli, sua città natale. 

Monumento eretto sul luogo della morte in ricordo di Marcello Coradazzi e Cosmo Valeriano. Si nota la grande lapide al centro che ricorda Maria Adami, civile caduta a Caneva il 2 settembre 1944, aggiunta poi, che snatura tutto il significato del monumento. (Immagine da: https://www.partigianiosoppo.it/Eventi/a-caneva-di-tolmezzo-la-cerimonia-per-ricordare-i-due-osovani-cosmo-valeriano-e-marcello-coradazzi/)

Nel numero seguente del ‘Carnia’, datato 23 giugno 1945, veniva pubblicato un ricordo, intitolato: “Rivivono i nostri caduti” scritto da ‘un amico’, ove, dopo aver immaginato un incontro con Lazzarino vivo, come si usava allora nel senso che gli eroi non muoiono mai, ma pure che alla fine di una lunga guerra non pareva possibile che certi compagni di lotta non fossero presenti e non potessero ritornare più, facendo seguire a dolore altro dolore, l’autore così continuava: «Lazzarino è già uno di quelli ‘da frint’ e uno lo piglia molto sul serio […]. E se ne va con il bel sorriso italiano sul volto che ammicca: cosciente del suo tricolore, del suo cappello e del suo mitra: conquista recente.

Se ne va con il suo passo solido e marcato di montanaro […]. È il braccio di Livio. Quando Livio dice qualcosa, Lazzarino è serio, rigido, militare. Quando Livio ha finito risponde ‘sì’ e parte. Sorride quasi subito anche se ha da fare due giorni di cammino ed un lavoro difficile. (…).

Questo pensa l’amico mentre a distanza segue il feretro […]. Ed anche egli pensa: “Morto! Come si fa a sostenere che è morto?”» (8). Poi ritornando ad immaginarlo, vivo, seguire il suo funerale, l’autore del pezzo scrive che gli pare che Lazzarino sembri commosso nel riconoscere i compagni di lotta, nel notare come sono contenti di rivederlo, anche se non lo vorrebbe far capire agli altri.

E così termina questo secondo articolo: «in lui e in noi la gioia è più effervescente in quanto è il primo incontro dopo che la Patria non è più accampamento di tedeschi e cosacchi» (9). Ed infine il ritorno alla realtà: «Il funerale prosegue lento e triste, ma nei cieli egli gode sempre della fiamma che ha guidato in terra. (…)». (10).

Dall’intervento a Formia per il 25 aprile 2006, sappiamo pure che, uccisi i 2 partigiani, «i militi fascisti, essendo della zona, ebbero un sospetto e andarono a Caneva a prelevare la madre del Coradazzi che, imperterrita, negò il riconoscimento. Alle sue spalle c’erano Caneva e la sua gente». (11). Ma pure Marcella Coradazzi mi ha velocemente narrato che sua nonna con la figlia, sorella di Marcello, furono prelevate dai nazisti e portate sul ponte di Caneva a guardare il corpo del giovane ucciso. Ma esse, pur nell’immenso dolore, forse già avvisate della morte di Marcello da qualcuno, passarono imperturbabili davanti al cadavere del giovane, non riconoscendolo, per impedire in primo luogo ritorsioni verso la famiglia ed il paese. Non solo: «I corpi di questi eroici patrioti furono lasciati uno in mezzo alla strada, l’altro in fondo ad una scarpata. La mattina successiva coloro che recavano al lavoro a Tolmezzo furono fatti passare uno ad uno accanto ai cadaveri e invitati all’identificazione, ma nessuno parlò». (12).

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L’azione in cui trovarono la morte Marcello Coradazzi e Cosmo Valeriano, secondo Albino Venier, il comandante osovano carnico Albino Venier, Walter, allora del btg. Carnia.

Walter inizia la descrizione di questa azione dicendo che egli, non trovandosi a Salvins presso il Comando di battaglione, per la compagnia da lui comandata aveva programmato, per quei giorni, una azione contro la Caserma dei Carabinieri di Tolmezzo, con l’intento di prelevare armi, munizioni e benzina. Ma, raggiunto il Comando, fu fermato dal procedere in tal senso da Livio, suo superiore, che stava predisponendo un attacco al fortino di Caneva. (13). Era questa una struttura fissa e punto obbligato di passaggio per chi volesse andare da Tolmezzo verso Villa Santina e viceversa. Un altro fortino, similare, chiudeva la strada di uscita da ed entrata a Tolmezzo per la Valle del But ed era posto all’inizio di via Paluzza. Quest’ ultimo, nel settembre 1944, fu fatto saltare dalla partigiana tolmezzina Andreina Nazzi Nina (14), con una azione rocambolesca e che richiedeva enorme sangue freddo.

Nina, Andreina Nazzi. Foto dal volume di Pier Luigi Avanzato, Gente di Tumieç, 2004. Provenienza dell’immagine: il figlio Uliano Fiorenzo Intilia.

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Ma ritorniamo all’ azione contro il fortino. Da persone diverse sono ipotizzati motivi diversi per l’azione. Vi è chi dice che essa era stata pensata al fine di reperire armi e munizioni, e vi è un dato di fatto: Livio, Romano Zoffo, come tutti i comandanti della Resistenza, con l’affluire sempre più numeroso di giovani desiderosi di arruolarsi, aveva un problema di reperimento delle stesse, indispensabili per la lotta.

Nel discorso per l’inaugurazione del monumento a ricordo dei due osovani morti in azione, posto all’ inizio del ponte di Caneva nel 2006, qualcuno ha detto che si voleva liberare il fortino per far passare un camion di viveri diretto in Carnia, e nel contempo disarmare il fortino stesso, ma solo quest’ultima azione andò a buon fine (15), ed è anche vero che i nazisti avevano imposto il veto all’approvvigionamento di cibo per gli abitanti della Zona libera di Carnia, e così potrebbe esser accaduto che, in concomitanza con l’assalto programmato al fortino, si fosse pensato pure di far passare un camion con viveri di prima necessità per la sopravvivenza degli abitanti del territorio montano. E, per amore di verità, devo dire che chi aiutava in tal senso era la Cooperativa Carnica, diretta allora da Rinaldo Colledan, che, pur essendo fascista, per motivi ignoti, ma essendo a molti chiaro che ormai la guerra era perduta, non ostacolò il trasporto di alimenti della Cooperativa con camion della stessa, di cui si diceva fosse a conoscenza.

Gian Carlo Chiussi, poi, parla pure di una azione dimostrativa, dopo che i tedeschi, giunti a Fusea, furono dagli osovani ricacciati indietro, non senza però che i soldati nazisti, prima di indietreggiare, avessero «prelevato in paese bestiame, formaggio, burro». (16). Ma è anche vero che quel 24/25 o 26/27 luglio 1944 si colloca subito dopo l’attacco ad una colonna tedesca al ponte di Sutrio, ove morirono un garibaldino ed un osovano, ed a ridosso degli eccidi nazifascisti a Lanza, Cordin, Promosio, Sutrio, Paluzza, ed in Val del But, dove persero la vita molti civili. In questo contesto, una azione dimostrativa partigiana sarebbe stata importante per far sentire la propria voce.

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Insomma pare che ormai si sia persa memoria del reale del motivo per cui fu organizzata l’azione contro il fortino di Caneva, e ognuno faccia una propria congettura, a meno che i motivi non fossero più d’uno. E leggendo anche la descrizione dei fatti sul ’Carnia’ del 16 giugno 1945, sopra riportata, e il testo datato ‘Formia 25 aprile 2006′, pare proprio che l’azione avesse due finalità: il reperimento di armi, ed in particolare di una mitragliatrice Breda, fondamentale per la lotta, che poi verrà presa da Albino Venier Walter, ai tempi della crisi di Pielungo, (17), ed il tener libero il fortino per far transitare un camion di viveri.

Albino Venier, il comandante osovano Walter. Da: Albino, Luigi, Teresina Venier, Una famiglia nel turbine della guerra, op. cit. in nota 13, p. 35.

Ma ritorniamo alla descrizione, fatta da Albino Venier, Walter, dell’azione contro il fortino. Egli si trova il giorno prima a Fielis, con il suo gruppo, poi ad Arta. «Un ordine di Livio mi avverte, durante la notte, che domani sera ci sarà l’attacco su Tolmezzo.
Si attende la mezzanotte parlottando con qualche ragazzina del paese … tanto per passare un’oretta lieta in lieta compagnia, dimenticando tedeschi e repubblicani. (…)». (19).

«27 luglio. Affido la Compagnia a Leo con l’ordine di portarla a Cazzaso di Tolmezzo. Io con la staffetta vado al Comando di Btg. per gli ultimi accordi.
Alle 10 sono da Livio e rivediamo il piano di attacco. Ormai posso descriverlo: non ha alcuna importanza militare.

Azione centrale. Attacco al fortino al Ponte di Caneva. Se va tutto bene, ci impossesseremo di una pesante e quattro fucili mitragliatori, tredici repubblichini di guardia e sei della territoriale. Compito affidato alla seconda Compagnia. Al lancio del razzo bianco, entra in azione il mortaio del contrafforte di Verzegnis. Io con la mia compagnia appoggio: appoggio di fuoco da Casanova, e attacco secondario al fortino di via Paluzza.

Come piano non c’è male. Un po’ difficile però attuarlo in pieno. Certamente dopo l’azione qualcuno mancherà all’appello. Raggiungo la Compagnia. Raduno i Volontari per l’assalto al fortino. Leo comanderà la squadra. Io devo tenere contatto con il Comando Btg. al ponte di Caneva.

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Alle nove (di sera n.d.r.) partenza.
Un sentiero scosceso e difficile ci porta a Caneva. Alle 23 ci siamo, manca mezz’ ora per l’inizio dell’azione.

La squadra di Leo passa il But e si porta sulla strada per Paluzza. Lunghi momenti di attesa […].
Sei uomini passano il fiume e si avvicinano al fortino del Ponte di Caneva. Sono a dieci metri. La sentinella, contrariamente a quanto si sperava, è stranamente all’erta. Bisogna agire e modificare il piano stabilito. Non si può agire di sorpresa senza sparare. Una raffica di sten, e la sentinella è liquidata. Due della pattuglia piombano sul fortino: intimano ai rimanenti le mani in alto, li disarmano, prendono la pesante e via. Uno resta di guardia. Dopo due lunghi minuti i due rientrano, sperano di trovare ancora il loro compagno. Invece alla loro richiesta di parola d’ordine, sono accolti da una raffica di mitragliatore. Il povero Lazzarino cade colpito al ventre. Gli altri devono rifugiarsi dietro i paracarri a sei metri dal forte. Intanto sono rientrati in azione i due mitragliatori della Pieve e quello della mia Compagnia di Casanova. Fuoco accelerato. Al ponte di Caneva non c’è più niente da fare. Ai repubblichini sono giunti rinforzi ed è un miracolo che stanno fermi al fortino.

La squadra di Leo non ha potuto agire. Attendeva il razzo per entrare in azione. Sicché da noi era stato aperto il fuoco al fortino quand’egli era ancora in attesa. Ed è stata una vera fortuna, ché, se fossero andati nel boschetto a 15 metri dal fortino, avrebbero trovato 10 repubblicani (correttamente, poi detti repubblichini n.d.r.), con due mitragliatrici, all’agguato.
Oltre a Lazzarino un altro Partigiano è perito nell’attacco al ponte.

Ci stiamo incamminando lungo la strada del ritorno, quando inizia la reazione tedesca di fuoco. Lampo (20) ripiega su Lorenzaso, Terzo e su, verso la montagna. In Marcelia (21) passiamo le rimanenti tre ora di notte. La squadra di Leo ancora non ci raggiunge» (22).

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Il 28 luglio Walter fa proseguire la squadra partigiana che si trova con lui verso Sezza, mentre egli, accompagnato da un altro partigiano, si reca alla sede del Comando, che si trova a Salvins, per conoscere l’esito dell’azione. «Una bella mitragliatrice “Breda” mi si presenta davanti: preda di guerra. Una cassa di bombe a mano e qualche fucile.
Tutto questo dietro compenso di sangue puro di eroi. Due patrioti mancano all’appello. Sono morti nell’adempimento del loro dovere.

Primi Caduti del Battaglione per l’Italia nuova. La Patria si ricorderà di Voi!» (23). Quindi, qualche giorno dopo, Walter trova al Comando anche Leo con tutta la sua squadra. (24).

Secondo Albino Venier, quindi, sembra che la sentinella fosse in attesa di un attacco, e ciò ha costretto i partigiani ad eliminarla, alterando il piano originale.
E se nei boschi vi erano resistenti armati all’occupazione nazifascista, che si muovevano pure nei villaggi della Carnia, è anche vero che vi erano pure spie, ed erano, magari, quelli che meno ti aspettavi. E Mario Candotti, comandante della Garibaldi/Carnia, racconta che un giorno egli, nel gennaio 1945, era entrato, la notte, con Ugo (25), in una casa di Viaso. «Stavamo arrivando alla casa della moglie di Franco, ma lì, in cucina, c’era una persona di Ampezzo, mio amico per altro. Ugo non voleva entrare… ma ci avevano già veduti e non potevamo quindi allontanatci senza entrare e dare un saluto. Ugo mi ha sussurrato di essere prudente. Conosceva quella persona e non si fidava affatto.
Abbiamo parlato del più e del meno: abbiamo bevuto qualcosa offertaci, come al solito, con grande cordialità. Quando stavamo per ripartire, quel tipo mi ha chiesto dove eravamo diretti. Ho risposto che eravamo in cammino per Preone… mentre ci siamo spostati dalla parte opposta. Che tutto questo sia una semplice coincidenza? Non posso crederlo: ci sono delle spie intorno a noi e dobbiamo avere la massima prudenza; dobbiamo diffidare di tutti». (26). Ma così si viveva allora e vi erano, anche sul nostro territorio, ricattati, ricattabili, poveracci o avidi che anelavano alle ricompense tedesche, fascistissimi, invidiosi, vendicativi, cattivissimi, oltre a repubblichini e nazisti.

Ma è anche vero che, essendosi appena formato il Btg. Carnia, pur in presenza di un piano anche ben congegnato, i partigiani potrebbero non essere stati in grado di coordinarsi bene sul terreno, perché da poco insieme e poco avvezzi ad azioni con intervento di diversi piccoli gruppi, situazione che non replicava quelle già vissute da soldati del R.E.I.,  per coloro che lo erano stati.

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Lazzarino ed Alfa, caduti per la libertà, sono stati ricordati prima con una segnalazione sul ponte di Caneva, poi con un monumento posto all’inizio del ponte, inaugurato nel luglio 2006, alterato, secondo me,  successivamente dall’introduzione, nel mezzo, di una grande targa che ricorda una povera donna caduta a Caneva per caso, molto più appariscente di quelle che ricordano i due caduti. E francamente, con tutto il rispetto per Maria Adami, vittima civile di una guerra assurda, la targa a ricordo poteva esser messa da un’altra parte, dato che, fra l’altro, non risulta caduta nel corso di quell’azione e sul ponte di Caneva. Infatti così si legge in AA.VV. – a cura dell’I.F.S.M.L. – Caduti, dispersi e vittime civili dei comuni della regione Friuli-Venezia Giulia nella seconda guerra mondiale, Udine, Ifsml, provincia di Udine, 1987: Maria Adami di Giovanni Adami e Caterina Adami, civile, casalinga, coniugata, nata a Palermo il 9 febbraio 1919, residente a Tolmezzo, deceduta il 2 settembre 1944 durante uno scontro fra forze partigiane e tedesche. Ivi tumulata.
Anche la perdita di civili era tragica, ma molti civili perirono nella seconda guerra mondiale, come molti militari ed anche partigiani. E il mondo intero soffrì in modo esponenziale. Per questo si deve coltivare la pace che porta alla prosperità, alla salute, ad una vita degna di essere vissuta.

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In questo articolo manca qualcosa ed è la foto di Marcello Coradazzi. Ma la figlia Marcella mi ha garantito che me ne procurerà una da inserire in questo breve ricordo.

Laura Matelda Puppini.

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Note.

(1) Per Romano Zoffo, Livio, cfr. Laura Matelda Puppini, Romano Zoffo Barba Livio o Livio, il battaglione Carnia, e la crisi innescata dai fatti di Pielungo, in: www.nonsolocarnia.info.

(2) Romano Marchetti, (a cura di Laura Matelda Puppini), Da Maiaso al Golico dalla Resistenza a Savona. Una vita in viaggio nel ‘900 italiano, Ifsml, Kappa- Vu ed., 2013, p. 104 e Gian Carlo Chiussi, Con la Osoppo in Carnia, memorie del periodo partigiano, ottobre 1982, inedito proveniente da Marco Puppini, p. 10. Il testo, privo però dei preziosi allegati, è stato pubblicato dall’A. P. O. nel 2009 con titolo: “Diario di un osovano in Carnia nella guerra, 1943-1945”.

(3) Tranquillo De Caneva, La battaglia di Pani di Raveo, in: Il movimento di Liberazione in Friuli. Rassegna di storia Contemporanea, Anno 1 – n. 1 – 1971, ed. Ifsml, p. 23.

(4) Ivi.

(5) G.I.L. Gioventù Italiana del Littorio. organizzazione unitaria delle forze giovanili del regime fascista. Il suo motto era: «credere, obbedire, combattere». Essa venne creata nel 1937 e sorse dalla fusione delle organizzazioni fasciste denominate ‘Opera Nazionale Balilla’ e ‘Fasci giovanili di combattimento’ «La G.I.L., che dipendeva direttamente dal segretario del partito fascista, comprese nelle sue file giovani d’ambo i sessi dai 6 ai 21 anni per finalità di formazione politica e di preparazione sportiva e militare, con attività anche assistenziale e ricreativa». (Cfr. https://www.treccani.it/enciclopedia/gil/).

(6) “Il formiano Cosmo Valeriano, morto per la liberà dell’Italia”, in: https://www.facebook.com/ComeEriBellaFormia/photos/a.438243042905954/893771424019778/?type=3. 25 aprile 2006.

(7) V. d. B., ‘Osoppo’ Coradazzi Marcello Lazzarino, in “Carnia” 16 giugno 1945, in: Bruno Lepre, Romano Marchetti, CARNIA LAVORO, ed. Centro Studi Carnia, Tolmezzo, 1994. Anche se era stato della fanteria, probabilmente coloro che prestavano servizio militare partigiano con Livio avevano dei cappelli alpini, di varia provenienza. Oppure trattasi di una immagine retorica, che sottolinea il patriottismo di Marcello Coradazzi.

(8) Un amico, Rivivono i nostri caduti, in “Carnia” 23 giugno 1945, in: Bruno Lepre, Romano Marchetti, CARNIA LAVORO, ed. Centro Studi Carnia, Tolmezzo, 1994.

(9) Ivi.

(10) Ivi.

(11) Discorso su Valeriano Cosmo, datato Formia 25 aprile 2006, non reperito però più da me in rete. Anche Bruno Cacitti, il partigiano Lena, si trovava in alcuni casi a Caneva, nel corso della guerra partigiana, ma non fu tradito dai suoi paesani. E così accadde per Marcello Coradazzi, che nessuno volle riconoscere.

(12) Ivi.

(13) Albino, Luigi, Teresina Venier, Una famiglia nel turbine della guerra, Aviani Aviani ed. 2013, pp. 142-143.

(14) Andreina Nazzi poi sposa di Guglielmo Intilia, comunista, mutilato nella guerra di Spagna, dove aveva combattuto contro i franchisti, era nata il 31 dicembre 1924 a Tolmezzo. Ai tempi della resistenza all’invasore nazista ed ai collaborazionisti repubblichini, aderì alla guerra di liberazione e si arruolò nel btg. Cossutti, garibaldino, comandato da Zan Zan, prendendo il nome di battaglia Nina. Il 23 settembre 1944 fu l’autrice dell’attentato al fortino tedesco di via Paluzza, che fece molte vittime fra i nemici. A causa di una spia fu individuata, catturata ed incarcerata in via Spalato ad Udine, in attesa di esser fucilata. Ma la testimone, chiamata ad identificarla, non la riconobbe come colei che aveva abbandonato la gerla carica di esplosivo al fortino. (Scheda in: http://www.nonsolocarnia.info/472-schede-di-partigiani-garibaldini-uomini-e-donne-che-scrissero-la-storia-della-democrazia-operativi-in-carnia-o-carnici/).

(15) Dall’ intervento a ricordo di Cosmo Valeriano, datato Formia, 25 aprile 2006, op. cit.

(16) Gian Carlo Chiussi, op. cit.p. 10.

(17) Laura Matelda Puppini, Romano Zoffo Barba Livio o Livio, il battaglione Carnia, op. cit.

(18) Terenzio Zoffi, nome di battaglia Bruno, era nato a Sutrio l’8 febbraio 1920. Diplomatosi geometra, partecipò poi alla guerra di Grecia ed Albania quale ufficiale di complemento. L’ 8 settembre 1943 si trovava a Santa Severa, presso Roma. Resistette con il suo reparto ai soldati nazisti e, sottraendosi alla cattura, raggiunse la Carnia alla fine di settembre. Entrò a far parte della resistenza osovana nella primavera del 1944 ed assunse, pure, la carica di vice- comandante del comando unico Garibaldi/ Osoppo Carnia, e di comandante di brigata. Mentre era alla macchia, nel 1945, sposò Andreina Quaglia, nata il 27 giugno 1923 e morta l’8 settembre 1999. Il suo matrimonio, celebrato da don Francesco Zaccomer in Trist Cjamp, fu immortalato dalla macchina fotografica. Nell’ immediato secondo dopoguerra aprì una ditta boschiva a Sutrio, ma gli affari non andarono bene e così cercò altra soluzione occupazionale. Di idee socialiste, nel secondo dopoguerra si interessò, con Livio Pesce, al progetto Carnici in Paraguay, poi fallito per diversi motivi. Terenzio Zoffi, recatosi nel paese del continente americano anche per sondare il terreno, restò ivi con la famiglia. In Paraguay aprì una impresa edile che ebbe successo ma poi, nel 1958, volle rientrare in Italia, stabilendosi a Nojariis nell’ abitazione avita. Essendosi diplomato all’Istituto Superiore di Educazione Fisica, incominciò ad insegnare ginnastica nelle scuole. Nel 1969 si trasferì a Tolmezzo e quindi aprì la prima palestra della Carnia di ginnastica correttiva. Morì il 31 ottobre 1997. (Scheda di Laura Matelda Puppini pubblicata in: Romano Marchetti, (a cura di Laura Matelda Puppini), Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona, una vita in viaggio nel Novecento italiano, IFSML e Kappa Vu ed., 2013, p. 414. Fonti per le informazioni riportate: Flavia Zoffi nuora di Terenzio Zoffi e Fondo Zoffi Terenzio, in Istituto Regionale Storia del Movimento di Liberazione, Trieste).

(19) Albino, Luigi, Teresina Venier, Una famiglia, op. cit., p. 144.

(20) Il partigiano Lampo è Della Schiava Vittorio, di Salino di Paularo, nato il 30 ottobre 1919, ricordato come “semplice, sobrio, rude”. (ETTORE, Ritorno in Carnia, in: Carnia, n.9, giugno 1945, in: LEPRE Bruno, MARCHETTI Romano, CARNIA LAVORO, ed. Centro Studi Carnia, Tolmezzo, 1994). Come militare, con la qualifica di conduttore fece la campagna di Grecia e quindi quella di Russia, almeno così pare. Nel dopoguerra svolse diverse attività in Francia, Africa ed Asia, nonché in Italia. Nel 1970 fu colpito da ictus e dovette lavorare nei paraggi, dedicandosi alla raccolta del ferro ed altro. Sposò Silvia Gardelli e da lei ebbe 4 figli 3 bambine ed un bambino. Riuscì a comperarsi un’Ape, con cui si muoveva sul territorio assieme alla moglie. Morì il 13 marzo 1980, sopra Chiaulis di Paularo, stroncato probabilmente da un infarto. Con lui si trovava la moglie, che perse la vita in seguito all’incidente stesso. (Fonte: Marisa Della Schiava, figlia di Vittorio). Marchetti ricorda che, dopo aver tanto lottato per la Liberazione, Lampo si ritrovò a girare «per più di vent’anni tutta Europa – con carte e no- molta Africa ed Asia (…) asmatico, ed ad inventarsi mestieri nella sua Carnia». (Nota scritta a mano da Romano Marchetti). Scheda di Laura Matelda Puppini in: Romano Marchetti (a cura di Laura Matelda Puppini, op. cit., p. 390).

(21) Località Marcelie, altopiano sopra Sezza di Zuglio.

(22) Albino, Luigi, Teresina Venier, Una famiglia, op. cit., pp. 145 – 146.

(23) Ivi, p. 146.

(24) Ivi.

(25) Ugo era il nome di battaglia di Pellizzari Giovanni, garibaldino, nato a Preone il 7 ottobre 1911, muratore, comunista. Nel 1928, all’età di 17 anni, emigrò a Parigi per motivi di lavoro, ed ivi maturò le proprie scelte politiche, entrando dapprima nella Gioventù Comunista, poi nel Partito. Partecipò, pure, alle grandi manifestazioni  contro il tentato “colpo di stato” delle Ligues fasciste nel febbraio 1934. Nel 1936, aderendo al richiamo del deputato comunista francese Andrè Marty, andò a combattere in Spagna nelle Brigate Internazionali, divenendo commissario di compagnia del terzo battaglione della Brigata Garibaldi. Combatté in diverse zone della Spagna e, sul fronte dell’Ebro, venne ferito alla spalla, con successiva paralisi dei nervi. Nel 1939 uscì dalla Spagna e venne internato in campo di concentramento in Francia, e poi a Ventotene. Tornato in Carnia, nel 1943, fu fra i primi organizzatori della Resistenza e fu il responsabile, per tutto il periodo della guerra di Liberazione, dell’Intendenza, compito che svolse con capacità notevole, oltre che esplicare attività anche di carattere informativo. Nel secondo dopoguerra emigrò prima in Jugoslavia, ove però dovette fuggire a causa della svolta del 1948 in quanto filo- sovietico, poi in Venezuela, dove avviò una fortunata impresa edile. Rientrato in Friuli, morì ad Udine il 30 marzo 1977. (Marco Puppini, In Spagna per la libertà. Antifascisti friulani, giuliani e istriani nella guerra civile spagnola 1936-1939, ed. Ifsml, 1986 e Marco Puppini, Antifascismo di classe e antifascismo borghese in Carnia: note per una ricerca, in: AA.VV., Resistenza e Società, vol. 2, Del Bianco ed., 1984, pp. 610 – 611). (Scheda redatta da Laura Matelda Puppini, pubblicata in Romano Marchetti (a cura di Laura Matelda Puppini) op. cit. , p. 404).

(25) Mario Candotti, Ricordi di un uomo in divisa naia guerra resistenza, ed. I.F.S.M.L. ed A.N.A., Pn., 1986, p. 250. Ho riportato qui la citazione, perchè a memoria si può anche sbagliare.

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L’ immagine che accompagna l’articolo rappresenta la sede del comando del btg. Carnia a Salvins di Vinaio, ed è tratta dal volume: di Giannino Angeli e Roberto Tirelli, L’Osoppo per la libertà della Carnia (1943-1945), ed. A.P.O. Ud, 2003. L.M.P.

 

 

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