Io credo che il femminicidio non si possa solo ricordare in una giornata di palloncini rossi, che non risolvono nulla. Io credo si debba parlare del clima di sopraffazione e violenza della società attuale, e del corpo mercificato, oltre che dell’uso, direi quasi ossessivo compulsivo di cellulari, social e giochi on-line, del soggettivismo imperante, della mancanza di regole etiche e morali. E io credo che questo periodo di Pasqua sia il più adatto a ricordare un altro problema legato al femminicidio: quello della sofferenza dei minori in particolare, ove la madre è stata uccisa dal padre o dall’ex, senza dimenticare quello di altri membri della famiglia, genitori, fratelli, zii, altri.  Per questo ho deciso di pubblicare questo testo di Rachele Gonnella, da: Il Manifesto del 22 settembre 2016, per riflettere e far rifettere sui limiti della società attuale, ed altre considerazioni. 

«Tremano, si isolano, hanno incubi, disturbi dell’attenzione a scuola, aggressività improvvise, balbuzie, psoriasi. “Si sentono sciagurati, hanno continuo flashback, si colpevolizzano”. Agnese – “il mio cognome non interessa sono solo una delle tante” – è una zia affidataria di due orfani di un femminicidio e il suo racconto, che legge, nell’aula Aldo Moro della Camera dei deputati è dettagliato e commovente. Racconta la sua esperienza a fianco di due bambini di 12 e 10 anni che le sono arrivati in casa due anni fa ancora sconvolti da ciò che avevano visto e vissuto.

“Sono i figli di mia sorella Silvana” – spiega Agnese – maestra di scuola materna uccisa dal marito, guardia giurata, con tre colpi di pistola. “Il loro è un triplice dramma – continua – si sono trovati d’un colpo orfani di entrambi i genitori, anche se il padre è ancora vivo, in carcere, hanno vissuto la guerra, con spari e sangue in casa, nel posto che sarebbe dovuto essere il più sicuro e protetto, e lo shock di un terremoto, perché sono usciti nudi da quella casa, sotto sequestro, senza poterci rientrare neppure per prendere i loro giochi, i vestiti, i libri di scuola”.

Agnese, insieme al marito Giovanni Paolo, hanno accettato di partecipare al convegno che si è svolto ieri a Montecitorio per la presentazione delle linee guida d’intervento per quelli che vengono internazionalmente definiti ‘special orphans’ e sono, a tutti gli effetti, vittime non riconosciute anche loro della violenza contro le donne. Non solo in Italia ma anche nel resto d’Europa di loro si parla poco e si conoscono poco i loro bisogni, i loro traumi. È stato realizzato un primo studio -‘Switch-off’ – finanziato dalla Ue, guidato in Italia dalla criminologa Anna Costanza Baldry, presso il dipartimento di psicologia della seconda università di Napoli in collaborazione con la rete ‘Dire’ dei centri antiviolenza, che si è sviluppato con le stesse metodiche anche a Cipro e in Lituania. Altri due studi precedenti sono segnalati in Germania e in Olanda. Stop.

Lo studio, presentato dalla stessa Baldry ieri sia al convegno che in un incontro privato con la presidente della Camera Laura Boldrini, non è di tipo accademico ma “sul campo” – come si dice in gergo – perché il campione dei ragazzi o dei loro tutori intervistati non è rappresentativo sul piano nazionale. Dei 1.628 orfani di femminicidio di cui si è trovata traccia negli ultimi quindici anni, solo in 123 hanno accettato di collaborare e di sottoporsi alle domande dei ricercatori. Alcuni a distanza di molti anni dall’evento tragico che ha colpito la loro famiglia.

Ne emerge comunque un quadro significativo, ad esempio nell’84% dei casi i figli hanno assistito all’assassinio della madre e nell’81% dei casi hanno assistito a episodi precedenti di violenza in casa, un focus che ha consentito di definire le linee guida di ciò che manca per attenuare il loro trauma. In primis il riconoscimento di essere essi stessi vittime di secondo grado del femminicidio, come ha riconosciuto la Garante nazionale per l’infanzia e l’adolescenza Filomena Albano. Titti Carrano, presidente di ‘Dire’, sostiene che “i figli, anche se testimoni della violenza, non vengono quasi mai ascoltati dal giudice, che pure potrebbe farlo tramite l’incidente probatorio, poi si tende sempre a privilegiare la bi-genitorialità e perciò non si sospende immediatamente, come si dovrebbe, la genitorialità del padre impedendo incontri nell’immediato e riflessi in ambito civile”.

Agnese, la zia affidataria, aggiunge che oltre a un sostegno al reddito che favorisca l’affidamento alle famiglie parentali fino al quarto grado, un sostegno economico sarebbe giusto darlo a tutti. “Ho scoperto – dice – che a Milano si sono posti il problema del perché 1.500 famiglie parentali in trent’anni avevano rinunciato all’affidamento degli orfani per impossibilità economica. Dal 2012 hanno erogato 350 euro al mese a minore affidato e hanno ridotto i costi. Le rette delle case famiglia e delle comunità vanno infatti dai 2 mila ai 6 mila euro mensili”.

Altro problema segnalato: una volta sospesa dal giudice la responsabilità genitoriale del padre femminicida, per le questioni di eredità viene nominato un tutore, che molto spesso però è lo stesso ente che assiste il minore. “I tempi sono lunghi e il conflitto d’interesse evidente”, conclude Agnese».

http://ilmanifesto.info/inchiesta-tra-i-1-600-orfani-del-femminicidio/ 22 settembre 2016.

Elvira Serra, nel suo “Quei 1.500 bimbi orfani due volte. La madre uccisa e il padre in cella”, in: http://27esimaora.corriere.it/articolo/quei-1-500-bimbi-orfani-due-voltela-madre-uccisa-e-il-padre-in-cella/ sottolinea, invece, come, in Italia, le istituzioni molte volte non siano di aiuto, facendo resistenze ingiustificate; come problemi comuni quali quello dell’opportunità di far partecipare i minori al funerale del genitore ucciso o di portarlo ad incontrare il padre in carcere, o come fargli superare il suicidio del genitore assassino, spesso non siano stati adeguatamente trattati, anche se ogni caso deve esser valutato singolarmente, e come il minore spesso non venga ascoltato dai giudici.  (Elvira Serra, op. cit.).

E possono esistere casi come quello dei figli di Rosa Bonanno, che vennero dati in adozione invece che lasciati ai nonni, ritenuti troppo anziani, ed a cui veniva così tolta la possibilità di vivere in ‘continuità affettiva’, mentre in certi casi, l’affido ai nonni materni veniva sconsigliato per il timore che i bimbi potessero essere educati all’odio del padre, che però, a mio avviso, è male minore. (https://www.valeriarandone.it/articoli/i-figli-del-femminicidio-chi-pensera-a-loro/).

L’articolo: “Le vittime dimenticate dei femminicidi: i bambini”, in: http://www.gruppoabele.org/le-vittime-dimenticate-dei-femminicidi-i-bambini/, invece, pur rifacendosi sempre alla ricerca presentata a Montecitorio da ‘Switch Off’, un progetto europeo coordinato dall’Università di Napoli e dall’Associazione D.i.re.,  sottolinea come «il 57% di questi orfani non hanno un sostegno psicologico adeguato, soprattutto dopo che le telecamere si spengono, i processi finiscono e l’attenzione su di loro, inevitabilmente, cala. Ma la loro vita continua».

Quindi si viene a sapere che «È arrivato in discussione alla Camera un disegno di legge d’iniziativa parlamentare a tutela degli orfani di femminicidio, nel lessico giuridico, orfani di crimini domestici. Bambini e bambine, cioè, che hanno perso la madre per mano del padre, a volte assistendo al delitto, e diventando orfani due volte. Nell’ambito di questa norma è stato inserito un emendamento che, nei casi di omicidio, equipara la responsabilità del coniuge e del convivente della vittima a quella di altre figure familiari, come il padre o il figlio, già previste per l’accesso all’aggravante. Dunque nessun innalzamento ad hoc delle pene – come erroneamente sostenuto in alcune discussioni di questi giorni o sottinteso in alcuni titoli di giornali. Nessuna aggravante specifica o distinta, bensì una parificazione, cosa ben diversa. E anche una svolta epocale, se si guarda a quell’esclusione del coniuge dalle responsabilità come il segno di una cultura, quella nostrana del Codice Rocco e del delitto d’onore, cancellato solo nell’81, a cui la modifica proposta direbbe finalmente no». (Alessandra Servidori, Finalmente una tutela per i bambini orfani di femminicidio, in: http://formiche.net/2017/02/tutela-bambini-orfani-femminicidio/).

E così continua la Servidori: «Si tratta di non chiudere gli occhi dinanzi l’odierno contesto sociale in cui viviamo e la realtà che la cronaca ogni giorno ci racconta, fatta di storie di donne uccise in maggioranza per mano del coniuge o del convivente, figura finora mai considerata; ma, soprattutto, di dare piena esecutività alle direttive della Convenzione di Istanbul, unico strumento normativo giuridicamente vincolante di cui gode l’Europa su questo terreno. È importante ricordare che la convenzione di Istanbul, non solo, ha dato un grande impulso dal punto di vista normativo (ad oggi la convenzione è l’unico strumento normativo giuridicamente vincolante di cui gode l’Europa su questo terreno) ma, avendovi aderito nel 2013, ne dobbiamo seguire la linea. Occorre condividere l’approccio secondo cui qualsiasi azione di contrasto alla violenza deve muoversi sinergicamente su tutti i piani: prevenzione, protezione, pena.»  (Ivi). Ma è ben poca cosa.

Infine veniva approvata dal senato, dopo mesi di stallo e perplessità di alcuni, il decreto legge “sul femminicidio” (“La nuova legge sul femminicidio, Pene più dure e prevenzione: ecco cosa prevede il provvedimento appena varato dal Parlamento”, per l’omicida:  la relazione affettiva con la donna come aggravante; l’arresto obbligatorio in flagranza e l’introduzione del braccialetto elettronico, dieci milioni di euro da investire nel piano antiviolenza, la querela irrevocabile in caso di alto rischio per la persona, e l’ammonimento per lesioni. (http://www.rai.it/dl/tgr/articolo/ContentItem-20224223-09a8-46bc-974e-59ad28553ff9.html).

Detta legge, dell’ 11 gennaio 2018, licenziata dal senato il 21 dicembre 2017, e pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell’1 febbraio 2018, n. 26, secondo Il Quotidiano giuridico,  va apprezzata per: l’ampiezza del riferimento soggettivo, l’estensione delle tutele soprattutto economiche ai figli maggiorenni ma non economicamente autosufficienti, anche se poi suscita perplessità la cifra stanziata; il riferimento ai “figli della vittima”, anche se da unione precedente, la sospensione dalla successione nei confronti della vittima dell’ omicida, le disposizioni finalizzate a garantire agli orfani dei crimini domestici effettività del diritto allo studio, accesso privilegiato al mondo del lavoro, assistenza medico psicologico, ma manca la possibilità di avvio di procedimenti relativi alla sospensione e decadenza della responsabilità genitoriale nei confronti del coniuge assassino. (http://www.quotidianogiuridico.it/documents/2018/02/02/in-gazzetta-la-legge-in-favore-degli-orfani-per-crimini-domestici). Ma da che ho compreso, riguardo ai minori interessati, trattasi sempre di interventi economici per … che sono importanti ma non bastano.

Mi pare, poi e per terminare, molto interessante, nel contesto e sulla situazione della donna oggi il “Rapporto ombra” elaborato dalla piattaforma italiana “Lavori in Corsa: 30 anni CEDAW” in merito allo stato di attuazione da parte dell’Italia della Convenzione ONU per l’Eliminazione di Ogni Forma di Discriminazione nei Confronti della Donna (CEDAW) in riferimento al VI Rapporto presentato dal Governo italiano nel 2009, Italia, Giugno 2011, in: http://files.giuristidemocratici.it/giuristi/Zfiles/ggdd_20110708082248.pdf, citato all’epoca, anche da La Repubblica e da Il Fatto Quotidiano (“Donne, il rapporto ombra sulle discriminazioni. Gli stereotipi lesivi della dignità e dei diritti”, in http://www.repubblica.it/solidarieta/cooperazione/2011/07/13/news/pangea_a_new_york_il_rapporto_ombra-19088856/, 13 luglio 2011, e: Eleonora Bianchini, “Diritti delle donne, il ‘rapporto ombra’ arriva alle Nazioni unite”, in: Il Fatto Quotidiano, 13 luglio 2011) e da vari siti.

Laura Matelda Puppini

L’ immagine che correda l’articolo è tratta, solo per questo uso, da: http://ferrari.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/07/10/effetti-collaterali-del-femminicidio-i-figli/. Laura Matelda Puppini

 

 

 

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