Scrivo questo articolo, che non avrei mai voluto scrivere, per porre sul tappeto dei problemi non di poco conto per chi è positivo al covid 19 e magari, mentre lo ha, o si aggrava per lo stesso o per una patologia pregressa, in modo tale da uscire dalle previsioni di protocolli e dichiarazioni. E mi si dice che sia in Lombardia che in Fvg le situazioni di difficoltà ad esser visitati per i pazienti, con successiva sensazione di abbandono, non manchino.

Verso una nuova medicina basata su etichette e cellulare?

La nuova medicina politica, che medicina non è, pone approcci lineari ai problemi, che permettono di etichettare, ma non si sa quanto di curare. Così il paziente non viene più vissuto come una persona, con una anamnesi ed un decorso clinico, ma solo come un portatore di una singola patologia magari momentanea e null’altro. Ma questo pone in generale dei problemi, perché il medico rischia concretamente di non considerare altre patologie presenti nel soggetto e di giudicare la persona più a livello comportamentale che altro.

 Così i medici rischiano di trasformarsi in psicologi, che non è mestiere loro, e, nell’ascoltare i sintomi per esempio di un malato covid 19, espressi in modo sempre più apprensivo comprendendo che nessuno andrà a visitarlo, potrebbero ricorrere sempre più a giudizi estemporanei di tipo psichiatrico, che derivano da quello che magari percepiscono con una telefonata, che li porta a dire: «Lei è ansioso, Lei sopravvaluta i sintomi ecc. ecc. », coronati da un: «Stia tranquillo la febbre la dà il coronavirus», senza vedere il paziente, senza visitarlo, ma tutto telefonicamente, sperando ci sia copertura di rete. L’unica cosa che invece non si può negare, a livello psicofisico, è la situazione di stress che viene vissuta dal paziente. E con la mera telemedicina, visita e cure dipendono ancora una volta dal paziente e dalla sua comunicazione verbale ma anche da quello che il medico chiede, quando i medici devono, per loro natura, visitare, palpare e chiedere in modo mirato nel mentre.

Poi per qualsiasi problema, tranquilli, c’è sempre la tachipirina, come da protocollo. “Se ha la febbre prenda la tachipirina” viene detto alla stessa stregua di quando, decenni e decenni di anni fa, ti dicevano di mettere una pezzuola impregnata di acqua fredda sulla fronte di un bimbo febbricitante.  Perché il paracetamolo non è la panacea di alcun male e non risolve nulla, ma permette di tenere un sintomo sotto controllo prima che uno finisca, magari e più facilmente se giovane, in convulsioni febbrili.

Anziani soli, impauriti e ai margini.

Ho trovato tra i miei ritagli di giornale un interessantissimo articolo pubblicato da “Domani” il 23 ottobre 2020, firmato da Sara Dellabella intitolato: «Anziani soli, impauriti e ai margini. Così il Covid ha stravolto le loro vite», di cui condivido in toto i contenuti.  Sottotitolo: “Sono il 22 per cento della popolazione ma si parla, poco solo di quelli che vivono nelle residenze sanitarie. Eppure stanno pagando un prezzo altissimo per il lockdown: la fine della socialità e delle cure ordinarie”. L’articolo fa riferimento ad un sondaggio condotto da: ‘Senior Italia FederAnziani” che ha fotografato le problematiche e le paure degli anziani a causa delle nuove situazioni createsi.  

Il primo problema è che «Il lock down ha messo una croce su quello che viene definito invecchiamento attivo, ovvero la capacità per gli anziani di essere impegnati dal punto di vista sociale e fisico […]». (Sara Dellabella, op. cit.). Inoltre la chiusura dei centri per anziani ha impedito a tanti di avere il routinario momento di svago, fatto di gioco delle bocce, ginnastica, corsi di ballo, piccole feste, ma anche gioco delle carte ed altro ancora, togliendo pure agli anziani il «nutrimento intellettivo». (Ivi).

Non solo: a livello sanitario, afferma Claudio Pedrone, medico geriatra del policlinico universitario Campus bio-medico di Roma, «gli anziani, durante la pandemia, hanno pagato un prezzo salato […]. Sicuramente c’è stata una flessione delle visite di controllo per i pazienti affetti da patologie croniche», anche per soggetti che necessitano di frequenti aggiustamenti di terapia.

Ma, continua l’articolo, «La cosa più drammatica sarebbe che non imparassimo nulla da questo male. Dobbiamo puntare di più sulla territorialità […]». (Ivi).
Solo che, se puntare sulla territorialità, dico io, significa puntare alla pomposamente definita telemedicina che vorrebbe curare rispondendo al telefono ad un anziano che magari prima dice che sta male, poi che sta bene per scaramanzia, o che non sa cosa rispondere, e magari parla solo friulano, allora è meglio sbaraccare. Perchè la medicina è un’arte che ha le sue modalità di svolgimento da secoli, e fare il medico è una professione che deve essere esercitata in scienza e coscienza e non in base a protocolli o stando dietro ad una scrivania con un telefono a disposizione ed un occhio alla spesa sanitaria.

Il caso di X.

Ma per tornare al dunque, prendiamo per esempio il caso di X (sigla di fantasia ma caso reale).  X da giorni e giorni, dopo aver preso forse freddo, per dirla in parole povere, presenta una tosse persistente chiusa senza espettorato, magari perché avrebbe bisogno di qualche farmaco fluidificante e di un paio di analisi. Sapete si può avere magari una bronchite, pure in non giovane età, d’inverno, e beccarsi, al tempo stesso e forse più facilmente, una virosi da covid 19.

Così il medico, sentito per caso tossire X al telefono mentre sta parlando con altro familiare, gli prescrive un tampone per il covid 19, che risulta positivo. Ma qui incomincia l’incubo. Perché se è verosimile che X abbia il covid 19, è però anche vero che nessun medico, non essendo egli stato visitato per vari motivi, può garantire che la tosse sia stata causata dal covid 19, anzi, visto che c’era già tempo prima, potrebbe avere altra eziologia.  Non solo: i coronavirus in generale possono causare polmonite virale diretta e polmonite batterica secondaria, e possono portare allo sviluppo di bronchite sia virale che batterica secondaria. (https://www.auxologico.it/approfondimenti/diagnostica-laboratorio-covid-19). E tutti ci hanno detto che il covid – 19 non è da sottovalutare.

Inoltre si sa che piccoli e grandi, giovani e vecchi possono sviluppare un’infezione batterica su di una virosi, che si potrebbe manifestare o con un improvviso rialzo febbrile o con il mantenimento dello stato febbrile, ed in questo caso il paziente dovrebbe esser sottoposto a rx toracico come minimo ed esami del sangue. Ma tutto questo ad X è negato perché ha il covid 19 e non è compito del medico di base visitarlo, né della guardia medica che sostituisce il medico di base, che possono limitarsi a segnalare il soggetto alle Usca (Unità speciali di continuità assistenziale), anche se egli manifesta segni di possibile altra patologia concomitante.  Ma le Usca, che credo abbiano, tra l’altro, personale risicato, dove abita X coprono solo le emergenze, cioè intervengono solo se uno, positivo al covid, fa fatica a respirare, portando ossigeno o prescrivendo cortisone, aspetto di cui si accertano telefonando.

Così va a finire che, se uno satura bene, ammesso sappia usare un saturimetro, che per fortuna X ha, perché molti non lo hanno e costa ben 40 o 50 euro, si deve arrangiare, finché se entra in carenza di ossigeno, deve chiamare il 112, come da istruzioni. Può darsi riesca a farlo, può darsi di no. Perché se ti manca il respiro, tutto diventa difficile, anche alzarti, pensare, decidere. Se poi si tratta del vecchietto in un paese … immaginatevi un po’voi. Ma anche soffrire in contemporanea con il covid 19 di altra patologia, senza poter esser visitato, non è un granché.

Ma ritorniamo a X. Cosa succede a X? Per un paio di giorni egli ha solo qualche linea di febbre cioè 37.1- 37.2 di origine incerta, poi risulta per 5 giorni sfebbrato, quindi improvvisamente la febbre gli si alza in modo deciso e incomincia a star male, ma i medici in servizio dicono solo che prenda tachipirina ed usi il saturimetro, come da protocollo per covid 19, mentre il soggetto in questione manifesta sempre più un peggioramento generale con aumento della tosse sempre chiusa.

Ma con la tachipirina X non fa altro che sudare, la febbre si abbassa per poi risalire, ed egli sta sempre peggio. A questo punto la convivente di X chiama un medico che ben conosce, dalle indubbie capacità e da lunga esperienza nel servizio di emergenza urgenza, che vive e lavora in altra regione, che ha visto casi di covid 19 e tende a curare autonomamente, a cui spiega la situazione. A questo punto detto medico, dopo aver sottolineato che sarebbe stato opportuno sottoporre X almeno a radiografia toracica e analisi magari in pronto soccorso anche se satura 96, preso atto delle difficoltà presenti sul territorio e dopo aver ribadito che si deve visitare anche chi ha il covid 19 e, se del caso, impostare una cura subito, prima che il respiro si faccia affannoso, prescrive per X una terapia a base di antibiotici e antinfiammatori. Inoltre dice, primo medico che lo fa nel caso specifico, che un paziente dovrebbe, per valutare bene la saturazione, se gli è possibile, fare anche il “walking test” con il saturimetro, spiegando come si deve eseguire.

La cura impostata dal medico di altra regione, con cui poi si è messo in contatto anche il medico di base, risulta positiva per il soggetto in questione, che inizia a espellere ‘un mare’ di catarro e continua, sempre su suggerimento del medico che ha impostato il piano terapeutico, con aerosol.  Ormai pare che nessuno dubiti che X avesse allora bisogno di antibiotici ed antinfiammatori, ma nessuno saprà mai cosa gli è capitato.

Ma se non fosse intervenuto il medico che vive a chilometri e chilometri di distanza ed in altra regione, come sarebbe finito X? Chiediamocelo. Perché la mancanza di medici che visitino e diagnostichino, in caso di covid – 19 anche in ipotesi di patologie non correlate alla virosi o diretta conseguenza della stessa, potrebbe comportare peggioramenti che si potrebbero prevenire, portando ad un aumento delle ospedalizzazioni, dei casi gravi, forse dei morti. Non sempre infatti una polmonite al suo esordio, da che so e se erro correggetemi, comporta una saturazione pessima, mentre lo potrebbe fare una allergia.

Uso ecografia al posto rx toracico.

Per quanto riguarda l’uso dell’ecografia al posto del rx toracico, vi è chi dice che hanno la stessa validità, ma uno studio del 2019 firmato da Roberta Naddei, Arianna De Matteis, Alberto Casertano, Anthea Bottoni, Michele Iafusco, intitolato: “Ecografia polmonare o RX torace nella diagnosi della polmonite di comunità in età pediatrica?” in: www.simeup.it, pone l’accento su alcuni problemi in particolare qualora l’ecografia non venga usata per un completamento diagnostico assieme ai raggi, ma in pronto soccorso come unico esame diagnostico: «Ulteriori studi sono necessari per confermare la possibilità di utilizzare la sola ecografia per la diagnosi di polmonite rinunciando alla Rx; ulteriori studi sono necessari per valutare la specificità di particolari reperti ecografici per la diagnosi di polmonite (addensamenti subcentrimetrici, anomalie della linea pleurica, linee b confluenti in aree focali isolate); il grado di esperienza degli operatori può essere rilevante».

E leggere una ecografia non è così semplice mi diceva pure un Primario di radiologia, con cui parlai una volta. Ci vuole esperienza specifica, ci vuole scuola specifica, da che ho compreso, e non si può sostenere la mera ecografia solo perché costa meno dei raggi e potrebbe permettere risparmi nell’assistenza sanitaria. (https://simri.it/simri/idPage/102/idNews/411/Possiamo-sostituire-la-radiografia-del-torace-con-l-ecografia-polmonare.html). Perché il medico deve sposare non la politica dei tagli ma quella che vuole l’utilizzo della strumentazione più idonea e sicura per definire, nel tempo più breve possibile, la diagnosi.

Altre difficoltà reali per ammalati di covid.

Se due coniugi vivono da soli, il fatto di improvvisamente esser messi in quarantena magari perché uno positivo al covid 19 e l’altro no, pone numerosi problemi pratici.

Il primo è quello di non poter andare a fare analisi alcuna, anche se magari il negativo ne avrebbe super bisogno; poi il mancato e definitivo accesso al bancomat od al ritiro della pensione, costringendo il prossimo (per chi ha un figlio, una figlia o un parente nei paraggi) non solo a fare la spesa e portarla, ma anche a pagarla con soldi propri; la difficoltà a reperire i farmaci in particolare se necessitano di ricetta, e sono solo tre aspetti determinanti che mi vengono in mente. Insomma una coppia di anziani può trasformarsi hic et nunc, a causa dei balzelli imposti per il coronavirus, in una coppia di persone prive della sanità, dei farmaci e del denaro, e se non ha chi la aiuta vorrei sapere come fa. Perché la mia impressione è che nel corso della prima fase di covid – 19 tutti si siano mossi per aiutare, mentre nel corso di questa seconda fase, ben più grave in molti luoghi, nessuno si sia mosso o i cittadini non abbiano avuto le informazioni relative a chi rivolgersi.

Non solo: i medici hanno detto, ripetuto, ribadito alla convivente con X, negativa al tampone coronavirus quando lo aveva X, di stare distante da lui, ma come fa una persona umana a non assistere un ammalato, utilizzando tutte le precauzioni possibili? Ma davvero ormai siamo in un mondo così freddo ed egoistico, che ti viene prescritto di non prestare soccorso e aiuto a chi ne ha bisogno?

Infine anche se hai la febbre per qualsiasi motivo, devi andare al punto prelievi pubblico, se non scegli il privato, a fare il tampone stando fuori al freddo in attesa, ma questo credo succeda dappertutto, ed in alcuni casi i tempi di attesa per l’esito tampone ma anche per la liberatoria dall’isolamento domiciliare possono essere di qualche giorno, forse perché in ogni settore manca personale. E per fortuna che alcuni solerti cittadini della Carnia hanno chiesto il punto tamponi a Tolmezzo, altrimenti uno febbricitante, e magari in isolamento, avrebbe dovuto andare fino a Gemona del Friuli.

Per finire, alla luce dell’esperienza reale e riassunta di X e pare non solo, mi domando se i politici locali non farebbero bene a valutare sì il comportamento dei cittadini ma anche le criticità del ssn e ssr quando vi è un numero di morti sui territori più alto della media e comunque.

Ho scritto queste righe solo per porre dei problemi reali sul tappeto, non per criticare il personale sanitario ma per mostrare le criticità di una organizzazione, anche se ho paura ormai a farlo. Ma credo sia cristiano operare in questo modo, e mio padre ne sarebbe stato contento. Ed esser cristiani, diceva un commentatore alla Messa del Papa alla vigilia di Natale, non è solo essere credenti ma essere anche credibili e, aggiungo io, cercare di essere coerenti con i propri principi di vita ritenendo di abitare in uno stato democratico. E non desidero offendere alcuno, men che meno gli operatori sanitari ed i medici, che lavorano tra mille balzelli e difficoltà. Inoltre ben vengano commenti e chiarimenti sempre importanti.

Laura Matelda Puppini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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