Non posso certamente partecipare ad ogni incontro o manifestazione abbia luogo in Carnia nel periodo estivo. Ce ne sono molti, anche interessanti, ma sono troppi e preferisco scegliere oculatamente a quali partecipare. La presentazione, il 9 luglio 2016 a Lauco delle antiche tombe locali, con visita a quelle site in località Chiauiàns, appena valorizzate grazie all’apporto della Fondazione Crup, ha però attirato la mia attenzione.

Sono queste di Chiauiàns le tombe dette dai Gans, ma soprattutto furono mai chiamate così, prima d’ora? E cosa significa Gan?  Ha a che fare con Agana, forse il femminile di Gan? – queste domande si rincorrevano nella mia mente.

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Note metodologiche.

Devo però premettere a queste mie riflessioni alcune note, per facilitare la comprensione del testo. Innanzitutto devo precisare che anche la storiografia antropologica, basata su fonti orali, presenta dei problemi. Il primo è legato alla storia stessa della storiografia. Fino al periodo rinascimentale i dotti e gli eruditi erano ben poco interessati a conoscere i popoli che li avevano preceduti sul territorio e le loro vicissitudini, puntando ad una storia universalistica, legata, dopo l’avvento del cristianesimo, alla fede ed alla religione. Inoltre molti documenti, luoghi, siti andarono perduti o si modificarono nel corso delle varie invasioni, situazioni storiche, e con il sopravvento, anche forzato, del cristianesimo sulle altre forme di pensiero religioso e di culto. Solo dal 1400, cioè dal periodo rinascimentale, si sviluppò la cosiddetta storiografia umanistica, che volse, inizialmente, a valorizzare la storia dell’antica Roma e dei romani. Detto interesse, poi infarcito dal romanticismo ottocentesco, si diffuse portando, in Carnia, a studiare Zuglio, l’antico Julium carnicum, in particolare. La storiografia venne però influenzata anche dall’illuminismo e dal positivismo, ed alcuni studiosi incominciarono a raccogliere informazioni dettagliate sulla storia di coloro che romani non erano stati, e che i romani avevano preceduto, sugli abitanti antichi dei luoghi, spesso secondo me definiti Celti in generale, senza molti approfondimenti. Poi la politica fascista sposò il “fasto” dell’antica Roma, distruggendo, parallelamente, l’antico impianto della città ed aprendo via della Conciliazione, dopo che il Regno Italico aveva realizzato via Nazionale, ed infine, negli anni settanta, in Carnia riprese vigore il mito delle origini celtiche delle prime popolazioni, sostenuto dalla politica, in particolare da autonomisti e da alcuni politici democristiani come assunto apriori. E con questa chiave di lettura si interpretò quanto si trovava sul territorio, dimenticando voci più libere o caute, che ipotizzano possibili popolazioni autoctone, o paleovenete, o di ceppo cimbrico.

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Infine anche la tradizione orale può subire delle modifiche, date dal variare dei contesti di riferimento, per esempio dal passaggio dal contesto pagano a quello cristiano, ed all’interno di questo dal suo evolversi storico; o generate dal noto fenomeno delle distorsioni da ripetute trasmissioni orali; o causate dai tentativi di far rientrare nelle proprie convinzioni o credenze un contenuto appreso, o, per deformazione emotiva dello stesso. Così il termine “Gan” potrebbe esser passato, nel tempo, da un significato pre-cristiano ad uno cristiano, ad uno dal sapore romantico, confondendosi infine il gan con il pa-gan, il silvan, il forest, il gi- gant, e riempiendosi di connotazioni diverse. Ed ad un certo punto le Agane, in Carnia come in val d’Arzino vennero utilizzate come spauracchio per i bambini, onde far in modo che essi evitassero pericoli che potevano essere anche letali, quali corsi d’acqua, grotte, burroni e dirupi, pur non essendo questo il loro compito originario. (Cfr. Silvana Sibille-Sizia, Liber de Aganis, Olmis, 2010, p. 60-61, ed anche quanto narrato dal dott. Alido Candido su Las Aganas in località “il Crist” lungo la strada che da Rigolato porta a Ludaria).

Pertanto la ricerca antropologica e la contestualizzazione dei reperti archeologi non si presentano come facili, e vi possono essere informazioni poco chiare e discordanti sul materiale raccolto e pubblicato, ed in alcuni casi i siti archeologici sono stati alterati o sono scomparsi, non permettendo nuovi riscontri o valutazioni. Questi aspetti metodologici devono esser presi in considerazione anche per le tombe di Lauco, che potrebbero non appartenere allo stesso momento storico, o sulle quali potrebbero esser state trasmesse informazioni diversificate e non sempre comprovate neppure a livello ipotetico. Ma procediamo con ordine.

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Le tombe di Lauco.

Così si può leggere nella guida di Giovanni Marinelli curata da Michele Gortani: «Non lungi da Lauco si scopersero alcune tombe preromane scavate nel sasso: tre si trovano a Chiauiàns, e quattro sul calcareo Cuel dal Fari; vi sono pure tracce abbastanza ben conservate di una strada antichissima che dal Cuel dal Fari va oltre il rio Radima fino a una radura sul ciglione dell’altopiano, ove è fama sorgesse un castello o castelliere, forse da identificarsi con quello di Somcolle menzionato dal Grassi.

Altre vestige antiche si notano presso Lauco nella grotticella detta Chiase dai Gans sotto Allegnidis, dove l’arenaria raibliana è scavata a dischi assai grandi con solco circolare». (Giovanni Marinelli – a cura di Michele Gortani – Guida della Carnia e del Canal del Ferro, Tolmezzo, stab. Tip. Carnia, 1924-25, p. 507).

Ci sono ancora quelle tombe? Ed erano davvero preromane? Chi le ha scavate e quando? Dove si trovavano gli antichi insediamenti del pianoro di Lauco, e da chi erano abitati: da Celti, da Cimbri, o formati da popolazioni autoctone forse paleovenete?

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Così si legge, relativamente a Lauco ed alle sue tombe, in: http://www.archeocartafvg.it/portfolio/lauco-ud-tombe-dai-pagans/:  «L’altopiano su cui sorge il paese è stato certamente abitato, non si sa bene se in forma stabile, sin dalla preistoria. A quest’epoca viene fatta risalire la posizione fortificata ubicata in località Muris, a sud-est del capoluogo, lungo il precipizio che dà sulla piana di Villa Santina.
Vanno poi sicuramente menzionati i due siti celtici in cui vennero recuperati una spada ritualmente piegata e il suo fodero, tre cuspidi di lancia ed un rasoio, attualmente esposti nel museo archeologico di Zuglio, datati tra il 200 e il 150 a.C.
Anche nel Medioevo, Lauco fu un centro importante; ne sono testimonianza le numerose tombe scavate nella roccia e rinvenute in varie località del Comune. A sud della chiesa parrocchiale del capoluogo, in località Curs, sono state rinvenute 5 tombe scavate nella roccia calcarea, sicuramente un tempo ricoperte da lastre che non sono mai state ritrovate.
Anche in località Clapò, sopra l’abitato di Chiauians, a nord di Lauco, si possono ammirare altre 3 tombe, anch’esse scavate nella viva roccia.
Per lungo tempo tali tombe furono considerate preromane, ma a seguito della campagna di scavi condotta dal Centro Regionale di Catalogazione e Restauro del FVG nel 1989, sono state collocate in epoca altomedioevale (V-VI secolo d.C.) ed attribuite a popolazione autoctona.
Gli abitanti del luogo fanno risalire queste sepolture ai Gans o Pagans, popolazioni antiche e probabilmente non cristianizzate».

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Il fatto che le tombe fossero celtiche e la datazione pre-romana vengono smentite anche da altra fonte.

«Le tombe di forma ellittica, da altri autori definite a “fossa” o a “fossa semplice” spesso munite di risega, (rientranza n.d.r) […] sono […] una tipologia sepolcrale tardoromana di area mediterranea […] la quale, nella variante priva di risega e con copertura a lastre, fu in uso tra il VI ed il VII secolo. Nella più che nota necropoli di Castel Trosino, in cui è stata recentemente ribadita una grossa componente autoctona, le sepolture a fossa terragna anche con risega e pareti stondate ovali, caratterizzate talvolta da sepolture multiple, sono databili con sicurezza al tardo VI – inizi VII secolo. Analogamente anche in Italia meridionale (Basilicata) fosse ovali o ellittiche scavate nella roccia tufacea, dotate talvolta di risega e con alcuni elementi di ornamentazione personale all’interno, sono riferibili al VI – VII secolo.

 In un contesto nord orientale, acquistano inoltre grande importanza le tombe di questo tipo rinvenute a Lauco località Curs, in prossimità di Villa Santina (Ud), dalle cui immediate adiacenze provengono reperti in ferro databili al VI VII secolo».  (AA.VV., La chiesa rupestre di SanCassiano, (Lumignano di Longare (Vi), in: Archeologia medievale, cultura medievale, insediamenti, territorio, XXIII, All’insegna del giglio ed., 1996, pp.262-263).

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Le tombe di Curs, o in località Le fontane, ove ora si trova il cimitero.

Così scriveva probabilmente sempre su dette tombe Vinko Sribar, nel suo: Le tombe dei guerrieri celtici di Lauco (ud)”, in: Quaderni Friulani di Archeologia IV/1994: «Nella parte occidentale di Lauco, in località “Le fontane”, (pare sempre Curs, ma l’autore dell’articolo, a p. 38,  diversifica i due luoghi) a sud della strada che collega Villa Santina e Lauco, l’abitazione del sig. Tomat, in via Centro 23, possiede un giardino che si estende verso sud per circa 20 m e altrettanto verso est. Nel corso di lavori edilizi (costruzione della casa, fondamenta n.d.r.) lo stesso proprietario sig. Tomat rinvenne tre tombe ad incinerazione, che appartengono al periodo La Tène C» (Ivi, p.25).

«La Tomba n. 1 aveva tre lance in ferro, trovate l’una vicino all’altra e assieme avvolte entro argilla rossa di qualità molto differente dal materiale circostante. La tomba era situata presso il limite meridionale della proprietà del sig. Tomat. I reperti sono stati trovati a una profondità di un metro circa, a una distanza di circa 15 m dalla casa. (p.25).

Si ipotizza, sulla base della carta dei reperti in Lauco, datata 1953, che vi fosse, forse, una necropoli, celtica, dell’età del ferro, periodo La Tene C, di cui la tomba faceva parte.

Però, prima di iniziare l’analisi degli oggetti rinvenuti nella tomba n. 1 bisogna forse tornare al rito dell’inumazione. Rimane il fatto che, nella descrizione del rinvenimento e dello scavo, mancano gli elementi in base ai quali si potrebbe definire il carattere delle tombe. Anzi è ipotetico anche il fatto che si tratti di tombe, perché i reperti sono stati rinvenuti sempre separatamente in gruppi che possono rappresentare il corredo tombale di un individuo».  (Ivi, p. 28). Potebbero rappresentare, quindi, un corredo funerario, ma non vi è certezza, perché mancano del tutto accenni alla presenza di ceneri o ossa.

«La Tomba n. 2 si trovava nel giardino a sud est della casa del sig. Chiararia alla profondità, come pare, di poco inferiore a un metro. Il corredo, posto nel medesimo terriccio di colore marrone scuro, comprendeva una spada e quattro frammenti del fodero». (Ivi, p. 30). La spada, lunga, reperita in questa tomba, è collegabile a manufatto cariziano. (Ivi, p. 38).

La Tomba n. 3 era nell’angolo sud-orientale del giardino, nel punto più lontano rispetto alla casa esistente. «Non si è riusciti a sapere nulla della tomba o della situazione in cui è stato trovato il corredo. Si ha solo una notizia alquanto approssimativa, che il corredo era alla profondità di circa un metro, entro l’humus di color marrone scuro». (Ivi, p.34). In questa terza tomba furono reperiti: una lancia del tipo pilum in ferro forgiato, ed approntata con «una sorta di primitivismo tecnologico, che pure è vicino alle tecnologie e alle forme preceltiche», ed un coltello o più probabilmente rasoio in ferro forgiato, coperto da ossido di ferro. (Ivi, p. 36).

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Vinko Sribar, mette poi in risalto come le tombe fossero state rinvenute in un sito che non pareva corrispondere a quelli utilizzati in genere dai Celti del periodo La Tene medio o alto in Mitteleuropa, e sottolinea come l’altopiano di Lauco sia stato, fino a periodi recenti, ben poco collegato con le valli carniche. (Ivi, p. 36).

Da che so, però, vi è un sentiero che raggiunge Villa Santina da Porteàl, praticato anche ai primi del novecento; in località Chiauiàns si notano parti di un sentiero più ampio che scende verso Lauco, ed inoltre potevano essere praticabili, forse non durante l’inverno, le due possibili vie, su cui sono collocate le frazioni del comune di Lauco. Una, partendo dal capoluogo passa per Allegnidis, Vinaio, Buttea, Curiedi e raggiunge Fusea, l’altra attraversa Avaglio, quindi Trava e giunge Chiassis ed alla località segheria di Chiassis, ma non so quando questi percorsi furono creati né come fossero percorribili. E ove ora si trova la strada asfaltata che unisce Lauco a Villa Santina, forse vi era, prima, un ampio sentiero.

Bartolomeo Cecchetti nel suo La Carnia, studi storico-economici, edito in Venezia nel 1873, presso la tipografia Grimaldo, cita a p. 120 Vinajo, ora frazione del comune di Lauco, in relazione a Gretto di Vinajo, forse un signore del luogo, che aveva acquistato nel 1318 da Guidone di Manzano, canonico di Cividale, la decima parte nelle ville di Nojaris e di Priola, dimostrando non solo che Vinajo già esisteva, ma anche che vi era via percorribile e almeno un benestante del luogo. Non bisogna dimenticare, poi, che Fusea, già presente nel 1015, aveva, secondo il Cecchetti, un castello locato sopra il villaggio, e cita, in relazione a detto villaggio, tre documenti, due dei quali del 1300. Nello stesso volume l’autore, a p. 112, cita anche Lauco,  ora capoluogo di comune scrivendo che, nel 1256, Gregorio, patriarca di Aquileia, aveva ricevuto da Ottone e Peregrino Castellerio la consegna della decima del paese e ne aveva investito il capitolo di Aquileia. Inoltre nel 1275 Glizojo di Mels, signore di Venzone, affermava che a lui e lui solo spettava il garrito di Lauco e di altri luoghi. Pertanto nel 1319 erano abitate sia Lauco che Vinaio. Inoltre nel 1295, sempre secondo la stessa fonte, esisteva il paese di Avaglio (Ivi, p. 104), citato poichè gli uomini di detto villaggio vengono investiti dal patriarca Riamondo di metà del monte Arvenis, assieme agli uomini di Liariis.

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Comunque per ritornare allo studio di Vinko Sribar, le tombe con armi celtiche di Lauco, a suo avviso, non testimoniano la presenza di un punto militarmente importante quanto piuttosto l’esistenza di un luogo connesso con il recupero del ferro e forse la produzione di armi e utensili. Infatti «Sono quattro le punte di lancia trovate nelle tombe di Lauco che potevano derivare dalla produzione locale». (Vinko Sribar,Le tombe, op. cit., p. 36).

In sintesi vi poteva essere una fucina, dove il metallo veniva fuso e forgiato, rifuso e riforgiato da popolazione autoctona, che viveva nelle vicinanze. Verso questa ipotesi potrebbe far volgere, sempre secondo Vinko Sribar anche la testimonianza del maestro (Giovanni? n.d.r.) Chiararia, che affermava che esisteva a nord di Lauco un giacimento di ferro, a meno di un chilometro dal centro del paese, e pure, nella parte orientale dello stesso, un giacimento di carbon fossile. Probabilmente la presenza di queste ricchezze naturali portarono al loro sfruttamento, sin dai tempi antichi. (Ibid.).

Ma è anche vero che, nei pressi di Lauco, si sapeva fare carbone, con la antica tecnica della carbonaia, la cui origine si perde nei secoli, come testimonia Romano Marchetti che, nelle sue memorie ricorda la carbonaia di Dolacès, tra Lauco ed Arta.

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Infine bisogna tener conto del fatto che poco si sa della presenza dei Celti in Carnia. Come scrive infatti Vinko Sribar: «Anche i termini di origine celtica non paiono una sicura prova documentaria della presenza celtica nel luogo ove compare il toponimo, dato che il toponimo stesso può aver avuto origine anche in un periodo postceltico, ad es. nel periodo delle migrazioni tardo-antiche o nell’età altomedievale. Un chiaro esempio di questo genere si ha nel termine “tamar”, testimonianza dell’economia pastorale di alta montagna, fenomeno che è molto difficile datare prima del Mille». (Ivi, p. 39).

Pertanto non si sa ancora bene se gli abitanti di Lauco fossero Celti veri e propri o Carni, o, come ho sentito in un incontro tanti anni fa paleo-veneti o  cimbri, o popolazioni autoctone. E neppure il rinvenimento di un reperto simile ad altri, celtici, può dare la certezza della presenza di insiediamento abitativo celtico in un luogo.

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Quello che sappiamo, comunque, è che le popolazioni romane e celtiche e probabilmente non solo loro ed anche in periodi successivi, si insediavano ove potevano trovare condizioni ambientali favorevoli, date da terreni coltivabili e dai corsi d’acqua nelle immediate vicinanze. (“Oppidum, necropoli, luogo di culto, calendario astronomico dei Celti nel cuore d’Europa”, in: http://storia-controstoria.org/antiche-culture/tombe-celtiche-principe-glauberg/). Con queste premesse si potrebbe ipotizzare un insediamento altomedievale anche nella verde conca di Porteal o nei paraggi, vicino alle tombe di Chiauiàns, che potrebbero avere caratteristiche diverse da quelle per incenerimento, ammesso fossero tali, trovate nel terreno del signor Tomat. Infatti all’incontro del 9 luglio 2016 si riteneva che si trattasse di tombe per inumazione.

Se volete comunque vedere qualche immagine delle tombe di Lauco andate al sito: http://www.lucabaradello.it/images/friuli/lauco0766.jpg. Ma esistevano davvero tombe dei Gans a Lauco e chi potevano essere i Gans?

Parole magiche: Gan, Agana, che riportano a simboli e significati quasi perduti.

Il termine ebraico gan – in greco paradeisos, collegato all’ iranico paraidaëza (giardino, riserva regale di caccia in Asia minore) designa il luogo in cui, secondo Genesi 2,8, Dio collocò l’uomo, il paradiso in terra, ricco di vegetazione, animali e frutta, chiamato anche Gan Eden, pure dai sumeri, ove Eden potrebbe derivare dal vocabolo sumerico edin, che molti assiriologi interpretano come «pianura» o «campagna». (https://it.wikipedia.org/wiki/Giardino_dell’Eden). I tre termini pardès in ebraico, pairidaēza in persiano, e paràdeisos in greco, comunque, contengono tutti la stessa idea fondamentale di un bel parco lussureggiante, ed il primo luogo di questo tipo fu quello preparato dal Creatore, Geova, Dio, in Eden, chiamato in ebraico Gan Eden. (http://wol.jw.org/it/wol/d/r6/lp-i/1200003377).

Ma “Gan” indica anche luogo recintato, separato dal resto, e da esso diverso, mentre Eden deriva, secondo alcuni, da una radice che indica ciò che ha dei confini fissati che non possono essere oltrepassati. Gan Eden potrebbe quindi indicare una sorta di nicchia nell’universo, ove Dio pose l’uomo. (www.mednat.org/bibbia/genesi_capire.htm).

Ma allora, senza essere assolutamente esperta in questo tipo di studi, il termine “gan”, qualora indichi persona, potrebbe significare anche abitante del giardino, uomo, abitante del villaggio recintato, persona che può meritare, alla fine dei tempi, il Paradiso che sarà un bellissimo giardino, e quindi cristiano. Ma sono solo riflessioni mie sul termine e sul tema. Pa-gan, che deriva da pagus, potrebbe invece indicare coloro a cui il gan giardino è negato, ed è termine riferito agli idolatri, agli ariani, agli atei, che non possono vivere nella luce della fede, ma che abitano nel buio delle tenebre, nelle grotte oscure, negli antri profondi. Ma anche questo è solo un mio gioco di parole in chiave di lettura cristiana.

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Invece, secondo Silvana Sibille-Sizia, vi è un rapporto, sotteso ma ancora percepibile, tra la Agana, dea, fata, protettrice, “parca”, e la grotta come formazione geologica di valenza sacra, come accesso al grembo della Madre Terra che accoglie i morti nel suo oscuro mistero e li rigenera perché continui la vita, ed è collegata, in alcuni casi, al luogo dove aveva la sua bottega un fabbro, che faceva anche, genericamente, il medico, il forgiatore di metalli ed al tempo stesso era terapeuta, e forse veniva vissuto come uno stregone. (Silvana Sibille-Sizia, cit.,p.14).

Ma vi è pure un legame, sempre per detta autrice, tra la caverna, ove venivano gettati, secondo l’antica usanza indoeuropea i cadaveri, e l’idea germanica che la vita rinasca dalla caverna dove sono stati posti i morti. (Ivi, p. 11).

Inoltre la derivazione comune sia del nome Diana, che del nome Janas, che appartiene a delle fate presenti nella tradizione sarda pare, per uno studioso, essere il sostantivo sanscrito Janas, Janasas, che significa “origine”. (Ivi, p. 110).  E lo stesso dicasi per Gan, maschile di Agane, forse derivato, per Silvana Sibille-Sizia, dal maschile di Diana, Dianus, come il milanese gian, che significa “mago”, “stregone”. Ma mago o stregone veniva definito il fabbro, medico, cavadenti, gian, gan. È una ipotesi. Gan, gans, termini per cui vi sono più interpretazioni, compresa quella che li collega a figure metà umane e metà animali, poste fra il mondo umano e quello silvano. Il legame tra la grotta, l’Agana, il Gan ed il fabbro, la caverna, la vita la morte, la fecondità come rigenerazione, paiono presenti, in modo diverso ed in diversa misura, in più luoghi del contesto europeo. Non era forse il mitico e nordico Weland, un fabbro e un coraggioso combattente, e Vulcano, dio antico del fuoco, della folgore pure un fabbro, non era forse venerato a Creta Velkhanos, un dio della natura e degli Inferi, da cui lo stesso Vulcano avrebbe potuto trarre origine? Ma queste sono solo mie illazioni personali.

Per il nuovo Pirona ed il vocabolario Faggin,  “Gan” significa appartenente a gente selvatica facente parte del mondo degli spiriti, ed il nuovo Pirona precisa che l’ultimo rappresentate di questa genìa è stato ucciso a Cjavacjans, senza fonte. (Informazioni trasmessemi da Remo Brunetti che ringrazio).

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Pare quindi che, per quanto riguarda Gan, Aganas, paradisi e villaggi recintati, antichi miti siano stati in qualche modo assorbiti e modificati dalla religione cattolica, permanendo però alcuni significati anche se forse in diversi contesti.

Relativamente alle aganas, figure femminili, lavandaie notturne, Silvana Sibille-Sizia evidenzia come esse fossero legate alla morte che preannunciavano, lavando pure nell’acqua di notte le lenzuola, al chiarore della luna, simbolo del togliere ogni aspetto umano, ogni colore, sangue e vita. Nessun lenzuolo poteva essere bianco come quelli lavati dalle agane, che stendevano i teli da loro sciacquati e torti  ad asciugare non alla luce del sole ma della luna. Vita e morte si univano in queste figure che, in alcune tradizioni, filavano pure  “la vita” e che presidiavano l’acqua, fonte di vita, o grotte che venivano vissute come luoghi ove la vita si rigenerava. Ed il bianco era il colore della morte e del lutto, delle lamentatrici, dei teli che coprivano gli oggetti nella stanza del morto, per esempio a Cercivento. (Cfr. l’intero studio di Silvana Sibille-Sizia, cit.). A Preone le lamentatrici ricevevano in prestito dalla chiesa stessa dei fazzoletti bianchi e che si legavano in modo da coprirsi la fronte. Il nero non era colore di lutto, nei tempi antichi, ma della terra fertile ed umida e delle umide grotte. (Ivi, p. 93). Bianca è l’anima senza più materia e lavata dal peccato, bianche sono le ossa, femminile è il nome della morte.

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Ma ritornando alle tombe di Lauco, la guida della Carnia e del Canal del Ferro di Marinelli, curata da Michele Gortani, parla di una grotticella detta “Chiase dai Gans” posta sotto Allegnidis, e quindi non cita i Gans con riferimento alle tombe di Chiauiàns, e non cita nessuna tomba dei Gans sull’altopiano di Lauco, come ora si trova e viene tramandato, (Cfr. Tombe dei Gans – Lauco – YouTube; Immagini relative a tombe dai gans,) né si azzarda a identificare i Gans con i Pagans, come in www.archeocartafvg.it/portfolio/lauco-ud-tombe-dai-pagans/.

La citazione di una grotta detta “Chiase dai Gans”, collima con la tradizione che vuole i Gans e las Aganas collegate pure a grotte, dove vivevano, ed alla morte seguita da rigenerazione, non direttamente alle tombe.

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Inoltre non si sa da dove derivi la credenza che alcune tombe di Lauco fossero dette tombe dei giganti, se non per assonanza tra Gans e Gi- gants, in carnico nel tramandare orale, o per miti romantici pregressi e contaminanti, o perché la media della statura degli abitanti di Lauco era inferiore a quella della lunghezza delle tombe reperite.

Comunque il 9 luglio i relatori  evidenziavano tre siti tombali in Lauco: quello di Curs o Cuel dal Fari vicino al cimitero attuale, ove ritorna il termine fari, in carnico fabbro, e dove le tombe paiono non regolari, adattantisi alla roccia, più antiche delle altre, e già violate nel 1900 quando furono studiate da Lazzarini, forse Lorenzo; quello di Chiauiàns, nei pressi di Porteal, ove si sono trovate tre tombe scavate nel calcare, lunghe 160 – 180 centimetri e larghe circa sessanta, a forma allungata; quello in località Muris, a sud-est del paese di Lauco, ove le tombe sono inserite in locali privati. I relatori sostenevano, poi che le tombe di Lauco, a loro avviso, erano cristiane, databili fra il VI e VII secolo d.C., e che nei pressi si doveva trovare, all’epoca, un insediamento, come nel caso di Curs, ove Miotti colloca un castelliere, e dove, ora sorge la chiesa parrocchiale. Detto castelliere è da ritenersi, secondo la guida Marinelli – Gortani ed anche secondo me, quello citato da Niccolò Grassi, che così scrive: «il Castello di Somcolle […] vogliono fosse dove ora è il grosso villaggio di Lauco, dicessi esser stato da molte famiglie nobili abitato dall’anno presso 1260 fino al 1337». (Niccolò Grassi, cit., p. 163). Infatti la località Curs si trova sopra un colle, in som dal cuel (Somcolle) ed era denominata Cuel dal Fari, colle del fabbro, forse dal mestiere artigianale più praticato. E quindi l’antico abitato, o quello principale, credo si trovasse proprio ove ora è il paese di Lauco. Inoltre Bartolomeo Cecchetti scrive, a p. 92 del suo testo citato, che Somcolle si trovava forse nel villaggio di Lauco ed alla nota 2 di p. 23-24, a p. 24 scrive che in un manoscritto di G. B. Pittiani viene citato un castello a Lauch.

Non si è accennato, il 9 luglio, mi pare, al sito di Allegnidis, e se erro correggetemi, mentre si è parlato di somiglianze e differenze con altri siti archeologici presenti in Carnia, sostenendo l’importanza dello studio degli insediamenti locali e della storia della Carnia, luogo anche di passaggio e di incontro tra popoli.

Queste sono le considerazioni che ho tratto avendo preso come spunto ciò che ho sentito a Lauco negli anni ’90 ed il 9 luglio 2016, dopo aver approfondito l’argomento sulle fonti reperite, arricchendo il testo con pensieri e divagazioni personali.

Sperando in qualche precisazione e commento, vi auguro buona lettura.

Laura Matelda Puppini

L’ immagine che correda l’articolo è tratta, solo per questo uso, da: www.archeocartafvg.it, e rappresenta tombe in territorio di Lauco. Laura Matelda Puppini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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