Storia di Cave del Predil – Raibl. Prima parte in attesa di presentare l’archivio Gabino.
Confesso che non ero interessata alla miniera di Raibl finchè, un giorno lontano, non incontrai Guerrino Gabino. Era forse il 1980 od ’81, Gabino stava seduto dietro una scrivania, nell’ufficio a piano terra, entrando sulla destra, nella casa rossa, in piazza Vittorio Veneto a Tolmezzo, che qualcuno aveva deciso di demolire, nel post- terremoto. Gli dovevo chiedere qualcosa sulle sue lotte, da sindacalista, a fianco degli operai della cartiera, ma egli mi parlò anche delle lotte a Cave del Predil, e mi lasciò quelle poche carte che aveva con sè, che formano ora l’archivio Gabino in mio possesso e che donerò secondo le sue volontà. Era malato di cancro, aveva i giorni contati, non sapeva a chi dare quella documentazione per lui così importante, che temeva andasse perduta, e che, allora, pareva non attirasse alcuno.
Incominciai così ad interessarmi della miniera ed a leggere.
Ho letto non solo le carte dell’Archivio Gabino ma anche due volumi: Paola Tessitori, Rabil-Raibl Cave del Predil. Una miniera, un paese, una sfida, Ud, Kappa Vu 1997, e Giordano Sivini, Il banchiere del Papa e la sua miniera, il Mulino, 2009, preferendo il primo, ora quasi introvabile se non in biblioteca. Ma so che altri ritennero migliore il secondo, centrato sulle lotte recenti dei minatori di Cave, e dal taglio giornalistico.
In particolare dal volume della dott. Tessitori e da altre fonti ho preso alcune note relative alla storia della miniera, che ci presentano aspetti interessanti, per introdurre, successivamente, con altri articoli alcuni documenti dall’archivio Gabino.
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Per prima cosa mi preme sottolineare come il giacimento sul monte Re, cioè a Cave del Predil, si possa «suddividere in due parti: il “giacimento primario” a solfuri di ferro, piombo e zinco deposti dalla circolazione d’acque ricche in ioni metallo lungo le faglie e il “giacimento secondario”, che è invece costituito da carbonati basici ed «è derivato dalla liscivazione del giacimento primario, per alterazione, trasporto e rideposizione di parti solubili dello stesso ad opera d’acque circolanti». (Roberto Zucchini, Miniere e mineralizzazioni nella provincia di Udine. Aspetti storici e mineralogici. Pubblicazione n. 40. Comune di Udine, Edizioni del museo Friulano di Storia Naturale, 1998, p. 99).
Ed è quasi certo che «lo sfruttamento minerario di Raibl, orientato prima al piombo ed in seguito allo zinco, interessò, inizialmente, anche il ferro costituente il deposito di limonite facente parte del cappellaccio. Il ferro andava ad alimentare le fucine sorte nella Valcanale e a Weissenfels, infatti, alcune antiche carte geografiche indicano la miniera di Raibl come centro di produzione di ferro, così come alcuni toponimi fanno riferimento allo stesso minerale (Rio Filaferro, Prato Filaferro). (Ivi, p. 90).
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Un tempo lontano, «La localizzazione di un affioramento minerario avveniva osservando le patine d’alterazione dei minerali, anche casualmente, o era affidata alla bacchetta del rabdomante. (…). Il lavoro estrattivo era molto duro, con picche, scalpelli e cunei. Data l’enorme energia spesa per seguire la vena mineralizzata, si cercava di limitare l’ampiezza delle gallerie allo stretto necessario per potersi muovere, magari carponi, portando fuori il minerale in piccole quantità. In Friuli lavorazioni a scalpello e a fuoco sono riconoscibili in alcune miniere nel Monte Avanza e nel Rio Gelovitz. A Raibl si notano ancora le vestigia di vecchie gallerie dalla forma d’ogiva e gallerie ancora più piccole. Queste hanno alimentato la leggenda che le miniere fossero, in tempi passati, sfruttate da un popolo di nani d’origine tedesca o veneta». (Ivi, p. 6).
«Si eseguivano gli scavi dall’alto verso il basso, e con enorme fatica si portava il minerale alla superficie mediante funi e carrucole. Spesso era impossibile creare gallerie di drenaggio ed i minatori lavoravano nell’acqua che sul fondo dei pozzi si raccoglieva e, quando le condizioni erano insopportabili, si abbandonava temporaneamente la miniera fino allo scemare dell’acqua in essa contenuta» (Ivi, p.9). Infine nei secoli XV-XVI, grazie ai progressi tecnici, le miniere più importanti vennero attrezzate con pompe o macchine idrauliche di vario tipo.
Il trasporto e sollevamento del materiale estratto avveniva tramite carriole spinte a mano su un pavimento di tavole poste al fondo della galleria, metodo utilizzato anche nel XX secolo a Comeglians. Se minerale estratto era poco, ogni minatore se lo portava in superfice in ceste o sacchi legati ai piedi. (Ibid.).
Una grande rivoluzione nella quantità di minerale estratto dalle miniere avvenne quando fu utilizzata la polvere da sparo che, nota fin dal ’400, trovò impiego nelle miniere molto più tardi. Il suo uso, nelle miniere europee, avvenne nel XVII secolo e probabilmente coincise con l’elevato costo del legno e dei salari, e con la necessità di rendere più produttiva l’estrazione. L’elevato costo e la pericolosità del suo impiego ne limitarono, comunque, l’uso alle miniere più importanti, per esempio Raibl, e solo in tempi più recenti è divenuta una tecnica diffusa d’abbattimento delle pareti rocciose.
Un altro problema da risolvere era la ventilazione delle gallerie che spesso venivano abbandonate quando le condizioni d’agibilità erano critiche. Dove le condizioni morfologiche del terreno lo consentivano, venivano realizzate gallerie d’aerazione normali a pareti scoscese, spesso poste in modo da sfruttare le brezze. Seguirono rudimentali metodi basati sull’uso di mantici o più semplicemente di convogliatori mossi dal vento, fino all’uso dei grandi compressori e delle moderne condotte d’aria compressa». (Ivi, p. 13).
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La vita del minatore era caratterizzata da «estrema fatica ed incerti destini», e l’arte di estrarre in miniera veniva tramandata da padre in figlio. Detto “sapere pratico”, diventava, via via, più esclusivo e particolare, ed era noto e trasmesso solo all’interno di veri e propri “clan familiari”, che si configuravano quasi a guisa di una vera e propria corporazione, gelosa dei suoi segreti. E le conoscenze di base andavano, via via, arricchendosi di nuove nozioni, frutto dell’esperienza sul campo, come per ogni arte. (Paola Tessitori, op. cit., p. 24). Secondo Roberto Zucchini, alcune miniere nel territorio friulano furono probabilmente sfruttate anche in epoca romana, ma non vi sono elementi sicuri che attestino una qualsivoglia attività metallurgica sia in epoca preromana sia romana in Friuli, ma è solo con l’avvento del dominio temporale del Patriarcato, nell’anno 1077, che si cominciano ad avere documenti, quali concessioni minerarie, attestanti la ricerca di metalli preziosi e il pagamento di censi, rendite, decime che testimoniano una continua attività di ricerca e di sfruttamento minerario. (Roberto Zucchini, op. cit., p. 15).
Anche secondo Paola Tessitori pare che i Romani, frequentatori del Passo del Predil per raggiungere la Pannonia, siano stati i primi a scoprire le potenzialità estrattive del piccolo Monte Re, (Paola Tessitori, p. 22), ma si ha notizia di una attività estrattiva ivi solo nel 1006, quando i territori facenti parte della Signoria Federaun, comprendente anche il Tarvisiano, furono assegnati dall’imperatore Enrico II alla sede episcopale del Vescovado di Bamberga, (Roberto Zucchini, op. cit., p.90) e certezza nel 1327, quando l’Imperatore Federico il Bello concesse ad un gruppo di minatori di Tarvisio di estrarre i minerali presenti sul Monte Re. (Paola Tessitori, op. cit., pp. 22-23). Ed il nome ‘Cave del Predil’ nasce proprio dalla fusione di due realtà: l’attività del ‘cavare’ e la vicinanza del valico che porta a Plezzo, detto appunto Predel in sloveno ‘passo’, poi detto ‘Valico del Predil’. (Ivi, nota 1 p. 201). Nel 1456 il vescovo di Bamberg, che comandava in quei luoghi posti in Valcanale, autorizzò la coltivazione del ‘vetriolo’ cioè del solfato di zinco, «a dei ‘padroncini’ di Tarvisio titolari di piccole aziende artigiane, quasi ‘botteghe’ minerarie, con un mastro e 4 o 5 minatori alle proprie dipendenze, riconoscendo loro i diritti di sfruttamento su una zona compresa fra il lago e le terre di tale Osvaldo Rabel (o Rabl), dal cui cognome avrebbe forse preso il nome anche l’abitato che, nel frattempo, era sorto accanto alle cave e menzionato, per la prima volta, nell’ordinanza sui boschi emanata dal vescovo Enrico di Bamberg nel 1506». (Ivi, p. 23).
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Notizie su Raibl sono riportate da Paolo Santonino nel suo “Itinerarium” in cui si descrivono le visite pastorali compiute in queste regioni negli anni 1485-1487, e si sa che «la comunità di Raibl, nel secolo XVI, costruì una chiesa chiamata S. Henricus in monte Plumbeo. Il sacerdote era nominato dal giudice, dalla comunità dei lavoratori e scavatori nelle miniere e presentato per la conferma al patriarca. In quell’epoca il lavoro d’estrazione era artigianale, organizzato in tanti proprietari, che avevano la concessione, ma con il passare del tempo parti sempre più consistenti della miniera furono acquistate da famiglie nobili». (Roberto Zucchini, op. cit., p. 90).
Ed anche il villaggio di Raibl non fu esente dalle continue lotte che vedevano la popolazione veneta (giungendo il dominio veneziano sino a Pontebba non nuova) contrapporsi a quella dipendente dall’ Austria e facente parte del nucleo amministrativo Signoria Federaun, e che andavano da sconfinamenti e furti reciproci a vere e proprie guerre. «Così, ad esempio, in seguito ad una tipica ‘scaramuccia’ fra paesi imperiali e paesi veneti, nella Pasqua del 1721, il villaggio di Raibl veniva assalito da un commando di abitanti di Chiusa e Raccolana», che manomettevano le abitazioni del paese, devastavano le colture, sequestravano animali ed asportavano masserizie, armi ed indumenti. (Paola Tessitori, op. cit., nota 19, p. 202). E secondo Roberto Zucchini, gli stessi Fugger non vollero esporsi troppo nell’investire in Cave del Predil proprio a causa dei continui scontri fra ‘tedeschi’ e ‘ veneti’. (Roberto Zucchini, op. cit., p. 25).
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Da una serie di frammenti, si sa che la miniera era un centro importante già nell’alto medioevo. (Paola Tessitori, op. cit., p. 23). In età moderna, a partire dal XVI° secolo, i prodotti estratti a Raibl, in particolare la blenda, acquisirono rinomanza in vari mercati, tra cui quello veneziano e quello spagnolo, ed in particolare sul mercato tedesco, nelle cui dinamiche la realtà estrattiva di Raibl era inserita. (Ibid.).
Notizie sulla miniera ci provengono pure «dagli intensi rapporti commerciali instaurati con famiglie della valle come la famiglia della Grotta, proprietaria di molte fucine nella Valcanale, che nel 1540 esportava il piombo estratto nella Repubblica Veneta ed in altri mercati esteri fino in Spagna. Anche i Fugger, ben noti mercanti d’Augsburg, che molta importanza ebbero nel commercio dei metalli e nello sfruttamento delle miniere della Carinzia, possedevano una quota del giacimento e la calamina estratta era lavorata, ad Arnoldstein, per la produzione d’ottone». (Roberto Zucchini, op. cit., p. 91).
Nel 1550 giunse nella valle la famiglia Von Rechbach che, per oltre 250 anni, ebbe posizione dominante negli affari della Miniera e del Comprensorio, abbandonandolo con l’arrivo dei Francesi. (Dino di Colbertaldo, Illustrazione del giacimento di Raibl, relazione tenuta al VII Congresso Nazionale di mineralogia, http://rruff.info/rdsmi/V7/RDSMI7_23.pdf, Cave del Predil, in: http://www.tarvisiano.org/code/41496/Cave-del-Predil).
Dalla metà del secolo XVI fino al 1772 si alternarono nella gestione, spesso a carattere artigianale della miniera, numerose famiglie sia tedesche che venete: tra le più note: di Caporiacco, Eder, Egger, Erler, Franceschini, Fugger, Gaßmayer, Grünwald, Miggitsch, Magerl, Scheidenberg, Schiestl, Schinigin, Strohlendorf, Struggl, Thomas e Türk. (Roberto Zucchini, op. cit., p. 92). Nel 1679 i proprietari erano 43, ma con il passare del tempo molte concessioni furono assorbite dai Signori più ricchi in tal modo l’industria mineraria andò concentrandosi nelle mani di pochi. Nel 1761 i proprietari si erano ridotti solamente a quattro: Struggl, Grünwald, Erler e Gaßmayer. (Ibid., e Paola Tessitori, op. cit., p. 24). Ogni proprietario aveva dei filoni della miniera da sfruttare.
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Alla fine del 1700 la miniera risultava in piena attività ma soggetta ad oscillazioni produttive legate all’andamento sui mercati dello zinco e del piombo, tanto che poteva accadere che le spese di estrazione superassero gli utili della vendita. Estrarre del minerale, infatti, comportava una serie di spese tra cui i salari dei minatori, l’attrezzatura, i materiali indispensabili per l’estrazione, il trasporto del materiale estratto, la ricerca di nuovi filoni coltivabili. (Ivi, p. 24. Sull’attività di estrazione nelle Alpi e sulla valorizzazione dei siti minerari, cfr. anche: AA.VV., L’attività mineraria nelle Alpi. Il futuro di una storia millenaria. XXVI edizione degli incontri tra/montani, 23-25 settembre 2016, Gorno (Bg). Riassunti delle relazioni del convegno e guida alle escursioni, 2016, in: http://www.geoexplora.net/uploads/9/3/4/6/9346359/miniere_alpi_v6_comp.pdf).
A Gorno e nel bergamasco, iniziarono a venir coinvolte, forse sul finire del 1700, nel lavoro minerario, anche maestranze femminili, chiamate le “taissine”, che selezionavano il minerale utilizzabile dallo scarto. (AA.VV., L’attività mineraria nelle Alpi. Il futuro di una storia millenaria, cit., p. 5). Per quanto riguarda Raibl, risalgono ad analogo periodo le prime notizie sull’impiego di manodopera femminile: e si parla di Wäserinnen, donne addette all’operazione di lavaggio del minerale. (Cenni storici. La svolta gestionale, in: http://www.cavedelpredil.it/).
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Nel 1678 la miniera di Raibl, pur avendo una certa importanza mineraria che andò man mano ad aumentare, produceva una quantità di piombo tre volte inferiore a quello prodotto dalla miniera di Bleiberg. le cause sono da ricercare nella complessa suddivisione della miniera in diverse proprietà, che portava ad uno sfruttamento irrazionale sia nel modo d’estrazione sia in quello di ventilazione e trasporto del minerale. solo con la metà del XVIII secolo inizia quel processo d’unificazione delle miniere che ne farà crescere la produttività. (Roberto Zucchini, op. cit., p. 15, pp. 91-92).
Nel 1700, comunque, vi erano comunque ancora, a Cave, più concessionari per l’estrazione di minerale dal Monte Re. Nel 1762 o 1772, a seconda della fonte, Vienna decise di assumere la proprietà e la gestione diretta dell’attività estrattiva, riuscendo a comperare le quote di miniera di 3 o 4 padroni, ma resisteva la famiglia Struggl. (Paola Tessitori, op. cit., pp. 24-25). Grazie alla possibilità di coltivare in profondità il giacimento, l’importanza della miniera crebbe notevolmente, fino a toccare la massima produttività dopo la metà del XX secolo. «Nel 1857 le miniere erano aumentate grazie alla ricerca che aveva permesso di riscontrare altre aree mineralizzate. Esistevano così: – Raibl I, miniera erariale con estrazione di blenda e galena; – Raibl II, di Erben Cyprian Struggl a blenda e galena che possedeva anche un forno fusorio; – Raibl III, di Romuald Holenia e Ferdinand Fercher; – Raibl IV, della Bleibergwerk (Compagnia del piombo); – Raibl V, di Rudolf Schattauer, Georg Pegritz e Kaspar Treffner; – Raibl VI, di M. Madritsch, J. Ringitsch e Christina Mayer. Le miniere Raibl I, II e III erano site sulla sponda occidentale del Rio del Lago, mentre la Raibl IV era situata sulla sponda orientale del Rio del Lago.
In seguito molte miniere furono accorpate e la situazione ritornò ad essere quella di due proprietari: la miniera Raibl I di proprietà erariale dell’impero austriaco, e la miniera privata, che prese la denominazione Raibl II di proprietà di Schnablegger cognato di Struggl. Quest’ultima, dopo la morte di Schnablegger, fu ceduta al conte Henckel von Donnersmark ultimo proprietario privato della miniera. (Roberto Zucchini, op. cit., pp. 92 e 94 e Paola Tessitori, op. cit., p. 23).
Si veniva così a creare, a Raibl, una situazione particolare, caratterizzata dalla coesistenza, su uno stesso piccolo territorio, di due realtà economiche alquanto diverse, decisamente separate anche se in qualche modo intrecciate. Le miniere private (Raibl II e III) e la miniera pubblica (Raibl I), «giuridicamente e tecnologicamente ben distinte ma geograficamente vicine». (Paola Tessitori, op. cit., p. 25).
Con l’ingresso del Governo austriaco nella gestione della miniera, lo sfruttamento della stessa, per quanto riguardava la parte a gestione nazionale, si avviava uno sfruttamento di tipo industriale. Essa, denominata Raibl I, portava, nel breve volgere di un anno, all’assunzione di 186 dipendenti (rispetto ai 113 del 1775), mentre la parte privata, Raibl II, continuava ad essere gestita da Jhoan Ivo von Struggl. (Roberto Zucchini, op. cit., p. 92). Entrambe le realtà erano dedite all’estrazione di piombo e zinco, ma dei due insediamenti estrattivi, la storiografia concorda nell’indicare come più attiva anche dal punto di vista economico, la realtà privata, grazie sia agli Struggl che ai loro continuatori, gli Schnablegger, seguiti dal conte Henckel von Donnesmark. La miniera in mano al governo austriaco, invece, era più arretrata e risentiva maggiormente di aspetti economici congiunturali che, nella prima metà del XIX° secolo, causarono un decurtamento nella paga dei minatori, con un grave peggioramento nella loro vita ed in quella delle loro famiglie (Paola Tessitori, op. cit., p.25), dando origine a quelli che si potrebbero definire tra i primi episodi di lotta operaia della regione. E la lotta degli operai coinvolse il paese intero, fino a diventare lotta dell’intera comunità, come in seguito. La vertenza si trascinò per settimane, ma terminò con il licenziamento irrevocabile dei 120 scioperanti, e l’assunzione di nuovi minatori al loro posto, mentre le famiglie dei primi venivano ridotte alla fame. (Ivi, p. 26).
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La coltivazione mineraria, esercitata fin dal XVII secolo unicamente nella parte alta del Monte Re (al di sopra del cosiddetto livello zero, corrispondente all’altezza del paese di Cave), si era rivolta, poi, anche verso il basso, raggiungendo in breve tempo i 100 metri di profondità. E all’epoca, erano state pure realizzate una serie di migliorie che facilitavano la produzione facendo aumentare il numero di dipendenti. (Per alcuni aspetti relativi alla miniera cfr. anche: Dino di Corbertaldo, Illustrazione del giacimento di Raibl, VII Congresso Nazionale di Mineralogia, RDSMI7_23.pdf)
Nell’archivio di Raibl sono presenti planimetrie ed indagini produttive che portano la firma di tecnici francesi, e si nota un grande incremento della produzione anche per fini bellici. Si continuava a cercare il piombo, l’argento, il rame, ma anche lo zinco, metallo fino ad allora trascurato perché era ancora sconosciuto il trattamento metallurgico. (Roberto Zucchini, op. cit., p. 20).
Sul finire del XIX secolo, la miniera di Cave si presentava arricchita da una serie di novità industriali date da trasformazioni tecnologiche e tecnico meccaniche, ed il villaggio di Raibl, nel 1842, contava 379 abitanti, soprattutto tedeschi, ripartiti in 65 case. Nel 1883 gli abitanti salivano a 479, e le case erano aumentate a 74. E il paese, dipinto dal pittore Pirker, contava già un albergo, un’osteria, l’ufficio postale e telegrafico, una fabbrica di cemento. (Paola Tessitori, op. cit., p. 27 e p. 29). A ridosso del nuovo secolo, nel 1898 venne realizzata la prima centrale idroelettrica a Cave del Predil, per dare energia all’argano di estrazione del pozzo Clara. Il villaggio di Raibl fu uno dei primi in Italia a conoscere l’illuminazione elettrica all’interno delle abitazioni. (Ivi, p. 29).
L’inizio del XX secolo fu contrassegnato sia da sia dal fervore dell’attività mineraria, sia dal moltiplicarsi delle attività di scavo nel sottosuolo. Ma, nel 1910, «lo sconfinamento di una galleria della miniera privata dalla viva roccia alle ghiaie del Rio Lago, accompagnato da un improvviso franamento interno, dava luogo a un risucchio nelle gallerie sottostanti di tonnellate e tonnellate di ghiaia impregnata d’acqua», creando nel soprasuolo effetti devastanti. Pare detto sconfinamento fosse stato causato da una mina, e in un attimo l’ospedale di Raibl scomparve inghiottito, seguito dal riempirsi di acqua della fossa creatasi. Una stele ricorda l’immane disastro. (Ivi, pp. 29-30). Ma nei secoli più di un dissesto idrogeologico ed ambientale fu causato dallo scavare miniere e dal loro utilizzo.
Durante la prima guerra mondiale le miniere di Raibl, ed in particolare la galleria di Bretto, che venne dotata di una piccola ferrovia sotterranea, vennero utilizzate, per scopi bellici, dagli Asburgici, mentre la produzione acquistava valenza nel contesto bellico. (Ivi, p. 30).
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E per ora termino qui la prima parte di questa storia interessante, a cui seguiranno altre parti. invitandovi, se interessati, anche a visionare e leggere la bibliografia citata, a cui seguiranno altre parti.
Laura Matelda Puppini
L’immagine che accompagna l’articolo è intitolata: The ancient lead and zinc mine, ed è tratta da: http://mapio.net/s/57278558/. Se ci sono diritti relativi all’ uso dell’ immagine si prega di avvisare. Laura Matelda Puppini
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Bellissimo articolo, complimenti.